Andrea Capaccioni, Elena Ranfa
La documentazione è alla ricerca della sua identità fin dalle origini. Molti studiosi ritengono che gli inizi della disciplina debbano esser rintracciati nella fondazione, a opera di Henri La Fontaine e Paul Otlet, dell’Institut international de bibliographie (1895)1. Ai due belgi va senza dubbio ascritto il merito di aver ideato un sistema di raccolta e catalogazione delle informazioni bibliografiche provenienti da tutto il mondo incentrato sul Répertoire bibliographique universel2. La nascita e l’evoluzione della documentazione è in realtà una questione più complessa. La sua storia si intreccia, da un lato, con i tormenti che assillano la bibliografia, divisa tra un approccio bibliologico e la vocazione repertoriale, già da fine Ottocento3; e, dall’altro, con la biblioteconomia. Jesse Shera, tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, aveva fatto notare le difficoltà che si incontrano nel tracciare una netta linea di demarcazione tra le discipline che si trovano a condividere lo stesso campo di indagine, ovvero l’esplorazione e l’organizzazione della conoscenza registrata4. Shera indica due autori in particolare che, dopo Otlet e il suo Traité de Documentation (1934), hanno maggiormente contribuito a individuare i confini disciplinari partendo dal tentativo di spiegare la natura del “documento”. Sono l’inglese Samuel Clement Bradford (1878-1948) e la francese Suzanne Briet (1894-1989)5. Bradford aveva pubblicato, nell’anno stesso della sua morte, un saggio intitolato Documentation (London: Crosby Lockwood, 1948) che ancora oggi è considerato un classico della disciplina in grado di esercitare negli anni successivi una vasta influenza in particolare nel mondo anglosassone (Shera insieme a Margaret E. Egan hanno curato una nuova edizione dell’opera nel 1953). Di Briet, per trent’anni (1934-1954) responsabile della sala dei cataloghi e delle bibliografie della Bibliothèque nationale di Parigi e una delle prime donne nominate conservateur6, Shera segnala in particolare Qu'est-ce que la documentation? (Paris: Éditions documentaires, industrielles et techniques) un opuscolo di 48 pagine pubblicato nel 1951, quasi al termine della sua carriera professionale. Pur non condividendo pienamente l’approccio proposto da Briet, («we would not go so far as does Mme Briet by asserting that animals in zoos are documentation» p. 72), Shera (con Egan) contribuisce, tra i primi, non solo a far conoscere il lavoro della studiosa francese, al tempo non ancora tradotto in inglese7, ma ad assegnarle un ruolo di primo piano nell’ambito della documentazione. Questo autorevole sostegno non si tradusse però in una immediata fortuna della bibliotecaria francese, e non solo in area anglosassone, la cui mancata visibilità avrebbe risentito anche del calo di attenzioni ricevute dalla disciplina nei decenni a seguire. Ci limitiamo a notare a questo proposito che nella Guide de bibliographie générale (Saur, 1989) di Marcelle Beaudiquez non si trovano riferimenti a Briet.
L’interesse verso la documentazione tornerà a manifestarsi negli Stati Uniti. Lo riconosce anche Sylvie Fayet-Scribe, la studiosa d’oltralpe che più si è impegnata nella rivalutazione delle origini della documentazione in Francia: «C’est grâce aux historiens anglo-saxons que le rôle de Suzanne Briet dans le domaine des sciences de l’information a été reconnu à sa juste valeur.»8. Una menzione merita W. Boyd Rayward, docente di Library and information science presso alcune università americane, autore di rilevanti ricerche sulle origini e l’evoluzione dell'organizzazione internazionale della conoscenza e su Paul Otlet9. Gli studi sull’impegno e sulle riflessioni dell’avvocato belga in ambito documentario hanno senza dubbio favorito, qualche anno più tardi, la riscoperta dell’opera della bibliotecaria parigina (la cui famiglia era originaria delle Ardenne). Tra gli artefici di questo rinnovato interesse troviamo Michael Buckland (School of information, University of California) che legge per la prima volta Qu'est-ce que la documentation? proprio grazie alla segnalazione di Boyd Rayward10. In quel periodo Buckland si trovava impegnato nel tentativo di formulare una definizione di ‘documento’ e in particolare aveva avuto una intuizione ‘bizzarra’, dopo aver visitato in un museo di storia naturale una collezione di uccelli impagliati, e cioè di paragonare la funzione di quegli animali al ruolo dei libri sugli scaffali di una biblioteca. Gli uccelli impagliati potevano in altre parole essere considerati dei documenti e costituire una risorsa per l'apprendimento. La lettura del saggio di Briet gli fece scoprire che la sua idea era in realtà già stata formulata quarant’anni prima, anche se la studiosa aveva preso come esempio un’antilope in gabbia (anch’essa impagliata dopo la sua morte)11.
E in Italia? Il cammino della documentazione nel nostro Paese è contraddistinto da molti ostacoli. Uno dei principali è da rintracciare in una iniziale diffidenza nei confronti di Otlet (e La Fontaine). È sufficiente leggere cosa scrive a proposito del Répertoire bibliographique universel Giuseppe Fumagalli, uno degli studiosi più ascoltati tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del secolo successivo in ambito bibliografico e biblioteconomico:
A me pare che i promotori, sia detto con tutto il rispetto dovuto loro e alle lodevoli intenzioni che li hanno mossi a questa iniziativa, parlino con una grande disinvoltura (non vorrei dire leggerezza) di un’impresa per la quale i soliti superlativi ormai usati ed abusati, sembrano insufficienti12.
Anche Briet non suscita particolare interesse al di qua delle Alpi. La documentazione italiana sembra procedere in un’altra direzione. Bruno Balbis, direttore del Centro nazionale di documentazione scientifico tecnica del Consiglio nazionale delle ricerche, scrive Roberto Guarasci,
nel delineare lo scenario nazionale e internazionale ripropone una visione estremamente restrittiva della disciplina, una bibliografia specializzata, specificando che “allo stato attuale delle cose sarebbe opportuno che l’insegnamento della documentazione in Italia penetrasse per gradi, evitando che i suddetti programmi, a vasto respiro avessero effetti controproducenti (La documentazione in Italia 1952, 72)”13.
Per assistere a una ripresa di interesse verso Otlet bisogna attendere gli anni Ottanta del secolo scorso con la pubblicazione della Teoria della documentazione (1980) di Paolo Bisogno che fin dal titolo si ricollega al lavoro dello studioso belga14. Il nuovo secolo sembra contraddistinguersi per un’attenzione caratterizzata da una maggiore continuità, ci limitiamo a ricordare il nome di alcune studiose e alcuni studiosi che si sono occupati di Otlet: Alberto Petrucciani, Roberto Guarasci, Paola Castellucci, e in tempi più recenti Assunta Caruso, Antonella Folino, Elena Ranfa, Maria Taverniti. Non vogliamo dimenticare in questa sede il contributo offerto al mondo bibliotecario italiano, grazie alla presenza in alcuni incontri svolti nel nostro Paese e ad articoli pubblicati in lingua italiana, da José Lopez Yepes, recentemente scomparso, docente dell’Universidad complutense di Madrid e uno dei rifondatori della documentazione in Spagna e in America latina15.
In questa ripresa di interesse verso la documentazione e i suoi fondamenti, il contributo di Briet è rimasto però in secondo piano. A differenza di quanto era accaduto nel mondo anglosassone in cui l’interesse verso la studiosa parigina aveva ripreso vigore anche grazie alla traduzione pubblicata nel 2006, come abbiamo visto, del suo lavoro principale.
Intende colmare questa lacuna il volume di Paola Castellucci e Sara Mori, Suzanne Briet nostra contemporanea (Milano, 2022) che contiene due ampi saggi dedicati alla bibliotecaria francese e la prima traduzione italiana di Qu’est-ce que la documentation?. Il lavoro delle curatrici giunge fuori tempo massimo? Tutt’altro, si inserisce in una ripresa di interesse internazionale verso Briet come testimonia la pubblicazione di Documentarity (2019) di Ronald Day, studioso di Briet e uno dei traduttori della sua opera più nota. Il saggio, dedicato all’approfondimento di alcuni aspetti teorici della documentazione, «continues a meditation upon the meaning of the figure of the antelope that begins Suzanne Briet’s 1951 book Qu’est-ce que la documentation? »16.
Suzanne Briet nostra contemporanea è un libro che si apre a molteplici prospettive e racconta storie diverse che si intrecciano in una rete di richiami e suggestioni; le tre parti che lo costituiscono possono essere lette, come suggerisce nella nota introduttiva Paola Castellucci, «nella sequenza proposta, oppure all’inverso. O ancora si può iniziare direttamente dal testo di Briet.»,17 il libro ha un nucleo centrale rappresentato dalla prima traduzione italiana (a cura di Sara Mori e di Paola Castellucci) dell’opera di Suzanne Briet, pubblicata nel 1951, Qu’est-ce que la documentation? ed è attorno a questo cuore pulsante, che si collocano le riflessioni delle due autrici, che abbracciando il testo della bibliotecaria francese, creano con lei un circolo virtuoso tutto al femminile, nel quale le distanze spazio-temporali e socio-culturali quasi non si percepiscono, nell’incedere di una narrazione che affascina e appassiona il lettore, pur conservando un solido rigore scientifico. L’equilibrio tra racconto e scienza che, come sottolineato dalle autrici, è la cifra stilistica della stessa Briet, si ritrova in realtà in tutto il libro, che narra una storia e su questa riflette, indaga coinvolgendo il lettore e fornendogli informazioni e strumenti per comprenderla e per aprirsi a possibili scenari futuri di interpretazione.
La complicità dialogante delle studiose si respira in tutta l’opera in «un atto mai scontato di sorority»18, che non è un semplice sostenersi vicendevolmente ma un ‘essere insieme’ per un obiettivo condiviso, quello di ‘risvegliare l’interesse per una disciplina, la documentazione, la cui storia somiglia a quella di «una Cenerentola senza riscatto, di una serva (la documentazione) tra agiate sorellastre (bibliografia e biblioteconomia)»19 e sembra richiamare allegoricamente la storia della stessa Suzanne Briet.
Non a caso il saggio di Paola Castellucci si intitola Suzanne Briet, Sleeping Beauty; una bella addormentata è infatti l’opera Qu’est-ce que la documenation?, ma anche la sua autrice non sufficientemente conosciuta e valorizzata, così come la stessa documentazione, considerata troppo spesso una disciplina con una funzione meramente banausica. Il ‘servizio’ offerto dalla documentazione agli altri ambiti del sapere non va confuso con ‘servilismo’, la sua forza risiede piuttosto nella capacità di mettere a sistema, di creare reti (tra settori del sapere, istituzioni culturali e politiche, individui) animate dalla volontà di ricercare, di crescere, di superare confini. In questo senso la documentazione, sostiene Castellucci, è
una disciplina scarsamente conosciuta e che si presenta come ‘di servizio’ ma ha nel suo patrimonio genetico la consapevolezza che anche ‘i piccoli’, se collegati in una rete internazionale, possono determinare il cambiamento20;
infatti «se il piccolo da solo non può nulla, inserito in un sistema organizzato e cooperativo può spostare l’asse del globo»21.
Anche Qu’est-ce que la documentation? è un ‘piccolo’ manuale, umile, che ha però la consapevolezza di portare «un messaggio solenne», e di mettere «in relazione scienza e politica, arte e società. L’etica della scienza, e l’etica del servizio, son per tutti»22
Paola Castellucci lo presenta come:
un “falso” manuale, ossia un libro a pieno titolo: sostenuto da obiettivi didattici e scientifici, ma percorso da un indomabile istinto narrativo. Un racconto che, assunti i panni di servizio, riesce a muoversi con agilità, senza farsi notare, in autonomia e libertà. Nessuno bada a un manuale dedicato a una disciplina minore, scritto da una donna che svolge un lavoro poco riconosciuto sia socialmente che scientificamente. Ma proprio perché piccolo, invisibile, il manuale diventa veicolo per un’azione ardita, o addirittura eretica. Può “contrabbandare” altro, può far passare oltre la frontiera un messaggio di modernità e cambiamento. D’altra parte, perfino il grande classico a cui Briet indirettamente allude aveva scelto la stessa strategia: evitare le grandi dimensioni del trattato, mantenersi “piccolo”, spacciarsi quasi per un’autobiografia, per proporre con autorevolezza, e insieme con tono lieve, il Discorso sul metodo23.
Paola Castellucci inquadra l’opera di Suzanne Briet come uno di quei ‘libri domanda’ che iniziano a essere pubblicati tra la fine degli anni Quaranta e i primi anni Cinquanta del secolo scorso, per rispondere alla necessità di una rifondazione dei saperi dopo gli sconvolgimenti innescati dal secondo conflitto mondiale. Domande che nascono in un contesto culturale e sociale profondamente mutato, dove nuovi pubblici, nuovi utenti, se pensiamo alla biblioteca e ai centri di documentazione, si affacciano alla ricerca di risposte a bisogni inediti o rinnovati:
Il punto interrogativo indica la volontà di sapere e, più in generale, pone una questione intorno al desiderio di chiedere. Il libro di Briet è una fonte diretta in tal senso: sentiamo gli anni Cinquanta che chiedono, sentiamo le voci di nuovi gruppi identitari che rivendicano diritti. Il libro-domanda assume valore metadiscorsivo perché offre un palco a chi prima non lo avrebbe avuto24.
In questo contesto il ruolo e i compiti del documentalista si ridefiniscono in favore della nuova utenza e il servizio si riorienta (la bibliotecaria francese parla di orientation) per dare risposte e guidare l’utente verso fonti attendibili: «Briet individua proprio nella relazione tra domande e risposte il cuore della documentazione»25. Del resto, il periodo storico vissuto e i ruoli professionali ricoperti le hanno concesso di essere una «testimone diretta del cambiamento nel rapporto tra biblioteca e utenti, tra chi ha diritto/dovere di rispondere e chi può/desidera domandare».26]
La riflessione della studiosa francese si allarga oltre l’analisi della disciplina o, meglio, si muove dalla documentazione per aprirsi a una dimensione politica (che è propria anche della stessa documentazione) e che coinvolge più aspetti della società:
In Che cos’è la documentazione? vengono così attivate due misure dello sguardo: da una parte la descrizione ravvicinata dell’ambito disciplinare; dall’altra, una visione dall’alto che offre una mappatura del contemporaneo e delinea un pensiero progressista rispetto alla politica della ricerca27.
Lo studio, la ricerca, la professionalità di Suzanne Briet (e di coloro che continuano a indagare la documentazione), vogliono essere ‘il Principe’ che con il suo bacio risveglia ‘la Bella addormentata’, affinché non sia obliata;
[…] i documenti – sostantivo maschile plurale – continueranno a girare per il mondo, e sempre più lo faranno con l’era di Internet; mentre la documentazione – sostantivo femminile, singolare – rimane arenata, tace in un angolo, immobile, dimenticata28.
L’opera di Suzanne Briet Qu’est-ce que la documenation?, la cui traduzione occupa la seconda parte del libro, è descritta da Paola Castellucci anche come
un agile manuale, adatto a scopi didattici, funzionale alla descrizione di compiti e prospettive dell’area disciplinare. Un testo di servizio, e in quanto tale omologo allo spirito di servizio che caratterizza l’area disciplinare29.
Nel testo, che si articola in quarantotto pagine, per rispondere alla domanda su cosa sia la documentazione, Briet, da attenta osservatrice del mondo e dei cambiamenti in atto nella sua epoca, individua luoghi e spazi della cultura, della politica, della scienza, dell’arte, dell’istruzione ma anche della vita quotidiana (il lavoro per esempio) all’interno dei quali la documentazione deve entrare
come metodo di indagine, per studiosi e scienziati (Una tecnica culturale); come “valore aggiunto” nelle attività professionali (Una specifica professione); come diritto all’accesso per tutti (Una necessità del nostro tempo). Briet fa continuamente dialogare sfere apparentemente distanti30.
Sono queste le tre prospettive attraverso le quali la bibliotecaria francese cerca di analizzare – e valorizzare – la disciplina; prospettive che corrispondono alle tre sezioni (analogamente al libro) nelle quali è suddiviso il testo e ciascuna delle quali è dedicata a colleghi e maestri della studiosa francese.
La prima parte dell’opera, intitolata Una tecnica del lavoro intellettuale, è dedicata a Julien Cain, direttore della Bibliothèque nationale dal 1930 al 1964 e uno dei maggiori rappresentanti della Francia presso l’UNESCO; in questa sezione Briet inquadra la documentazione come scienza e come tecnica, muovendo dalla definizione di documento.
Briet si interroga su cosa sia un documento:
Una stella è un documento? Un ciottolo mosso da un torrente è un documento? Un animale vivo è un documento? No. Ma le fotografie, i cataloghi astronomici, i minerali in un museo, gli animali schedati ed esposti in uno zoo, sono documenti31.
Solo dopo, attraverso il contributo delle riflessioni di filosofi e linguisti, la studiosa francese elabora e analizza il concetto di documentazione e
vede la documentazione come una tecnica culturale che va incontro sia ai bisogni “generici” della società contemporanea che a quelli specialisti delle singole discipline scientifiche per garantire un rapido e efficace scambio di informazioni e conoscenza32.
La seconda parte del manuale di Briet è dedicata a Louis Ragey, direttore del Conservatorio nazionale di arti e mestieri dal quale a tutt’oggi dipende l’Institut national des techniques de la documentation (che la stessa Briet contribuì a creare); intitolata Una specifica professione, in questa sezione l’autrice definisce la professione e le prerogative del documentalista che chiama, proprio in apertura del capitolo, «homo documentator»33, sottolineando, già nella prima parte, il ruolo chiave da lui giocato nell’accesso alle informazioni e nel creare rete tra i diversi settori del sapere, in quanto
in grado di costruire, intorno ai documenti che gli vengono affidati, una rete capace di aggiungere valore ai documenti stessi. Briet parla del documentalista come “l’uomo di squadra”, il collante che rende unito un gruppo di ricerca34;
del resto, sempre Briet definisce la documentazione come «un potente strumento per la collettivizzazione del sapere e delle idee35.
Esplora inoltre le differenze tra due discipline come la documentazione da una parte e la biblioteconomia dall’altra, analizzando le precipue caratteristiche e le diverse competenze formative e professionali richieste per l’una e per l’altra:
Il documentalista non è, dunque, nell’opinione di Briet, un bibliotecario specializzato. Come molti studiosi di bibliografia e biblioteconomia hanno affermato e affermano tutt’ora, bensì il contrario: il bibliotecario è un documentalista che si occupa principalmente di particolari formati di documento. Ribaltando una visione tradizionale, Briet innesca un meccanismo potente di ripensamento delle professioni legate alla diffusione della conoscenza e lancia sfide che si pongono ancora adesso36.
La terza e ultima sezione dal titolo Una necessità del nostro tempo, è dedicata a Charles Le Maistre, primo segretario generale della International electrotechnical commission e, sostenitore della nascita delle norme di standardizzazione internazionale, tra i fondatori dell’ISO. Non a caso Briet in questo capitolo traccia una sorta di profilo dei centri di documentazione allora esistenti e degli organismi internazionali che si occupano di documentazione. Forte e più volte rimarcata è la convinzione dell’autrice che solo grazie alla cooperazione e alla sinergia tra diversi enti, istituzioni della cultura e non solo, anche sovranazionali, sia possibile dare risposta al crescente bisogno di informazione, di accesso alla conoscenza, sempre più trasversale e sempre più aperto a una dimensione globale, in un momento storico nel quale il cambiamento era (ed è) la cifra distintiva. «L’idea di coesione umana cresce su tutti i fronti – culturale, politico, sociale e religioso»37. La documentazione possiede in questo contesto una posizione privilegiata di mediazione e aggregazione che deve consapevolmente portare avanti ritagliandosi lo spazio che le spetta; conclude Briet:
La documentazione – come tecnica, come professione, come istituzione – non basta per soddisfare i bisogni di una società in evoluzione. Ma è comunque uno strumento essenziale con cui bisogna ormai fare i conti38.
Nell’ultimo saggio dal titolo Madame Documentation, l’autrice Sara Mori, dopo aver evidenziato le difficoltà connesse alla traduzione di Qu’est-ce que la documenation? («il tipo di scrittura, sintetica e a volte quasi aspra, ha reso difficile una trasposizione fedele in italiano»39 così come la presenza di numerosi termini riferiti a tecnologie oggi non più utilizzate), ripercorre e analizza, come abbiamo già visto, il testo di Briet per poi descriverne la diffusione (con la prima traduzione in lingua spagnola del 1960).
Mori sottolinea come il pensiero della studiosa francese ruoti intorno al concetto di documento, dal quale si muovono le domande e le riflessioni alle quali, con uno sguardo alto e altro, cerca di dare risposta.
Una stella è un documento? si chiede Briet. Difficile sfuggire al misto di poesia e lucido ragionamento di questa affermazione. Parafrasando il principio di Deridda secondo cui “nulla esiste al di fuori dal testo” per Briet “nulla esiste al di fuori del documento”.40
Chiude questa parte una puntuale biografia41 di Suzanne Briet, dalla quale emerge la storia straordinaria di una donna colta, indipendente, che nel 1924 diviene funzionaria e inizia una carriera tutta in salita alla Biblioteca nazionale di Francia (Parigi), dove si troverà a dirigere uomini («[…] si percepisce il profondo orgoglio nell’essersi affermata nel mondo del lavoro solo con la propria intelligenza e le proprie capacità – come e meglio di un uomo – »)42, che ha contribuito a fondare istituti prestigiosi come l’Institut national de techniques de la documentation e l’Union française des organismes de documentation, che si impegna nella politica femminista43, che va prematuramente in pensione (1954) per poi ritirarsi nel suo luogo di origine le Ardenne (lontana da Parigi), dove continuerà a scrivere opere di generi minori (letteratura di viaggio, biografie, diari, poesie) fino al 1989, anno della sua morte.
All’interno di questa esistenza piena, intensa caratterizzata dall’impegno (culturale, politico)
Suzanne Briet scrive Qu’est-ce que la documenation? nel 1951: ha 57 anni, 27 dei quali passati alla Bibliothèque Nationale, tre anni dopo andrà in pensione e non si occuperà mai più di documentazione nella sua lunga vita (morirà a 95 anni). Più che un manifesto qui parliamo di un testamento spirituale nel nome della documentazione, disciplina che ha contribuito a fondare non solo in Francia ma a livello internazionale44.
Tante le riflessioni che suscita la lettura di Suzanne Briet nostra contemporanea, che proprio per la sua poliedricità è difficile definire in maniera univoca. Quello di Paola Castellucci e Sara Mori è un libro ‘piacevolmente complicato’, perché accanto a un resoconto puntuale sulla vita, la storia di Suzanne Briet, del suo Qu’est-ce que la documenation? e del contesto storico culturale nel quale la bibliotecaria francese si muove, apre a una serie sconfinata di suggestioni, di temi, varcando confini in ‘luoghi’ tutti da esplorare. È altresì un libro ‘attuale’, come lo sono le intuizioni e lo sguardo di Suzanne Briet (contemporanea) sulla innovazione tecnologica e sulla società in senso più ampio; è ‘autentico’, perché chi scrive compartecipa alla storia, alle storie, che possono essere quelle di tutti e di tutte (nostra). Suzanne Briet nostra contemporanea è un libro al ‘servizio’ dei lettori, che nutre con acuta eleganza come una «lattaia sontuosamente vestita», e della documentazione, sulla quale contribuisce a mantenere viva l’attenzione riscoprendone valori e potenzialità.
Articolo proposto il 1° luglio 2023 e accettato il 13 luglio 2023.
ANDREA CAPACCIONI, Università degli studi di Perugia, Dipartimento di Lettere, lingue, letterature e civiltà antiche e moderne, Perugia, e-mail: andrea.capaccioni@unipg.it.
ELENA RANFA, Università degli studi di Verona, Dipartimento di Lingue e letterature straniere, Verona, e-mail: elena.ranfa@univr.it.
Il contributo è frutto del lavoro congiunto dei due autori. n particolare, Andrea Capaccioni ha curato il paragrafo Riscoprire la documentazione ed Elena Ranfa il paragrafo Suzanne Briet nostra contemporanea.
Ultima consultazione siti web: 28 giugno 2023.
AIB studi, vol. 63 n. 2 (maggio/agosto 2023). DOI 10.2426/aibstudi-13899. ISSN: 2280-9112, E-ISSN: 2239-6152 - Copyright (c) 2023 Andrea Capaccioni, Elena Ranfa
Chi conosce la documentazione? Riscoprire la disciplina attraverso l’opera di Suzanne Briet
Negli ultimi anni si è tornato a riflettere sul ruolo e le funzioni della documentazione, anche attraverso un confronto con la biblioteconomia e la bibliografia. Sono stati rivalutati alcuni studiosi, come Paul Otlet, che tra Ottocento e Novecento hanno favorito lo sviluppo della disciplina. Il presente contributo intende fornire alcune riflessioni sulla riscoperta dell'opera della bibliotecaria francese Suzanne Briet (1894-1989) prendendo in esame il volume Suzanne Briet nostra contemporanea: con la prima traduzione italiana di Qu’est-ce que la documentation? (1951) (Mimesis, 2022) di Paola Castellucci e Sara Mori. Il libro si articola in tre sezioni: la prima è curata dalla Castellucci ed è intitolata Suzanne Briet, Sleeping Beauty; la seconda è costituita dalla traduzione italiana (ad opera delle due studiose) di quello che può essere considerato il ‘testamento spirituale’ della Briet Qu’est-ce que la documentation?; la terza e ultima sezione comprende il saggio Madame Documentation di Sara Mori. Attraverso la ricostruzione della vita di Suzanne Briet e un’analisi attenta della sua opera e del contesto storico-culturale all’interno del quale il suo pensiero si sviluppa, le autrici invitano a riflettere sul ruolo della documentazione e sul contributo che questa, attraverso le intuizioni della bibliotecaria francese, può offrire alla contemporaneità.
Who knows documentation? Rediscovering the discipline through the work of Suzanne Briet
In recent years there has been a renewed reflection on the role and functions of documentation, also through a comparison with library science and bibliography. Some scholars, such as Paul Otlet, who promoted the development of the discipline between the Nineteenth and Twentieth centuries, have been reconsidered. The aim of the paper is to offer some reflections on the rediscovery of the work of the French librarian Suzanne Briet (1894-1989), by examining the volume Suzanne Briet nostra contemporanea. Con la prima traduzione italiana di Qu’est-ce que la documentation? (1951) (Mimesis, 2022), edited by Paola Castellucci and Sara Mori. The book is divided into three sections: the first, by Castellucci, is entitled Suzanne Briet, Sleeping Beauty; the second consists of the Italian translation of what can be considered the French librarian’s ‘spiritual legacy’ Qu’est-ce que la documentation?; the third and final section contains the chapter Madame Documentation by Sara Mori. Through a reconstruction of the life of Suzanne Briet and an analysis of her work and the historical and cultural context in which her thought developed, the two authors invite us to reflect on the role of documentation and the contribution that, through the insights of the French librarian, it can offer to contemporary society.