Franco Neri
Questo contributo trae origine dal confluire di studi e ricerche degli ultimi sette-otto anni, e dalla felice opportunità di proporne alcuni elementi al XXII workshop di Teca del Mediterraneo (Bari, 26 maggio 2022) che ha avuto come titolo tematico: “Oltre la soglia: biblioteche per la conoscenza, biblioteche per la comunità”.
Soglia: parola impegnativa, quasi dura. I suoi significati ruotano da un lato su ciò che la precede: le barriere, le discriminazioni, le diseguaglianze e i dislivelli di opportunità e saperi che perpetuano squilibri e assenza di giustizia sociale; dall’altro su uno sviluppo non competitivo dei talenti, sulla condivisione delle capacità e delle competenze. Quindi su ciò che si situa, come risultato di processi non lineari, oltre la soglia.
Come ha detto Martha Nussbaum nella sua riflessione sulle capacità, queste, e in particolare le capacità centrali, «sono la risposta alla domanda: cos’è in grado di fare e di essere questa persona?», poiché «ogni persona è fine, si devono produrre capacità per ognuno»1.
In questo contributo ascolteremo, anzitutto, alcune voci: Tagore in What makes a library big (1928), Ranganathan in Le cinque leggi della biblioteconomia nella prima edizione (1931)[2]; Don Lorenzo Milani in un poco noto scritto del 1956, in una ideale mixité con altri autori temporalmente più vicini. Queste voci non sono da intendersi isolatamente. La loro forza discende dalla partecipazione, etica ed intellettuale, alle esperienze altrui. La loro contemporaneità non sta in una dimensione anagrafica, ma nell’impegno della loro ricerca e nella radicalità della loro interrogazione.
Chi scrive ritiene che sia sempre più necessaria una rilettura delle Cinque leggi della biblioteconomia nella prima edizione del 1931 che ne faccia emergere la densa e molteplice intertestualità. Dai punti di intersezione fra le tre epigrafi citazionali in premessa, le tre distinte formulazioni nei capitoli 2-4 della seconda legge unitamente ai dialoghi scenici che ne illustrano le implicazioni, e la presenza nella struttura testuale del capitolo settimo, dedicato alla quinta legge, di una poco nota opera di H. G. Wells, Men like gods3, risalta con tutta evidenza quale tratto peculiare delle cinque leggi una potente visione di futuro, del tutto inascrivibile alla corrente precettistica interpretazione del mainstream.
La connessione delle Leggi con il Library Movementnon è un dato di contesto sociologico o culturale. Il tema, pervasivo in tutto il testo, ha una particolare densità di trattamento nei capitoli 2-3. Ranganathan descrive e interpreta il passaggio, la cesura dalle ‘vecchie’ leggi alle ‘nuove’. Queste ultime sono principi valoriali unificanti le esperienze storiche e sociali del Library movement su scala mondiale. Esse interpretano e traducono un processo complessivo, per quanto diversificato, e nel loro significato profondo e duraturo realizzano una funzione anticipatoria. Intervengono sul presente e anticipano il futuro proprio in quanto leggono dentro i ‘segni dei tempi’.
Il passaggio da una legge all’altra (Books are for preservation vs Books are for use: Legge 1; Books are for (chosen) few vs Books are for all: Legge 2, nella formulazione iniziale del capitolo 2) esprime una trasformazione radicale nella percezione sociale delle finalità e delle modalità di fruizione e organizzazione del servizio bibliotecario.
Una biblioteca fondata sulle leggi Books are for preservation/Books are for (chosen) few conosce solo due tempi (passato/futuro), ma di fatto elimina il futuro stesso in quanto relegato in un inconoscibile orizzonte remoto. Una biblioteca fondata sulla connessione di due leggi (Books are for use/Books are for all) pratica l’interconnessione quotidiana dei tre tempi (passato/presente/futuro).
In questa trama di presenze del Library movement vi è una correlazione in larga parte ancora inesplorata con la concezione tagoriana di educazione e di biblioteca, l’influenza del pensiero pedagogico di John Dewey sul ruolo dell’educazione nella rigenerazione delle comunità, e l’eredità trascendentalistica di Ralph Waldo Emerson e Henry Thoreau. Al fondo l’idea del sapere e dell’apprendimento come beni comuni che strutturano e costruiscono comunità non localistiche.
È il tema di fondo di due scritti poco noti di Don Milani: Lettera dalla montagna (1955) e in particolare Giovani di montagna, giovani di città (1956), entrambi del primo periodo barbianese.
Se nel primo il tema era il diritto all’acqua in quanto bene comune, il secondo4 è uno dei testi fondanti la pedagogia milaniana.
Io sono sicuro che la differenza fra il mio figliolo e il vostro non è nella quantità né nella qualità del tesoro chiuso dentro la mente e il cuore, ma in qualcosa che è sulla soglia fra il dentro e il fuori, anzi è la soglia stessa: la Parola. I tesori dei vostri figlioli si espandono liberamente da quella finestra spalancata. I tesori dei miei sono murati dentro e per sempre isteriliti. Ciò che manca ai miei è dunque solo questo: il dominio sulla Parola. Sulla parola altrui per afferrarne l’intima essenza e i confini precisi, sulla propria perché esprima senza sforzo e senza tradire le infinite ricchezze che la mente racchiude5.
Nella scrittura del priore di Barbiana ‘parola’ è prevalentemente maiuscolizzata: a volte, come in questo testo, maiuscolo e minuscolo si alternano in maniera non casuale. Parola, con la maiuscola, esprime la dimensione creatrice del linguaggio e la capacità creatrice di individualità e di gruppi/comunità.
La Parola è la presa in carico sia dell’alterità di chi è diverso da noi, che di quell’altro interno a noi stessi spesso sconosciuto o inespresso in quanto non riusciamo a dargli voce. È la rivendicazione di un incontro necessario fra gli alfabeti formali dei saperi e gli alfabeti dei saperi di vita.
Anni dopo uno dei temi fondanti la Lettera ai giudici (1965), l’intima connotazione e responsabilità di futuro della scuola, come contrapposta ad un’aula di giustizia, si legano ad una visione del sapere e della conoscenza come condizioni della sovranità. E successivamente in Lettera a una professoressa:
Siamo sovrani. Non è più il tempo delle elemosine, ma delle scelte [...] Perché è solo la lingua che fa eguali. Eguale è chi sa esprimersi e intende l’espressione altrui […]. Tentiamo invece di educare i ragazzi a più ambizione. Diventare sovrani!6
È l’affermazione della necessità di un ‘sapere sociale’, bene comune da reinventare costantemente proprio in quanto oggetto di conoscenza e condivisione.
Una intuizione profonda che ha influenzato esperienze e prassi pedagogiche diversificate, sia italiane che straniere, e che aveva colpito, per esempio, personalità come De Mauro in Italia, Freire in America Latina e Jerome Bruner negli Stati Uniti.
Rabindranath Tagore era all’epoca l’intellettuale e scrittore indiano più noto in Occidente, in particolare dopo l’assegnazione nel 1913 del Nobel per la Letteratura. Il tema dell’educazione, centrale nella sua ricerca sin dal primo scritto del 18927, si accentua dopo la fondazione nel 1901 di una scuola a Santiniketan, vicino a Bolpur: scuola che diventerà nel 1921 la Visva Bharati University8. Fra il 1906 e il 1916 sono pubblicati due rilevanti saggi, Siksa-Samasy (The problem of education)9 e My school. My school10 è il titolo di una conferenza tenuta nel 1916 da Tagore in occasione del suo secondo viaggio negli Stati Uniti. Egli vi affronta uno dei temi centrali della sua riflessione pedagogica, l’educazione all’empatia:
We may become powerful by knowledge, but we attain fullness by simpathy. The highest education is that which does not merely give us information but makes our life in harmony with all existence. But we find that this education of sympathy is not only systematically ignored in school, but it is severely repressed11.
La conoscenza e l’empatia sono indissolubilmente connessi a processi di apprendimento attivi che, se esaltano la relazione maestro/allievo (e l’altezza spirituale del maestro, nella più autentica tradizione indiana), celebrano il valore della libertà continuamente riscoperta nel dialogo fra il soggetto e l’ambiente che lo circonda (umano e naturale). Come non rilevare da un lato una profonda connessione con le più durature premesse teoriche di John Dewey12, e dall’altro nel tema dell’empatia (sympathy) una possibile forte ascendenza, spirituale e intellettuale, sulla complessa visione umanistica del servizio nell’opera di Ranganathan?
Non abbiamo evidenza di una diretta personale conoscenza fra Dewey e Tagore13, ma dagli scritti pedagogici di Tagore a partire dal 1906, in particolare quando l’esperienza della scuola di Santiniketan diviene oggetto di confronto e studio anche da parte di pedagogisti stranieri, si individuano tracce significative di The school and society (1899) e del successivo Democracy and education (1916). William Kilpatrick (1871-1965)14, collega di Dewey alla Columbia University, nel 1926 visita a lungo la scuola di Santiniketan che ha già avviato la trasformazione in Visva Bharati University.
Una delle peculiarità della scuola tagoriana è l’educazione all’arte15 e il ruolo dei libri e della biblioteca. I libri vi sono centrali: sostengono e arricchiscono il percorso didattico e la vita tutta di quella specifica comunità, essi creano comunità. A questo orizzonte esplicitamente fa riferimento Ranganathan quando scrive:
In addition, they [library staff] must have personality, tact, enthusiasm and sympathy […]. The librarian should be ‘friend, philosopher and guide’ to everyone who comes to use the library. It is such sympathetic personal service and ‘such hospitality that makes a library big, not its size’, as the Poet Rabindranath Tagore puts it16.
Un bibliotecario ‘compagno di viaggio’ del lettore, secondo l’affascinante successiva metafora contenuta in Reference service, non presuppone forse l’educazione e la coltivazione quotidiana dell’empatia come stile a un tempo rispettoso e partecipe dei saperi del lettore? È una prospettiva tutta da approfondire, sia per quanto riguarda le correlazioni con la lezione tagoriana che per la centralità della dimensione educativa, nel suo evolversi, in Ranganathan.
Nel mese di dicembre 1928 si svolge a New Dehli la All India Library Conference, con prolusione di Tagore dal titolo “What makes a library big”. Il risalto del contributo portò alla sua pubblicazione in più sedi: prima nella rivista tagoriana Visva-Bharati Quarterly con il titolo The function of a library17 con l’eliminazione dell’ampio paragrafo iniziale (probabilmente per la sua connotazione troppo introduttiva a un evento specifico), poi nell’Indian library journal.
La prolusione di Tagore venne pubblicata sempre nel 1929 come primo saggio del volume collettaneo The library movement: a collection by diverse hands18, un testo rilevante per la storia del movimento bibliotecario indiano. La ricchezza dei temi trattati nei cinquantadue brevi saggi stupisce ancora oggi: il rapporto fra ruolo della biblioteca e processi di nation building; la cultura popolare; le biblioteche rurali e la lotta contro l’analfabetismo; scuola e biblioteca; la battaglia contro l’ignoranza; libri, lettura e vita. Ranganathan vi è presente con due contributi, significativi per gli argomenti scelti e per l’approccio comparativista: Rural library service in the West19, A typical municipal library of the West20.
Una novità nella organizzazione testuale di larga parte dei saggi (34 su 52) è la presenza, alla fine del contributo, di una breve citazione da autori classici o rilevanti nella cultura occidentale: dal tardo-medioevale Richard de Bury21 al vittoriano Michael Ernest Sadler22, storico e pedagogista, a Bacone, Samuel Johnson, Voltaire. Fra gli autori nordamericani, Ralph Waldo Emerson con una citazione dal saggio Books23:
The colleges, whilst they provide us with libraries, furnish no professor of books; and, I think, no chair is more wanted. In a library we are surrounded by many hundreds of dear friends, but they are imprisoned by an enchanter in these paper and leather boxes.
È ancora largamente da studiare la presenza delle ascendenze intellettuali ed etiche del trascendentalismo americano (Emerson, Thoreau) in Ranganathan e in genere nella cultura indiana del periodo. Il tema antico del libro ‘amico’ è qui messo in relazione con la sua ‘prigionia’: il libro, ‘soggetto’ vivo, incatenato in attesa di liberazione e riconoscimento da parte del lettore. Come non pensare ai libri incatenati del capitolo primo delle Cinque leggi e al bibliotecario di Ranganathan e Tagore, mediatore attivo e partecipe dell’incontro fra lettore e libri? Come non pensare che il bibliotecario sia, in quanto naturalmente portatore (come gli insegnanti) di una funzione educativa, professore del libro? Nella grande cultura indiana dell’epoca, mediata dal filtro di testi fondanti, la figura dell’insegnante non è quella del docente: è quella del maestro. È una funzione di altissimo servizio: non è trasmissione del sapere, è conquista del sapere interiore attraverso la conoscenza.
Fra i saggi presenti in The library movement quello di Tagore riveste dunque l’interesse maggiore.
Il primo paragrafo pone una premessa etica: l’ingordigia, il desiderio di accumulazione come uno dei principali nemici interni dell’uomo, l’ossessione quantitativa incarnata nell’ossessione del numero. In tale prospettiva la grandezza di una biblioteca viene spesso misurata dall’entità della collezione, anche quando larga parte di essa non entra nel circuito della fruizione. Tagore distingue fra utilità (usefulness) e valore/senso (significance). Una certa utilità della collezione/servizio è compatibile con un principio di accumulazione estensiva, in analogia con un dizionario che segnala il lessico di una lingua al di là della frequenza d’uso; ma – sempre in analogia con il testo letterario in cui il lessico effettivo è naturalmente quantitativamente più selettivo e limitato di quello di un dizionario – la biblioteca (collezione/servizio) acquista valore proprio nella fruizione estensiva. La fruizione riflette la qualità della collezione.
Forte è la sottolineatura di una informazione e comunicazione capillari orientate a promuoverne la conoscenza e l’uso. Non basta offrire il catalogo segnalandone semplicemente l’esistenza al lettore: «In the usual catalogue there is no introduction, no invitation, no spirit of welcome»24. Subito dopo segue una affermazione di grande importanza, affascinante nella sua resa stilistica:
That library can be called hospitable which shows an eagerness to invite readers to the feast at its disposal. It is such hospitality that makes a library big, not its size25.
Eagerness (impazienza, ansia, brama, desiderio) è parola riferibile, in genere, a persone; qui, invece, alla biblioteca. In Tagore, come in Ranganathan, la biblioteca è soggetto/persona, come persone sono i lettori. Pur all’interno di un quadro di fruizione, non si parla mai di utenti (users). Il soggetto biblioteca desidera impazientemente, se vuole essere grande (e conquistarsi e mantenere la grandezza), invitare i suoi lettori alla festa della scoperta dei libri, alla festa di un incontro fatto di condivisione. Accoglienza, ospitalità, invito di benvenuto26. La visione tagoriana, nel guardare a chi è prima e fuori della soglia, nel dichiarare implicitamente la povertà della biblioteca in assenza di una fruizione diffusa e partecipata, privilegia nettamente una mission di rigenerazione sociale, culturale e educativa rivolta a piccole comunità, ai villaggi rurali innanzitutto. La presenza in vari saggi di The library movement del tema delle rural libraries si inserisce in questo quadro.
That the readers make the library is not the whole truth; the library likewise makes the readers. If this truth is kept in mind, we at once realise what a great function is that of the librarian27.
Non è questa una splendida sintesi delle future Cinque leggi, almeno delle prime quattro? Sono espressi qui meccanismi di relazione che potremmo ricondurre a un duplice movimento reciproco, di avvicinamento e di desiderio. In questo doppio movimento, che rappresenta il riconoscimento vero dell’alterità e della ricchezza dell’altro (lettore) e del soggetto biblioteca, stanno la ricchezza della biblioteca e la sua grandezza: questa non può mai darsi per acquisita, perché la dimensione della grandezza è la dimensione del servizio perennemente rinnovato.
Per Tagore il bibliotecario è l’animatore di un possibile incontro con il lettore, improntato alla fiducia e al dialogo: egli è host, soggetto che accoglie, non il conservatore di un deposito (store keeper). Un impegno complesso che coinvolge la dimensione della competenza culturale, comunicativa, relazionale e comunitaria. L’animazione della comunità procede biunivocamente: da parte dei lettori perché la formazione di gruppi attivi (special circles of readers) può apportare vita (give life); da parte del bibliotecario che opera come «intermediary for an intimacy of relationship between reader and library»28.
Quello descritto da Tagore per il bibliotecario è un ruolo complesso, che richiede capacità di visione globale del contesto e della collezione. Per questo Tagore privilegia lo sviluppo di piccole biblioteche: «If a library is too big, it becomes practically impossible for the librarian adequately to acquire such true understanding»29. È una visione intimamente coerente con lo sviluppo di una rete di comunità capaci di fare rinascere vita sociale, saperi, educazione.
Una biblioteca locale, ma non localisticamente isolata. Come la scuola tagoriana, la biblioteca partecipa ad un tempo della dimensione della ‘casa’ (la comunità locale) e del mondo.
Possiamo solo attendere per conoscere quali ulteriori stadi di evoluzione riserbi il futuro a questo organismo in crescita, la biblioteca. Chi sa se un giorno non possa verificarsi – Wells almeno ha rappresentato un mondo in cui la disseminazione della conoscenza si realizzerà tramite il diretto trasferimento del pensiero, al modo di Dakshinamurti, senza ricorso a parola parlata o scritta – che la disseminazione della conoscenza, che è la funzione vitale delle biblioteche, sia attuata da queste con strumenti diversi dal libro a stampa?30]
Leggiamo il contesto. Ranganathan, all’interno dell’illustrazione della quinta legge (A Library is a growing organism), delineando le modalità di crescita di un organismo complesso come le biblioteche, ne tipizza i processi di cambiamento in due categorie:
La tipizzazione non implica un giudizio di valore sulla profondità delle trasformazioni: la radicalità di un cambiamento di per sé non è sinonimo di rottura improvvisa. Una trasformazione può darsi anche attraverso processi profondi e ad un tempo graduali, tali comunque da modificare alla radice strutture e attori sociali, segnando un’evidente cesura. Ranganathan propende per questa seconda concezione. La sua attenzione agli attori sociali-istituzionali rappresenta situazioni mature di passaggio da un assetto all’altro.
Scrive Ranganathan dopo avere enunciato la formulazione della quinta legge: «A growing organism takes in new matter, casts off old matter, changes in size and takes new shapes and forms»31. Si presti attenzione al crescendo linguistico e semantico: prima, «new shapes and forms» (nuove configurazioni e forme), quasi in premessa al capitolo; poi, nei capitoletti finali, «evolution» e «variety of forms»32, a intitolazione di questi.
La citazione originaria è strutturalmente collocata alla fine del capitoletto Evolution, ne costituisce il paragrafo conclusivo. La sua novità è rappresentata dalla correlazione esplicita fra Men like gods, romanzo di H. G. Wells, e il riferimento a Shiva Dakshinamurti. Men like gods33 è uno dei tardi romanzi visionari di Wells, probabilmente non uno dei più risolti stilisticamente, sicuramente uno dei meno studiati. Wells è l’unico autore letterario contemporaneo a Ranganathan che sia da questi citato esplicitamente nelle Cinque leggi in quanto tale34.
Il romanzo, che situa il sorgere degli eventi nell’Inghilterra del 1921, vede il protagonista, Mr. Bernstaple, giornalista moderatamente progressista del periodico The Liberal, in un momento di profonda insoddisfazione personale che investe la sfera lavorativa e familiare. Assunta la decisione di prendersi una vacanza solitaria a Maidenhead, durante il viaggio in macchina improvvisamente si trova catapultato, insieme ai passeggeri di altre due automobili, in un altro mondo, chiamato Utopia, circa tremila anni dopo l’inizio della storia. Un pianeta di 200.000.000 di abitanti, retto da una sorta di autogoverno comunitario fondato su una consapevole formazione e autoformazione dei cittadini («Our education is our government»35, dirà un utopiano ai terrestri), e governato da cinque principi della libertà (III, II, 3):
Centralità, dunque, della conoscenza in Utopia, attraverso l’accesso libero al sapere per l’esercizio dell’autogoverno. Ma come si trasmette la conoscenza?
La citazione di Ranganathan si riferisce al primo incontro fra utopiani e terrestri (I, V, 2-3): le parole degli utopiani sono percepite e ascoltate chiaramente dai terrestri, ma – Barnstaple intuisce ben presto la sconvolgente novità – le parole percepite non corrispondono a suoni verbalmente emessi. La conoscenza e l’informazione avvengono per diretto trasferimento di pensiero (I, V, 2).
Il riferimento a Shiva Dakshinamurti, come spesso capita nelle Cinque leggi, è indiretto. La relativa nota n. 2 recita:
According to a traditional verse, Siva, as Dakshinamurti, is said to sit under a banyan-tree in the midst of his disciples and to resolve all their doubts by the eloquence of his very silence36.
La diversità fra le due edizioni del 1931 e del 1957 è significativamente veicolata anche dalla differente articolazione dell’apparato citazionale. Mentre nella prima edizione ogni capitolo è suddiviso in partizioni (capitoletti) di ampiezza variabile, con titolazione specifica, ma in relazione orizzontale (non gerarchica) l’uno all’altro, nella seconda ogni capitolo è strutturato in sezioni e sottosezioni numerate (e tutte intitolate). Così, se nella prima edizione le ultime tre partizioni del capitolo 7 si intitolavano rispettivamente Evolution (p. 412-414), Variety of forms (p. 414-415) e The vital principle (p. 415-416), nella seconda ad una sezione 76 (Evolution) corrispondono come sviluppo interno le sottosezioni 761 (Earliest stage), 762 (Limited freedom), 763 (Stock-taking vs stock use), 764 (Present stage), 765 (Future). La sezione 77 (The vital principle) conclude il capitolo.
Il risultato, se da un lato facilita enormemente la correlazione bibliografia finale e testo e, ancor più la comprensione dello sviluppo testuale nelle sue articolazioni interne, denota anche una maggiore intenzionalità di ‘controllo’ autoriale sui significati. Ne risulta, crediamo, un testo meno ‘aperto’.
Nella prima edizione le citazioni bibliografiche si presentano nella forma di note a piè di pagina senza numerazione continua, con una struttura citazionale assimilabile più alla segnalazione di opere piuttosto che di edizioni. Nel brano citato al riferimento a Wells corrisponde la nota n. 1: «WELLS (H. G.): Men like gods».
Il format citazionale è estremamente scarno. La data di pubblicazione figura quasi esclusivamente per i contributi in rivista; la localizzazione (n. volume e/o pagina) non è sempre presente. In casi molto limitati, quando – come per Wells – si intenda richiamare un testo più che una specifica edizione, la citazione assume la sequenza propria di un riferimento essenziale: autore-opera. Un format così semplificato all’epoca è molto raro nelle pubblicazioni biblioteconomiche di carattere introduttivo-manualistico o nell’introduzione a specifici linguaggi tecnici37.
Vi è però una categoria di pubblicazioni in cui quel format trova ospitalità e continuità. Esso già caratterizzava il primo volume della nuova collana della Madras Library Association, il più volte citato The library movement. Qui, come in un altro importante volume sul Library movement nordamericano, The library without the walls: reprints of papers and addresses, curato da Laura M. Janzow38, il format citazionale è di inusuale essenzialità.
Sono libri, per quanto diversissimi, accomunati dalla ricerca di approfondimento di passaggi epocali: cesure o transizioni in essere come in The library movement, la rappresentazione delle intense novità di una lunga transizione quello curato da Janzow. Libri di idee e battaglie di idee.
Nella seconda edizione le citazioni acquistano valenza separata, collocate come Bibliography in fondo al volume, con numerazione progressiva, localizzate in base al numero di sezione/sottosezione cui si riferiscono. Il testo citato corrisponde alla sezione 765, Future, e in Bibliography la segnalazione assume la forma: «234. Sez. 765. Wells (Herbert George). Men like gods. 1928».
Nel testo ranganathiano l’intreccio fra il richiamo a Wells, la figura di Shiva Dakshinamurti39, la centralità dei processi di conoscenza per la definizione della mission costitutiva delle biblioteche, la positivamente accettata possibilità di altre non prevedibili forme di trasmissione e accesso al sapere, esprime con sorprendente chiarezza evocativa un orizzonte di straordinaria apertura ad altre esperienze, strumenti e fonti di conoscenza. Shiva Dakshinamurti, seduto sotto il baniano, fico sacro e albero della conoscenza, istruisce gli allievi risolvendo i loro dubbi con il suo solo silenzio di maestro. Vi è qui una potente immagine di futuro, e il tema della conoscenza è ancora più intensamente accentuato dal corto circuito simbolico fra un testo contemporaneo e il richiamo a una sapienza antica. Vi è la consapevolezza, apertamente dichiarata, della transitorietà delle forme di comunicazione del sapere: Ranganathan non è Barnstaple, il personaggio di Wells ad un tempo attratto e intimorito da questo mondo nuovo. Egli guarda con fiducia a possibilità per l’epoca inimmaginabili: Possiamo solo attendere per conoscere quali ulteriori stadi di evoluzione riserbi il futuro a questo organismo in crescita»40.
La quinta legge non riguarda la comprensione della necessità di adattarsi ai cambiamenti, o la lapalissiana presa di atto che la biblioteca, come ogni organismo, cresce e cambia. È invece una legge, densa di futuro, sulla trasformazione e sull’audacia nel leggerne, interpretarne, anticiparne i tratti.
Con ‘pre-testi’ intendiamo quei luoghi della pubblicazione, riconducibili alla categoria del paratesto genettiano, che precedono il testo delle Cinque leggi. La loro sequenza fra le due edizioni del 1931 e 1957 si presenta con alcune rilevanti differenze. Nei pre-testi della prima edizione non vi è alcuna formulazione sintetica e riassuntiva delle cinque leggi, a differenza dalla seconda edizione nella quale questa immediatamente segue, nel medesimo spazio fisico della pagina, l’epigrafe citazionale. Le epigrafi citazionali nell’edizione del 1931 sono tre, con una segnalazione di autorialità essenziale, nell’ordine:
To carry knowledge to the doors that lack it and to educate all to perceive the right!
Even to give away the whole earth cannot equal that form of service.
(Manu)
Instead of noblemen, let us have noble villages of men. If it is necessary, omit one bridge over the river, go round a little there and throw one arch at least over the darker gulf of ignorance which surrounds us. (Henry David Thoreau)
Abeunt studia in mores
Reading becomes character
(Bacone)
Uno dei fili conduttori del Manu Samhita in quanto testo fondativo non solo dell’organizzazione sociale, ma anche delle relazioni sociali e spirituali e dei processi di crescita nelle diverse fasi della vita, è il tema della conoscenza e della relazione maestro/allievo. Potremmo dire del diritto/dovere alla conoscenza nella dimensione dell’impegno all’offerta a chi ne è ancora privo e alla condivisione di questo sapere (cfr. Manu Samhita, capitolo 12.103).
La citazione da Thoreau è altrettanto importante e non casuale: si tratta dell’ultimo paragrafo del capitolo III, Reading, da Walden, or, Life in the woods41. All’interno del trascendentalismo americano gli interessi di Thoreau verso le culture e letterature orientali hanno una particolare accentuazione. Nel capitolo III l’elencazione dei grandi autori, a partire dai classici greci (Omero, Eschilo, Platone) sino a Dante e Shakespeare, si affianca ad altri pressoché totalmente sconosciuti nella cultura dell’epoca, come Mir Camar Uddin Mast, poeta mughal del sec. XVII, al richiamo ai Veda e allo Zend Avesta, alle Bibles (si noti il plurale). Più oltre, nel capitolo XVI, Il lago d’inverno, il penultimo, il commosso richiamo ai grandi testi dell’induismo:
Al mattino bagno il mio intelletto nella stupenda e cosmogonica filosofia del Bhagavad-Gita. La pura acqua di Walden si mischia con la sacra acqua del Gange42.
La presenza di Emerson e Thoreau nella cultura indiana dal tardo sec. XIX agli anni Trenta del 1900 è tema di rilevante interesse critico. Gandhi, che nel suo soggiorno londinese (1886-1891) era entrato in contatto con un testo come Civil disobedience (1848-1849) di Thoreau, nel 1907 ne pubblica e traduce su Indian opinion and South Africa (1903-1915), periodico da lui stesso fondato, ampi estratti. Non deve, quindi, destare stupore la presenza di Thoreau nelle Five laws. Quel che conferisce forza particolare alla citazione fattane da Ranganathan è il contesto da cui è tratta:
Come il nobile di gusto colto si circonda di tutto ciò a cui conduce la sua cultura […] così faccia il villaggio, senza limitarsi ad avere un pedagogo, un parroco, un sacrestano una biblioteca parrocchiale […]. Agire collettivamente è agire secondo lo spirito delle nostre istituzioni e sono certo che, così come la nostra situazione si fa più florida, i nostri mezzi sono più grandi di quelli dei nobili. La Nuova Inghilterra può assumere tutti i saggi del mondo perché vengano a insegnarvi […]. Questa è la scuola insolita che vogliamo. Invece di nobili, che ci siano nobili villaggi pieni di uomini. Se necessario, rinunciamo a un ponte sul fiume, facciamo un giro più lungo in un punto, ed edifichiamo almeno un arco sopra il più buio abisso d’ignoranza che ci circonda43.
L’educazione e la cultura costruiscono comunità nobili. Di esse vi è necessità, non di uomini nobili. Noble indica al tempo stesso l’altezza e ampiezza degli orizzonti e del sentire; la scuola insolita (uncommon) è il luogo in cui si supera il provincialismo, si osa attraverso l’educazione e la cultura. È una educazione che mira e vorrebbe procedere per estensione (persone/comunità) e intensione (profondità/apertura intellettuale ed etica/non provincialismo). Una audacia che si esplica in un grande e nobile obiettivo, un obiettivo di comunità: la lotta all’ignoranza.
Infine, la citazione da Bacone. «Abeunt studia in mores» è, originariamente, citazione da Ovidio (Heroides, 15, 83: Saffo a Faone). Ranganathan, con la libertà che lo contraddistingue nella segnalazione citazionale, si riferisce a un passo del baconiano Of the proficience and advancement of learning, divine and human (1605), Lib. I, III, 4:
Abeunt studia in mores, studies have an influence and operation upon the manners of those that are conversant in them.
Bacone dirà nel saggio Of studies, «Reading maketh a full man»44, la lettura costruisce un uomo completo. Ranganathan fonde e traduce, adattandole al contesto biblioteconomico, le due ascendenze baconiane. Abeunt studia in mores, diviene «Reading becomes character»: la lettura diviene carattere, struttura e stabilizza una individualità e i suoi talenti. È evidente nella sequenza delle citazioni un avanzamento da un principio più generale (la conoscenza come diritto/dovere da condividere, e la sua diffusione la più alta fra le forme di servizio) all’idea di un sapere capace di osare e di costruire comunità, allargandone gli orizzonti ideali; e, infine, alla prospettiva della lettura come elemento che individua e dà forma. La sequenzialità esprime un movimento duplice, sia discendente che ascendente. Il punto di intersezione fra queste processualità e la rete di relazioni che ne consegue crediamo sia la chiave interpretativa di questa che riteniamo la ‘vera’ premessa alle Cinque leggi del 1931.
Il mainstream da decenni ha consolidato la seguente formulazione delle cinque leggi:
come se essa fosse comune anche alla prima edizione del 1931. Non sta assolutamente così. Nel 1931 non vi è una formulazione riassuntiva delle leggi, come invece troveremo nella seconda edizione del 1957. Più precisamente, non abbiamo dal 1931 al 1936 una formulazione riassuntiva né diversa né coincidente con quella che incontreremo per la prima volta in Prolegomena to library classification (1937)45, poi con ben maggiore evidenza in Theory of library catalogue46. Nel 1931 abbiamo le formulazioni dedicate alle singole leggi dei capitoli 1, 2-4 (solo relative alla seconda legge), 5, 6 e 7. Nel 1957 abbiamo invece anche una formulazione riassuntiva che precede il testo vero e proprio, a p. 9, immediatamente dopo l’unica citazione da Manu, «To carry knowledge [...]».
La seconda legge è quella più politica, quella in cui il focus sul Library movement è più strutturato, continuativo e analitico. Ad essa sono dedicati tre capitoli. Books for all: è questa la formulazione prevalente della seconda legge nei capitoli 2-4 della prima edizione, ben diversa dunque da quella tradizionalmente insegnata.
Proviamo a delineare le diverse formulazioni delle prime due leggi nei capitoli 1-4. Laddove vi siano diverse formulazioni in un capitolo, la prima è quella che in esso ha maggiore frequenza di uso, la seconda – da noi posta in parentesi tonde – la formulazione variante prevalente.
Capitolo 1 (The First Law) | |
Vecchia legge | Nuova legge |
Books are for preservation | Books are for use |
Capitolo 2 (The Second Law and its struggle) | |
Vecchia legge | Nuova legge |
Books are for few |
Books are for all (Every person his/her book) |
Capitolo 3 (The Second Law and its Digvijaya) | |
Vecchia legge | Nuova legge |
Books are for (chosen) few |
Books are for all (Every reader his/her book) |
Capitolo 4 (The Second Law and its implications) | |
Vecchia legge | Nuova legge |
Books are for (chosen) few | Every person his/her book (Books are for all) |
La biblioteca non è per ‘pochi scelti’ (chosen few), individuati da censo, razza, condizione sociale, genere. Books are for all: è un passaggio epocale, il diritto universale, da parte di ciascuno e di tutti, alla conoscenza. Immediatamente dopo nel cap. 2 compare, come formulazione variante di approfondimento, Every person his/her book. È un passaggio logico ed etico-politico bellissimo. Significa che ciascuno, uomo o donna che sia (pensiamo a cosa significa questo nei primi decenni del Novecento) ha diritto a trovare il suo libro, cioè di esercitare il suo diritto al sapere. È nell’essere persona (cioè soggetto con una storia, bisogni, relazioni, aspirazioni) che sono iscritti i diritti. Il canonico Every reader his/her book, cui siamo storicamente abituati, non è di analoga ampiezza e neppure forza evocativa. Idealmente potremmo considerare, sulla base dell’articolazione espositiva dei capitoli, Books are for all: every person his/her books come una formulazione complessiva unitaria. E accanto a Books are for all esiste nelle Cinque leggi analoga formulazione universalistica ricorrente, presente con particolare forza nel capitolo 7: Education for all. L’apprendimento e il sapere come diritto dei singoli e delle collettività durante tutto l’arco della vita.
I capitoli 2-3 sono testi di lotta esemplificati da due termini. Struggle nel capitolo 2 indica la battaglia contro le limitazioni all’accesso: è termine conflittuale di lungo periodo. Sono individuati gli ostacoli. È un testo sulla durezza del passaggio, sull’esigenza di rappresentare una rottura fra un vecchio e un nuovo mondo. Nel capitolo 3 l’altro termine conflittuale, il sanscrito Digvijaya (campagna militare su larga scala) vuole esprimere l’idea dell’affermazione, differenziata e faticosa, di un movimento globale di apertura della biblioteca a tutti e di azioni di costruzione dei lettori. Per questo, dopo la formulazione prevalente Books are for all, troviamo la correlata Every reader his/her book.
Nel capitolo 4 il focus è sui rispettivi impegni di vari soggetti, istituzionali e non (Stato; autorità locali; personale della biblioteca; lettori), all’affermazione del diritto di ogni persona al sapere.
Le Cinque leggi sono un testo complesso attraversato da un naturale tessuto dialogico e, proprio nei capitoli 1-4, i dialoghi scenici, una sorta di atti unici, svolgono un ruolo decisivo. I dialoghi scenici (tre in tutto) sono localizzati nel capitolo 1 (prima legge), nei capitoli 2 e 4 (seconda legge).
L’universo scenico dal primo al terzo dialogo si amplia e infittisce. L’attenzione è tutta sui soggetti coinvolti in scelte di cambiamento espressive di momenti di un passaggio decisivo. Al centro sono l’ampiezza del processo di trasformazione (culturale, tecnica, organizzativa, politica), l’ambito delle scelte fra modelli alternativi e le relative implicazioni, la necessità di una partecipazione convinta a un’impresa degna con spirito di cooperazione e di servizio.
Nel loro svolgimento gli atti scenici marcano un punto di rottura, una soglia, superata la quale nessuno può restare uguale. Alla fine segnano una nuova dislocazione di potere sociale, un riconoscimento di autorità e diritti a coloro che erano stati sino ad allora collocati fuori dall’accesso al sapere. Alle leggi coinvolte, la prima e la seconda, è assegnato un ruolo femminile autorevole, capace di esplicitare con nettezza i cambi prospettici e di comunicarli, di esercitare con sapienza funzioni di mediazione, ascolto, convincimento, ma anche – come nel capitolo 1 – di dichiarazione della cesura necessaria. Una funzione di consapevole regia, potremmo dire.
Qui prendiamo in esame il secondo dialogo scenico47, forse il più complesso.
Nel capitolo 2 il filo conduttore è il diritto all’accesso per tutti, e, nello specifico, il tema è definito come «The normal and the abnormal»48. Per abnormal Ranganathan intende tutti coloro soggetti a forme di limitazione fisica, temporanea o permanente (degenti/soggetti con disturbi psichici/non vedenti/muti); limitazioni di carattere socio-educativo (analfabeti); limitazioni della libertà (carcerati); temporanea lontananza dalle proprie abitazioni (stranieri /marinai)49. Il testo ancora oggi è di una modernità rara.
Per primo inizia a parlare il degente. È la persona in evidente condizione di sofferenza o limitazione che per prima ha diritto a esprimere il suo stato di disagio: da lì si parte, da una condivisione delle difficoltà di specifiche categorie e gruppi, è il primo ‘sapere’ con cui misurarsi. Le due figure percepite come riferimenti per tutti sono lo psicologo e la seconda legge. Essi esplicitano possibilità concrete di soluzione; ricordano esperienze positive, nazionali e internazionali, del movimento delle biblioteche; favoriscono la partecipazione delle competenze di tutti. La parte finale esprime tutta la filosofia ranganathiana del servizio: in risposta a una osservazione della madre del muto («Come vorrei che a mio figlio fosse concesso quel passatempo [la lettura]»50), la seconda legge risponde: «È lo scopo della mia esistenza offrirglielo». E successivamente, in coro tutti cantano:
There’s room for all
Let not the mean
Or learned dean
Restrict the books
T’ a favoured few.
We’ve Books for all
[…]51
Il tema, nella reiterazione cantata della formulazione della legge (We’ve books for all), è quello dell’universalità del diritto al sapere in una varietà di risorse che corrisponda alla varietà dei soggetti cui sono rivolte. La ricchezza delle collezioni riflette la ricchezza dei pubblici in quanto universalità degli aventi diritto. Il coro termina con: «We’ve Books for all / For one and all»52, il corrispettivo di: Books are for all: every person his/her books.
Ricordiamo la citazione ranganathiana da Manu, la prima fra i pre-testi:
Condurre il sapere a chi ne è privo, educare ciascuno alla percezione del giusto!
Neppure il dono dell’universo intero può eguagliare tale servizio.
Come avrebbe detto 36 anni dopo la scuola di Barbiana:
Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia53.
Articolo proposto il 10 ottobre 2024 e accettato il 23 ottobre 2024.
FRANCO NERI, e-mail: franconeri50@gmail.com.
Ultima consultazione siti web: 22 ottobre 2024