Manuela Grillo
Se un osservatore esterno al nostro tempo e alla nostra cultura, ormai considerabile con una buona approssimazione globalizzata, da un lato osservasse i nostri comportamenti quotidiani e dall’altro si accostasse al fenomeno open access, certamente resterebbe stupito nel vedere come siamo tutti – in modo trasversale al livello di istruzione e alle professioni – straordinariamente collaborativi, quasi entusiasti, nel cedere i nostri dati (caricando contenuti sui social network, usando la carta di credito, facendo ricerche online)1 e come, allo stesso tempo, chi fa ricerca dimostri spesso una certa ritrosia a pubblicare in open access i prodotti delle proprie ricerche.
Se poi, incuriosito dall’incoerenza logica (almeno apparente), il nostro osservatore considerasse le pratiche di molti di quegli autori ritrosi a pubblicare nel repository dell’istituzione di ricerca cui appartengono, scoprirebbe addirittura che la ritrosia viene meno in piattaforme social accademiche (come ResearchGate.net o Academia.edu): su queste piattaforme, private e commerciali, gli autori caricano i propri lavori, spesso senza tenere nella dovuta considerazione che upload e download del materiale possono essere illegali per questioni di tutela del diritto d’autore e di copyright.
Abbandonando l’immagine del nostro ipotetico osservatore, dobbiamo precisare che la letteratura scientifica dimostra che i fenomeni appena descritti sono tutt’altro che frutto di fantasia. Certamente la visibilità nella comunità scientifica è ormai un bisogno prioritario e sulla visibilità social si conta per costruire una buona reputazione; tuttavia, ci sono strade meno legalmente pericolose da percorrere per ottenerla. Probabilmente certe pratiche trovano spiegazione nella mancata conoscenza delle regole che governano il diritto d’autore e nella mancata piena comprensione del nuovo paradigma della ricerca, l’open science. Nato come movimento frutto di istanze della comunità scientifica internazionale, grazie alle politiche dell’UE, l’open science si è ormai affermato come un nuovo modo di fare ricerca anche grazie agli interventi normativi EU2. La filosofia open è declinata da più di un ventennio sotto l’aspetto della comunicazione dei prodotti della ricerca (open access), ma si tratta di una questione certamente complessa la cui piena realizzazione non è un fenomeno immediato né lineare: la scienza aperta, in tutte le sue declinazioni, implica un cambiamento di mentalità, di cultura e di pratiche non banale e non facile da realizzare nel breve periodo. Nel suo tradizionale ruolo di mediazione e di fattivo sostegno alla ricerca, la professione bibliotecaria è chiamata ad assicurare ai propri utenti una solida conoscenza del diritto d’autore e della sua gestione in open access, una materia che rapidamente evolve, anche in relazione alla cosiddetta rivoluzione digitale, e che richiede quindi un costante aggiornamento.
Le opere dell’ingegno – assieme ai beni tutelati dal diritto industriale (brevetti, marchi ecc.)3 – sono oggetto della cosiddetta ‘proprietà intellettuale’, le cui regole tutelano i diritti sui beni immateriali creati dall’ingegno della persona umana, come frutto della sua attività intellettuale.
La loro disciplina a livello nazionale è collocata nella l. 22/04/1941, n. 633 Protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio4, cui il CC rinvia nelle norme generali sulla protezione delle opere dell’ingegno (artt. 2575-2583); la legge fu emanata quando la rivoluzione informatica era ben lungi dall’esplodere, per cui il legislatore italiano ha via via effettuato delle aggiunte e delle modificazioni. La legge ha subito quindi così tanti interventi riformatori “da somigliare alla tela di Penelope o al vestito di Arlecchino” 5. Le più recenti modifiche al diritto d’autore sono state apportate da due decreti legislativi, con cui si è data attuazione a direttive europee: il d.lgs. 08/11/2021, n. 177 (entrato in vigore il 12 dicembre 2021, in attuazione della dir. UE 2019/790 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, sul diritto d'autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale)6 e il d.lgs. 08/11/2021, n. 181 (entrato in vigore il 14 dicembre 2021, in attuazione della dir. UE 2019/789 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, che stabilisce norme relative all'esercizio del diritto d'autore e dei diritti connessi applicabili a talune trasmissioni online degli organismi di diffusione radiotelevisiva e ritrasmissioni di programmi televisivi e radiofonici)7.
Un certo contenuto è protetto dal diritto d’autore se ha i requisiti richiesti per essere considerato opera dell’ingegno. In primo luogo, il risultato dell’attività intellettuale deve avere una ‘forma’ (un testo, un disegno, una statua, una app, un sito web ecc.), poiché l’idea creativa, finché rimane pensiero astratto, non rientra ancora nella protezione del diritto d’autore. Perché sia tutelata quindi, l’opera necessita di una manifestazione esterna, che può avvenire in qualsiasi modo e forma e, in linea di principio, anche senza una sua fissazione su un supporto materiale8.
Il requisito della forma dell’opera non deve essere confuso con la registrazione o con il deposito dell’opera, poiché il nostro ordinamento nazionale ha aderito al principio dell’assenza di forme costitutive9: per la costituzione del diritto d’autore non è necessario adempiere ad alcuna formalità (registrazione, deposito, etc.) e la protezione insorge nel momento stesso in cui l’opera assume una forma idonea ad essere percepita e fruita espressamente.
In secondo luogo, sono necessari i requisiti della creatività e dell’originalità, che attengono alla forma esteriore dell’opera e non al suo contenuto (non soggetto a diritto d’autore)10: la creatività è un prerequisito per la protezione previsto sia dalle norme generali (CC art. 2575), sia dalla l. 22/04/1941, n. 633 (art. 1 comma 1); l’originalità non è espressamente prevista nelle norme, ma è tuttavia opinione diffusa che sia una necessità implicita, con la funzione di tutelare solo la prima opera, escludendo tutte quelle realizzate successivamente sfruttando la prima11.
Parallelamente alla necessità di individuare ‘cosa’ è protetto dal diritto d’autore, ai nostri fini ha un’estrema rilevanza pratica l’esatta individuazione di ‘chi’ sia il titolare di questo diritto: il diritto d’autore è in via generale riconosciuto alle persone fisiche (l. 22/04/1941, n. 633, art. 6), proprio per valorizzare la correlazione tra il bene giuridico protetto – l’opera, come frutto dell’attività intellettuale creativa – e la sua genesi da parte della persona. La persona che crea l’opera è quindi il ‘primo’ titolare del diritto d’autore, che lo acquisisce ‘a titolo originario’ perché dipende solo dalla sua creazione; l’autore può cedere a terzi i diritti economici e il soggetto che acquista il diritto, di tipo patrimoniale, dell’autore ne diventa titolare ‘a titolo derivativo’12.
La l. 22/04/1941, n. 633 regola in modo dettagliato alcune forme di contratto che le parti possono stipulare, per la pubblicazione di opere a stampa (art. 118-135) o per l’esecuzione e rappresentazione di un’opera adatta a pubblico spettacolo (art. 136-141), dando luogo a contratti ‘tipici’ ovvero specificatamente normati; ai fini del nostro argomento, l’interesse si limita ai contratti di edizione.
Con il contratto di edizione l’autore concede ad un editore il diritto di pubblicare l’opera: le norme vigenti limitano espressamente l’oggetto del contratto di edizione ai diritti «di pubblicare per le stampe, per conto e a spese dell’editore stesso» (l. 22/04/1941, n. 633, art. 118).
I contratti di edizione possono essere accordi ‘per edizione’ e ‘a termine’: si ha il contratto ‘per edizione’ quando esso conferisce all’editore il diritto di eseguire una o più edizioni entro vent’anni dalla consegna del manoscritto completo (nel contratto devono essere indicati il numero delle edizioni e il numero degli esemplari relativi a ogni edizione o, in assenza di queste indicazioni, il contratto ha per oggetto una sola edizione per massimo duemila esemplari); si ha contratto ‘a termine’ quando esso conferisce all’editore il diritto di eseguire il numero massimo di edizioni che stima necessario durante il termine pattuito nel contratto, che non può eccedere vent’anni, tranne che per alcune eccezioni.
La disciplina prevede una serie di regole, generalmente a tutela dell’autore, considerata come parte contrattuale debole; tuttavia ci sono anche norme a protezione degli interessi economici dell’editore, tra cui l’esclusività della cessione dei diritti a suo favore (l. 22/04/1941, n. 633, art. 119 comma 2) e la garanzia di pacifico godimento dei diritti ceduti (l. 22/04/1941, n. 633, art. 125 comma 2)13.
Come conseguenza pratica delle norme sul contratto di edizione, è necessaria un’attenta considerazione dei contenuti dei contratti medesimi, sottoscritti dagli autori. Attenzione anche alla semplice liberatoria per la pubblicazione, soprattutto nel caso in cui, come vedremo meglio più avanti, l’autore ha interesse a pubblicare il proprio contributo in open access: in questo caso è importante che i documenti firmati non contengano disposizioni che risultino in contrasto con la libera disponibilità online di contenuti digitali prodotti dalla ricerca scientifica. Per diffondere l’opera l’autore deve infatti aver trattenuto per sé nel contratto di edizione alcuni diritti che normalmente vengono ceduti all’editore, poiché spesso agli autori manca totalmente la consapevolezza dei propri diritti: il fatto che esista una disciplina positiva dei due tipi di contratto appena citati non impedisce la stipulazione di accordi diversi o ‘atipici’14, poiché in tema di trasferimento dei diritti economici d’autore vige infatti il principio di autonomia contrattuale (l. 22/04/1941, n. 633, art. 107, assieme all’art. 1322 del CC, che riconosce che le parti possano determinare liberamente il contenuto del contratto, aspetto fondamentale che spesso gli autori non conoscono o sottovalutano).
Il nodo centrale per chi voglia fare open access attraverso l’auto-archiviazione è, quindi, che gli autori trattengano i diritti che servono per il riutilizzo della propria opera a fini didattici o di ricerca, per avere la possibilità di diffondere in open access il pre-print e/o il post-print, eventualmente dopo un periodo di ‘embargo’ (ovvero il periodo di tempo durante il quale il contributo auto-archiviato è accessibile pubblicamente solo per la parte relativa ai metadati)15.
A questo proposito, si rilevano margini di incertezza nella determinazione di quale sia la versione testuale (pre-print, post-print o versione editoriale, publisher’s layout) che gli autori possono destinare all’auto-archiviazione: la terminologia è spesso usata in modo non uniforme dagli editori16. Le policy definite dagli editori a vantaggio o meno dell’open access variano proprio in ragione di quale sia la versione del prodotto della ricerca17.
Gli autori nel depositare non possono violare il contratto che hanno firmato con l’editore: nella fase di deposito nei repositories, il supporto dei bibliotecari può essere fondamentale per guidarli nel corretto inserimento18.
Il diritto d’autore si acquisisce automaticamente, alla fine dell’atto creativo, per cui per usare un’opera è necessario chiedere un’autorizzazione all’autore (o più precisamente al titolare dei diritti): dal momento della creazione dell’opera chiunque altro rispetto al titolare dei diritti può usare l’opera facendo leva su un’eccezione, ovvero sulla richiesta di utilizzo.
Ai fini dell’uso dell’opera, è necessaria una distinzione tra i diritti d’autore di natura patrimoniale e i diritti morali. I diritti patrimoniali sono quei diritti che comportano dei diretti vantaggi economici per l’autore – o per chi ne è titolare nel caso in cui l’autore li abbia ceduti ad altri – e sono validi per tutta la vita dell’autore, nonché per 70 anni dopo la sua morte; consistono nel diritto di pubblicazione, di riproduzione, di trascrizione, di esecuzione, rappresentazione o recitazione in pubblico, di comunicazione al pubblico, diritto di elaborazione e di modificazione dell’opera, diritto di noleggio e di prestito. I diritti morali dell’autore sono invece i diritti esclusivi che la legge riconosce all’autore nel momento stesso in cui l’opera viene creata: essi consistono nel diritto alla paternità dell’opera (l’autore ha il diritto di essere riconosciuto e indicato come autore della propria opera, nonché di rivendicare la paternità se usurpata), nel diritto di inedito (l’autore è l’unico soggetto che può decidere se l’opera è completa e, di conseguenza, se e quando pubblicarla), nel diritto di ‘pentimento’ (con questo diritto l’autore può decidere, se vi sono gravi motivi morali, di ritirare l’opera dal commercio), nel diritto all’integrità dell’opera (l’autore può opporsi a modifiche, deformazioni dell’opera che possano recare un pregiudizio al suo onore e alla sua reputazione); questi diritti non sono alienabili, non hanno scadenza e sono validi per sempre.
Si parla di ‘pubblico dominio’19 quando un’opera è liberamente utilizzabile da chiunque, senza alcuna necessità di autorizzazione, salvo il rispetto dei diritti morali. Il libero utilizzo delle opere soggette a protezione autoriale è normato con le eccezioni stabilite per legge (l. 22/04/1941, n. 633, art. 65-71 quinquies), finché le opere non escono dalla protezione autoriale a seguito dello scadere del termine di protezione o quando è stabilito dal titolare dei diritti con un atto contrattuale (per esempio con licenze di Creative Commons). Si trovano infine in pubblico dominio le opere dell’ingegno che non sono mai entrate a far parte dell’ambito della protezione autoriale20.
Il primo di questi tre casi è probabilmente il più problematico, in primo luogo poiché non è affatto facile stabilire quando siano effettivamente scaduti tutti i diritti su un’opera, considerando che molte opere sono il frutto dell’attività di diversi autori, magari provenienti da paesi differenti; in alcuni casi poi insistono non solo i diritti d’autore in senso stretto, ma anche i diritti connessi o il diritto sui generis sulle banche dati21. Per ciò che riguarda le eccezioni stabilite per legge, l’ordinamento giuridico ha scelto di mettere il diritto d’autore – diritto che tutela un interesse privato-commerciale (di autori, editori, produttori) – in subordine rispetto ad altri interessi ritenuti più importanti, tra cui la libertà di insegnare e fare ricerca scientifica22, contemplata all’art. 70 della l. 22/04/1941, n. 633:
A livello internazionale, è in queste aree franche – in cui gli utilizzatori possono muoversi più liberamente, utilizzando le opere senza chiederne permesso al titolare dei diritti – che si parla dell’istituto giuridico statunitense del fair use, locuzione che normalmente non viene tradotta e che corrisponde letteralmente a ‘uso corretto’, che configura l’uso corretto di un’opera come una non violazione del copyright. Essendo un ordinamento giuridico di common law è la ricostruzione delle decisioni dei giudici a definire i confini specifici dei singoli casi d’uso. In altri ordinamenti di common law si parla di fair dealing, versione più ristretta del fair use statunitense: si possa far leva sul principio del fair dealing è necessario ricadere in ipotesi specifiche previste dalla legge, quasi come nel modello italiano, che è però ancor più restrittivo23.
Dal punto di vista giuridico, perché un contenuto possa essere definito ‘open access’, lo stesso deve avere dei requisiti minimi stabiliti dalla Dichiarazione di Berlino:
Vale la pena di rileggere questa ormai celebre definizione – diventata una pietra miliare – anche vent’anni dopo la sua enunciazione, per focalizzare come a tutt’oggi siano correntemente diffuse nell’uso varie accezioni di open access; l’etichetta ‘open access’ viene usata in molti casi in modo che potremmo definire fantasioso, o comunque in accezioni non conformi alla dichiarazione di Berlino, poiché non è sufficiente che un prodotto sia gratuito per affermare che esso sia open access25. Paradossalmente, proprio consultando risorse bibliografiche che trattano di questo tema in ambito giuridico, non è infrequente imbattersi in pubblicazioni promosse dagli editori come pubblicazioni ad accesso aperto, quando in realtà si tratta di prodotti che è possibile ottenere gratuitamente solo dopo l’autenticazione e la cessione dei propri dati.
Come già detto, perché un autore – o un titolare dei diritti – possa rendere usabile un’opera deve trasferirne i diritti patrimoniali: oltre che attraverso la stipula dei contratti tipici disciplinati dalla legge, questo può avvenire con molti altri tipi negoziali, cioè molti altri accordi, tra cui varie forme di licenza. Le licenze possono essere concessioni temporanee di limitati diritti, a fronte di un compenso (licenze ‘proprietarie’ che applicano il paradigma ‘all rights reserved’) oppure ‘some rights reserved’; tra queste ultime si sono imposte come standard di fatto26 per l’open access le licenze Creative Commons27.
Sebbene sia dalla fine degli anni ‘80 che circolano particolari licenze, dette appunto ‘licenze open’, nate in ambito informatico, in seno alla comunità del software libero, ed esportate poi negli altri campi della creatività umana28, il progetto Creative Commons nasce nel 2001 dall’iniziativa di un eterogeneo gruppo di illustri studiosi, accomunati da una profonda conoscenza delle tematiche connesse al diritto d’autore e alla tutela della proprietà intellettuale, che creano una organizzazione senza scopo di lucro29, con l’obiettivo di studiare e diffondere strumenti giuridici finalizzati ad una differente gestione e distribuzione dei diritti relativi alle opere dell’ingegno: lo scopo è rilanciare la creatività e la produzione culturale attraverso un sistema di licenze che favoriscano diffusione e condivisione delle opere, per recuperare quella preziosa fase dell’iter creativo legata alla possibilità per gli autori di rielaborare opere altrui30.
Le licenze messe a disposizione da Creative Commons sono:
Per le condizioni che dettano, solo CC0, CC BY e CC BY-SA sono pienamente compatibili con la definizione di open access, la CC BY-ND lo è solo in alcuni casi, mentre sono escluse dalle licenze aperte tutte quelle che contengono la clausola ‘non commercial’.
Le licenze Creative Commons sono molto semplici da applicare per chi crea e pubblica contenuti: per crearle si utilizza un tool, con interfaccia per semplificarne l’uso, che, sulla base delle risposte date alle domande poste (es. ‘ Vuoi che la tua risorsa sia modificabile?’, ‘La risorsa può essere usata per scopi commerciali?’) produce la licenza che viene associata alla risorsa. La facilità di utilizzo è offerta da uno dei tre diversi formati in cui le licenze Creative Commons si presentano, ovvero il commons deed (versione sintetica in linguaggio comune, facile da capire anche per chi non ha dimestichezza con temi giuridici), affiancato dal legal code (versione completa in linguaggio giuridico, che costituisce il testo di riferimento in caso di controversie legali) e dal digital code (versione elettronica, con metadati che rendono la licenza facilmente rintracciabile dai motori di ricerca, permettendo loro di identificare l’opera in base alle condizioni di utilizzo definite nella licenza)35.
Nonostante vengano rilevate delle criticità36, l’importanza delle licenze appena descritte è fondamentale: il diffondere e il rendere disponibili modelli di licenza semplici, intuitivi, facilmente personalizzabili, fa sì che gli autori, abitualmente estranei alle tematiche connesse al diritto d’autore, possano avere gli strumenti per disciplinare giuridicamente le modalità di accesso alle proprie opere, consentendo di fatto una maggiore diffusione dell’open access.
La rivoluzione digitale ha portato alla nascita di un nuovo modello economico in cui i dati e la conoscenza37 possono essere considerati come la più promettente risorsa dell’era postindustriale. Nel concetto di conoscenza insiste un conflitto di fondo: da un lato, l’interesse privato a capitalizzarne il valore, che rende strategica la proprietà intellettuale come forma di controllo del sapere, dall’altro, l’interesse generale a riservare al pubblico dominio, alla libera fruizione collettiva, una parte sostanziale del capitale intellettuale e del patrimonio culturale. L’economia di rete fondata sulla condivisione di conoscenza soffre oggi un gap di contenuti di pubblico dominio: appena il 10% del patrimonio culturale europeo è digitalizzato e meno della metà è accessibile in rete e disponibile per il riutilizzo38. Il diritto in primis stenta a riconoscere piena tutela alle istanze di accesso aperto ai beni comuni: varie aree del diritto contribuiscono a restringere il perimetro del pubblico dominio39.
Senza addentraci in queste complesse questioni ove si rivelano tutte le contraddizioni che caratterizzano alcune politiche di promozione dell’apertura della scienza40, ci limitiamo a considerare la nuova direttiva europea dir. UE 2019/790 sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale che, dopo un lento processo di recepimento nazionale41, ha introdotto importanti novità, anche in maniera di ricerca.
La direttiva stabilisce norme per
armonizzare ulteriormente il quadro giuridico dell'Unione applicabile al diritto d'autore e ai diritti connessi nell'ambito del mercato interno, tenendo conto in particolare degli utilizzi digitali e transfrontalieri dei contenuti protetti. Stabilisce inoltre norme riguardanti le eccezioni e le limitazioni al diritto d'autore e ai diritti connessi, l'agevolazione nell'ottenimento delle licenze, nonché norme miranti a garantire il buon funzionamento del mercato per lo sfruttamento delle opere e altri materiali (art. 1).
Nel recepimento nel nostro ordinamento giuridico è stata ampliata la casistica delle eccezioni, i cui casi principali e più frequenti erano, come anticipato, già presenti nella l. 22/04/1941, n. 633: rassegna stampa e riutilizzo di notizie (art. 65), fotocopie, xerocopia o sistemi analoghi (art. 68), prestito da parte di biblioteche (art. 69), opere orfane (art. 69 bis, 69-ter, 69-quater), citazione/riassunto a scopo di critica e commento (art.70, comma 1), diffusione a scopo didattico di immagini o musiche degradate (art. 70, comma 1-bis), utilizzi da parte di portatori di particolari handicap (art. 71-bis).
Grazie all’attuazione della direttiva nel 2021 sono stati aggiunti altri casi di eccezione: citazione, critica, recensione sulle piattaforme online di condivisione contenuti (art. 102-nonies, comma 2, punto a), utilizzo a scopo di caricatura, parodia e pastiche sulle piattaforme online di condivisione contenuti (art. 102-nonies, comma 2, punto b), opere fuori commercio (art. 102-undecies e seguenti), ma soprattutto – perché rilevante in materia di ricerca – il text and data mining per scopi di ricerca, di cui all’art. 70-ter
Interessante sottolineare il comma 1, con il ‘lecito accesso’, ovvero accesso regolarmente effettuato (aspetto che nella comunità di ricerca, nella pratica, viene talvolta sottovalutato), e il comma 9, inserito per evitare che i singoli contratti modifichino il dettato della legge.
Tuttavia, a fronte di queste nuove eccezioni a favore della ricerca, l’art. 70 quater recita:
L’articolo 70 quater, al comma 1, neutralizza parzialmente quanto stabilito nell’articolo precedente, perché circoscrive l'utilizzo delle opere e degli altri materiali al solo caso in cui «non è stato espressamente riservato dai titolari del diritto d'autore e dei diritti connessi nonché dai titolari delle banche dati»: nella pratica quindi, basta che un archivio di riviste online specifichi che sono riservati tutti i diritti compreso il text and data mining perché venga annullata la tutela prevista all’articolo 70 ter.42
Durante l’elaborazione di questo lavoro, in gran parte basato su bibliografia di ambito giuridico, è sembrato che le pratiche di open access nell’editoria italiana di ambito siano ancora molto poco diffuse. Scelto quindi come focus di osservazione il settore giuridico – come è noto, settore non bibliometrico43 – si riporta un’indagine condotta a partire dai prodotti della ricerca presenti in Iris Sapienza (catalogo dei prodotti della ricerca di Ateneo che raccoglie la produzione scientifica di Sapienza e promuove l’accesso aperto alle pubblicazioni)44, limitatamente all’area disciplinare 12.
Per avere un insieme aggiornato di editori italiani attivi in campo giuridico, sono stati estratti i dati dei prodotti validati, pubblicati nel triennio 2020-2022, relativi ai settori concorsuali dell’area disciplinare 12 “Scienze giuridiche”, di tipologia “articolo in rivista”.
Al netto di alcuni item eliminati per inserimento di metadati errati o mancanti, gli editori italiani presenti sono 89: come si può vedere dalla tabella riassuntiva (Figura 1), solo 2 di essi sono censiti in SHERPA-RoMEO e solo 11 hanno risposto al censimento avviato dall’Unità di progetto Open Access di UniTo45.
Editore |
Presenza in Sherpa/Romeo |
Presenza in OA@unito.it |
Altralinea edizioni s.r.l. |
no |
no |
ANTI – Associazione nazionale tributaristi italiani |
no |
no |
Aracne |
no |
sì |
Articolo 29 |
no |
nessuna risposta |
Associazione Progetto giustizia penale |
no |
no |
Associazione Diritto & conti |
no |
no |
Associazione italiana costituzionalisti |
no |
sì |
Associazione Magistratura democratica |
no |
sì |
Associazione Orizzonti del diritto commerciale |
no |
no |
Associazione Osservatorio sul federalismo e i processi di governo |
no |
no |
Associazione per la rivista giuridica Nuova Temi Ciociara |
no |
no |
Bibliografica giuridica Ciampi |
no |
no |
Bononia University press |
no |
nessuna risposta |
Cacucci editore |
no |
nessuna risposta |
CEDAM |
no |
nessuna risposta |
Centro editoriale Dehoniano |
no |
nessuna risposta |
Cittadella editrice |
no |
no |
Consiglio nazionale delle ricerche Istituto di informatica giuridica e sistemi giudiziari |
no |
no |
CSAL – Centro studi per l’America Latina |
no |
no |
De Luca |
no |
nessuna risposta |
Dike giuridica |
no |
nessuna risposta |
Dipartimento di Giurisprudenza, Università di Torino |
no |
no |
EDI-CEM |
no |
no |
Edimanager |
no |
no |
Editoriale scientifica |
no |
nessuna risposta |
Editrice Minerva bancaria Srl |
no |
no |
Edizioni AV |
no |
nessuna risposta |
Edizioni discendo Agitur |
no |
no |
Edizioni scientifiche italiane-ESI |
no |
nessuna risposta |
Enrico Mucchi editore |
no |
nessuna risposta |
EUT Edizioni Università di Trieste |
no |
nessuna risposta |
Fabrizio Serra editore |
sì |
sì |
Federalismi.it |
no |
sì |
Fondazione ASTRID |
no |
Nessuna risposta |
Fondazione G. Capriglione |
no |
no |
Franco Angeli |
no |
sì |
Fulco Lanchester |
no |
no |
Gian Paolo Califano |
no |
no |
Gianni Ferrara |
no |
sì |
Giappichelli |
no |
nessuna risposta |
Giuffrè |
no |
nessuna risposta |
Gruppo di Pisa |
no |
no |
Gruppo editoriale L’espresso |
no |
nessuna risposta |
Guerini |
no |
nessuna risposta |
Historia et ius. Associazione culturale |
no |
no |
Istituto europeo di ricerca e studio comparato del diritto e delle scienze amministrative e finanziarie |
no |
no |
Il Cigno G.G. edizioni |
no |
no |
Il Mulino |
sì |
sì |
Il Sole 24 ore |
no |
nessuna risposta |
INU edizioni |
no |
nessuna risposta |
Ipsoa editore |
no |
nessuna risposta |
ISSIRFA-CNR |
no |
no |
Istituto per lo studio del diritto dei trasporti |
no |
no |
Istituto poligrafico e Zecca dello Stato |
no |
nessuna risposta |
Iuridica editrice |
no |
no |
Iuridica edizioni distribuzioni |
no |
no |
Jovene |
no |
sì |
L’Erma di Bretschneider |
no |
nessuna risposta |
La Ruffa |
no |
no |
La Tribuna |
no |
no |
Labsus |
no |
no |
Luigi Pellegrini editore |
no |
no |
Luiss Guido Carli |
no |
no |
Maggioli editore |
no |
nessuna risposta |
Ministero della difesa. Stato maggiore della Marina |
no |
no |
Nuova editrice mondoperaio |
no |
nessuna risposta |
Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare |
no |
no |
Osservatorio sulle fonti |
no |
no |
Pacini |
no |
nessuna risposta |
Persona e mercato |
no |
no |
Piccin |
no |
nessuna risposta |
Pisa University press |
no |
nessuna risposta |
Plenum |
no |
nessuna risposta |
Polimetrica |
no |
nessuna risposta |
Quasar editrice |
no |
no |
Rogas edizioni |
no |
no |
Rubbettino |
no |
nessuna risposta |
Sapienza Università editrice |
no |
nessuna risposta |
Satura editrice |
no |
nessuna risposta |
Scuola europea di alti studi tributari |
no |
no |
Università degli studi di Cassino e del Lazio meridionale |
no |
no |
Università degli studi di Milano – CRC Studi sulla giustizia |
no |
no |
Università degli studi di Trento |
no |
sì |
Università degli studi di Urbino Carlo Bo |
no |
no |
Urban@it |
no |
no |
Utet giuridica |
no |
nessuna risposta |
Vita e pensiero |
no |
sì |
Wolters Kluwer Italia |
no |
nessuna risposta |
Zanichelli |
no |
nessuna risposta |
Figura 1 – Editori italiani attivi in campo giuridico presenti in Iris Sapienza.
Gli 11 editori censiti in OA@unito.it hanno esposto, tranne in pochissimi casi, condizioni piuttosto restrittive, quando non divieti completi, come si può verificare dalla seguente tabella riassuntiva (Figura 2)46.
Editore |
Tipologia |
Pre-print |
Post-print |
|
Embargo |
Aracne |
Monografie |
sì |
sì |
no |
6 mesi su pre e post-print |
Monografie di dipartimento |
sì |
sì |
no |
6 mesi su pre e post-print |
|
Capitoli |
sì |
sì |
no |
6 mesi su pre e post-print |
|
Articoli |
sì |
sì |
no |
6 mesi su pre e post-print |
|
Associazione italiana costituzionalisti |
Monografie |
|
|
|
|
Monografie di dipartimento |
|
|
|
|
|
Capitoli |
|
|
|
|
|
Articoli |
no |
no |
sì |
|
|
Associazione magistratura democratica |
Monografie |
|
|
|
|
Monografie di dipartimento |
|
|
|
|
|
Capitoli |
|
|
|
|
|
Articoli |
|
|
sì |
|
|
Fabrizio Serra editore |
Monografie |
sì |
no |
no |
|
Monografie di dipartimento |
sì |
no |
no |
|
|
Capitoli |
sì |
no |
no |
|
|
Articoli |
sì |
no |
no |
|
|
Franco Angeli |
Monografie |
no |
no |
vedi note |
|
Monografie di dipartimento |
no |
no |
vedi note |
|
|
Capitoli |
no |
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Figura 2 – Editori censiti in OA@unito.it
La lampante impermeabilità dell’editoria giuridica italiana alle pratiche di open access – comune anche ad altri settori delle scienze umane – sottolinea come sia fondamentale per gli autori esercitare i propri diritti in fase di contrattazione editoriale.
Allo stesso tempo, padroneggiando le norme connesse al diritto d’autore e supportando gli autori durante le attività sempre più diffuse di disseminazione in open access, i bibliotecari possono ribadire il loro ruolo di professionisti della conoscenza a supporto della ricerca.
Articolo proposto il 1° luglio 2023 e accettato il 7 agosto 2023.
MANUELA GRILLO, Sapienza Università di Roma, Biblioteca centrale della Facoltà di Ingegneria civile e industriale “G. Boaga”, Roma, e-mail: manuela.grillo@uniroma1.it.
Il contributo prende le mosse da una tesi di master in Informatica giuridica, nuove tecnologie e diritto dell’informatica discussa il 1° marzo 2023 presso la Sapienza di Roma e relata dal prof. Massimo Durante (Filosofia del diritto, Università di Torino), che qui si ringrazia per la fattiva disponibilità alla contaminazione disciplinare.
Ultima consultazione siti web: 31 agosto 2023.