Dalla Libia a Firenze. Il fondo archivistico e librario di Giacomo Caputo. Un’esperienza di public engagement per la Bright Night 2024 dell’Università degli studi di Firenze

Laura Buccino, Manuela Parrilli, Lorenzo Sergi, Emanuele Zamperini

Introduzione

In occasione della Bright Night 2024 dell’Università degli studi di Firenze si è ritenuto di aprire alla cittadinanza il Fondo archivistico e bibliografico di Giacomo Caputo (Palma di Montechiaro (AG) 1901 - Firenze 1992) acquisito dalla Biblioteca umanistica dell’Ateneo nel 2018 per volere degli eredi e attualmente custodito presso il Museo e istituto fiorentino di preistoria Paolo Graziosi1. Nel contesto di terza missione in cui si collocava l’evento, è stata allestita la mostra bibliografico-documentaria “Dalla Libia a Firenze” con la finalità di presentare alla cittadinanza materiali d’archivio e volumi, enfatizzando il ruolo giocato dai ricercatori nel valorizzare questo genere di giacimenti culturali.
Caputo, figura di spicco della comunità scientifica italiana, accademico dei Lincei e membro di numerosi istituti italiani e stranieri, archeologo attivo dalla Sicilia alla Grecia al Nord Africa all’Etruria, ha rivestito nel corso del Novecento ruoli di responsabilità nel campo dell’amministrazione e della salvaguardia del patrimonio storico-archeologico. Negli anni Trenta del Novecento iniziò una lunga attività in Libia, assumendo nel 1936 la direzione della Soprintendenza ai monumenti e scavi di tutta la Libia, ruolo che mantenne durante il secondo conflitto mondiale, sia nel Dopoguerra sotto la British Military Administration e fino alla costituzione del Regno Unito di Libia. Rientrato in Italia nel 1951, passò a dirigere la Soprintendenza alle antichità d’Etruria, Toscana e Umbria, coniugando le esigenze della ricerca scientifica e della tutela agli interessi del vasto pubblico. Libero docente di Archeologia e storia dell’arte greca e romana dal 1939 al 1952 a Firenze, dopo il pensionamento, grazie al Gruppo di ricerca per le antichità dell’Africa settentrionale, continuò a coordinare la ricerca italiana in Libia2.
Il profilo poliedrico di Caputo si rispecchia e si disvela nel fondo personale proveniente dalla sua abitazione: un bene che si compone di parte dell’archivio e della biblioteca comprendente periodici e monografie specializzate. Tali materiali, frutto del sedimentarsi dell’attività accademica, della ricerca sul campo e degli interessi del ‘soggetto produttore’ costituiscono, nella sua specificità, un unicum eccezionale in considerazione anche del legame profondo fra Caputo e l’Università di Firenze e il contesto culturale toscano in senso più ampio.
Documenti e volumi sono attualmente attenzionati da due diversi progetti: il primo finanziato dall’ateneo fiorentino3; il secondo sostenuto dal Ministero dell’università e della ricerca (PRIN PNRR 2022).
Per quanto concerne il progetto fiorentino – coordinato da Valentina Sonzini con il coinvolgimento dei colleghi Laura Buccino ed Emanuele Zamperini – la linea di intervento riguarda principalmente il fondo librario costituito da circa seimila volumi. L’insieme si compone in prevalenza da monografie moderne che si intende valorizzare utilizzando il software di catalogazione Alma in collaborazione con il Sistema bibliotecario d’Ateneo e, nello specifico, con il personale della Biblioteca umanistica. La ricognizione dei volumi consentirà di porre in evidenza le linee di studio e di approfondimento predilette da Caputo. Si tratta quindi di un passaggio inevitabile e cruciale per la comprensione dell’insieme bibliografico e per il perfezionamento degli studi che riguardano l’archeologo. L’analisi dei materiali attualmente collocati in scaffalature presso il Museo e istituto fiorentino di preistoria Paolo Graziosi nel complesso delle Oblate4 sta consentendo, fra l’altro, di ampliare e perfezionare la bibliografia degli scritti di Caputo. Tale approfondimento vedrà il riversamento in Wikidata di tutti gli elementi costituenti i record bibliografici, consentendo così di far conoscere ad un pubblico il più ampio possibile la mole di testi, contributi, comunicazioni e recensioni prodotti nei decenni da Caputo.
Contestualmente, con il progetto PRIN SeMaTA - Semantic mapping through archives for the safeguard, valorization, dissemination and transmission of cultural heritage in Libya (P.I. prof. Oscar Mei, Università degli studi di Urbino Carlo Bo) si intende realizzare il censimento e la descrizione dei documenti contenuti nel fondo archivistico e creare un modello pilota di banca dati digitale. Il materiale archivistico è attualmente conservato in undici scatoloni miscellanei nei quali la famiglia ha collocato i documenti di studio e di lavoro dell’archeologo non riversati presso il Centro di documentazione e ricerca sull'archeologia dell'Africa settentrionale Antonino Di Vita dell’Università di Macerata (dove è conservato il restante della documentazione)5.
Le due linee di ricerca hanno quindi la finalità di porre l’attenzione sul fondo Caputo nella sua complessità, catalogando il materiale librario, inventariando i beni archivistici e valorizzando digitalmente, ove possibile, le risorse che lo compongono. L’obiettivo è quello di mettere a sistema la documentazione sedimentatasi durante l’attività professionale di Caputo per analizzare il suo laboratorio di lavoro e contribuire a perfezionare le conoscenze sull’archeologo e accademico, e sul contributo da lui apportato al contesto del restauro archeologico (ambito al quale si dedicò relativamente ai resti architettonici emersi negli scavi di sua competenza). Infatti, i restauri da lui promossi non si sono in genere limitati all’anastilosi, ma hanno previsto integrazioni più o meno ampie finalizzate non solo a garantire la stabilità dei resti, ma – specialmente nel caso dei teatri – anche a riproporne le funzioni originarie con la finalità di valorizzare le testimonianze della cultura romana in Nord Africa e favorire la conseguente esaltazione del regime coloniale. In tali restauri è ampia la sperimentazione di tecniche e materiali, in particolare con l’ampio impiego dei materiali cementizi che avevano acquisito in quegli anni il riconoscimento ‘ufficiale’ della comunità scientifica internazionale dei restauratori con l’affermazione della liceità - anzi opportunità - del loro impiego (il voto finale della Conferenza internazionale di Atene del 1931 ne aveva autorizzato l’impiego in contrasto con il più cauto atteggiamento esposto da Gustavo Giovannoni nella coeva Carta del restauro italiana).
I due progetti mirano quindi - attraverso lo studio della documentazione scritta, grafica e fotografica conservata nell’archivio personale e nella biblioteca - anche ad approfondire l’approccio metodologico e delle tecnologie impiegati da Caputo nei restauri archeologici e di contestualizzarli nel coevo panorama nazionale e internazionale del restauro architettonico e archeologico.
L’intento dei due progetti che riguardano documenti e volumi di Caputo è quindi quello di coniugare archeologia, storia delle biblioteche e dei fondi speciali, e storia del restauro in una lettura corale che dalla Libia consenta di ripercorrere il profilo professionale dell’archeologo fino a Firenze, aprendo anche futuri scenari di indagine su postcolonialismo, decolonialità e presenza italiana in Libia.

Una proposta di ‘trasmissione’ archivistica6

Sintomo vitale della ricerca è porsi domande semplici alle quali proporre percorsi di riflessione adeguati. La coscienza del ricercatore dovrebbe attingere al questionario come etica di comunicazione e come ritorno all’originario ‘nocciolo della questione’. Conseguentemente, nella realizzazione di un evento appare ancora più opportuno riflettere sul come si debba e possa comunicare le caratteristiche di un fondo personale specificatamente caratterizzato, come nel caso Caputo.
L’evento al centro di questo contributo è rientrato a pieno titolo nelle iniziative dell’Università di Firenze per lo svolgimento della terza missione e quindi dirette a un pubblico non necessariamente specialistico7.
In tale ottica, la prima riflessione, base e punto di partenza di tutto, è stata rivolta al ruolo della ricerca. Spiegare al pubblico l’importanza del compito affidato a un ricercatore in campo documentario significa rifarsi a una mole di riferimenti tecnici, standard internazionali, glossari e strumenti software impossibile da riassumere in pochi minuti. In linea di massima, il ricercatore appare un costruttore e connettore di relazioni, dati e contesti8. Per intessere i fili di questo complesso tessuto è necessario limitare lo sguardo a singole sfilacciature che fungano da rappresentanti metonimiche dell’intero sistema di trama e ordito. Comunicare un archivio significa, quindi, sottolineare livelli relazionali la cui caratterizzazione spazia tra contesti politico-sociali, economici, geografici, storico-cronologici e istituzionali anche molto diversi.
In questo mare magnum il filo conduttore scelto è espresso nell’eloquente titolo dell’iniziativa “Dalla Libia a Firenze”. Partendo dal macrocontesto africano – sfruttando anche l’aspetto esotico e le potenzialità tematiche sottese ai progetti – si è proceduto a triangolare la Libia con la biografia di Caputo e la documentazione oggi a Firenze.
L’iniziativa ha cercato di evocare tutta questa complessità attraverso la presentazione di un piccolo nucleo di esemplari documentari provenienti dall’archivio. Il materiale – messo in continuo dialogo relazionale anche con le risorse provenienti dalla biblioteca – si componeva di quattordici elementi (tra fascicoli, fotografie e atti singoli) organizzati sulla base di due macroaree tematiche e cinque diversi argomenti centrali per la trattazione.
Procedendo dal generale al particolare, nella fase progettuale dell’iniziativa è stato più volte riflettuto il taglio selettivo che la conferenza avrebbe dovuto avere. Due furono considerati i contesti principali ai quali necessariamente fare riferimento categorizzante per l’intera esposizione: 

  1. Una sezione biografica. Ovvero un insieme di documenti che riuscisse a rispondere a specifiche curiosità ed esigenze connesse alla Libia, al contesto coloniale e alla vita di Caputo. La semplice domanda «perché Giacomo Caputo fosse collegato alla Libia?» diviene il punto di partenza dell’intero percorso espositivo.
  2. Una sezione sulle modalità di ricerca di Caputo. In questo ambito si è voluto presentare il processo creativo dietro al laboratorio di studio, base per le pubblicazioni edite dallo studioso.

La divisione dei due filoni non è stata soltanto ideale e logica, ma volontariamente anche fisica. I due nuclei di documenti selezionati sono andati a caratterizzare due diverse aree. L’escamotage è risultato indubbiamente funzionale sia alla narrazione che all’esposizione dei documenti stessi. Infatti, la separazione logica e fisica – ovviamente convenzionale e frutto di una scelta mediata – ha funzionato come lente di ingrandimento graduale, concentrando l’attenzione del pubblico sulla documentazione fisicamente adiacente. Tale approccio ha permesso una migliore esperienza di progressione guidata, all’interno della quale ogni documento avrebbe acquisito un valore informativo non soltanto in virtù del proprio contenuto specifico (a livello di analisi intrinseca ed estrinseca) ma anche in funzione della sua relazione con quello precedente e successivo. Nell’intenzione originaria c’era la volontà di connettere le varie sfere umane-professionali-tecniche dell’uomo Caputo, rendendo esempio della complessità sottesa all’intero archivio e della forza collante che quest’ultimo aveva (e ha) col fondo librario. Per fare ciò, i documenti sono stati organizzati sulla base di cinque tematiche di rappresentanza:

  1. Incarichi istituzionali di Caputo in Libia durante il periodo coloniale;
  2. Organizzazione della documentazione portata avanti dal soggetto produttore;
  3. Stesura di appunti e materiali di studio da pubblicare;
  4. Ricostruzione del reticolo di scavo e identificazione dei reperti;
  5. Raccolta di immagini e fotografie per la pubblicazione.

Questi cinque argomenti cercano di rispondere a buona parte delle questioni che un ipotetico utente possa porsi di fronte a un archivio come questo. Dalla tradizione archivistica di sedimentazione e formazione dei fascicoli fino ai mirabilia documentari, ogni tematica diventava elemento fondante della narrazione complessiva e al tempo stesso contestualizzazione specifica degli atti esaminati.
La mostra è venuta così a connotarsi:

 

 

Sezione

Argomento

Documento9

Biografica

Incarichi istituzionali di Caputo in Libia durante il periodo coloniale

1) Medaglia a ricordo del servizio prestato in Libia dopo la cessazione dello stato di guerra concessa a norma del R. Decreto 27 agosto 1923 (brevetto. Roma, 10 ottobre 1939)10.

2) Lettera di Mariano D’Amelio, presidente della Società italiana per il progresso delle scienze, diretta a Giacomo Caputo e riguardante il I convegno coloniale della Scienza italiana (Roma, 06 dicembre 1936)11.

Organizzazione della documentazione portata avanti dal soggetto produttore

3) Fascicolo contenente atti, certificati e riconoscimenti. La coperta si compone di una busta su carta intestata del Governo della Cirenaica. (1936-1956)12.

Laboratorio di ricerca di Caputo e diffusione dei risultati

Stesura di appunti e materiali di studio da pubblicare

4) Appunto manoscritto relativo a iscrizioni lapidee del teatro di Leptis Magna (senza luogo, senza data)13.

5) Appunto manoscritto relativo al teatro di Leptis Magna (senza luogo, senza data)14.

6) Appunto manoscritto relativo al teatro di Leptis Magna (senza luogo, senza data)15.

Ricostruzione del reticolo di scavo e identificazione dei reperti

7) Pianta, a stampa, del teatro di Leptis Magna con appunti manoscritti relativi al reticolo di scavo e all’identificazione delle sezioni (senza luogo, senza data)16.

8) Carta lucida riportante il reticolo di scavo del teatro di Leptis Magna con relative sezioni (senza luogo, senza data)17.

9) Fotografia del Tamponamento del vano sulla destra del cippo del pantomimo Agrippa (retro della Porta Regia) (senza luogo, senza data)18.

10) Fotografia del Tab. V in corso di scavo; accanto è in evidenza il tetto del vomitorio e insieme sottoscala dell’accesso alla media cavea (senza luogo, senza data)19.

Raccolta di immagini e fotografie per la pubblicazione

11) Fotografia spillata su scheda cartonata riportante la seguente didascalia: «56. Dioscuro ed Erma di Ercole a destra della scena (si noti la fossa dei servizi sotto il palcoscenico)» (senza luogo, senza data)20.

12) Fotografia spillata su scheda cartonata riportante la seguente didascalia: «58. Le colonne della frontescena e del porti[c]o dietro al teatro» (senza luogo, senza data)21.

13) Due fotografie spillate su un’unica scheda cartonata riportante la seguente didascalia: «59. Il podio del teatro e l’ara di Domiziano. 60. Iscrizione di Annobal Rufus» (senza luogo, senza data)22.

14) Fotografia spillata su scheda cartonata riportante la seguente didascalia: «61. La dedica dello stallo ingrandito da L. Caninius Gallus» (senza luogo, senza data)23.

Tabella 1 – Struttura della mostra “Dalla Libia a Firenze”

Figura 1 – Appunto manoscritto relativo a trascrizioni lapidee del teatro di Leptis Magna. Museo e istituto fiorentino di preistoria Paolo Graziosi, Archivio Giacomo Caputo, scatola 9, fasc. 2.

In tale ottica, i documenti diventano testimonianze di macro e microstoria. La sezione biografica, infatti, si innesta sulle più generali vicende del colonialismo italiano in Africa. I primi tre riferimenti raccontano in maniera diretta dell’attività di Caputo come soprintendente ai Monumenti e scavi della Libia (carica ricoperta dal 1935 al 1951)24 e conseguentemente le connessioni dirette e indirette che questo ebbe con il governo di Roma e altre istituzioni italiane. Il documento 1) evoca un aspetto fondamentale per l’approccio alle vicende coloniali: la differenza tra la narrazione filtrata, fatta nella madrepatria, e la reale situazione vissuta nel paese25. Anche le scienze furono sottoposte a questa necessità propagandistica, trasformandosi in strumenti – finanziati e sostenuti – di costruzione del consenso pubblico. Così, gli scavi archeologici divennero mezzi per riscoprire la romanità imperiale dei nuovi possedimenti che, secondo la concezione coloniale, veniva letta come riconoscimento di italianità, appartenenza territoriale e legittimazione delle mire imperialiste. Conseguentemente, gli studi sopra la Libia e il Corno d’Africa furono presentati in Italia come modelli di civilizzazione portata in quelle aree. Per tale ragione il forte impulso rivolto a convegni, esposizioni nazionali, padiglioni e musei che proponessero la tematica coloniale, divenne centrale durante il periodo imperialista26. Tutti questi aspetti appaiono determinanti nell’interpretazione del documento 2).
Il terzo nucleo esposto sottolinea da un lato il rapporto istituzionale di Caputo con le amministrazioni italiane presenti in Libia (il riferimento, sulla busta del fascicolo, all’intestazione «Governo della Cirenaica» diventa dirimente) e dall’altro la struttura dell’archivio e l’ordinamento dato dal soggetto produttore al proprio materiale (in gran parte fascicoli d’affare, variati nei contenuti e nella tipologia degli atti interni).
I documenti che dal 4) arrivano al 14) sono parte di un unico discorso, all’interno del quale il processo creativo ed elaborativo della ricerca di Caputo sfocia nella pubblicazione e diffusione dei risultati raggiunti. Gli atti sono rappresentativi di tutta la filiera: dalla fase di analisi alla stesura definitiva del testo, passando per la correzione, razionalizzazione e implementazione delle fonti e per la costruzione di un apparato critico e fotografico adeguato.
Attorno al prodotto editoriale finito – nel caso selezionato, riguardante il teatro di Leptis Magna27 – sono state collocate a raggiera le varie testimonianze: per prime alcune bozze di appunti, veloci foglietti capaci di bloccare su carta pensieri e riflessioni del momento (documenti 4-6); una successiva fase di razionalizzazione che cercava di dare ordine alle aree dello scavo attraverso la perfetta ricostruzione del reticolo (documenti 7-8) e l’accostamento delle foto dei reperti codificati alle rispettive sezioni di ritrovamento del reticolo stesso (documenti 9-10); infine a corredo dell’imponente lavoro scientifico, Caputo aveva selezionato una minuziosa raccolta di fotografie, tutte accompagnate da specifica numerazione e didascalia (documenti 11-14).

Figura 2 – Esemplare di Il teatro augusteo di Leptis Magna. Scavo e restauro (1937-1951) appartenuto a Giacomo Caputo e facente parte della biblioteca dello studioso.

Valorizzare (e comunicare) una biblioteca d’autore28

La biblioteca di Giacomo Caputo si inserisce nel solco delle biblioteche d’autore, cioè di quelle «raccolte di libri accorpati da un soggetto significativo per la comunità culturale in maniera funzionale alla propria attività. I documenti sono legati da un vincolo che li caratterizza in quanto insieme e tali da restituire sia il profilo del soggetto produttore che momenti della nostra storia culturale»29. Ogni libro presente in una biblioteca d’autore porta con sé informazioni che travalicano quelle nozionistiche contenute nei singoli volumi: appunti, note di possesso, segni grafici e inserti sono elementi parlanti che rendono ogni esemplare un oggetto unico. Analizzarli permette di tracciare l’attività del possessore in relazione al suo laboratorio di studio, testimoniando l’uso che egli faceva del libro e il rapporto che aveva con esso. Le biblioteche d’autore rappresentano nella maniera più tangibile il punto di contatto tra il contesto privato destinato al lavoro del soggetto e lo spazio sociale in cui egli operava, composto da fitte reti di relazioni e terreno fertile per la genesi delle creazioni intellettuali30. La loro osservazione rende noti i differenti canali di approvvigionamento bibliografico, gli interessi prediletti, suggerisce il clima culturale che si respirava al di fuori delle mura della biblioteca stessa. Libri, documenti, fotografie, si ammantano così di un forte potere evocativo diventando l’eredità naturale di personaggi rilevanti per la nostra storia culturale: testimoni di stili di vita e processi creativi, raccontano indirettamente la vicenda personale dell'autore e la sua continua metamorfosi intellettuale. Ogni oggetto diventa parte di una narrazione biografica che integra vita e opere, contenuto e forma, contribuendo a costruire un racconto che va oltre le opere scritte o pubblicate, facendo emergere la persona oltre che lo studioso.
La biblioteca d’autore che diventa patrimonio pubblico si apre alla possibilità di trasformare quel tesoro personale in una risorsa culturale condivisa. Tuttavia, affinché il pubblico possa apprezzarne appieno il valore, è necessario gestirlo e valorizzarlo al meglio. Gestire il fondo significa renderlo accessibile, consultabile e fruibile, creando strumenti tecnici che fungano da guida e che aiutino ad orientarsi all’interno dello stesso. Valorizzarlo vuol dire individuare percorsi di conoscenza (progetti di ricerca, studi mirati), nonché comunicare la raccolta utilizzando modalità innovative che stimolino l'interesse e il coinvolgimento del pubblico non specializzato (utilizzo di social media, organizzazione di momenti di disseminazione come mostre, seminari, convegni).
La mostra “Dalla Libia a Firenze” realizzata in occasione della Bright Night 2024 – Notte europea dei ricercatori diventa così momento chiave per sintetizzare e raccontare differenti modalità di valorizzazione di un fondo di persona: da un lato restituisce i primi risultati del progetto di ricerca "La biblioteca di Giacomo Caputo: archeologia e restauro in una biblioteca d’autore", dall’altro racconta e comunica il fondo ad un pubblico non necessariamente specializzato.
Obiettivo della mostra è restituire il modus operandi di Caputo in relazione allo studio e all’approccio ai volumi, intercettarne gusti personali e abitudini, indagare quanto e come attimi della sua vita privata siano rimasti ‘intrappolati’ tra i volumi che componevano il suo fondo, comunicando tutto ciò al pubblico. Le peculiarità di ciascun volume (appunti, note, sottolineature, inserti etc.) diventano così il punto di partenza nella scelta dei contenuti della mostra, restituendo una fotografia dello studioso all’opera. I volumi selezionati, che si è scelto di disporre su due tavoli nella sala principale del Museo di preistoria, illustrano alcuni tratti salienti di Caputo come uomo e come intellettuale, indagando tre temi principali: le note di possesso, quindi le modalità di studio, infine il profilo dello studioso.
La mostra si apre con esempi di attestazioni di possesso presenti sui volumi: l’ingresso dei titoli che entravano a far parte della biblioteca venivano sublimati dal suo autografo. Infatti, Caputo non utilizzava un timbro o un ex libris, ma apponeva sulla coperta o sul frontespizio la sua firma a sancirne la proprietà, spesso accompagnandola dalla data o dal luogo in cui il volume era stato letto o acquistato. Sui volumi utilizzati durante il periodo universitario si firma «Giacomo Caputo» oppure «Giac. Caputo», come si evince dalla guardia anteriore de Il dialetto omerico, grammatica e vocabolario31, edito da Loescher nel 1913. Sulla maggior parte dei volumi che compongono il fondo, quando da affermato studioso il solo cognome bastava a identificarlo, si firma semplicemente «Caputo», come mostra per esempio il volume Le strade romane del Valdarno di Mario Lopes Pegna pubblicato da Editoriale Toscana nel 1971.
Un fondo bibliografico, però, non si accresce esclusivamente con i volumi acquistati dal possessore: libri donati, prestati e mai restituiti, passati tra le mani di uno o più proprietari, si susseguono sugli scaffali, strumenti e testimonianze di una fitta trama di rapporti intellettuali, occasionali o irrobustiti da profonda e duratura amicizia. È il caso del volume Die Plastik des Abendlandes di Hans Stegmann, pubblicato a Lipsia nel 1902, originariamente appartenuto a Giacomo Guidi, predecessore di Caputo come soprintendente ai Monumenti e scavi della Tripolitania. Quest’ultimo, nell’apporre la sua nota di possesso sul volume, afferma di aver a sua volta ricevuto «questo libro da Chele l’11 gennaio del 1922». Anche il testo Le fonti inedite della storia della Tripolitania di Paolo Toschi, sebbene donato dall’autore stesso «in affettuosa amicizia» a Salvatore Aurigemma, è entrato poi a far parte della biblioteca di Caputo. Ad ogni modo, ciò che emerge dallo studio del fondo è che sia Giacomo Guidi che Salvatore Aurigemma donarono più volte le proprie fatiche editoriali a Caputo accompagnate da dediche di stima e affetto, testimoniando stretti rapporti interpersonali e ‘legittimandone’, in qualche modo, il cambio di possessore.
Il percorso all’interno della mostra procede con l’analisi delle modalità di studio, che si riflettono all’interno dei suoi volumi. Sin da giovane egli mostra un rapporto estremamente rispettoso con il libro: inserisce annotazioni, schemi, appunti e suggestioni sul blocco iniziale delle carte e lascia del tutto vergine il resto, fatta eccezione per piccole linee perpendicolari allo specchio scrittorio o parole chiave accanto a capoversi rilevanti. Ne sono esempi il volume del periodo universitario Bucolici Graeci, recognovit Otto Koennecke, stampato a Brunsvigae per i tipi di A. Graff nel 1914 e Civiltà artistica etrusco-italica di Massimo Pallottino, edito da Sansoni nel 1971: recto e verso di coperta, carte di guardia e frontespizio ospitano una lunga lista di soggetti scritta di suo pugno e, per ciascuno, la pagina del volume in cui l’argomento è affrontato. Si tratta probabilmente di un espediente per velocizzare le sue ricerche ed orientarsi più agevolmente tra gli argomenti dei suoi libri. Mostrare al pubblico due volumi, pubblicati a distanza di più di sessant’anni l’uno dall’altro, mira ad evidenziare la coerenza e la continuità del metodo di studio dell’archeologo nel tempo.
Accanto a questa pratica se ne affianca un’altra. Caputo inserisce spesso materiale di varia tipologia e funzione tra le pagine: piccoli o grandi fogli di carta o cartoncino, bianchi o colorati, vergini o di riuso provenienti da agende, stralci di quotidiani, sui quali annota appunti, suggestioni o citazioni bibliografiche strettamente connesse alle pagine dei testi che li ospitano, ma anche lettere, cartoline, santini, piccoli fiori, come preziosi oggetti da custodire. Si tratta di inserti, elementi che conferiscono alle biblioteche d’autore quel carattere ‘ibrido’ che ne complica la gestione, che si attestano frequentemente su una linea di confine tra la tipologia biblioteconomica e quella archivistica. Sono elementi di fondamentale importanza poiché se da un lato, in quanto strumenti di lavoro, forniscono indicazioni precise in merito a metodi e abitudini di studio, dall’altro concorrono a far emergere la sfera privata del possessore. Per esempio, tra le pagine 20 e 21 del volume Guides to The National Museum Copenhagen. The Danish Collections Antiquity, stampato a Copenaghen nel 1955, sono conservati due foglietti di uguali dimensioni. Sul verso, Caputo annota delle citazioni bibliografiche, rimandi ad altri testi per approfondire l’argomento affrontato nelle pagine che li custodiscono; il recto di questi due fogli svela però la loro funzione primordiale: si tratta di ricevute di concessione speciale rilasciate dal Ministero della pubblica istruzione per il viaggio da Agrigento a Taormina delle figlie Annarita e Giuseppina. Tra il verso della guardia posteriore e la terza di copertina de La critica letteraria contemporanea. Dal Serra agli ermetici di Luigi Russo, pubblicato da Laterza nel 1943, è invece conservata la bozza di una lettera, in una grafia tremolante spia di un’età avanzata, in cui Ersilia, madre di Giacomo Caputo, annuncia al destinatario di essere diventata bisnonna «di un superbo maschietto». Il disegno di un frutto di ippocastano realizzato per «la mia mamma, dalla sua Giuseppina» si conserva tra le pagine 192-193 del volume Le arti, scritto e illustrato da Hendrik Willem Van Loon per i tipi di Bompiani nel 1949. Ricordi di vita quotidiana si intrecciano strettamente ad abitudini e modalità di studio e, rimanendo custoditi all’interno dei libri, agevolano la ricostruzione della sfera privata del possessore.
Un’altra interessante informazione che emerge dal fondo riguarda l’approccio alla lettura e allo studio dei volumi: attento ed estremamente scrupoloso, Caputo interviene sui testi modificando frasi, cancellando parole, facendo precisazioni, non risparmiando commenti positivi o negativi. Molto interessante è ciò che appare nell’esemplare della rivista Il giglio – Rassegna siciliana, n. 5 del 1969. In un trafiletto a p. 67, la redazione ringrazia un attento lettore per aver inviato una «certamente fondata precisazione» in merito all’articolo C’era una volta... la madre del Gattopardo pubblicato nel numero precedente della rivista. Una X rossa segnala il trafiletto e un segno accanto alla parola ‘lettore’ rimanda a un appunto aggiunto a penna sul margine della pagina: ‘Giacomo Caputo’, nota autografa dello stesso che dichiara che quell’attento lettore è proprio lui!
Un approccio così rigoroso e analitico non si limita alle letture di piacere: il volume Monumenti Italiani. Il foro e la basilica severiana di Leptis Magna, con rilievi realizzati dalla Facoltà di architettura della R. università di Roma e testi di Bruno Maria Apollonj, pubblicato dalla Libreria dello Stato nel 1936, ne è un esempio. Su questo testo, che porta una dedica autografa di Apollonj a Caputo, egli interviene con aspre osservazioni sulla maggior parte delle tavole, segnalando errori e inesattezze. Le planimetrie sono costellate di «manca la porta», «mancano le colonne», «il piano non risulta così inclinato» e molte altre annotazioni simili. Il confronto con Leptis Magna, frutto della collaborazione di Giacomo Caputo con Ernesto Vergara Caffarelli e pubblicato da Mondadori nel 1964, mostra come nelle planimetrie del teatro gli errori contenuti nel volume di Apollonj siano stati rivisti e corretti. Caputo parte da un modello preesistente, lo rielabora, lo adatta e lo plasma alla realtà, restituendo così parte del suo metodo di lavoro che emerge chiaramente anche dalle carte del suo archivio.

Figura 3 – Appunti di Giacomo Caputo sul volume Massimo Pallottino, Civiltà artistica etrusco-italica. Firenze: Sansoni, 1971.

Figura 4 – Annotazioni di Giacomo Caputo sul volume I monumenti italiani. Il foro e la Basilica Severiana di Leptis Magna, rilievi eseguiti dalla Facoltà di architettura della R. università di Roma, testo di Bruno Maria Apollonj, VIII-IX. Roma: Libreria dello Stato, 1936.

Conclusioni

La mostra “Dalla Libia a Firenze” si è dimostrata occasione utile e fruttuosa per riflettere sulle interconnessioni tecniche e tematiche di un peculiare fondo di personalità. Partendo dall’assunto che ogni nucleo documentario, sia esso archivistico o librario, possiede una propria caratterizzazione specifica (e quindi considerabile come unicum), alcune riflessioni e considerazioni acquisiscono un valore analogico e comune per l’intera tipologia dei fondi d’autore. In tale ottica, progettare e strutturare un’iniziativa di public engagement, significa fare i conti con le necessità specifiche dell’evento e della documentazione. All’interno di questi due estremi ideali, il percorso deve però prevedere alcune tappe processuali che tengano in considerazione l’utente al quale ci si vuole rivolgere, il messaggio da veicolare in relazione con le peculiarità delle risorse esposte, la biografia del soggetto aggregatore/produttore, il contesto di conservazione, il percorso espositivo, gli spazi a disposizione, il rapporto tra archivio e biblioteca, etc. Infatti, nella creazione di una mostra rivolta a un pubblico non specializzato ogni scelta va ponderata per poter offrire al visitatore un'esperienza coinvolgente e accessibile, in cui non si senta perso nel mero nozionismo, ma sia guidato da una narrazione chiara e da un attento storytelling. In questo specifico caso, la scelta di allestimento - tutto interno alla sala che ospita il fondo - è stata dettata dalla volontà di dare al visitatore la percezione che tutti i volumi e i documenti, e non solo quelli momentaneamente fuori dagli armadi, fossero a disposizione, come se un fil rouge li tenesse ben saldi fra loro. La selezione dei materiali ha rappresentato probabilmente la sfida più complessa: poiché ciascuno dei documenti e dei volumi scelti ha contribuito a illuminare la figura di Caputo nella sua evoluzione intellettuale, dalla formazione accademica all'affermazione come studioso. Per rendere questo percorso fruibile al pubblico, l’attenzione è ricaduta su materiali che potessero facilmente rievocare l'immagine dell’archeologo calata nel vivo del suo laboratorio di lavoro. Produrre documentazione, sottolineare, commentare, firmare i libri, inserirvi all’interno ritagli di giornale, cartoline, etc. sono azioni che pertengono a ciascuno di noi, gesti comuni in cui il pubblico può facilmente riconoscersi. Non basta però esporre testi e documenti: è necessario elaborare un percorso che metta in risalto il loro valore intrinseco, rendendo ognuno di essi testimone della biografia del possessore. In definitiva, problematizzare e analizzare criticamente le difficoltà insite in simili esperienze si trasforma in quel patrimonio comune di riflessioni, dubbi e scelte, capaci di contribuire all’elaborazione di un’efficace e funzionale trasmissione dei beni culturali d’autore al pubblico generico.

Articolo proposto il 24 ottobre 2024 e accettato il 18 novembre 2024. 


Note

LAURA BUCCINO, Università degli studi di Firenze, Dipartimento di storia, archeologia, geografia, arte e spettacolo, Firenze, e-mail: laura.buccino@unifi.it.
MANUELA PARRILLI, Università degli studi di Firenze, Dipartimento di storia, archeologia, geografia, arte e spettacolo, Firenze, e-mail: manuela.parrilli@unifi.it.
LORENZO SERGI, Università degli studi di Firenze, Dipartimento di storia, archeologia, geografia, arte e spettacolo, Firenze, e-mail: lorenzo.sergi@unifi.it.
VALENTINA SONZINI, Università degli studi di Firenze, Dipartimento di storia, archeologia, geografia, arte e spettacolo, Firenze, e-mail: valentina.sonzini@unifi.it.
EMANUELE ZAMPERINI, Università degli studi di Firenze, Dipartimento di architettura, Firenze, e-mail: emanuele.zamperini@unifi.it.
Ultima consultazione siti web: 20 ottobre 2024.

Il presente contributo è frutto di un lavoro di ricerca all’interno dell’Università di Firenze - a cui afferiscono tutti i soggetti coinvolti - condiviso nella progettazione, ma distinto nella stesura delle sue parti. Il paragrafo Introduzione è da imputarsi a Laura Buccino (Professoressa associata di Archeologia classica), Valentina Sonzini (Ricercatrice in Archivistica, bibliografia e biblioteconomia) ed Emanuele Zamperini (Ricercatore in Restauro dell'architettura), mentre i paragrafi Una proposta di ‘trasmissione’ archivistica a Lorenzo Sergi (Assegnista) e Valorizzare (e comunicare) una biblioteca d’autore a Manuela Parrilli (Assegnista). Le Conclusioni sono siglate da Manuela Parrilli e Lorenzo Sergi.

AIB studi, vol. 64 n. 2 (maggio/agosto 2024). DOI 10.2426/aibstudi-14084. ISSN: 2280-9112, E-ISSN: 2239-6152 - Copyright (c) 2024 Laura Buccino; Manuela Parrilli; Lorenzo Sergi; Valentina Sonzini; Emanuele Zamperini

1Per la sensibile e fattiva collaborazione si ringraziano le eredi Caputo Annarita e Giuseppina e Irene Calloud, e i professori Fabio Martini e Domenico Lo Vetro.

2 La lunga attività in Libia cominciò con la partecipazione nel 1933-1934 alla quarta missione organizzata dalla Reale società geografica d’Italia nel Fezzan, insieme all’antropologo Sergio Sergi, sotto la direzione di Biagio Pace. Scopo della missione, condotta con una strategia archeologica moderna che combinava ricognizioni e scavi, era l’indagine della civiltà dei Garamanti. Nel 1935 Caputo fu chiamato a dirigere la Soprintendenza alle antichità della Cirenaica e nel 1936, alla morte di Giacomo Guidi, divenne Soprintendente ai monumenti e scavi di tutta la Libia. La gestione di un territorio così vasto attraversò gli anni del fascismo, della Seconda guerra mondiale e del Dopoguerra, quando la British military administration richiamò Caputo a dirigere la complessa struttura della Soprintendenza, dal 1945 al 1951, anno della costituzione del Regno Unito di Libia. In questo lungo periodo Caputo affrontò delicate questioni diplomatiche e amministrative, e sovrintese a estese campagne di scavo, a ricognizioni, a interventi di restauro, all’allestimento di musei nei principali siti archeologici della Libia (Cirene, Tolemaide, Leptis Magna, Tripoli, Sabratha). Nel luglio 1951 passò a dirigere la Soprintendenza alle antichità d’Etruria, Toscana e Umbria, dove mise a frutto i metodi e le esperienze maturate in Libia: promosse scavi in siti archeologici nevralgici, al fine di rispondere a quesiti storici di ampio respiro (Fiesole, Montagnola di Quinto Fiorentino, Volterra, Populonia, Vetulonia, Roselle, Cosa, Orvieto), realizzò restauri, riorganizzò musei, come il Museo Archeologico di Firenze, e organizzò mostre di successo, con l’intento di coniugare ricerca scientifica e interessi del vasto pubblico, una delle linee guida del suo operato. A Firenze fu anche libero docente di Archeologia e storia dell’arte greca e romana dal 1939 al 1952. Dopo il pensionamento (1966), grazie al Gruppo di ricerca per le antichità dell’Africa Settentrionale, fondato a Firenze nel 1966 insieme tra gli altri a Paolo Graziosi, continuò a coordinare la ricerca italiana in Libia, con la finalità di portare a compimento e concretizzare in pubblicazioni i numerosi e cospicui interventi compiuti dagli archeologi italiani e avallarne gli impegni futuri, fungendo – per così dire – da anello di congiunzione tra l’attività della Soprintendenza e quella delle numerose missioni archeologiche italiane che ancora oggi operano sul territorio libico.

3 Bando di Ateneo per il finanziamento di progetti competitivi biennali per Ricercatori a tempo determinato (RTD) dell’Università di Firenze 2024-2025, decreto rettorale 02/05/2023, n. 419. Il progetto si è aperto nel gennaio 2024 e si concluderà nel dicembre 2025.

4 Museo fiorentino di preistoria, https://www.museofiorentinopreistoria.it/it.

5 Archeologia dell’Africa settentrionale (CAS) Antonino Di Vita, https://studiumanistici.unimc.it/it/ricerca/laboratori-e-centri-di-ricerca-1/archeologia-dell-africa-settentrionale" target="_blank">https://studiumanistici.unimc.it/it/ricerca/laboratori-e-centri-di-ricerca-1/archeologia-dell-africa-settentrionale. Si veda Silvia Forti, Il contributo della documentazione del Fondo Caputo per la ricostruzione dell’attività archeologica italiana in Libia, «Quaderni di Archeologia della Libya», 20 (2009), p. 171-177; Silvia Forti, La storia e le attività del Centro ‘Antonino Di Vita’: ‘archeologia militante’ alle soglie del terzo millennio. In: Macerata e l’Archeologia in Libia. 45 anni di ricerche dell’Ateneo maceratese, Macerata 18 marzo 2024, a cura di Maria Antonietta Rizzo. Roma: «L’Erma» di Bretschneider, 2016, p. 191-202.

6 Sezione a cura di Lorenzo Sergi, assegnista di ricerca presso il Dipartimento SAGAS dell’Università di Firenze.

7 Nell’ambito delle ICT sono state proposte specifiche riflessioni che calassero il tema all'interno del mondo documentario. Si veda per esempio: Giorgetta Bonfiglio-Dosio, La terza missione dell’università. In: Professione archivista: stato dell’arte e prospettive per la formazione e il lavoro, Cagliari, 13-15 dicembre 2018, «Archivi», XIV (2019), n. 2, p. 104-108; Fiammetta Sabba; Lucia Sardo, I fondi personali e la terza missione. Proposta di buone pratiche. In: Il privilegio della parola scritta. Gestione, conservazione e valorizzazione di carte e libri di persona, a cura di Giovanni Di Domenico e Fiammetta Sabba. Roma: AIB, 2020, p. 427-446.

8 Si rifletta in tale ottica anche sui modelli concettuali per la descrizione archivistica offerti da: International Council on Archives. Expert group on archival description, Records in contexts. Conceptual model. Version 1.0., novembre 2023, https://www.ica.org/resource/records-in-contexts-conceptual-model/.

9 I documenti sono presentati nell’ordine di esposizione scelto e non su base cronologica o contenutistica. Inoltre, si è reputato opportuno, in questa sede, proporre una brevissima descrizione identificativa contenente un titolo originale (in corsivo) o attribuito (in tondo) e tra parentesi tonde una specifica sulla tipologia documentaria e sulla datazione topica e cronica (o sugli estremi cronologici). In nota a ciascuna risorsa è presentata l’attuale segnatura. È necessario sottolineare come la collocazione sia momentanea visto che sull’archivio è in corso un’attività di riordinamento complessivo.

10 Museo e istituto fiorentino di preistoria Paolo Graziosi, Archivio Giacomo Caputo, scatola 7, fasc. 2.

11 Ivi, scatola 7, fasc. 4.

12 Ivi, scatola 9, fasc. 2.

13 Ibidem.

14 Ibidem.

15 Ibidem.

16 Ibidem.

17 Ivi, scatola 9, fasc. 1.

18 Ibidem.

19 Ibidem.

20 Ivi, scatola 9, fasc. 2.

21 Ibidem.

22 Ibidem.

23 Ibidem.

24 Per una panoramica biografica si rimanda almeno a: Irene Calloud, Giacomo Caputo. In: Ministero per i beni e le attività culturali. Direzione generale per il paesaggio, le belle arti, l’architettura e l’arte contemporanee. Centro studi per la storia del lavoro e delle comunità territoriali, Dizionario biografico dei soprintendenti archeologi (1904-1974). Bologna: Bononia University Press, 2012, p. 167-179 (ad vocem).

25 La «cessazione dello stato di guerra», citata nel brevetto, fu in realtà solo sulla carta visto che la resistenza libica si mantenne sempre viva e solo in alcuni periodi apparentemente assopita e silente. Per contestualizzare il tema libico e il suo rapporto con l’ambizione coloniale italiana nel suo complesso, si rimanda a una delle opere più recenti e aggiornate: Valeria Deplano; Alessandro Pes, Storia del colonialismo italiano. Politica, cultura e memoria dall’età liberale ai nostri giorni. Roma: Carocci, 2024.

26 In riferimento al tema archeologico: Massimiliano Munzi, L’epica del ritorno. Archeologia e politica nella Tripolitania italiana. Roma: «L’Erma» di Bretschneider, 2001; Matteo Balice, Libia, gli scavi italiani. 1922-1937: restauro, ricostruzione o propaganda?. Roma: «L’Erma» di Bretschneider, 2010; Simona Troilo, Pietre d’oltremare. Scavare, conservare, immaginare l’Impero (1899-1940). Bari; Roma: Laterza, 2021.

27 Giacomo Caputo, Il teatro augusteo di Leptis Magna. Scavo e restauro (1937-1951). Roma: «L’Erma» di Bretschneider, 1987.

28 Sezione a cura di Manuela Parrilli, assegnista presso il Dipartimento SAGAS dell’Università di Firenze.

29 Linee guida sul trattamento dei fondi personali a cura della Commissione nazionale biblioteche speciali, archivi e biblioteche d’autore dell’Associazione italiana biblioteche, versione 15.1, 31 marzo 2019, consultabili all’indirizzo https:// www.aib.it/documenti/linee-guida-sul-trattamento-dei-fondi-personali/ (ultimo accesso 18/10/24).

30 Anna Manfron, Valorizzare i fondi d’autore. In: Oltre le mostre, a cura di Mauro Brunello, Valentina De Martino e Maria Speranza Storace. Venezia: Ca' Foscari-Digital Publishing, 2020, p.53.

31 Le monografie della biblioteca di Giacomo Caputo sono attualmente in fase di catalogazione; pertanto, non è stato possibile fornire né la collocazione, né il BID SBN di riferimento. Tutti i volumi citati sono stati esposti in occasione della mostra ed illustrati, pezzo per pezzo, con le proprie peculiarità, al pubblico intervenuto.