I turbolenti anni venti. Riflessioni sull’attuale ecosistema informativo e sul relativo ruolo delle biblioteche

Federico Meschini

Sono giunto al termine di questa mia apologia del romanzo come grande rete [...] Ogni vita è un’enciclopedia, una biblioteca, un inventario di oggetti [...] dove tutto può essere continuamente rimescolato e riordinato in tutti i modi possibili.
(Italo Calvino, Le lezioni americane)

Introduzione

In questo articolo si intende riprendere ed espandere delle riflessioni già pubblicate su «AIB studi» e incentrate sull’evoluzione e sulla situazione corrente dell’ecosistema informativo1. Lo sviluppo delle reti telematiche, e in particolare la diffusione su larga scala a partire dagli anni ’90, ha portato tramite una serie di passi intermedi ad uno scenario in cui l’accesso all’informazione è sì ubiquo ma praticato principalmente a livello individuale. Come se non bastasse, le forme di condivisione, ad esempio quelle basate sui social network, danno vita il più delle volte a fenomeni di tribalismo e polarizzazione. Si può considerare tutto questo come la fine delle forme di mediazione? O al contrario ce n’è un maggiore bisogno, seppure con modalità da stabilire e perciò, perlomeno in parte, diverse da quelle tradizionali. La tesi che s’intende sostenere in questa sede è naturalmente a favore di quest’ultima opzione, sulla necessità presente e futura della mediazione informativa, in cui vanno naturalmente e necessariamente incluse anche le biblioteche: non a caso queste ultime erano citate nelle conclusioni delle precedenti riflessioni proprio come ingredienti di base delle possibili risposte alle criticità evidenziate2. Certo, decisamente meno banale è rispondere alla domanda immediatamente successiva e più rilevante, ossia su come ciò debba auspicabilmente avvenire.
Per provare a dare una risposta, o perlomeno mettere degli elementi in campo, si vuole iniziare facendo dei passi indietro. A pensarci bene questa scelta è del tutto linea con l’appartenenza delle biblioteche alle istituzioni della memoria e alla necessità di trovare dei princìpi il meno possibile transeunti, che naturalmente andranno poi di volta in volta declinati a seconda del contesto specifico. In questo modo la validità delle riposte proposte sarà, si spera, estesa anche agli scenari futuri, fattore quanto mai necessario data la velocità di trasformazione cui stiamo assistendo. Sempre per questo motivo, e per essere il più possibile coerenti con quella che è la tradizione della biblioteca, non verranno proposti stravolgimenti quanto degli spostamenti del punto di vista, va da sé non certo privi di conseguenze. Si riprenderanno, perciò, delle argomentazioni proposte in precedenza esclusivamente in modalità orale, ricostruendone il percorso, collegandole e strutturandole sistematicamente e, soprattutto, togliendole dall’effimera immaterialità performativa, dando loro la fissità strutturale del testo, aspetto anche questo molto legato al concetto di biblioteca e di memoria. 

Libri come strutture narrative

Iniziamo quindi dalla citazione posta in esergo, tratta dalla lezione sulla molteplicità3, e utilizzata da chi scrive come incipit per una relazione incentrata su La cultura orizzontale di Giovanni Solimine e Giorgio Zanchini4, all’interno di una presentazione del suddetto libro che ha avuto luogo nell’ottobre del 2020, e svoltasi in modalità telematica, come la quasi totalità degli eventi di quel particolare periodo5. La finalità retorico-argomentativa di tale incipit è più che evidente: da un lato sfruttare sia a livello emotivo sia cognitivo il peso di un autore come Calvino; dall’altro introdurre e mettere in relazione dei concetti decisamente centrali nel cambio di paradigma descritto e analizzato dai due autori – in cui, non a caso, la molteplicità sembra essere proprio l’aspetto precipuo –, ossia la rete, la biblioteca e il libro. Certo, quest’ultimo non viene espressamente menzionato, ma la sua presenza è implicita nel riferimento alla forma narrativa e a quella di organizzazione della conoscenza che meglio si sposano alla sua materialità6. A questa citazione ne è seguita subito un’altra che a sua volta cita indirettamente un autore altrettanto noto e aggiunge due variabili al sistema di partenza, tramite quella già presente implicitamente in Calvino: «The book, as Marcel Proust recognized, is a fulcrum that creates space out of time»7. Non è forse un caso che Proust e Calvino siano entrambi due autori cui possiamo associare il tema della complessità in relazione allo zeitgeist rispettivamente di inizio e fine Novecento, secolo che può essere idealmente diviso a metà, oltre che dal secondo conflitto mondiale, dalla rivoluzione computazionale, attuando così una sorta di simmetria con il ‘400 e la rivoluzione gutenberghiana.
Rete, biblioteca, libro, spazio e tempo. Questi gli elementi, nessuno dei quali lineare in sé, scelti per denotare, connotare e commentare La cultura orizzontale. Una prima idea proposta ne ha utilizzati quattro, collegando, ossia mettendo in rete, al libro appena citato le due precedenti pubblicazioni di Giovanni Solimine, L’Italia che legge8 e Senza sapere9, e disponendole sia spazialmente sia temporalmente tramite il noto modello narrativo dei tre atti di Syd Field10. Ne L’Italia che legge l’autore analizza le abitudini di lettura degli italiani basandosi su una ben dettagliata componente statistica, in cui sia i dati sia le conseguenti riflessioni delineano uno scenario non proprio entusiasmante: è perciò secondo il modello di Field il primo atto, in cui viene introdotta l’ambientazione della storia. Tra le numerose e perspicaci riflessioni di Solimine, vanno ricordate in particolare l’errore di idealizzare il passato – quando la lettura era la principale forma d’informazione e intrattenimento e, nonostante ciò, il numero di lettori decisamente minore, – e il voler scaricare la colpa delle basse percentuali di lettura sugli altri mezzi di comunicazione, prima la televisione e ora la rete. Serve sempre ricordare su quanto a fare la differenza sia oltre che lo strumento utilizzato anche la tipologia di contenuto veicolato e la modalità di pensiero coinvolta.
Senza sapere condivide con la monografia precedente la stessa combinazione di analisi quantitativa e qualitativa e costituisce la parte centrale, il secondo atto, in cui, sempre in base a Field, troviamo il midpoint, il momento di verità, lo svelamento in cui compare per la prima volta il senso effettivo della storia. In questo caso, come se non bastasse il titolo, è il sottotitolo Il costo dell’ignoranza in Italia a porre in maniera inequivocabile la questione, ossia le pesanti ripercussioni economiche e sociali del basso tasso di istruzione e di consumi culturali nel nostro paese. Lo scenario disegnato è affatto desolante e con numerose criticità, che al tempo stesso però, come sottolinea più volte l’autore, possono essere i fattori su cui intervenire per invertire la tendenza. Ormai va da sé come La cultura orizzontale, scritto a quattro mani ma con un approccio metodologico comune ai due precedenti libri, costituisca il terzo atto, in cui dopo il momento di crisi finale, e quando tutte le certezze accumulate fino a quel momento vengono messe in discussione, si arriva alla conclusione. Come scritto in precedenza, l’argomento principale di questa pubblicazione sono le modalità di fruizione dei contenuti informativi, culturali, educativi e d’intrattenimento, caratteristiche delle nuove generazioni, millennials e gen z, e in cui oramai andrebbero considerati anche i gen alpha. Com’è prevedibile queste pratiche si svolgono per la quasi totalità online e con una possibilità di scelta pressoché sconfinata, ma il più delle volte appiattita su contenuti frammentati, da cui il titolo del libro. Ciò che nelle due monografie precedenti era sfondo qua diviene figura, anche considerando i cambiamenti sia qualitativi sia quantitativi che hanno avuto luogo nei sei anni che separano La cultura orizzontale da Senza sapere11.
Viene naturale chiedersi a questo punto quale sia il tipo di finale e il conseguente scenario in cui ci troviamo. Una prima distinzione che si può fare è tra un lieto fine e il suo opposto, che però risulta essere alquanto elementare. Altre classificazioni differenziano il soddisfacimento dei bisogni esterni da quelli interni del protagonista, con le relative combinazioni possibili. In altre ancora si distingue tra finali chiusi e aperti, definizione che è possibile collegare a quella tra finali consolatori e non consolatori di cui parlava Umberto Eco: nei primi il lettore si sente rassicurato in quanto tutti i conflitti vengono risolti in maniera positiva, al contrario di ciò che avviene nei secondi. La cultura orizzontale può essere considerata un finale aperto e non consolatorio, ma contiene in sé la chiave per una possibile soluzione, significativamente proprio nell’explicit: «La cultura orizzontale in altre parole non può fare a meno della cultura verticale»12. Va subito segnalato un aspetto da tenere in considerazione. Prendendo come base il noto paradigma Data – Information – Knowledge – Wisdom (DIKW), tradizionalmente rappresentato come una piramide, negli scenari precedenti il principale nodo cruciale era il reperimento delle informazioni, di cui veniva data il più delle volte per scontata l’affidabilità grazie alla forte presenza della mediazione informativa. Una volta recuperata la fonte, eventualmente selezionandola e comparandola, le fasi successive, relative all’elaborazione delle suddette informazioni e alla loro organizzazione sistemica, ossia i livelli della conoscenza e della saggezza, non erano così oggetto di attenzione come adesso, quasi ci fosse una sorta di fiducia collettiva sulle modalità di ragionamento adottate. Al contrario, ora come ora non è mai stato così facile accedere alle informazioni e al tempo stesso così difficile trasformarle in conoscenza. In precedenza effettuare questo passaggio era effettivamente più facile e quindi c’è stato un declino delle capacità cognitive? Oppure l’attuale pantagruelica disponibilità informativa, oltre ad essere al tempo stesso un vantaggio e un ostacolo, ha spostato il focus sulle non poche criticità delle fasi successive? O addirittura queste due fattori coesistono e interagiscono tra di loro? Probabilmente ciò che conta non è dare una risposta ma tenere sempre bene a mente queste domande.
In ogni caso, nella frase conclusiva de La cultura orizzontale non è difficile trovare un forte richiamo ad un tema più volte citato, ossia quello della complessità. D’altro canto verticale e orizzontale sono le due dimensioni degli assi cartesiani, le cui possibili combinazioni degli elementi costituenti danno vita a quell’esplosione combinatoria caratteristica dei fenomeni complessi. Questo tema sembra essere fortemente sottostante e al tempo stesso chiave di lettura dello scenario delineato, in quanto entità complesse sono state utilizzate per analizzare un discorso anch’esso complesso, generandone a sua volta un altro, in cui, come se non bastasse, la complessità era uno degli argomenti affrontati. D’altro canto nel parlare di concetti come informazione, conoscenza, forme documentarie e pratiche socioculturali questa parola sembra di fatto impossibile da evitare, e come se non bastasse, provare a darne una spiegazione sembra porre una questione autologica.
La definizione proposta sia all’epoca sia in questa sede si basa su di un approccio sistemico, in cui viene vista come un’interazione non lineare e dinamica di elementi eterogenei. A livello quantitativo è utile prendere dalla teoria computazionale il già citato concetto di esplosione combinatoria all’aumentare del numero degli elementi di partenza, fattore che rende necessario l’utilizzo di tecniche come le euristiche per raggiungere un risultato. A livello qualitativo va invece ricordato il principio epistemologico in base al quale ogni risultato va considerato in relazione al punto di vista di partenza e agli strumenti teorico-metodologici adottati.
Su questa base, i seguenti temi proposti sono stati quelli della sfida e conseguente educazione alla complessità, in relazione proprio al rapporto tra cultura orizzontale e verticale, nel riuscire a sfruttare positivamente il quantitativo d’informazione disponibile, in modo tale da trasformare il rumore in suono. La chiave è nella capacità di andare di volta in volta a creare il percorso conoscitivo migliore in base sia alle finalità sia a ciò che si ha a disposizione in quel momento. Ed è in questo che le biblioteche possono e devono avere un ruolo strategico, in quanto tradizionalmente nel loro codice genetico c’è proprio questa capacità di strutturare, organizzare e rendere funzionale ciò che di per sé sarebbe confuso, confusivo ed eterogeneo, e in cui, se prendiamo il libro come punto di riferimento, la sola caratteristica condivisa è quella di una base materiale comune. Certo, in questo caso ci si trova di fronte ad una pluralità multicodicale, ma anche qua la diversità può e deve essere un’opportunità da sfruttare13.
Questa capacità di leggere, di riuscire a dare un ordine, si richiama in maniera inequivocabile alla citazione iniziale di Calvino e a quell’insieme di abilità che vanno sotto il nome di literacy. Qua basandosi sulla felice espressione di Maurizio Lana di «danza delle literacy» e sul modello da lui proposto14, la riflessione è stata sulle diverse tipologie insieme alla natura, di nuovo, sistemica di queste capacità viste, anche qua, in maniera dinamica, con un’evoluzione e, se necessario, rielaborazione continua. Partendo dal fondo troviamo l’alfabetizzazione di base e successivamente la functional literacy, necessaria per la comprensione del testo. Ad un livello superiore c’è invece la digital literacy, di fatto indispensabile per muoversi all’interno dell’infosfera, di cui una parte è però relativa alla computational literacy, per poter comprendere i princìpi sottostanti l’informazione digitale. In cima troviamo information literacy e media literacy, considerate come due facce di una stessa medaglia e difficili da scindere, nonostante ci si focalizzi di volta in volta sull’una o sull’altra. Il sovrainsieme di questo modello è la metaliteracy, un quadro teorico di riferimento necessario per aggregare i diversi livelli e al tempo stesso riflettere e operare su di essi, mentre componenti trasversali sono la cultural literacy e la transliteracy, ossia rispettivamente la capacità di comprendere, sempre all’interno di un determinato contesto, e muoversi tra le diverse competenze. Da un lato abbiamo la necessità di dotare il maggior numero possibile di persone di queste abilità, dall’altro la difficoltà intrinseca di tutto ciò, in quanto quantità e qualità, fattori non sempre compatibili tra di loro, sono in questo caso due obiettivi entrambi irrinunciabili, per quanto a livello ottimale. Per la sua storia e tradizione, per le sue finalità e modalità intrinseche, la biblioteca sembra essere l’istituzione più adeguata per portare avanti questo compito, andando naturalmente a interagire con il sistema formativo. Infine, sempre in rapporto a quest’ultimo tema, nella slide conclusiva veniva proposta, tramite l’utilizzo dei diagrammi di Venn, una configurazione interdisciplinare giudicata come quella ottimale per operare nell’attuale scenario, in cui i tre insiemi che si intersecavano rappresentavano rispettivamente la biblioteconomia, le scienze della comunicazione e l’informatica, aspetto su cui torneremo in seguito. 

Piattaforme, complotti, protocolli e sommosse

Sia nelle righe introduttive di questo articolo sia ne La cultura orizzontale viene sottolineato il ruolo rilevante delle piattaforme social, ormai impossibili da trascurare in qualsiasi riflessione sul discorso pubblico, in particolare in relazione alle tradizionali forme di mediazione. Proprio per questo sono state l’argomento di un altro intervento tenuto sempre da chi scrive e sempre online solo qualche mese dopo quello citato in precedenza – da cui, per ovvi motivi, sono state riprese molte delle idee sottostanti nonché l’approccio metodologico –, nella primavera del 2021, all’interno della tappa napoletana del Convegno delle Stelline di quell’anno15. Il tema del convegno, e di conseguenza della relazione, era incentrato sulla biblioteca come piattaforma della conoscenza, in base al noto articolo Libary as Platform di David Weinberger16, in cui l’autore illustra i vantaggi del considerare la biblioteca come una piattaforma, traendo ispirazione dai social network, Facebook in primis: va da sé come tutto questo sia estremamente funzionale al nostro discorso. Se però già nelle riflessioni di Weinberger i social non erano certo scevri da critiche, i nove anni di distanza tra la data del convegno e la pubblicazione del saggio non hanno fatto altro che aumentare queste criticità di diversi ordini di magnitudine, sia a livello quantitativo sia qualitativo, da un lato per la loro sempre crescente pervasività e dall’altro per le sempre maggiori funzionalità che le hanno trasformate da strumenti di reti sociali a sorgenti pressoché infinite di contenuti. Questo di per sé non sarebbe certo un male, anzi. Ma il combinato disposto di diversi fattori, tra cui la tendenza insita in esse all’emotività, al pensiero veloce, alla frammentazione e brevità informativa, unito all’aumento delle diseguaglianze sociali, e conseguente frattura, o meglio fratture, all’interno della società, ha creato un panorama in cui le piattaforme social sono associate a concetti come disinformazione, polarizzazione e tribalità, e viste perciò come un qualcosa di negativo17.
Partendo da questa base, nella relazione di cui sopra il concetto di piattaforma, polisemico di per sé18, è stato analizzato da due punti di vista principali, tecnologico il primo e sociologico-epistemologico il secondo. Prendendo come data di riferimento il 1991, gli ormai più di trent’anni trascorsi hanno trasformato il WorldWideWeb da uno sperimentale ipertesto distribuito ad un sistema informativo stratificato ed interconnesso in cui i dati vengono continuamente raccolti, analizzati, elaborati e trasmessi da un nodo all’altro. In questa evoluzione senza sosta, il salto principale può essere individuato nel passaggio dal Web 1.0, basato sui documenti, al Web 2.0, una piattaforma condivisa dotata di interfacce e servizi web per permettere l’interoperabilità. Il contenuto è pressoché irrilevante, ciò che conta sono i protocolli e i formati condivisi necessari per scambiare i dati da una piattaforma all’altra19. Dal punto di vista tecnologico è perciò innegabile il progresso avvenuto, grazie anche al network effect, tramite il quale il valore di una rete aumenta all’aumentare del numero dei collegamenti presenti in essa. Lo stesso a prima vista non si può dire per l’altro aspetto, legato alla diffusione e alla trasmissione della conoscenza. Nell’aprile del 2021 era impossibile non fare riferimento agli eventi di appena qualche mese prima, quando il 6 gennaio centinaia di persone assalirono il Campidoglio per protestare contro i risultati delle elezioni presidenziali tenutesi il novembre precedente. Tra le varie immagini quella più iconica rappresentava un uomo a torso nudo con in testa un copricapo di pelliccia con delle corna di bufalo e con in mano una bandiera americana: Jake Angeli, autodefinitosi sciamano di QAnon, la teoria del complotto par excellance degli anni Dieci20. Questo avvenimento non può non essere collegato alla disinformazione a diversi livelli di granularità, supportata non solo dai social ma anche dai mass media. Si va dal singolo evento dei supposti brogli elettorali, di cui è stata successivamente dimostrata l’inconsistenza, fino alla stratificata e complessa rete di QAnon, a sua volta evoluzione del Pizzagate, in cui politici democratici e personaggi pubblici sono ritenuti facenti parte di una cricca dedita a pratiche sataniche mentre Trump è colui che porterà gli Stati Uniti in una nuova età dell’oro.
La discrasia tra i due livelli e più che evidente. Ad un progresso tecnologico non ne è conseguito uno epistemologico, oppure al contrario il primo in qualche modo può aver causato, seppure in maniera indiretta i più che evidenti problemi del secondo. Quale può essere al tempo stesso un denominatore comune e una possibile soluzione al problema? Ripartendo dal livello digitale, lo scambio di dati è agnostico rispetto al dato stesso, si preoccupa solo dei meccanismi, protocolli e formati, attraverso i quali deve avvenire lo scambio. Mutatis mutandis, è possibile applicare questo stesso principio anche all’altro livello? Prendendo il già citato caso di QAnon come esempio rappresentativo della disinformazione, diversi suggerimenti sembrano indicare questa direzione e tirando in ballo proprio il ruolo dei bibliotecari. Secondo Barbara Fister «classical information literacy is not enough»21, ma al tempo stesso è sempre più importante: sono però cambiati gli scenari di applicazione, non più limitati ai tradizionali àmbiti di ricerca bensì appartenenti in potenza, e di fatto anche in pratica, a qualsiasi momento della vita quotidiana. Già in precedenza Dana Boyd aveva sottolineato lo stesso problema facendo riferimento alla media literacy22. Da punti di vista diversi, in campi profondamente intrecciati, il problema sembra essere lo stesso: dotare le persone di abilità relative al recupero dell’informazione non sembra essere più abbastanza e al contrario può essere controproducente. Di fronte a visioni del mondo contrapposte, e data la quantità ed eterogeneità di fonti disponibili, una maggiore competenza in queste literacy non farà altro che rafforzare le rispettive convinzioni, andando a selezionare di volta in volta l’informazione più conveniente e a giustificarne la validità, aumentando così la polarizzazione. Tutto questo avviene quando ci si concentra soprattutto sul contenuto. E se, come nel livello tecnologico, questo aspetto venisse tralasciato e ci si concentrasse sulle modalità e sui processi? La stessa Boyd sembra suggerire un approccio simile (corsivo mio): «The goal is to understand the multiple ways of making sense of the world and use that to interpret media. […]we can encourage our students to be more aware of how interpretation is socially constructed. […] we need to start developing a networked response to this networked landscape. And it starts by understanding different ways of constructing knowledge»23. Sospendere il giudizio e analizzare i meccanismi sottostanti, senza dimenticare una buona dose di empatia: questi gli ingredienti per provare a contrastare il lato oscuro dell’informazione online, in particolare sulle piattaforme social24.
Sempre sulle basi di questo ragionamento è stata ripresa la configurazione interdisciplinare proposta in precedenza, estendendola. Per aumentarne la forza retorica è stato portato come esempio un diagramma di Venn molto simile, realizzato questa volta da David Lankes per rispondere alla domanda «What is a Librarian?»25. Nel diagramma di Lankes i tre insiemi sono rispettivamente Mission, Means e Values, e la loro intersezione è Librarian. Su come biblioteconomia e scienze dell’informazione, discipline computazionali e scienze della comunicazione possano corrispondere a questi tre fattori si potrebbe discutere a lungo, ma quello che ci interessa non è certo una configurazione statica quanto riuscire a combinare i rispettivi elementi così da avere di volta in volta l’assetto teorico, metodologico e pratico necessario. Inoltre, al diagramma di Venn precedentemente utilizzato sono stati aggiunti degli studiosi appartenenti ai relativi àmbiti. Se per biblioteconomia e scienze della comunicazione è facile immaginare come si trattasse di una scelta quasi obbligata con rispettivamente Shiyali Ramamrita Ranganathan e Marshall McLuhan, per l’informatica è stato individuato Claude Shannon, il padre della teoria dell’informazione. Il motivo si riconduce ad un principio già enunciato, ossia non considerare il contenuto nella trasmissione delle informazioni, ma solo il modo attraverso il quale sono trasmesse. Non certo semplice è stato scegliere uno studioso in grado di rappresentare adeguatamente l’intersezione tra i tre insiemi, così da essere funzionale al discorso proposto. L’unico candidato possibile è quasi sicuramente Donald McKenzie, in quanto la sua idea di estensione della bibliografia in relazione alla costruzione sociale del significato si sposa alla perfezione con le idee esposte fin qui26. Per McKenzie, infatti, il concetto di testo va esteso anche ai sistemi di segni non basati sul linguaggio, come immagini o video – che ormai sembrano essere la specie dominante nell’ecosistema digitale – e la forma materiale diventa fondamentale ai fini dell’interpretazione. Questa ridefinizione della bibliografia ha evidentemente anche delle ripercussioni sulle biblioteche, sebbene nella  visione originaria dello studioso neozelandese la questione principale fosse la gestione e conservazione di queste tipologie di materiale. Però, come ricorda Roger Chartier (corsivo mio) «[McKenzie] formula il problema centrale posto oggi alla critica testuale come alle scienze sociali: quello della produzione del senso, che si costruisce nelle relazioni intrecciate tra forme e interpretazioni»27. Le similitudini con quanto scritto in precedenza sono più che evidenti.

Conclusioni: la biblioteca come processo

Avendo affrontato nei due paragrafi precedenti questioni relative alle modalità di trasmissione della conoscenza legate sia al libro sia al medium computazionale è possibile, arrivati a questo punto, provare ad effettuare una sintesi. Difatti, quanto riportato fino ad ora è servito a mettere in campo, sia a livello di forma sia di sostanza, tutta una serie di elementi e le relative relazioni il cui scopo è supportare la tesi principale di questo contributo: la necessità nello scenario corrente di dare maggiore rilevanza al processo rispetto al prodotto, al come rispetto al cosa. Questa idea è di fatto la dominante dell’intero articolo, e di conseguenza tutto ciò che è stato e verrà scritto può essere semplicemente considerato come un corollario a questo teorema. Per collegarlo però alle questioni iniziali vanno fatte delle ulteriori premesse, in particolare per ciò che riguarda il possibile collegamento tra l’apparente minore necessità delle biblioteche e la minore centralità del libro nell’infosfera, anch’essa apparente, o meglio più quantitativa che qualitativa. La biblioteca non è però nata con il libro. Certo, soprattutto tra la biblioteca pubblica e il libro tipografico è avvenuta una comunione tale, a causa delle finalità della prima e le caratteristiche del secondo, da fare sembrare questo legame come indissolubile.
Quella delle biblioteche è però una storia di continui cambiamenti, un sistema non lineare che vede come fattori principali le forme documentarie, gli scenari socioculturali e la biblioteca stessa28. Ciò si collega all’affermazione per cui il bisogno di biblioteca non esiste in natura: di conseguenza è lecito supporre come sia ‘contro natura’, ovvero debba portare equilibrio nell’evoluzione informativa di un particolare scenario lasciato a se stesso. Quindi l’accesso sarà il compito principale delle biblioteche in condizioni di scarsità e difficoltà di reperimento dell’informazione. Attualmente però ci troviamo nella situazione opposta, che pone altri problemi. Il più evidente è l’information overload, cui va contrapposta una costante selezione ragionata. Altrettanto rilevante, e collegato a quanto appena scritto, è la continua proposta informativa personalizzata basata su algoritmi, che va equilibrata con una visione il più possibile sistemica e non granulare.
Per avvicinarsi alle modalità del processo piuttosto che del prodotto, la biblioteca dovrebbe diventare il luogo del come e non del cosa, delle domande e non delle risposte, delle numerose possibili alternative e non esclusivamente della soluzione. La biblioteca vista come contesto, uno spazio in cui riacquistare una visione d’insieme e in cui il tempo si rallenta rispetto ai continui stimoli cui siamo sottoposti, così da favorire l’attitudine al pensiero riflessivo e strutturato29. Uno spazio da esplorare coniugato ad un tempo in cui riflettere, o volendo anche il contrario, dato il legame inscindibile che esiste tra i due nell’idea stessa di biblioteca, e che richiama quello della citazione iniziale in cui si fa riferimento alla pagina e a Proust: qua torna l’importanza strategica del libro. Non si vuole certo sostenere la totale originalità o esclusività di queste idee, cosa che al contrario sarebbe affatto preoccupante. Anzi, si vuole sottolineare come siano fortemente connaturate alla biblioteca: quello che principalmente serve è un cambio di prospettiva e il mettere in evidenza certi aspetti rispetto ad altri. Non a caso è possibile collegare quanto scritto – quando non ritrovarlo in forma più o meno esplicita – a numerose altre riflessioni riguardo il ruolo e il futuro delle biblioteche, anche, significativamente, utilizzando uno sguardo retrospettivo. Il riferimento al processo è difatti molto forte nella quinta legge di Ranganathan e Serrai nel commentare l’idea di Naudé di biblioteca la descrive come un qualcosa che (corsivo mio) «contiene le esperienze, le indagini, gli errori, ma comunque anche i labirinti e i percorsi mentali delle generazioni che ci hanno preceduto»30. Tornando ai nostri giorni viene immediato pensare al già citato David Lankes e alla sua nota teoria sulla biblioteca come conversazione31. Altresì Anthony Marx, presidente della New York Public Library, nel famoso documentario ExLibris, parla della trasformazione in corso «from the wonderful but passive repositories and spaces to education centers»32. Oppure, recentemente Renate Behrens nella relazione della sua lectio magistralis dall’emblematico titolo Libraries in upheaval afferma che (corsivo mio) «libraries, archives and museums are a service. Our collections serve to provide people with information […]. Conversely, this means that our services serve to communicate and provide resources and are not an end in themselves»33. Questa stessa lectio mostra come anche argomenti a prima vista distanti possano essere inclusi in questo discorso. Infatti, l’evoluzione degli standard catalografici li vede ora inseriti nel contesto più ampio della metadatazione34: quest’ultima può essere vista come una selezione dinamica, a seconda del caso in questione, di entità e relazioni (o classi e proprietà) specifiche in un grafo.
La corrispondenza maggiore e soprattutto più strutturata si trova però con una recente proposta, frutto del convegno Libro città aperta35 il cui obiettivo era proprio la definizione delle finalità e modalità delle biblioteche, e il cui risultato sono cinque tesi. In quello che si può definire a tutti gli effetti come un manifesto36, andando a leggere le suddette tesi troviamo frasi come: «L’obiettivo delle biblioteche non sarà la fruizione ma la partecipazione»; «La biblioteca è lo spazio di un tempo riconquistato da dedicare […] all’articolarsi di pensieri lenti e di pensieri veloci»; «La biblioteca è un organismo sociale che […] genera legami sociali»; «La biblioteca ha un impatto sociale, opera per migliorare la qualità della vita […] nella relazione sistemica con le altre realtà»; «La biblioteca produce cultura. […] è generatrice di stimoli, offre lo spazio per nuovi saperi che nascono […] dalle connessioni». Tutto ciò va a supportare, rafforzare e completare quanto scritto fin ora.
Le numerose criticità dello scenario informativo attuale sono più che evidenti, ma sarebbe controproducente dire che non lo sono anche le possibili soluzioni. Certo, dopo essersi concentrati proprio sul concetto di processo sarebbe estremamente ingenuo pretendere che tutto ciò avvenga automaticamente, anzi è proprio sulle modalità tramite le quali si vuole che avvenga questo cambiamento che è necessario concentrarsi, ricordandosi sempre che la biblioteca è fatta da persone per altre persone, e tutte loro interagiscono, anche qua, dinamicamente senza soluzione di continuità. Difatti, lo scopo è di ricollegarsi in una successiva pubblicazione proprio da quanto scritto sin qui, concentrandosi soprattutto sulle competenze necessarie per muoversi agilmente nello scenario testé descritto.
Si vuole chiudere perciò con una citazione, in maniera simmetrica rispetto all’incipit, in modo da mantenere la dinamicità e il conseguente invito all’azione necessari. Inoltre, sebbene il suo contenuto possa essere applicato a diversi contesti, il fatto che sia riferita originariamente all’intelligenza artificiale mette in campo un altro degli elementi fondamentali nell'attuale sviluppo dell’ecosistema informativo. Quindi, per concludere: «We can only see a short distance ahead, but we can see plenty there that needs to be done»37.

Articolo proposto il 3 novembre 2024 e accettato il 27 novembre 2024.


Note

FEDERICO MESCHINI, Università degli studi della Tuscia, Dipartimento di scienze umanistiche della comunicazione e del turismo, e-mail: fmeschini@unitus.it.
Ultima consultazione siti web: 31 ottobre 2024

1 Federico Meschini, Grande è la disinformazione sotto il cielo: la situazione non è eccellente, ma tutto sommato potrebbe andare peggio, «AIB studi», 62 (2022), n. 3, p. 503-517, https://aibstudi.aib.it/article/view/13775, DOI: 10.2426/aibstudi-12057.
2 Cfr. ivi, p. 515-516.
3 Cfr. Italo Calvino, Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio. Milano: Garzanti, 1988, p. 134-135.
4 Giovanni Solimine; Giorgio Zanchini, La cultura orizzontale. Bari; Roma: Laterza, 2020.
5 Presentazione del libro di Giovanni Solimine “La cultura orizzontale”, «AIB WEB», https://www.aib.it/eventi/presentazione-del-libro-di-giovanni-solimine-la-cultura-orizzontale/.
6 O perlomeno, soprattutto per quel riguarda l’enciclopedia, si sposavano al libro nel momento in cui quelle parole sono state scritte. Il romanzo e l’enciclopedia sono rappresentativi rispettivamente di ciò che Lev Manovich ha definito come logica del racconto e logica del database, con quest’ultima caratteristica dell’estetica dei new media, vedi Lev Manovich, Database as Symbolic Form, «Convergence», 5 (1999), n. 2, p. 80-99, https://journals.sagepub.com/doi/10.1177/135485659900500206, DOI: 10.1177/135485659900500206. Nonostante la solida, ma non certo pervasiva, presenza del libro elettronico nel panorama editoriale, il romanzo rimane fortemente ancorato al libro cartaceo. Al contrario, data la forte sovrapposizione tra il modello del database e quello dell’enciclopedia, per la sua natura data-centrica, quest’ultima si può ormai considerare pressoché ri-mediata tramite il medium telematico-computazionale, vedi Gino Roncaglia, L’architetto e l’oracolo. Bari; Roma: Laterza, 2023.
7 Carla Hesse, Books in Time. In: The Future of the Book, a cura di Geoffrey Nunberg. Berkeley (CA): University of California press, 1996, p. 21-36: p. 26.
8 Giovanni Solimine, L’Italia che legge. Roma-Bari: Laterza, 2010.
9 Giovanni Solimine, Senza sapere. Il costo dell’ignoranza in Italia. Roma; Bari: Laterza, 2014.
10 Syd Field, Screenplay: the foundations of screenwriting. New York: Dell publishing company, 1979.
11 In cui va inserito anche il 2016, considerato da molti una data spartiacque nell’informazione digitale per il supposto ruolo, successivamente non poco ridimensionato, che hanno avuto i social network in eventi come la Brexit o le elezioni presidenziali degli Stati Uniti d’America. In questa sede si vuole invece prendere come punto di riferimento la fine del 2015, con l’arrivo di Netflix in Italia, e il conseguente utilizzo della rete per fruire contenuti tradizionalmente associati ai media generalisti, la televisione in primis.
12 Cfr. G. Solimine; G. Zanchini, La cultura orizzontale cit., p. 177.
13 Non a caso, una successiva pubblicazione di Solimine è incentrata proprio su questo tema, in particolare per quel che riguarda il rapporto tra libri, tipografici ed elettronici, e podcast, insieme alle rispettive modalità di fruizione e relative conseguenze cognitive, vedi Giovanni Solimine, Cervelli anfibi, orecchie e digitale. Esercizi di lettura futura. Fano (PU): Aras, 2023. Sempre su questo tema, in particolare sul rapporto tra multimedialità/multicodicalità e bibliografia, vanno segnalati i rilevanti contributi di Maurizio Vivarelli sul ‘multiverso bibliografico’, vedi: Maurizio Vivarelli, Modelli e forme del pensiero bibliografico: in cerca di un punto di vista per interpretare la complessità, «Bibliothecae.It», 10 (2021), n. 2, p. 15-46, https://bibliothecae.unibo.it/article/view/14047, DOI: 10.6092/issn.2283- 9364/14047; Maurizio Vivarelli, Dalla giusta distanza: biblioteca e memoria nel multiverso bibliografico, «Biblioteche oggi trends», 7 (2021), n. 1, p. 16-31, http://www.bibliotecheoggi.it/trends/article/view/1220, DOI: 10.3302/2421-3810-202101-016-1. Infine, in un recente saggio si è cercato di coniugare le riflessioni di entrambi gli studiosi, vedi Federico Meschini, Viaggio nel multiverso bibliografico. Orientarsi tra le dimensioni della conoscenza. In: Un incontro di sguardi: biblioteche, libri e lettura come nodi di un reticolo di possibilità creative e generative, a cura di Sara Dinotola, Anna Maria Marras. Roma: AIB, 2024, p. 333-342.
14 Maurizio Lana, La danza delle literacy, «Biblioteche Oggi», 37 (2019), n. 8, p. 5-12, http://www.bibliotecheoggi.it/rivista/article/view/1025, DOI: 10.3302/0392-8586-201908-005-1.
15 Convegno Stelline 2021: La biblioteca piattaforma della conoscenza, «AIB WEB», https://www.aib.it/eventi/stelline-2021-biblioteca-piattaforma-conoscenza/.
16 David Weinberger, Library as Platform, «Library Journal», 4 settembre 2012, https://www.libraryjournal.com/story/by-david-weinberger.
17 Più che essere la causa primaria di questi fenomeni, si vuole sostenere la tesi secondo la quale le piattaforme social vadano piuttosto ad amplificare delle tendenze già esistenti, rendendole perciò più evidenti, come sottolineato da dei recenti studi, vedi Walter Quattrociocchi; Anita Bonetti, Come (non) è cambiata la tossicità sulle piattaforme in rete, «Le scienze», 5 aprile 2024, https://www.lescienze.it/news/2024/04/05/news/tossicita_piattaforme_online-15545462/.
18 Tarleton Gillespie, The politics of ‘platforms’, «New Media & Society», 12 (2010), n. 3, p. 347-364, https://journals.sagepub.com/doi/10.1177/1461444809342738, DOI: 10.1177/1461444809342738.
19 Tim O'Reilly, What Is Web 2.0. Design Patterns and Business Models for the Next Generation of Software, «O'Reilly», 9 marzo 2005, https://www.oreilly.com/pub/a/web2/archive/what-is-web-20.html.
20 Vedi Wu Ming 1, La Q di Qomplotto. Roma: Alegre, 2021.
21 Barbara Fister, The Librarian War Against QAnon, «The Atlantic», 18 febbraio 2021, https://www.theatlantic.com/education/archive/2021/02/how-librarians-can-fight-qanon/618047/.
22 Danah Boyd, You Think You Want Media Literacy… Do You?, «Medium.com», 9 marzo 2018, https://medium.com/datasociety-points/you-think-you-want-media-literacy-do-you-7cad6af18ec2.
23 Ibidem.
24 Esempi concreti di questa metodologia si possono ritrovare in analisi del già citato caso di QAnon. Sempre Wu Ming 1 ne ha dato un’interpretazione in cui le fantasie di complotto sono risposte irrazionali ma fisiologiche a fenomeni di cui si percepiscono gli effetti, ma non si è in grado di definire nella loro complessità: in questo caso specifico una sempre maggiore distanza tra la classe media americana e le élite progressiste, cfr. W. Ming 1, La Q di Qomplotto cit., p. 159-171. Un’altra analisi interessante di QAnon si basa su di un approccio ludologico; la sua viralità è dovuta anche all’essere estremamente simile ad un Alternate reality game, una sorta di caccia al tesoro collettiva che si svolge sia nel mondo fisico sia in quello virtuale, in cui i partecipanti si scambiano continuamente informazioni, vedi Hugh Davies, The Gamification of Conspiracy: QAnon as Alternate Reality, «Acta ludologica», 5 (2022), n. 1, p. 60-79, https://actaludologica.com/wp-content/uploads/2022/06/AL_2022-5-1_Study-4_Davies.pdf.
25 R. David Lankes, What is a Librarian, «R. David Lankes Scholar | Speaker | Writer | Teacher | Advocate», 26 gennaio 2021, https://davidlankes.org/what-is-a-librarian/.
26 Donald F. McKenzie, Bibliography and the Sociology of Texts. Cambridge (UK): Cambridge university press, 1986.
27 V. Roger Chartier, Testi, forme, interpretazioni. In: Donald F. McKenzie, Bibliografia e sociologia dei testi. Milano: Sylvestre Bonnard, 1999, p. 98-107: p. 107.
28 Vedi Frédéric Barbier, Storia delle biblioteche. Dall'antichità a oggi. Milano: Editrice bibliografica, 2016.
29 Daniel Kahneman, Thinking, Fast and Slow. New York: Farrar, Straus and Giroux, 2011.
30 Alfredo Serrai, Gabriel Naudé, Helluo librorum, e l’Advis pour dresser une bibliothèque, a cura di Fiammetta Sabba, Lucia Sardo. Firenze: Firenze university press, 2021, p. 11.
31 Vedi R. David Lankes, The Atlas of New Librarianship. Cambridge (MA): MIT Press, 2011. Da un punto di vista diverso, ma sempre collegato alla costruzione della conoscenza, il tema della conversazione è centrale anche in Jeff Jarvis, The Gutenberg parenthesis. The age of print and its lessons for the age of the Internet. New York: Bloomsbury academic, 2023.
32 Ex libris: The New York public library di Frederick Wiseman, 2017, 35:44.
33 Vedi Renate Behrens, Libraries in upheaval. A job profile put to the test. Fiesole: Casalini libri, 2024, p. 28.
34 Vedi Mauro Guerrini, Metadatazione. La catalogazione in era digitale. Milano: Editrice bibliografica, 2022.
35 Libro città aperta. 5 tesi per le biblioteche del futuro, «Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori», https://www.fondazionemondadori.it/evento/25698/.
36 Chiara Faggiolani, Le cinque tesi per le biblioteche che verranno, «AgCult», 10 ottobre 2023, https://www.agenziacult.it/notiziario/le-cinque-tesi-per-le-biblioteche-che-verranno/.
37 Alan M. Turing, Computing machinery and intelligence, «Mind», 59 (1950), n. 236, p. 433–460: p. 460, https://academic.oup.com/mind/article/LIX/236/433/986238, DOI: 10.1093/mind/LIX.236.433.