a cura di Desirée de Stefano e Federica Olivotto
AIB studi, vol. 64 n. 1 (gennaio/aprile 2024). DOI 10.2426/aibstudi-14074. ISSN: 2280-9112, E-ISSN: 2239-6152 - Copyright (c) 2024 Gli autori
Oltrepassata una doppia soglia (più di trent’anni di vita, cinquanta volumetti pubblicati), la benemerita Enciclopedia tascabile dell’AIB si è finalmente arricchita della voce Biblioteconomia, tra le sue più importanti e necessarie. Non si fatica a cogliere le ragioni di questo innegabile ritardo, tutte legate alla complessità della disciplina, alle sue varie vocazioni e competenze, alla varietà degli approcci teorico-metodologici e delle applicazioni (sia a livello internazionale sia nel nostro Paese), alla difficoltà di raggiungere una sintesi rispettosa, non parziale, chiara. A Mauro Guerrini vanno riconosciuti due grandi meriti: l’aver avuto il coraggio di affrontare un cimento così delicato e l’averlo brillantemente superato, regalando alla comunità professionale e scientifica delle biblioteche e agli studenti iscritti ai corsi di biblioteconomia uno strumento assai utile di consultazione, studio e lavoro.
Il testo è articolato in modo da tenere in equilibrio diverse e cruciali questioni: i principali passaggi storici e la fisionomia attuale della biblioteconomia, le sue peculiarità e il radicamento nell’ambito delle discipline documentarie (e non solo), il suo dominio d’interesse e le collaborazioni interdisciplinari, gli sviluppi internazionali e i contributi italiani, ma, soprattutto, i principi teorici e i problemi pratici. Molti dei capitoli sono vere e proprie voci subordinate, a dar conto di specifiche declinazioni (per esempio: biblioteconomia sociale, biblioteconomia critica, biblioteconomia dei dati), nodi lessicali e semantici (i lemmi ‘biblioteca’ e ‘biblioteconomia’, la librarianship e la library science, la library and information science), sfide culturali e tecnologiche della realtà contemporanea (digitale, web semantico, intelligenza artificiale), interazioni produttive (con il mondo Wiki, con le digital humanities).
Al lettore Guerrini offre una panoramica completa, rapida ma priva di semplificazioni sbrigative: intento divulgativo e sguardo critico non si separano mai. Prima di disegnare la mappa dei temi e di dare la parola ora agli autori ormai classici della biblioteconomia novecentesca ora a biblioteconomi e bibliotecari del tempo presente, egli assegna finalità di sintesi e, implicitamente, di cornice introduttiva, a una definizione che conviene riportare: «La biblioteconomia è la disciplina che riflette sulla costruzione, l’organizzazione, la gestione e l’uso, nonché sui linguaggi e sui servizi al pubblico della biblioteca, in quanto spazio fisico e virtuale e in quanto sistema che seleziona, conserva, tutela, descrive e trasmette, tramite bibliotecari professionali, quella porzione di universo bibliografico che possiede e a cui dà accesso per la lettura, la ricerca e lo svago: manoscritti, libri e periodici a stampa e digitali, carte geografiche, musica, fotografie, film e altre risorse» (p. 8). Emergono alcuni punti fermi, stretti in una visione d’insieme pragmatica, che non vuole trascurare nulla: il nesso inscindibile di elaborazione biblioteconomica e pratiche di biblioteca, la molteplicità delle funzioni e degli oggetti su cui la riflessione si appunta, il fondamentale ruolo dei bibliotecari e della loro professionalità (più avanti connotata come competenza tecnica sostenuta da impegno civile), la duplice dimensione del possesso e dell’accesso, il rapporto tra biblioteca e conoscenza registrata.
Nelle pagine successive questi aspetti tornano più volte: riemergono dal confronto con le concezioni e le relative definizioni che si sono succedute nella letteratura biblioteconomica, trovano approfondimenti e precisazioni. Fra queste ultime, particolarmente opportune quelle che respingono il discutibile confinamento della biblioteconomia e della biblioteca nel campo dell’informazione, riposizionandole all’interno dei processi di trasformazione dei dati in informazioni e delle informazioni in conoscenza. Ci si potrebbe fermare qui, ma l’autore prende in considerazione una fase ulteriore: il raggiungimento della saggezza, apice dello schema piramidale Data, Information, Knowledge, Wisdom: «La piramide DIKW connette i tempi del sapere con i tempi della vita: la saggezza a cui conduce può essere interpretata come una dimensione del futuro, l’obiettivo ultimo dell’individuo che vi giunge mediante i dati, le informazioni e la conoscenza» (p. 81).
In altri punti del testo non si nascondono perplessità e riserve su alcune scuole di pensiero; è così a proposito della necessità di identificare una specifica critical librarianship: «Anche la biblioteconomia critica – con le tematiche dell’alfabetizzazione, delle capacità di apprendimento permanente, del rispetto della diversità, dell’etica dell’informazione, della cittadinanza impegnata, della libertà e dei diritti umani – è sempre stata incorporata nella biblioteconomia tout court […]» (p. 91-92). Si leggano anche i rilievi indirizzati (insieme con apprezzamenti) all’opera di R. David Lankes (p. 90).
Perfettamente a suo agio con la tradizione e gli approdi recenti della biblioteconomia italiana, di cui è stato egli stesso un protagonista, Guerrini trasferisce anche a questo lavoro la sua attenzione per i cambiamenti in atto (segnatamente in materia catalografica, verso il paradigma della metadatazione) e la nota sensibilità per la natura internazionale e globale delle risposte che il settore è chiamato a dare in termini di ricerca, avanzamenti, sperimentazioni, realizzazioni. La tavola bibliografica finale testimonia della sicurezza e del rigore con i quali ha selezionato le sue fonti (sempre in modo pertinente, nell’ottica della garanzia bibliografica) al fine di ricostruire, a sua volta, «le molteplici sfaccettature di una disciplina composita e dinamica» (p. 11).
Giovanni Di Domenico
Salerno
Il volume, curato da Marco Della Valle, Maria Greco e Irene Monge edito nel 2023 da Editrice bibliografica, raccoglie gli atti del convegno internazionale organizzato dal Centro per il libro e la lettura in collaborazione con l’Università degli studi di Verona, il 28 giugno 2022 presso la Biblioteca nazionale centrale di Roma.
Come sostengono i curatori nella Presentazione, il convegno e gli atti che ne rappresentano l’esito hanno il merito di aver trattato per la prima volta in Italia «in modo sistematico e interdisciplinare del ruolo della biblioterapia all’interno dei contesti scolastici» (p. 8). Diversi relatori, italiani e internazionali, si sono confrontati sul tema offrendo prospettive disciplinari differenti attraverso cui approfondire la biblioterapia nelle sue molteplici sfaccettature, ma anche comprendere quale possa essere il suo impatto sul benessere dei giovani.
Soprattutto a seguito dell’emergenza pandemica da Covid-19, molti studi condotti da enti di differente tipologia – tra gli altri Caritas, Save the Children, Istat – hanno evidenziato uno stato di sofferenza di molti giovani in Italia: depressione, abuso di alcol o sostanze stupefacenti, dipendenza dai social network, senso di solitudine e smarrimento, disturbi alimentari, dispersione scolastica e sfiducia nel futuro. A fronte di tutto questo, risulta particolarmente rilevante l’obiettivo del convegno: non tanto definire il termine ‘biblioterapia’, ma piuttosto «capire […] come questo metodo possa essere applicato in diversi contesti» (p. 8). È proprio questo il filo rosso che unisce gli undici capitoli che compongono il volume: ognuno di essi non solo offre un’angolazione peculiare attraverso cui guardare e comprendere la biblioterapia nei contesti scolastici, ma mette anche a disposizione del lettore alcuni strumenti concreti che possono essere immediatamente utilizzati all’interno del proprio contesto lavorativo.
Federica Formiga (Università degli studi di Verona) apre la miscellanea con un contributo dal titolo Biblioteche scolastiche, biblioterapia e benessere: quali benefici, quale formazione?, in cui dopo aver proposto una riflessione sul ruolo della biblioteca scolastica per il benessere degli studenti, si sofferma sul cruciale tema della formazione dei professionisti e sull’esperienza del master di primo livello presente nell’offerta formativa dell’università veronese. Seguono i contributi di Rosa Mininno (presidente di S.I.BI.L.L.A) e di Judit Béres (Università degli studi di Pécs, in Ungheria) che illustrano rispettivamente le specificità e l’impatto della biblioterapia applicata ai contesti educativi e di formazione professionale, e le potenzialità di biblioterapia e ‘poesioterapia’ come metodi di supporto emotivo e di mentalizzazione per le giovani generazioni sempre più immerse negli ambienti digitali. Marco Della Valle (Università degli studi di Verona) avanza la proposta, a partire dalle molteplici esperienze già consolidate oltralpe, di creare un modello italiano nell’applicazione del metodo. La lettura del contributo di Irene Monge (Aismme) conduce invece a riflettere sulla possibile connessione tra filosofia e biblioterapia attraverso un approccio peculiare: quello della filosofia della narrazione. Con il capitolo firmato da Dome Bulfaro (Associazione Mille Gru) si entra nel vivo delle buone pratiche: le diverse esperienze di ‘poesiaterapia’ svolte nelle scuole, soprattutto nel periodo post-pandemico, hanno favorito un «processo dialogico di consapevolezza» negli studenti necessario per consolidare il concetto che «serve una scuola che insegni ai propri allievi come prendersi cura di se stessi e degli altri da sé» (p. 64). Il binomio biblioterapia-benessere, già affrontato da Federica Formiga in apertura, è ripreso nel contributo curato da Michela Nosè (Università degli studi di Verona) che illustra, dopo aver condiviso un panorama della letteratura scientifica sul tema, i progetti scientifici Redefine e Respond, entrambi finanziati dalla Comunità europea nell’ambito del programma quadro Horizon 2020 Research and Innovation Programme Societal Challenges. Anche Maria Greco (Cepell) presenta studi e progetti internazionali incentrati sull’applicazione della biblioterapia negli istituti scolastici, affermando in conclusione di essere pronta ad accogliere una sfida: la biblioterapia nelle scuole italiane potrebbe essere un «breve sogno» ma anche «rappresentare un utilissimo strumento pedagogico-didattico» (p. 87), ed è dunque in questa direzione che bisogna lavorare. Seguono quindi i contributi di Mónika Tóthné Muráncsik (Bolyai Jànos Secondary Grammar School) e di Paolino Ginaturco (AID) in cui gli autori affrontano due delicati temi come il burnout degli insegnanti e i percorsi alternativi di lettura per le persone affetti da disturbi specifici dell'apprendimento (DSA): in entrambi i casi la biblioterapia si configura come un valido strumento capace di produrre un impatto positivo e il benessere degli individui.
Conclude il volume il capitolo di Beatrice Eleuteri (Università degli studi Roma Tre) che focalizza l’attenzione sul concetto di ‘piacere’: il piacere della lettura e la lettura per piacere non possono che configurarsi come presupposti imprescindibili alla biblioterapia.
Maddalena Battaggia
Sapienza Università di Roma
L’imponente volume di settecento pagine raccoglie una serie di approfondimenti redatti da circa settanta specialisti nel campo della conservazione, di diversa formazione e provenienti da quasi venti paesi del mondo, sotto la cura editoriale di Abigail Bainbridge, conservatore di libri, a lungo docente al West Dean College di Londra e direttore di Bainbridge Conservation, impresa londinese che si occupa di tutela del patrimonio culturale, con una sezione importante dedicata a quello cartaceo.
Il libro è suddiviso in cinque parti, precedute da una lista delle immagini, delle tavole, dei curatori, dai ringraziamenti e dall’introduzione della curatrice; ognuna è seguita dalla bibliografia di riferimento.
La prima sezione del volume, già attraverso il titolo Book structure and history, annuncia l’orientamento alla conservazione proprio di questo lavoro: si tratta infatti, di un approccio di tipo codicologico, di archeologia del libro, nel quale gli aspetti propriamente conservativi sono, come è giusto che sia, indissolubilmente legati alla conoscenza profonda dell’oggetto materiale e allo studio delle varie strutture librarie concepite e realizzate in diversi tempi e aree geografiche. Si affronta quindi il tema della struttura del libro, a partire dal primo capitolo dedicato alla sua nascita nella forma del codice e con una serie di approfondimenti relativi alle legature del Mediterraneo occidentale (copte, etiopi, islamiche, armene, bizantine, siriache, georgiane, samaritane, ebraiche), a quelle dell’Asia del sud, (indiane, tibetane, del Kasmir e Sikh), dell’est asiatico (cinesi, coreane e giapponesi), del sud est asiatico (indonesiane, tailandesi, vietnamite, ecc.), delle legature europee (che non sono divise per paese di provenienza, ma differenziate tra legature dei manoscritti, dei libri a stampa, legature per libri non impressi – le cosiddette ‘stationery bindings’ – e per album), delle legature nord-americane e latino-americane.
La seconda parte, Bookbinding materials and their degradation, è incentrata sui materiali delle legature e sul loro degrado, e contiene una rassegna dei differenti supporti e materiali librari, dal papiro ai tessuti, dalla carta al legno, dalle foglie di palma ai metalli, agli adesivi, agli inchiostri per la stampa, oltre a un capitolo dedicato ai dieci agenti di degrado (fuoco, acqua, furti e atti vandalici, agenti inquinanti, agenti biologici, luce, umidità relativa, temperatura inadeguata, perdita di informazioni o di parti di una collezione), sulla base di uno schema creato nel 1994 da Stefan Michalski e Robert Waller per identificare agevolmente i rischi connessi alla conservazione delle collezioni, e poi ampliato.
La terza parte del volume, dedicata agli Approaches to conservation, si compone di alcuni capitoli dedicati alla delicata questione del processo decisionale, alla cosiddetta ‘conservation in context’, ai trattamenti preventivi, a una serie di interessanti considerazioni sociali, culturali e religiose in tema di conservazione.
Segue una sezione dedicata alla Preventive conservation, nella quale si approfondiscono i temi legati alla costruzione di custodie, al trasporto dei materiali librari, alle mostre bibliografiche e alla digitalizzazione.
L’ultima parte, la quinta, dal titolo Techniques of conservation, è interamente incentrata sulle tecniche conservative, con un capitolo dedicato alla documentazione di specifici interventi, ai trattamenti suddivisi sulla base dei diversi materiali (papiro, pergamena, pelle, carta, inchiostri manoscritti e inchiostri a stampa, assi e metalli), infine al restauro delle strutture.
l volume può dunque essere considerato, nonostante la mole e grazie al fatto di integrare bene questioni teoriche e questioni prettamente tecniche, come un agile strumento di consultazione sui temi ampi della conservazione del materiale librario, adatto a studenti universitari, a restauratori interessati ad acquisire ulteriori competenze, a collezionisti e a bibliotecari conservatori.
Simona Inserra
Università di Catania
«The focus of this […] volume is on the material aspects of the written word and on object biography in early modern Europe» (p. 6). Così il volume è presentato in apertura dai suoi tre curatori, che sottolineano la varietà e la multidisciplinarietà dei quasi venti contributi che, da varie angolazioni, mettono in luce una stessa storia della carta in area scandinava, analizzata in tutti i suoi aspetti: produzione, disseminazione, commercio, uso, riuso, distruzione.
La corposa monografia è curata da Silvia Hufnagel e Þórunn Sigurðardóttir (Árni Magnússon Institute for Icelandic Studies, Reykjavík) e da Davíð Ólafsson (University of Iceland): studiosi della storia culturale islandese e scandinava, e autori di varie pubblicazioni sulle pratiche culturali e scrittorie nelle regioni nordeuropee. La pubblicazione, edita con il supporto del Icelandic Research Fund, rientra nell'ambito di due progetti di ricerca, ospitati dai due enti di riferimento dei curatori, concernenti la storia del libro, manoscritto e a stampa, e la valorizzazione del patrimonio archivistico islandese.
I diversi autori attingono da collezioni e archivi differenti, come l'Arnamagnæan Collection (il fruttuoso fondo del collezionista di manoscritti islandesi Árni Magnússon), e utilizzano metodi di ricerca diversi: dall'analisi di laboratorio, come quella effettuata sulle fibre della carta da Xu Xiaojie, che ha individuato alcune peculiarità regionali nella produzione delle cartiere, agli approcci metodologici interdisciplinari di Paul M. Dover, che legge in chiave evoluzionistica l'impatto della diffusione della carta, e di Nina Hesselberg-Wang e Chiara Palandri, che studiano il Missale Nidrosiense del 1519 (uno dei primi due esempi di stampa a caratteri mobili in Norvegia) con un approccio archeologico.
Il volume è strutturato in tre sezioni che rispecchiano il ciclo di realizzazione del libro: la fabbricazione della carta, la produzione dei libri e le dinamiche di circolazione di questi ultimi.
La prima sezione, Production of paper, è aperta dal contributo di Silvia Hufnagel riguardante l'introduzione in Islanda della carta, che avrebbe sostituito pienamente la pergamena e le tavolette di cera molto tardi, a partire dalla seconda metà del Seicento. Seguono poi le già citate ricerche di Dover e Xu, quelle di Sonja Neuman, che fa il punto sulle innovazioni ottocentesche nella meccanizzazione del processo di produzione della carta, e di Ermenegilda Müller, che descrive le modalità di rilevazione, digitali e analogiche, delle filigrane e della loro descrizione e classificazione in cataloghi e database.
La seconda parte del volume, Production of books and manuscripts, si apre con il contributo di Pádraig Ó Macháin dedicato alle tecniche di legatura in area gaelica nella fase di passaggio dalla pergamena alla carta e all'analisi delle variazioni nelle dimensioni dei volumi. La sezione prosegue con il resoconto del lavoro del copista austriaco Johannes de Spira, a opera di Maria Stieglecker, e con il tentativo di Geoffrey Day di comprendere gli effetti della piccola era glaciale sulla produzione e sul commercio librario inglese del XVII secolo.
Trade, exchange and ownership, terza parte del volume, è dedicata alle dinamiche di circolazione dei testi nei mercati del libro. Martina Hacke indaga la figura professionale dell'agent nel mondo del commercio librario mitteleuropeo fra Quattro e Cinquecento, mentre Halldóra Kristinsdóttir, Jón Kristinn Einarsson e Rannver H. Hannesson esaminano la produzione e l'uso della carta da parte della comunità settecentesca di copisti della regione dei Westfjords. Beeke Stegmann analizza il suo riuso per wrapper o supporti per annotazioni, effettuato da Árni Magnússon nella costruzione della sua collezione. Már Jónsson presenta uno studio sul manoscritto Thott 2110 I, conservato presso i National Archives of Iceland, che raccoglie processi alle streghe avvenuti nella seconda metà del XVII secolo, permettendo uno sguardo sulla produzione giuridica islandese del Seicento, e Gunnar Marel Hinriksson racconta la storia di un furto di carta perpetuato da uno studente a danno del preside della sua scuola. Davíð Ólafsson analizza poi l'attività intensiva del copista ottocentesco Sighvatur Grímsson, allo scopo di analizzare la produzione manoscritta dell'isola come fenomeno culturale e sociale a tutto tondo di creazione di text-bearing objects. Lo stesso concetto di rete ecosistemica è al centro del contributo di Viðar Hreinsson, che guarda alla cultura del manoscritto come a un elemento rizomatico di coesione della società islandese, attraverso una lettura coerente con i più moderni studi ecocritici e ambientali.
Chiude il volume un intervento in forma di poscritto di Katelin Marit Parsons, che prende a oggetto l'impatto dell'importazione della carta nella produzione dei poeti islandesi, colpiti forse soprattutto dalla lontananza geografica dal processo produttivo delle cartiere, dall'invisibilità delle origini della carta: «for Icelandic poets, linen paper had no imagined lowly past life as rags» (p. 408).
Il pregio principale del volume appare dunque quello di aver raccolto diversi temi e approcci al vasto campo della storia della carta e del libro nordeuropeo, fornendo al lettore molti e vari spunti per nuove ricerche.
Jacopo Arnoldo Bovino
Roma
Il volume raccoglie diciotto contributi sul tema della stampa del XV secolo che l’autore ha pubblicato in sedi diverse nel corso di quarant’anni. Il contributo più datato risale infatti al 1984 (Scava, scava, vecchia talpa: l’oscuro lavoro dell’incunabolista, «Biblioteche oggi», 2 (1984), n. 6, p. 37-50); il più recente al 2017 (La tipografia aldina nel nuovo secolo (1501-1515), in Collectanea manutiana: studi critici su Aldo Manuzio, Le Lettere, 2017, p. 171-193). In questo ampio arco temporale l’autore, l’amico Piero Scapecchi, aretino trapiantato a Firenze, appassionato di Piero della Francesca e a lungo bibliotecario alla ‘sua’ Nazionale, si è dedicato senza soluzione di continuità allo studio della tipografia italiana del Quattrocento, pubblicando una nutrita serie di saggi su riviste accademiche e specializzate, partecipando come relatore a numerosi convegni e curando cataloghi di fondi librari quattrocenteschi, l’ultimo dei quali, opus magnum come lui stesso lo definisce, dedicato al patrimonio incunabolistico della Biblioteca nazionale centrale di Firenze (Nerbini, 2017). La scelta dei contributi avrebbe pertanto potuto essere anche più abbondante, così da non tralasciare qualche altro importante saggio sull’argomento che ne è invece rimasto escluso. Il libro così confezionato – accolto nella prestigiosa collana Biblioteca di bibliografia – non è certo un manuale di incunabolistica, né una guida per avviarsi al mestiere dell’incunabolista (se mai ne bastasse una), quanto piuttosto uno spaccato affascinante sulla stampa delle origini indagata da diverse prospettive, oltre a un vademecum per gli studiosi più giovani. Tra le pieghe del volume si intravede infatti la tecnica sopraffina che accompagna lo studio della tipografia quattrocentesca, così da farne una lettura innanzitutto metodologicamente utilissima, oltre che un deterrente per chi volesse invece accostarsi allo studio degli incunaboli in modo forse dilettantesco o puramente bibliofilico (ma già l’autore avverte bonariamente che gli «studiosi degli incunaboli non nascono ogni giorno e hanno bisogno di nutrirsi nella fertile terra della specializzazione severa e prolungata», p. 69). Né lo studio del libro del XV secolo – ma così dovrebbe essere anche per la produzione dei secoli successivi – coincide tout court con la catalogazione, quanto piuttosto lo stimola, aprendo «a nuove conoscenze, a nuovi collegamenti, a nuovi orizzonti» (p. 3). Il modello di catalogo cui allude Scapecchi – per quanto ne ribadisca a più riprese la perenne provvisorietà – è uno strumento sofisticato e ricchissimo, capace di «collegare la storia delle biblioteche moderne a quelle antiche», oltre che di trattare i libri come «documenti di una o anche più raccolte e possessori», nella registrazione delle note di provenienza, e come documenti tipografici, di quelle d’acquisto e di possesso utili a «rilevare date di stampa più precise e meno incerte» (p. 4).
Ecco dunque che l’indagine distribuita tra i diciotto saggi qui raccolti è volta a far luce, di caso in caso, sulla materialità del libro a stampa quattrocentesco (dalla carta ai caratteri tipografici, cui è dedicata, nella fattispecie, la seconda sezione Questioni di carattere che raduna, l’importante saggio sull’inventario della cassa tipografica del fiorentino Bartolomeo dei Libri), sugli uomini che ne hanno determinato la produzione (dal tipografo alemanno responsabile delle Meditazioni della vita di Cristo nell’Emilia degli anni Sessanta del XV secolo ad Aldo Manuzio) e sull’attribuzione o meno a una determinata tipografia di alcune discusse edizioni sine notis. Il problema attribuzionistico – uno degli aspetti al contempo più affascinanti e più complicati del lavoro del bibliografo incunabolista – è stato affrontato da Scapecchi con impeccabile rigore metodologico in più occasioni nel corso della sua lunga attività di studioso. Si veda qui soltanto la questione della tipografia cosiddetta del Deo Gratias del Terentius Comediae Proctor 6748 (e di altre due edizioni a essa riconducibili) assegnata dubitativamente a Napoli, ma da Scapecchi ricondotta piuttosto, alla luce dell’analisi dei caratteri impiegati, della filigrana, dei riscontri filologici e infine della distribuzione degli esemplari superstiti, a Firenze (Tip. del Deo Gratias, c. 1471). Lezione magistrale su questo fronte è soprattutto quella offerta dall’analisi del frammento Parson-Scheide, già noto dal 1927, e ritornato di attualità alla fine degli anni Novanta quando fu battuto all’asta a Londra. In quell’occasione l’autore ebbe modo di condurne, per la prima volta dopo Konrad Haebler, un’analisi autoptica da cui scaturì il contributo Subiaco 1465 oppure [Bondeno 1463]?: analisi del frammento Parsons-Scheide («La Bibliofilia», 103 (2001), n. 1, p. 1-24). Lo studioso riprende in mano gli studi precedenti, facendoli interagire con i riscontri bibliologici (analisi dei caratteri e soprattutto della carta assegnabile all’area emiliana) e la documentazione d’archivio individuata da Enrico Peverada pochi anni prima relativa alla società costituita da due tedeschi per la produzione di alcuni manufatti tra cui alcuni inequivocabili prodotti a stampa, al fine di pervenire «per via documentaria alla stessa conclusione a cui si giunge con i metodi incunabolistici» (p. 33), ossia che le misteriose Meditazioni sulla Passione di Cristo siano da assegnare a Bondeno (c. 1463). Da qui il discorso si sposta a un livello più alto, vale a dire il problema delle origini della stampa in Italia e dell’introduzione dell’arte tipografica nella penisola. Un tema caro allo studioso, che riaffiora in molti contributi (e ritorna come motivo di discussione anche negli amichevoli incontri personali), sul quale non smette di richiamare l’attenzione perché «anticipare l’introduzione della nuova arte dal 1465 a Subiaco al 1463 a Bondeno dà conto, più che di una questione di campanilistico primato, di un diffondersi della tipografia nella penisola che non segue gli schemi fino a oggi proposti e accettati» (p. 39-40). Significa ripensare le direttrici seguite dagli alemanni che portarono l’arte della stampa da Magonza all’Italia (Ferrara, Foligno, Roma), ripensare il reale significato dell’esperienza tipografica sublacense e soprattutto ripensare alla presenza dei primi prodotti dell’ars artificialiter scribendi in Italia prima del fatidico 1465. Su questo argomento Scapecchi ha proposto una decina di anni fa (nel 2014) i primi risultati di una ricerca volta ad accertare la presenza nelle raccolte italiane di incunaboli maguntini (Esemplari stampati a caratteri mobili presenti in Italia prima dell’introduzione della stampa: prospettive di studio). L’indagine non sarebbe possibile senza l’attenzione riservata al libro come documento storico, portatore esso stesso di informazioni che si offrono allo studioso in forma di material evidences: decorazione, legatura, note di acquisto e possesso. I primi risultati, riscontrati soprattutto sulle copie del Durandus, Rationale, del 1459, dimostrano, secondo lo studioso, che «i primi acquirenti e possessori di libri a caratteri mobili fossero le biblioteche monastiche» (p. 65), come dimostra il Durandus della Bibliothèque Nationale di Parigi con nota di acquisto di Santa Giustina di Padova datata 1461. Da qui l’invito reiterato affinché la redazione dei cataloghi dia «rilievo alla presenza di note di acquisto o di postille coeve all’incunabolo in alcuni casi preziose per la ricostruzione della storia tipografica dell’opera» (p. 21). Un altro aspetto metodologico riaffiora con insistenza nei suoi contributi, vale a dire l’invito – sulla scia di Roberto Ridolfi – a intraprendere lo studio degli archivi, intesi «nella più vasta accezione del termine. In primis quelli notarili che spesso offrono preziose testimonianze se conservano contratti di tipografia» (p. 4), ma anche gli archivi storici delle biblioteche che custodiscono edizioni del XV secolo («archivi che devono esser percorsi con grande acribia per ricavare un quadro degli acquisti, degli scambi, delle vendite», p. XIII). E dagli archivi vengono i documenti, oltre che per puntellare l’ipotesi di attribuzione a Bondeno del frammento Parson-Scheide, necessari a ripensare le origini della stampa a Milano (Il problema dei primordi nella stampa a Milano… e non solo) e a ricostruire con più precisione le vicende dei primi anni della tipografia romana (Abbozzo per la redazione di una sequenza cronologica delle tipografie e delle edizioni romane degli Han e di Riessinger negli anni tra 1466 e 1470). Sempre però associati a uno studio bibliologico dei caratteri, non più soltanto, in senso haebleriano, dei singoli tipi, ma delle casse tipografiche «e del loro stato, del loro “vivere” e del loro lento modificarsi» (p. XIII), così come offerto dall’analisi dei caratteri di Han e Riessinger (p. 82).
La terza sezione del volume, numericamente la più corposa, raccoglie una serie di interventi su Aldo Manuzio, altro tema caro a Scapecchi. Sono contributi spesso suggeriti dalle celebrazioni manuziane e dunque ‘distillati’ negli anni, ma che qui raccolti per la prima volta, e affiancati, forniscono un quadro più coerente, che permette al lettore di scorrere con maggiore agio il filo del discorso e coglierne anche i legami sottesi. Si va dagli aspetti ancora oscuri sulla giovinezza di Aldo (a cominciare dall’anno di nascita e «lo svolgersi della sua prima formazione scolastica», p. 109), alle prime testimonianze sulle sue attività a Carpi attraverso una più attenta lettura di una lettera di Manuele Atramytteno, fino all’attività editoriale a Venezia, indagata sia negli aspetti tipografici che in quelli economico-commerciali nel denso saggio Aldo Manuzio dagli inizi al nuovo secolo. Il focus si sposta poi con maggiore attenzione su due casi specifici: l’unicum offerto dal progetto di stampa della Bibbia poliglotta – «snodo fondamentale degli studi che aprirono la strada alle grandi edizioni poliglotte del XVI secolo» – e le questioni, per Scapecchi ancora aperte, sollevate dall’autore dell’Hypnerothomachia Poliphili e i «rapporti interpersonali che Manuzio tesseva nella sua tipografia e nel più vasto mondo degli studiosi suoi contemporanei» (p. 185).
La quarta e ultima sezione del volume è occupata da un unicum: il saggio dedicato alla storia e allo sviluppo, ricostruito attraverso le fonti archivistico-bibliografiche, della biblioteca dell’eremo di Camaldoli (Inscriptus catalogo S. Eremi Camalduli: una biblioteca, una storia: Camaldoli, secc. XVI-XIX). Un lungo percorso dall’inventario del 1406 alle soppressioni postunitarie che ancora una volta certifica, oltre che il metodo di indagine dello studioso Piero Scapecchi, le fraterne amicizie che lo legano ai libri e ai luoghi.
Giancarlo Petrella
Università degli studi di Napoli “Federico II”
Ogni raccolta libraria è testimone di un percorso di vita, dell’intersecarsi di passioni, di curiosità, di variegate necessità di studio o di lavoro. E dell’incessante rincorrersi del caso o magari della volontà di soddisfare un desiderio di possesso. Di ore trascorse a computare cataloghi o a visitare librerie. Ma anche dell’incontro di vite, del passaggio delle generazioni, di percorsi individuali e familiari che devono fare i conti con la cronaca e a volte anche con la storia. E non solo con i destini dei singoli, ma anche con i luoghi del mondo dove può capitare di doversi trasferire. Così ogni biblioteca personale, non diversamente dalle altre, ci appare come un organismo vivente, un microcosmo affascinante che racconta e si lascia raccontare, perché ogni libro che la compone ha una sua storia che non finisce nel momento in cui il volume entra a far parte della raccolta, ma prosegue tra le mani di diversi lettori che possono personalizzarlo con un ex libris o con una nota di possesso, magari aggiungendo la sua a quella di un precedente proprietario, in una sorta di moto che trasforma una biblioteca, che si direbbe statica e immobile, in una sorta di moto ondoso di emozioni e di rimandi, inducendoci a ricercare i sentieri da percorrere per scoprirne l’identità nascosta.
Giovanna Grifoni ha voluto seguire questo rumore di fondo che proveniva da una raccolta donata alla Facoltà di Lettere e filosofia dell’Università degli studi di Firenze nel 1930 da Caroline Wight Morelli e appartenuta a un alquanto misterioso avvocato spagnolo, Ambrosio Fernandez Merino, che aveva raccolto oltre cinquemila volumi tra cui non mancavano degli esemplari di pregio. Una collezione composita in cui però non predominavano, come ci si sarebbe aspettati, i libri di diritto, e che è appartenuta a un personaggio poco conosciuto, il cui profilo intellettuale appariva avvolto nella nebbia del passato.
Ma i libri non sono muti: possono parlare della loro storia pregressa, ad esempio, attraverso le note di possesso. Molti dei volumi del fondo Merino risultavano infatti essere appartenuti a un miliardario del tabacco franco-americano, George Lorillard, e da un conte ispano-messico-romano, Diego Fernando de Agreda. Dato curioso se non fosse che costoro erano stati il secondo e il terzo marito di Marie Louise La Farge (1843-1899), la madre della donatrice della biblioteca. Grazie a questo indizio l’autrice ha potuto ripercorrere il ‘filo di Arianna’ di una matassa che l’ha portata a ricostruire la vita di questa donna benestante, di origini francesi, ma nata in America e sorella del pittore John La Farge, approdata in Europa dopo il divorzio dal primo marito, girovagando per varie capitali, tra cui anche Roma, e che infine decise di stabilirsi a Firenze assieme alle due figlie. Una di queste, Caroline, sposò Gregorio Umberto Morelli e, dopo la morte del marito, convisse con Ambrósio Fernández Merino, scomparso nel 1922. Qualche anno dopo, in base alle volontà della madre, Caroline, che era nata dal primo matrimonio di Marie Louise con Edward Wight, donò all’Università di Firenze «la biblioteca che si trovava nell’abitazione fiorentina assieme ai maestosi arredi che l’avevano ospitata e, qualche anno più tardi, al manoscritto inedito, frutto delle ricerche sulla lingua dei gitani intraprese nell’arco di molti anni da Merino. Lo scopo era onorare la memoria dello studioso spagnolo nell’ambito di quel contesto accademico dove erano sorte e si erano radicate alcune delle sue amicizie più importanti, e nel quale le diverse cattedre d’insegnamento linguistico, di recente conio nell’Ateneo fiorentino, avrebbero potuto trarre vantaggio da così tanti volumi in edizioni straniere» (p. 9).
Anche grazie alla consultazione della stampa dell’epoca, Giovanna Grifoni ricostruisce nei dettagli il percorso biografico di Marie Louise La Farge: una donna sempre al centro della vita mondana e, quindi, di quell’attenzione un po’ morbosa che circondava la vita delle persone in vista in quello che si definiva ‘il bel mondo’, restituendoci il sapore e il colore di un periodo storico così particolare come la seconda metà dell’Ottocento. Se ne deduce anche che, al di là degli interessi di studio alimentati anche dalla passione bibliofila di Merino, ultimo custode e alimentatore della raccolta, la costituzione di una ricca biblioteca familiare fosse comunque un tratto distintivo di un certo ambiente. E anche se il libro è in gran parte dedicato alla ricostruzione storica non priva di risvolti romanzeschi delle vicende biografiche della La Farge, nel capitolo dal titolo Una raccolta di libri: autobiografia involontaria vengono forniti alcuni dati sul fondo Merino accompagnati da una descrizione dei volumi più pregiati della biblioteca che ci consente di apprezzarne il valore anche da un punto di vista bibliografico.
Molto opportunamente nelle Conclusioni si sottolinea come questo lavoro «s’inserisce nel quadro degli studi sulla storia delle biblioteche private e nello specifico delle raccolte di persona. Ma l’esame dei documenti fisici, la ricognizione del patrimonio, l’osservazione delle relazioni tra libri e carte d’archivio, il reperimento della documentazione originale, l’insieme cioè delle esplorazioni che costituiscono la consueta metodologia d’avvio di tali studi, sono stati anche l’incipit per un percorso di ricerca che altrimenti, forse, non sarebbe mai stato possibile intraprendere, oltreché lo spunto per riflettere sulle diverse questioni che questa particolare tipologia di raccolte solleva nella pratica e nella teoria della loro gestione» (p. 155). Viene, altresì, ricordato l’intenso lavoro svolto dalla Commissione nazionale biblioteche speciali, archivi e biblioteche d’autore dell’AIB per arrivare a definire ambiti teorici e pratici in cui inscrivere questa particolare tipologia di raccolte librarie che possono testimoniare sia gli interessi specifici di studio sia il più vasto ambito culturale in cui si muove l’artefice di una biblioteca personale, che spesso è peraltro il frutto di diverse stratificazioni familiari.
Rifacendosi alla definizione di ‘fondi personali’ elaborata nelle Linee guida sul trattamento dei fondi personali a cura della Commissione dell’AIB: «Per fondi personali si intendono complessi organici di materiali editi e/o inediti raccolti e/o prodotti da persone significative del mondo della cultura, delle professioni e delle arti prevalentemente dalla seconda metà del XIX secolo in poi», Grifoni sottolinea come il fondo Merino si situi in una terra di mezzo in cui non si può parlare di vera e propria biblioteca d’autore. Rileva però anche che, nel caso di specie, essendo il confine molto labile, non vi è dubbio che anche per una raccolta del genere risulti necessario, sia dal punto di vista catalografico sia da quello della conservazione, mettere in atto tutte le raccomandazioni che si applicano alle biblioteche d’autore in senso stretto. Lo scopo rimane quello di poter ascoltare appieno la voce di questi libri, che ci raccontano la storia di chi li ha posseduti e sono testimoni viventi di un passato che è sempre affascinante poter ricostruire e di un presente che richiede che vengano adeguatamente conservati e valorizzati.
Gabriele Mazzitelli
Biblioteca Area biomedica “Paolo M. Fasella”, Università degli studi di Roma Tor Vergata
Lo sguardo dell’archeologo: Calvino mai visto è il titolo dell’interessante catalogo pubblicato in occasione dell’omonima mostra, inaugurata nelle sale della Biblioteca nazionale centrale di Roma per il centenario della nascita di Italo Calvino. Lo stesso titolo suggerisce un punto di vista inconsueto e al contempo intrigante – descritto dallo stesso Calvino nel saggio che dà il nome all’esposizione – quello dell'archeologo, il quale descrive «pezzo per pezzo anche e soprattutto ciò che non riesce a finalizzare in una storia o in un uso, a ricostruire in una continuità o in un tutto» (p. 35). Così la rassegna, curata magistralmente da Eleonora Cardinale, traccia con brevi ed eleganti tratti la figura dello scrittore in chiave inedita, che si compone agli occhi del visitatore lentamente, tassello dopo tassello, attraverso la sobria ma puntualissima descrizione di oggetti privati, documenti e libri esposti al pubblico per la prima volta. Considerevole anche la contestualizzazione, ottenuta anche attraverso pannelli esplicativi lineari nella forma e nel contenuto, da cui traspare il rigore della ricerca scientifica sottesa.
Il volume si apre con la prefazione di Giovanna Calvino, figlia di Italo, che rivela le emozioni provate varcando per la prima volta la soglia della Sala Italo Calvino, trasposizione perfetta del salone-studio della casa di piazza in Campo Marzio all’interno della Biblioteca nazionale centrale di Roma. Giovanna definisce la mostra «uno scrigno riempito di piccoli tesori» (p. 7) e afferma che grazie a tale iniziativa essa stessa ha avuto modo di scoprire oggetti eccezionali di cui ignorava l’esistenza.
Segue l’introduzione del direttore Stefano Campagnolo, il quale pone l’accento sulla missione della BNCR, che intende «trasformare tale straordinario tesoro in uno strumento vivo di conoscenza, sia delle opere, sia del loro autore» (p. 9). Testimonianza di questo impegno è l’ampliamento della collezione calviniana tramite le recenti acquisizioni, dai dischi del Cantacronache ad alcune cartelle dattiloscritte di testi inediti.
Nel suo saggio, Andrea De Pasquale restituisce la memoria della ricomposizione delle biblioteche dello scrittore, partendo dalla genesi della raccolta che è la «rappresentazione della sua nuova visione del mondo e la cristallizzazione del suo stato delle conoscenze» (p. 17), frutto di una complessa sintesi e di un importante sforzo concettuale. La proposta di allestire una sala dedicata, ricostruita con rigore filologico, e la centralità della Nazionale romana nella conservazione della letteratura contemporanea italiana hanno persuaso gli eredi di Calvino a individuarla come sede più appropriata.
Segue il nucleo centrale del catalogo, costituito dalla minuziosa illustrazione del percorso espositivo, che prende inizio nella Sala mostre, in cui, da ognuno dei sette oggetti selezionati dalla curatrice, ha inizio un racconto inedito che si intreccia con storie note e si dipana lungo tutto l’arco della vita di Calvino.
Gli album fotografici di famiglia aprono la narrazione degli anni giovanili, mentre due cartucce sparate dalle camicie nere caratterizzano la seconda tappa, insieme all’esemplare con dedica de Il sentiero dei nidi di ragno: «Ai miei genitori, la prossima volta farò meglio. Italo, Torino ottobre 47»; la terza stazione, inaugurata dalla litografia del Noble Cavalier di Calder, si concentra sulla trilogia de I nostri antenati. I dischi di Cantacronache aprono il quarto settore, prima di arrivare ai tarocchi da cui nasce Il castello dei destini incrociati, a cui seguono testi inediti di carattere politico e la tessera del partito comunista. La ‘statuetta dell’osservatore’ introduce all’ultima sezione dedicata principalmente a Palomar. La prima parte del percorso espositivo si conclude con la proiezione di inediti filmati che ritraggono Italo bambino.
La mostra prosegue in un secondo ambiente, all'interno di Spazi900, dove sono esposti «i libri degli altri» (p. 117), cioè le pubblicazioni con dedica inviate da altri autori a Calvino, arricchite da un suo ritratto a opera di Carlo Levi.
Dal cortile esterno della biblioteca si passa poi alla galleria centrale, dove è ospitata la sezione dedicata a Marcovaldo, con le tavole originali di Sergio Tofano, affiancate ad alcuni ritratti fotografici dello scrittore. Sulle pareti a vetro spiccano alcune citazioni calviniane, che accompagnano il visitatore fino alla iconica Sala Italo Calvino. Qui la libreria bianca a undici colonne, punto focale dell’ambiente, fa da sfondo allo spazio di vita e scrittura di Calvino, con la Lettera 22 verde adagiata su un tavolo di cristallo. Ogni oggetto, dunque, dialoga liberamente con l’ambiente in cui è immerso e con gli altri manufatti, che spesso assurgono quasi a categorie concettuali, suggerendo legami, percorsi e classificazioni.
Il catalogo, essenziale nella veste editoriale e di grande qualità nei contenuti, è concepito primariamente come una guida puntuale del percorso espositivo; d’altra parte, esso si attesta come significativo strumento di approfondimento della figura di Calvino, perché dagli oggetti esposti si dipanano storie inedite e nessi inaspettati, da cui nasceranno nuovi percorsi di ricerca. Inoltre il volume ha grande valore per i professionisti impegnati nelle attività di valorizzazione dei beni culturali e nello studio delle biblioteche d’autore, presentando un eccellente caso di studio a cui ispirarsi per analoghe iniziative.
Alessandra Boccone
Sistema bibliotecario di ateneo dell'Università degli studi di Salerno
La distribuzione del libro è un articolato complesso di attività che per essere compreso richiede un notevole lavoro di raccolta di dati e analisi, nonché uno sguardo ampio su tutto il sistema editoriale. Con questo volume Elena Ranfa presenta un quadro generale del processo distributivo del libro cartaceo e digitale, illustrandone le principali caratteristiche e criticità e contestualizzando il suo ruolo in uno scenario in trasformazione che vede concentrazioni orizzontali e verticali, molteplici tipologie di contenuto, media e piattaforme, e una evoluzione delle dinamiche di fruizione da parte dei pubblici.
Nella prima parte del volume l’autrice propone un’introduzione dedicata alle duplici dimensioni del libro: bene comune tra pubblico e privato, di consumo e d'investimento, con una vita fisica e una intellettuale, all’interno di un «ciclo produttivo influenzato da una moltitudine variegata di agenti esterni» (p. 24). Inoltre presenta alcuni modelli che descrivono il circuito del libro e il suo ciclo di vita. Da ciò emerge non solo la complessità del prodotto, ma anche quella del sistema editoriale e dei suoi processi articolati che, solo in maniera semplicistica e fuorviante, possono essere rappresentati in maniera lineare (dalla scrittura alla lettura passando per l’attività di redazione, stampa e vendita).
Erroneamente si può pensare che la distribuzione riguardi solo l’attività di movimentazione dei libri. Piuttosto Ranfa illustra questo processo distinguendo tre momenti-attività chiave: promozione, distribuzione, logistica.
Della promozione si occupano gli agenti e i promotori che sono a contatto con le librerie e seguono aspetti relativi alla comunicazione, agli ordini, alla scontistica e ai pagamenti.
La distribuzione riguarda invece le attività amministrative connesse al trasferimento del libro dall'editore al punto vendita, e la comunicazione di informazioni editoriali e gestionali sulla diffusione delle copie e la loro vendita. Il distributore quindi svolge una funzione di «raccordo e connessione tra diversi attori della filiera (editore, promotore, libreria), e lo fa attraverso una serie di eterogenee attività» (p. 51). In Italia la principale azienda che si occupa di distribuzione è Messaggerie libri (distribuisce più di seicento marchi editoriali); ci sono poi gruppi che hanno una distribuzione propria, come Mondadori e Giunti.
La logistica, il terzo momento del processo, consiste nella movimentazione dei prodotti fisici: l’obiettivo è far arrivare i volumi nei punti vendita in maniera rapida ed efficiente, puntando su affidabilità e capillarità del servizio.
Negli ultimi decenni il processo distributivo del libro è stato oggetto di digitalizzazione in molteplici aspetti gestionali e operativi, al fine di migliorare la qualità del servizio e la soddisfazione dei vari attori della filiera.
Nonostante le trasformazioni in corso, il sistema editoriale convive da tempo con alcune criticità. Una di queste è il disequilibrio tra i bassi margini di ricavo sul prezzo del libro e il notevole e articolato lavoro necessario da parte dei vari professionisti impegnati in ogni fase della produzione, della distribuzione e della vendita. Un’altra criticità rilevante riguarda quello che Ranfa definisce ‘illusione del sell-in’ e le problematiche connesse alle rese. Il rapporto tra sell-in (libri entrati nei punti vendita) e sell-out (libri effettivamente venduti) nasconde infatti rischi di valutazione economica che possono pregiudicare la capacità di investimento dell’editore in futuri progetti editoriali. Le ‘rese’ – ovvero i libri invenduti che vengono restituiti, almeno momentaneamente – rischiano di pesare fortemente sull’editore, ma nello stesso tempo servono per alimentare la circolazione dei titoli e permettono alle librerie di avere una rotazione sostenibile di volumi e nuovi arrivi. Come evidenziato dall’autrice, «la resa gioca un ruolo importante nel sistema editoriale e una valutazione e analisi attenta del suo peso può essere lo specchio di un successo (o insuccesso) di un titolo, ma soprattutto delle capacità e dell’efficienza degli attori coinvolti nella filiera» (p. 123). Entrambe le criticità evidenziate sono particolarmente significative soprattutto per le piccole e medie imprese indipendenti del settore.
Un'apparente soluzione può essere il print on demand (POD), ovvero la stampa su richiesta, che però, nonostante il ruolo strategico nell’editoria contemporanea, è una pratica ottimale solo per titoli che hanno una domanda limitata o per i quali non è prevista una ristampa, mentre per le alte tirature resta conveniente la stampa offset.
Soprattutto negli ultimi quindici anni circa è inoltre evoluto il processo distributivo dei libri digitali, dove il ruolo centrale è quello del distributore-piattaforma che connette l’editore con i vari siti di vendita online e le altre piattaforme. La logistica non esiste più, il confine tra promozione e distribuzione è diventato più labile e sono centrali le attività di ottimizzazione dei metadati, gestione dei DRM (digital rights management), amministrazione dei pagamenti e rendicontazione da vari rivenditori, produzione di analisi statistiche. Ovviamente le problematiche relative alle rese non esistono per i libri digitali.
Un tema forse non abbastanza evidenziato, ma che emerge dalla trattazione, è l’importanza delle piattaforme all’interno del processo distributivo. La loro evoluzione rapida e continua è connessa alle forme di commercio, accesso e fruizione dei contenuti digitali, e forse il loro ruolo e impatto non sono ancora stati pienamente studiati e compresi. Inoltre, bisogna considerare che ciò non riguarda solo i contenuti digitali: la stessa Amazon si occupa anche di distribuzione del libro a stampa alle librerie (e viene da chiedersi quale sia oggi il ruolo di questa azienda nel mondo editoriale e quale la percezione che ne hanno i vari attori della filiera).
L’ultima parte del volume è dedicata alle sfide affrontate dall’editoria durante la recente pandemia, la notevole crescita del mercato degli audiolibri e il selfpublishing (un fenomeno complesso e spesso ridotto a forme di vanity press). Al di là delle questioni specifiche, la grande ambizione è rappresentata dalla sostenibilità in un contesto in trasformazione, nel quale è importante sviluppare la capacità di «osservare e ripensare, alla luce dei cambiamenti in atto, tutte le fasi che compongono la vita del prodotto editoriale, compreso il processo distributivo» (pag. 127) in sinergia con gli attori, anche nuovi, che fanno parte della filiera e sono necessariamente in relazione tra di loro. Quindi per studiare i complessi meccanismi legati al libro e alla lettura e per sviluppare strategie e sinergie è necessario adottare un approccio sistemico.
Inoltre sostenibilità e visione sistemica sono fondamentali per un ecosistema editoriale che non penalizzi le realtà medio-piccole del settore, come case editrici e librerie, importanti per bibliodiversità e presenza sul territorio. Un indebolimento della loro forza imprenditoriale e della loro attività è dannoso per il mercato librario, per i lettori e, in generale, per il settore culturale.
Fabio Mercanti
Sapienza Università di Roma
Il volume raccoglie i contributi presentati nel corso della giornata di studi dedicata alla memoria di Sabina Magrini svoltasi il 16 novembre 2022 presso la Biblioteca nazionale centrale di Firenze, a sei mesi dalla sua morte improvvisa. Luca Bellingeri, direttore della biblioteca dal 2015 al 2023, nell’introduzione dal titolo I motivi di una scelta fa riferimento all’organizzazione della giornata in ricordo, ripercorrendo i rapporti personali instauratisi in occasione di incontri professionali, sottolineando la stima crescente da essi derivata, fino all’auspicato passaggio di consegne alla direzione della prestigiosa istituzione.
Nella prima sezione, dedicata alla formazione della studiosa, Stefano Zamponi insiste sulla volontà di Magrini di coniugare gli impegni professionali con la ricerca, sempre di alto profilo, unendo interessi umanistici e competenze digitali (si ricordano il percorso virtuale della mostra “Coluccio Salutati e l’invenzione dell’Umanesimo” e l’impegno per il rinnovamento del sito dell’Ente nazionale Boccaccio). Marco Palma sottolinea poi la sua grande capacità di lavorare in squadra, sviluppata fin dagli anni della Scuola di specializzazione per conservatori di beni archivistici e librari della civiltà monastica (poi medievale) dell’Università di Cassino: si menzionano i diversi lavori collettivi usciti da quell’esperienza per concludere con i ventun anni di partecipazione all’impresa della Bibliografia dei manoscritti in scrittura beneventana (Viella, 1993). Altra ricerca collettiva, in seno alla quale in età giovanissima Magrini si è formata, è delineata da Marina Passalacqua che illustra alcune possibili indagini generate dal progetto Codici Boethiani, cui partecipò negli anni di formazione universitaria. Infine il contributo di Augusto Guida si concentra sul suo ruolo nel progetto europeo Rinascimento virtuale - Digitale Palimpsestforschung (2002-2004).
Nella seconda parte del volume, dedicata a Magrini bibliotecaria e dirigente, i colleghi sottolineano le qualità e i risultati del suo impegno professionale: per la Biblioteca Medicea Laurenziana interviene Franca Arduini, direttrice al suo arrivo, e per la Biblioteca Palatina di Parma (2012-2015) Grazia Maria De Rubeis; Carla di Francesco ricorda la sua attività come segretaria regionale per l’Emilia Romagna e Pietro Cavallari i diciannove mesi della direzione dell’ICBSA; infine, Lorenzo Valgimogli ripercorre le tappe presso la Soprintendenza archivistica e bibliografica della Toscana, mentre Michele Di Sivo ne ricorda il passaggio alla direzione all’Archivio di Stato di Firenze, in merito al quale Simone Sartini sottolinea le difficoltà affrontate dall’istituto, e dunque dalla sua direttrice, durante il periodo della pandemia.
Nella sezione finale del volume (I frutti della ricerca) trova spazio un contributo originale di Beatrice Alai intitolato Un cielo stellato per Sabina: frammenti di una misconosciuta Bibbia umbro-romana duecentesca, che prende le mosse dagli studi di Magrini sulla produzione dei manoscritti delle Bibbie.
Chiude infine il volume una postfazione a cura di Paola Passarelli a nome del Ministero della cultura, ove si ricorda l’eclettismo e la passione ‘famelica’ che hanno condotto la studiosa e bibliotecaria a promuovere progetti di grande rilevanza e attualità.
La raccolta dei contributi è corredata da una bibliografia dei lavori di Sabina Magrini e da tre indici (dei nomi, dei luoghi e delle testimonianze manoscritte), merito del curatore David Speranzi che, nella breve premessa, dà conto del felice titolo scelto per il volume, perfettamente corrispondente agli interessi della ricercatrice, bibliotecaria e dirigente. Dalle parole spese sulla sua vicenda umana e professionale emergono alcune qualità concordemente riconosciutele e in qualche modo destinate a diventarne l’eredità: senso di responsabilità, impegno (e coraggio) diretto, propensione al lavoro di squadra, vocazione internazionale e accessibilità ai risultati.
Martina Pantarotto
Università eCampus