Gemma Scali
Mauro Guerrini, in occasione dell’inaugurazione dell’ala ristrutturata della biblioteca di Empoli dopo anni di chiusura per una ristrutturazione con adeguamento alle normative antisismiche, ha posto la domanda: «Ha ancora senso una biblioteca fisica, di mura, oppure è sufficiente la biblioteca digitale?»1. Nella risposta ha sottolineato il valore della biblioteca per le sue capacità di gestione, servizio, libertà intellettuale, alfabetizzazione e apprendimento, equità d’accesso alla conoscenza e all’informazione, democrazia. La biblioteca è quindi molto di più di un contenitore ordinato di risorse informative (in modo completamente indipendente dal formato con cui si manifestano) e trova senso in un luogo d’incontro, confronto e socialità, di promozione culturale2. Una biblioteca intesa come un istituto aperto, con funzioni convergenti3, glocale4, «granaio pubblico»5, caratterizzato da un personale con impegno civile6, capace di farne uno spazio pubblico integrato nelle abitudini della comunità7.
Queste prospettive, pur considerando gli specifici contesti sociali e storici di ogni biblioteca pubblica locale, che più risente delle trasformazioni vista la sua vicinanza alla propria comunità, possono essere perseguite al meglio valutando l’impatto delle attività8. Per favorire il percorso di miglioramento dei servizi, garantire la sostenibilità e l’attivazione di benessere, si dovrebbe investire sulla comprensione dei propri utenti, adottando metodologie e strumenti opportuni così da avere la concreta possibilità di essere un motore per lo sviluppo di una società della conoscenza aperta e democratica.
Tra le metodologie che più possono favorire questa prospettiva, la ricerca sociale nella sua declinazione qualitativa ha dimostrato la sua validità. Visto che la biblioteca è un’esperienza su cui insistono differenti contesti9 e siccome l’utenza sceglie in base alla propria sensibilità e alla propria situazione sociale, economica e culturale, diventa significativo comprendere le sfaccettature soggettive e immateriali del rapporto biblioteca-utenza. Queste sfaccettature si mostrano soprattutto nelle storie che l’utenza può o ha l’esigenza di raccontare ed è quindi opportuno catturarle e renderle significanti adottando una metodologia basata su una strategia ad hoc al fine di comprendere con precisione quale sia la percezione del servizio e conseguentemente lavorare nell’ottica del miglioramento (continuo)10.
Il caso della biblioteca comunale Renato Fucini di Empoli, alla luce del contemporaneo dibattito identitario della biblioteca pubblica, è stato studiato svolgendo una ricerca sociale qualitativa11 con lo scopo di comprendere quale fosse la percezione della biblioteca nella comunità dei suoi utenti attivi e inattivi (quindi senza differenziare il target sulla base della loro frequentazione) per declinarne una possibile prospettiva di miglioramento.
La metodologia qualitativa ha tutte le caratteristiche per meglio indagare ciascuno dei fattori e il funzionamento dell’equazione: ‘una biblioteca è efficace quando chi la frequenta prova soddisfazione’. Tale prospettiva unidirezionale può essere infatti ritenuta parzialmente corretta e non esauriente se consideriamo la mission e gli slittamenti di paradigma su cui l’istituto pubblico locale è chiamato a riflettere. Assumendo che esso svolge un ruolo imprescindibile per la sostenibilità ambientale, economica, sociale e per il benessere equo e sostenibile12 della comunità, risulta coerente valutare il suo effettivo impatto verso l’esterno13 non limitandosi ad un approccio di customer satisfaction per i soli frequentatori dell’istituto.
Nello specifico la metodologia è stata articolata, e verrà qui esposta, partendo dal disegno di ricerca, quindi dalla raccolta e analisi dati, seguite dalla comunicazione dei risultati e infine dall’individuazione dei correttivi per migliorare o implementare i servizi14.
Nella fase del disegno di ricerca si sono scelti l’oggetto e la strategia di studio.
Per individuare l’oggetto ci si è focalizzati sul ‘concetto sensibilizzante’, ovvero rispetto a dove cercare, su cosa porre attenzione e chi intervistare. Partendo dal presupposto che la biblioteca è di ognuno e deve agire nella prospettiva della «bassa soglia»15, si è deciso di adottare una definizione estesa di utenza, evitando categorizzazioni come ‘utenti ideali’ o ‘non utenti’. Si è preferito invece considerare un campione indifferenziato di cittadini visto che la frequentazione dell’istituto ha andamenti incostanti nel corso della vita e trascende il target di riferimento16; se anche in un certo periodo una persona risulta inattiva nei confronti di una biblioteca (da intendere come «sistema sociale creato dalle persone per le persone»17) può comunque trasformarsi in attiva trovando un contesto capace di includerla.
La ricerca è stata sviluppata secondo la strategia della Grounded Theory18, fondata su tre caratteristiche principali: la ricorsività del disegno emergente (ovvero la necessità del ricercatore di riflettere sull’intero processo di ricerca considerando ricadute cicliche tra tutte le fasi di studio, in special modo tra quelle di raccolta ed analisi dati), il campionamento teorico (ovvero la scelta ragionata del campione in funzione della ridondanza di informazioni19 che si presenta di rilevazione in rilevazione) e il processo di codifica. Quest’ultimo consiste nell’attribuire alle asserzioni degli intervistati dei code, etichette, che nel corso delle fasi ricorsive e cicliche della ricerca cambiano, si arricchiscono di nuovi significati, si convalidano e si influenzano. Il presupposto è che tutti i dati raccolti sono significativi, ma il risultato di ricerca non sarà la loro semplice somma, bensì l’estrazione di senso entro di essi nella prospettiva del concetto sensibilizzante. Si tratta quindi di gestire un processo prima aperto, quindi divergente, poi assiale, quindi convergente, ed infine selettivo, capace così di centrare lo scopo dello studio (Figura 1, Fasi del processo di codifica).
Figura 1 – Fasi del processo di codifica
Nella fase di raccolta dati si è determinata la tecnica con cui raccogliere le evidenze. Lo standard ISO 16439:201420 individua tre tipologie di evidenze: inferred evidence (raccolte attraverso dati di output, indicatori di performance, livelli di soddisfazione degli utenti); solicited evidence (raccolte attraverso questionari, interviste, focus group), observed evidence (raccolte attraverso l’osservazione strutturata o informale di azioni e comportamenti degli utenti, self-recording, test)21. Nel caso specifico si è optato per la raccolta di solicited evidence per lasciare spazio e libertà d’espressione al campione coinvolto e far così emergere sentimenti, aspettative, idee, emotività, critiche di fronte alla propria idea di biblioteca e successivamente in relazione a quella più specifica della biblioteca di Empoli, aiutando così a definire i correttivi per migliorarne l’azione. Era infatti necessaria una tecnica che strutturasse un dialogo in cui il ricercatore mette in atto delle pratiche narrative per intercettare e catturare il racconto degli utenti, ovvero «la forma più comune in cui si esprime il bisogno di ognuno di noi di mettere in ordine e dare un senso alle proprie esperienze»22.
Nello specifico, la ricerca è stata avviata nel maggio 2022 e tra agosto e ottobre sono state condotte 17 interviste sia nei locali della biblioteca che nel centro storico della città23. Il campione coinvolto ha avuto le seguenti caratteristiche:
Figura 2 – Professioni del campione intervistato
Il processo di raccolta dati è stato delineato affinché si potessero sfruttare due caratteristiche fondamentali della ricerca qualitativa: l’approccio naturalistico del ricercatore rispetto al soggetto d’indagine, visto che «non sono i partecipanti che devono adattarsi al metodo proposto, ma è il metodo che deve adattarsi ai partecipanti»24, e la rappresentatività sostanziale, visto che «il ricercatore qualitativo mette al primo posto la comprensione e l’interpretazione, non essendo affatto interessato a estendere i risultati al più alto numero possibile di soggetti»25.
In tal senso, è stato utile scegliere di condurre interviste non standardizzate, semi strutturate. La progettazione dell’intervista ha infatti previsto che: si considerassero persone molto eterogenee anche all’interno dello stesso cluster di utenti; la struttura fosse sì fortemente centrata sul concetto sensibilizzante ma anche flessibile così da poterla cambiare nel corso delle rilevazioni; l’asimmetria referenziale tra ricercatore e intervistati fosse limitata.
Il tracciato delle interviste prevedeva: l’accoglienza dell’intervistato, la presentazione del ricercatore e degli obiettivi di ricerca, domande sulla percezione riguardo il concetto di biblioteca, domande sulla percezione della biblioteca di Empoli, suggerimenti per migliorare l’attrattività e i servizi della specifica biblioteca, momento di riflessione a fine intervista sui servizi e il valore della biblioteca pubblica locale.
L’analisi dati si è basata sulla prospettiva per cui le narrazioni non sono tanto ‘cercate’, ma, piuttosto, ‘trovate’. Questa sfumatura deriva proprio dalla strategia di ricerca e dalla serrata ricorsività delle sue fasi anche nel corso delle rilevazioni sul campo. Allo scopo di orientare il ricercatore nell’analisi, fondamentale è stato sì ripartire dalle domande incluse nella struttura delle interviste, ma anche riformularle per approfondire alcune tematiche scaturite dalle evidenze narrative trovate. Il lavoro in questa fase è stato quello di far emergere alcuni gruppi di domande da usare come guida per raggiungere l’obiettivo di ricerca. Nello specifico, i gruppi di domande sono stati tre:
La comunicazione dei risultati è «l’orchestrazione tra la voce del ricercatore e quella dei partecipanti»26 per valorizzare i punti di vista eterogenei raccontati. Sono quindi, nella pratica, le parole, le storie degli utenti della biblioteca ad emergere dopo che il ricercatore ha decontestualizzato e ricontestualizzato quanto è stato detto27. Poiché il potenziale della ricerca e la sua effettiva utilità dipendono proprio da quello che si è riusciti a trovare nelle evidenze raccolte e analizzate secondo i significati che i partecipanti danno ad esse, è utile esporre i relativi risultati impiegando direttamente i dati primari piuttosto che limitarsi all’esposizione di un resoconto grafico o quantitativo. Nonostante ciò, si deve comunque riconoscere l’utilità di un primo approccio quantitativo sui code. In questa ricerca valutare la presenza o l’assenza di determinati code o la loro maggior o minor frequenza nelle varie parti dell’intervista ha permesso al ricercatore di valorizzare il dialogo intercorso con gli utenti riuscendo ad approfondire aspetti legati sia alle note etnografiche28 raccolte sia ai significati originari esposti delle persone.
L’ultima fase della metodologia di ricerca ha riguardato i correttivi per migliorare o implementare i servizi, valorizzando la relazione con gli intervistati piuttosto che limitarsi a un’indagine asettica e fenomenologica. La chiave di volta è quindi interpretare affinché le storie siano significative non solo come testimonianze descrittive ma come punto di partenza per una pianificazione strategica consapevole per la biblioteca. Infatti, il concetto sensibilizzante e le domande si concentrano proprio sull’attrattività e sul radicamento della biblioteca empolese29.
La ricerca, per quanto strutturata, deve tener conto che la domanda di biblioteca è mutevole e dipende dal contesto30. Per interpretare correttamente il caso della biblioteca di Empoli, a monte della ricerca sul campo è stato necessario conoscere il tessuto territoriale sul quale questa agisce e individuarne gli elementi che la caratterizzano e la contraddistinguono. Per farlo sono state condivise le prospettive delle Linee guida per la redazione dei piani strategici per le biblioteche pubbliche dell’AIB31. In tal modo la biblioteca potrà meglio metabolizzare l’autorevolezza della ricerca e impiegarla per i fini del proprio miglioramento32.
Si devono evidenziare alcune questioni metodologiche emerse nel corso della raccolta e dell’elaborazione dei dati testuali, riguardanti il confronto tra i dati e l’impiego degli strumenti per l’individuazione dei risultati.
Durante la fase selettiva del processo di codifica sono stati individuati33 sette code come più significativi per sintetizzare il senso delle asserzioni degli utenti in merito alla percezione della biblioteca:
Tali code si presentano però in modo diverso: gli utenti, attivi o inattivi, possono non farci mai riferimento, possono usare certi termini fin da subito o possono svilupparli nel corso dello scambio con il ricercatore. È quindi quest’ultimo ad avere la piena contezza delle occorrenze e dei significati di questi code e di come essi indirizzino alla comprensione delle modalità con cui la biblioteca impatta sulla sua comunità di riferimento.
Una delle prime azioni dopo l’identificazione di queste etichette è stata riflettere sulla loro frequenza o sulla loro (non) presenza: tale operazione ha aiutato a comprendere e rappresentare il concetto di biblioteca che gli utenti hanno prima, durante e alla fine dell’intervista ed è servita a meglio declinare le modalità con cui la biblioteca di Empoli impatti (o debba impattare) e crei consapevolezza sul ruolo e l’identità della biblioteca pubblica locale nella nostra società.
Dalla frequenza con cui si ripetono i code nella prima parte dell’intervista e dal riscontro con i dati testuali, un primo risultato è che già il solo vivere lo spazio di una biblioteca ne trasforma la percezione ampliandola: gli utenti attivi infatti tendono a descrivere l’istituto non solo per la sua funzione informativa, ma anche per quelle educativa, sociale e culturale. Quando questi immaginano una biblioteca su misura, emerge soprattutto che deve soddisfare differenti categorie di bisogni, far aumentare curiosità e coinvolgimento e farne vivere l’ambiente come un’esperienza sociale costruttiva ad ampio raggio. Questa sensibilità non emerge nelle interviste degli utenti inattivi che invece fanno riferimento alla sola funzione informativa o ad uno spazio pubblico aperto per gli studenti.
Un secondo risultato, emerso dalla frequenza delle sette etichette giunti alla fine dell’intervista, è che:
Nonostante il suggerimento di correttivi e l’implementazione di servizi riguardi soprattutto l’utenza inattiva, importante è non cedere all’autoreferenzialità e ritenere che non vi sia nulla da migliorare per gli utenti attivi. Lo confermano soprattutto le evidenze narrative dell’indagine che hanno rilevato come non tutti gli utenti attivi abbiano consapevolezza dei servizi della biblioteca. Ad esempio, si sono individuate molte somiglianze tra le asserzioni di ogni studente universitario intervistato con quelle della maggior parte degli utenti inattivi. Si giunge così all’ipotesi che molti degli utenti più fedeli (gli studenti sono numerosi e permangono molto nell’edificio) siano anche quelli meno consapevoli del ruolo culturale della biblioteca pubblica locale, non riconoscendola come servizio pubblico legato a fondamentali diritti della cittadinanza34.
Si deve considerare, inoltre, come lo studio abbia una ‘funzione esaustiva’ nel limite del campione considerato35: lo scopo era quello di analizzare in profondità un aspetto circoscritto (la percezione della biblioteca e il proprio ruolo per la sua comunità), generandone una conoscenza approfondita. Ad esempio, sarebbe allora utile interpretare meglio il risultato secondo cui alcuni utenti attivi hanno gli stessi comportamenti degli utenti inattivi. Infatti, la ricerca qualitativa è sì un supporto per l’istituto ma evidentemente può essere uno strumento di stimolo per ulteriori indagini con funzioni esplorative o esplicative. Fare ricerca sull’utenza non è un fine, ma un mezzo per il miglioramento continuo.
Pur lavorando alla soddisfazione dell’utenza, resta centrale per la biblioteca partire dalla propria identità e relativa mission, ovvero essere sì un servizio informativo ma anche un fondamentale attore educativo, sociale e culturale del proprio contesto territoriale.
Acquisendo il punto di vista per cui «what we measure affects what we do; and if our measurements are flawed, decisions may be distorted»36 emerge come la conduzione di una ricerca siffatta porti vantaggio per migliorare i servizi visto il suo approccio naturalistico, il contatto diretto con l’utenza, la ricorsività delle fasi di ricerca.
Al di là dei risultati specifici rispetto al caso di studio, la conduzione di interviste semi strutturate non standardizzate ha consentito di far emergere uno scambio bidirezionale tra l’istituto e l’utenza. Se da una parte gli utenti raccontano come vorrebbero la biblioteca (che può trarne ispirazione per le proprie linee strategiche), dall’altra l’istituto si apre e si mette in ascolto. Non solo, tramite il ricercatore, parla all’utenza mettendola al centro e fondando così una relazione nuova, diversa, che supera i rumori e le interferenze degli odierni processi di comunicazione. È un approccio win win37 quello che è avvenuto: la biblioteca ha appreso dalla comunità e la comunità dalla biblioteca con un processo di comunicazione rinnovato. Nel corso dell’intervista l’utenza, infatti, ha avuto modo di essere stimolata ed incuriosita su vari aspetti e servizi della biblioteca, sedimentando un’esperienza innovativa e un ricordo piacevole che hanno effettivamente rafforzato il sentimento di comunità e di appartenenza al contesto territoriale38. Uno scambio che rafforza la percezione, l’immagine e la reputazione di una biblioteca che comunica sempre39, anche tramite queste interviste40.
Per concludere, il caso studio sulla biblioteca di Empoli mette in evidenza che se è vero che la ricerca applicata può individuare correttivi da apportare e miglioramenti da perseguire, è altrettanto vero che il rapporto che si instaura in queste occasioni con l’utenza è stimolante e positivo anche per mettere in evidenza ciò che non è né carente né sbagliato. Il valore della ricerca applicata, oltre che nell’approccio win win, sta quindi anche nel vedere il bicchiere mezzo pieno sull’operato dell’istituto.
Articolo proposto il 5 aprile 2024 e accettato il 21 maggio 2024.
GEMMA SCALI, Università di Macerata, e-mail g.scali1@unimc.it.
Ultima consultazione siti web: 21 maggio 2024
AIB studi, vol. 64 n. 2-3 (maggio/dicembre 2024). DOI 10.2426/aibstudi-14025. ISSN: 2280-9112, E-ISSN: 2239-6152 - Copyright (c) 2024 Gemma Scali