di Giovanni Arganese
Nel sito Cultura in cifre l’Istat pubblica una classificazione delle biblioteche1, che, richiamando le indicazioni metodologiche dell’Organizzazione Internazionale per la Standardizzazione (ISO), Norma ISO 2789, e dell’Istituto Centrale per il Catalogo Unico delle biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche (ICCU), definisce sette categorie di cui riporto, in diverso ordine, le cinque più importanti per il presente articolo.
Biblioteca nazionale: biblioteca responsabile dell’acquisizione e della conservazione di esemplari di tutti i documenti significativi editi nel Paese dove la biblioteca risiede; può anche funzionare come deposito legale.
Biblioteca importante non specializzata: biblioteca non specializzata, di cultura generale, che non è né biblioteca di un istituto di istruzione superiore, né biblioteca nazionale, sebbene possa svolgere le funzioni di quest’ultima per una determinata area geografica.
Biblioteca speciale: biblioteca autonoma specializzata in una disciplina o in un campo particolare della conoscenza. Il termine "speciale" può essere riferito anche a biblioteche che offrono prioritariamente servizi ad una categoria specifica di utenti, oppure che raccolgono soprattutto una forma specifica di documenti, oppure che, patrocinate da un'organizzazione, ne soddisfano le esigenze in rapporto alle attività della medesima.
Biblioteca degli istituti di insegnamento superiore: biblioteca al servizio degli studenti e del personale insegnante delle università e di altri istituti di insegnamento di livello superiore [...].
Biblioteca pubblica: biblioteca di cultura generale, al servizio di una comunità locale o regionale piuttosto che di una comunità nazionale, generalmente finanziata, in tutto o in parte, da fondi pubblici. Può rivolgersi sia a tutto il pubblico, sia ad una particolare categoria di utenti (come i ragazzi ecc.).
Le biblioteche pubbliche statali ricadono in tutte queste categorie, l’ultima delle quali, la biblioteca pubblica, è quella cui appartiene la dimensione locale e territoriale dell’attività bibliotecaria, la funzione per così dire "civica" che anche, in parte, le biblioteche pubbliche statali svolgono costruendo quel rapporto speciale con la città e la regione che costituisce l’argomento del presente articolo. La biblioteca pubblica in senso biblioteconomico è dunque una biblioteca che si distingue dalle biblioteche nazionali, scolastiche, universitarie, speciali e di ricerca, in quanto caratterizzata dall’offerta di servizi, in buona parte gratuiti, orientati al soddisfacimento di bisogni informativi di carattere generale di una comunità locale o regionale2.
Un primo problema è terminologico. Quando per indicare nel loro insieme le biblioteche del MiBAC si usa l’espressione "le biblioteche pubbliche statali", ci sarebbe da aggiungere: l’articolo vale come aggettivo dimostrativo. Queste biblioteche sono pubbliche, evidentemente, sia in senso soggettivo perché di proprietà pubblica, sia oggettivamente perché svolgono un servizio pubblico. Ma l’aggettivo "statale" è una scorciatoia verbale per alludere non certo a tutto lo Stato, quanto alla specifica amministrazione di riferimento, che un tempo era una direzione generale del Ministero della pubblica istruzione e oggi del MiBAC. Una formula comoda ma equivoca: è stato scritto infatti che «la biblioteca pubblica statale è [...] semplicemente una biblioteca dello Stato aperta al pubblico»3. Ma se le biblioteche pubbliche statali del MiBAC non sono in quanto tali biblioteche pubbliche nel senso della norma ISO 2789, il problema è individuare quelle che più si avvicinano al modello concettuale di biblioteca pubblica e farlo, per di più, in maniera oggettiva.
L’identità di una biblioteca si può rispecchiare nella sua denominazione e può essere fissata una volta per tutte in via regolamentare, ma per le biblioteche del MiBAC tutto ciò non vale. Il d.P.R. n. 1501 del 5 settembre 1967, il vecchio regolamento "organico" delle biblioteche allora dipendenti dal Ministero per la pubblica istruzione, le divideva in quattro gruppi: "nazionali" (8, una delle quali a Palermo), "universitarie" (12, tra cui Bologna, Catania e Messina), biblioteche "aventi particolari compiti e funzioni" (15 biblioteche), e le 2 biblioteche "relative a sezioni musicali". C’erano poi le 11 biblioteche statali (non dichiarate "pubbliche", si badi) annesse ai monumenti nazionali, quelle cioè il cui legame con lo Stato italiano discende dalle "leggi eversive" del 1866-67 che decretarono l’espropriazione dei beni ecclesiastici. Una classificazione quasi borgesiana, la negazione di una qualsiasi ratio. Tanto che nel regolamento vigente, il d.P.R. n. 417 del 5 luglio 1995, emanato anche come presa d’atto dei mutamenti istituzionali intervenuti in un trentennio4, è assente qualsiasi classificazione. Questa rinuncia è stata commentata come «sintomo evidente di una profonda incertezza, in questo caso dell’autorità di governo, nel riproporre una organizzazione bibliotecaria statale ormai chiaramente superata sul piano strutturale»5. Al di là dell’aggiornamento degli strumenti gestionali alle nuove tecnologie, una novità di quel regolamento era anche l’introduzione di strumenti per l’autoregolamentazione: mediante i regolamenti interni (oggi parliamo di carte dei servizi) le biblioteche potevano disciplinarsi in modo abbastanza autonomo (beninteso, con l’approvazione dell’amministrazione centrale)6.
L’articolo 2 del regolamento si limita a fissare così i compiti delle biblioteche del MiBAC:
1. Tenuto conto della specificità delle raccolte, della tipologia degli utenti e del contesto territoriale in cui ciascuna è inserita, le biblioteche pubbliche statali hanno i seguenti compiti: - a) raccogliere e conservare la produzione editoriale italiana a livello nazionale e locale; - b) conservare, accrescere e valorizzare le proprie raccolte storiche; - c) acquisire la produzione editoriale straniera in base alla specificità delle proprie raccolte e tenendo conto delle esigenze dell'utenza; - d) documentare il posseduto, fornire informazioni bibliografiche e assicurare la circolazione dei documenti.
2. I compiti di cui al comma precedente sono svolti anche in cooperazione con altre biblioteche e istituzioni, al fine di realizzare un servizio bibliotecario integrato. In particolare le biblioteche universitarie attuano il coordinamento con le università nelle forme ritenute più idonee sul piano dei servizi e delle acquisizioni.
Ho evidenziato i punti fondamentali:
a) le biblioteche pubbliche statali acquisiscono e conservano la produzione editoriale italiana, a livello nazionale e locale: a parte il nesso più o meno implicito con la normativa sul deposito legale allora vigente, poi profondamente mutata, le biblioteche vengono trattate alla stregua di sistema, indipendentemente dal fatto che non sono rappresentate, nel MiBAC, le regioni Abruzzo, Molise, Sicilia, Umbria, Valle d’Aosta, né le province autonome di Trento e Bolzano;
b) le biblioteche svolgono tali compiti anche in cooperazione con altre biblioteche e istituzioni, al fine di realizzare un servizio bibliotecario integrato;
c) l’attuazione dei compiti della conservazione e dell’accrescimento nonché della valorizzazione delle raccolte (lettere a, b, c del comma 1) è determinata da tre parametri che sinteticamente chiamerei la storia (la specificità delle raccolte), la società (la tipologia degli utenti), la geografia (il contesto territoriale in cui ciascuna biblioteca è inserita).
Biblioteche inclassificabili dunque? Fino a un certo punto: benché le biblioteche del MiBAC abbiano molto di peculiare, sia come gruppo sia prese singolarmente, elementi oggettivi consentono una classificazione di tipo funzionale, peraltro non lontanissima dallo schema della norma ISO. Avvisando che ogni singola biblioteca può appartenere, per motivi sui quali ritorneremo, a più di una categoria, ecco come raggrupperei le principali funzioni che esse svolgono.
Innanzitutto ci sono le biblioteche che svolgono la funzione di conservazione della produzione editoriale in base alla normativa sul deposito legale (oggi, legge n. 106 del 15 aprile 2004 e regolamento attuativo d.P.R. n. 252 del 3 maggio 2006), distinguibili in: biblioteche (nazionali centrali) depositarie dell’archivio nazionale della produzione editoriale (cioè le nazionali propriamente dette della classificazione ISO), e biblioteche depositarie dell’archivio regionaledella produzione editoriale, ricollegabili a varie categorie della norma ISO7.
Un folto gruppo è quello delle biblioteche universitarie, nate e ubicate all’interno di complessi universitari e organicamente sviluppatesi in tali contesti (le quali, nonostante l’utenza in comune con le biblioteche delle università con le quali convivono, hanno una missione ben più ampia che non servire gli istituti di insegnamento superiore di cui alla classificazione ISO; non poche universitarie poi godono del deposito legale regionale, e possono essere considerate, in ragione anche della pluralità delle materie accademiche che documentano, delle biblioteche importanti non specializzate)8.
Abbiamo poi le biblioteche in cui prevale un carattere storico o "di conservazione" (categoria non contemplata dalla classificazione ISO), che, con il loro pubblico più di studiosi che di studenti, custodiscono spesso in splendidi contenitori monumentali preziosi fondi antichi, manoscritti e rari9; sono biblioteche che come da regolamento conservano, accrescono e valorizzano le proprie raccolte storiche, ma ovviamente non si limitano a questo.
Un gruppo più ristretto è poi quello delle biblioteche speciali (in pratica sono tre: Storia Moderna e Contemporanea, Archeologia e Storia dell’arte, Medica Statale, anche se quest’ultima per ubicazione, storia e utenza può considerarsi di fatto una biblioteca universitaria, pur non avendone la denominazione).
Rimane infine un gruppo indefinito di biblioteche non speciali, non universitarie, non nazionali, non di conservazione, tra le quali dovremmo individuare quegli istituti che svolgendo anche una funzione "civica" in rapporto al territorio potremmo collocare, almeno in parte, nella categoria ISO delle biblioteche pubbliche.
Il regolamento, oltre a non classificare in nessun modo le biblioteche del MiBAC, è del tutto silente riguardo agli standard qualitativi, di prodotto, biblioteconomici che dovrebbero corrispondere alle varie funzioni qui elencate, e che soprattutto servirebbero a connotare una biblioteca pubblica.
Questo silenzio può essere interpretato come una carenza di governance, senza dubbio; ma rappresenta anche, a mio modo di vedere, un’opportunità. Se è vero che non esiste ancora per l’Italia un "modello di servizio" accettato e condiviso della biblioteca pubblica10, è anche vero che tale modello difficilmente può essere calato dall’alto sotto forma di "organica" legislazione statale ovvero regionale, ma può ben essere l’esito di un processo di concertazione11.
Insomma, supponendo che alcune delle biblioteche pubbliche statali – per motivi storici, istituzionali, sociali o quant’altro – svolgano anche funzioni di biblioteca "civica" o di biblioteca pubblica, il compito che mi sono prefisso è di individuare gli istituti che rientrano in tale categoria attraverso le tracce lasciate dallo svolgimento di tale funzione: se non nel regolamento, in qualcosa di oggettivo come i dati statistici e le loro elaborazioni, in quelli cioè che chiamiamo indicatori di servizio. Dati statistici e indicatori sono in rapporto, con ogni evidenza, con "vincoli" di varia natura: ad esempio la consistenza delle raccolte per tipologia e datazione e, altrettanto importanti, le modalità qualitative e quantitative di accrescimento/sviluppo; i pubblici diversificati, ovvero il contesto socio-geografico di riferimento, tenendo conto delle "nicchie di mercato" locali ma anche della concorrenza che le biblioteche subiscono, globalmente e localmente, dagli altri attori del mercato culturale; la gamma di servizi erogati e le strategie locali di stimolazione della domanda; le scelte dei soggetti istituzionali di riferimento (ad esempio l’organizzazione dei sistemi bibliotecari territoriali, le risorse finanziarie e umane attribuite); infine la normativa (statale o regionale) applicabile nei diversi casi.
Ho ritenuto, anche per profili di facile verificabilità, di utilizzare solo dati statistici liberamente accessibili in rete, pubblicati da uffici statistici e amministrativi di varia appartenenza, integrandoli con elementari elaborazioni per ottenere gli indicatori di servizio qualora mancanti.
Sono necessarie tuttavia alcune precisazioni. In primo luogo, la disponibilità di tali dati è assai variabile, quantitativamente e qualitativamente, sul territorio nazionale12.
Tuttavia ai fini della presente analisi non è determinante la comparazione tra serie di dati omogenei e coestensivi, quanto piuttosto l’individuazione di tendenze di fondo. In secondo luogo, è importante tenere a mente che si vanno a paragonare dati provenienti da reti bibliotecarie territoriali con quelli di singole biblioteche afferenti a un’amministrazione centrale, tutte ubicate in capoluoghi di provincia. Va dato dunque per scontato che le rilevazioni che forniscono tali dati vengano condotte per finalità diverse e con metodi diversi, misurando per di più grandezze diverse. Infine, quella che segue non vuole essere una comparazione di efficacia tra biblioteche pubbliche dello Stato e delle Regioni in termini di indicatori di servizio: i dati provinciali e regionali, di cui ci si limita di proposito a presentare una selezione utile a perimetrare l’analisi, saranno utilizzati ai fini di una comparazione tutta interna al "microcosmo" delle biblioteche del MiBAC.
Cominciamo con un esempio proveniente dall’estremo nord, la provincia autonoma di Bolzano, che pubblica in pdf un bollettino annuale ("Astatinfo") sulle attività delle biblioteche del territorio altoatesino13; il titolo che compare in prima pagina, nel rapporto per il 2011, è il numero complessivo di libri presi in prestito nell’anno. Questo dato, accompagnato da quello relativo al patrimonio posseduto, fornisce un rapporto tra prestiti e posseduto pari a 0,89, vale a dire che in media quasi ogni libro posseduto viene prestato (2,6 milioni di prestiti l’anno per 2,9 milioni di libri posseduti): il bollettino precisa che la media è abbassata dalle biblioteche specialistiche e di studio che possiedono spesso libri preziosi o copie uniche che non possono essere dati in prestito. Inoltre, paragonando i prestiti e il patrimonio dei vari comprensori che compongono la provincia, un’altra osservazione importante che figura nel bollettino è che «il patrimonio librario non è proporzionale ai prestiti registrati». Non viene detto a cosa possa essere proporzionale il numero dei prestiti, ma si può azzardare un’ipotesi: alla qualità delle acquisizioni, o meglio alle scelte di acquisizione in rapporto al tipo di utenza e ai servizi erogabili. Concentrandoci sul solo capoluogo (34 biblioteche di cui 16 pubbliche e una "centro di sistema"), il rapporto tra prestiti e patrimonio scende a 0,38 (ma si mantiene alto per il materiale multimediale). Altro dato interessante è il numero di addetti: il personale "assunto" rappresenta appena il 14,4% delle 1.868 persone impiegate (l’80% donne), mentre gli altri sono volontari (per il 90% di sesso femminile). Infine veniamo informati che il 34,2% delle biblioteche possiede un "catalogo su computer" e che le 281 biblioteche provinciali sono aperte in media 3,6 giorni e 12,4 ore a settimana: dai 3,4 giorni delle biblioteche locali (rappresentate sovente sul territorio da piccole succursali e punti di prestito con orari di apertura limitati) si arriva ai 5,4 delle biblioteche "centro di sistema", evidentemente aperte in media tutti i giorni feriali.
Un secondo esempio può essere quello del Sistema documentario integrato area fiorentina (SDIAF) del quale sono pubblicate14 le statistiche aggiornate all’anno 2009. Il rapporto contiene alcune interessanti osservazioni come la seguente: "Tra i numeri che saltano agli occhi nel corso del 2009 su una popolazione dell’area di 599.978 abitanti, secondo l’ultimo censimento, sono stati effettuati 573.624 prestiti (libri, supporti magnetici e ottici, periodici ecc.), arrivando ormai a toccare quell’indice internazionale di fruizione delle biblioteche che è di un libro prestato per abitante (1 libro / 1 abitante) e due libri posseduti per abitante". Altro particolare interessante è il rapporto numerico tra gli iscritti alla rete di biblioteche di "pubblica lettura" dello SDIAF, 74.575 nel 2009, e il numero di presenze in biblioteca, 1.329.846, e di prestiti, 573.624 (la percentuale di iscritti sulla popolazione dell’area supera il 12%, con 17,83 presenze medie pro capite e 7,69 prestiti a iscritto). Nel complesso le biblioteche dello SDIAF impiegano 151,89 dipendenti FTE, e sono aperte 43,73 ore a settimana. Il capoluogo, che conta 13 biblioteche sulle 30 in totale censite, "pesa" per 28.808 iscritti (il 38%), 765.207 presenze (il 57%), 224.448 prestiti (39%): vale a dire che a Firenze città si va meno spesso in biblioteca per prendere libri in prestito ma, presumo, più spesso per leggere e studiare, o forse per eventi culturali. Il dato è ulteriormente confermato dal fatto che le due biblioteche fiorentine dette di "cultura" (distinte nel prospetto statistico dalle 11 dette di "decentramento") rendono conto di ben 608.000 presenze su 765.207 (quasi l’80%); e possiamo quindi calcolare un rapporto tra prestiti e presenze assai variabile: per le due biblioteche di "cultura" fiorentine è il 23%, per le undici biblioteche di "decentramento" il 52%, per quelle della provincia quasi il 62%.
Come questi due esempi illustrano, nei sistemi territoriali i dati più frequentemente raccolti e pubblicati sono il numero di ingressi per biblioteca e per sistema bibliotecario, e il numero di prestiti diretti e interbibliotecari, dai quali si ricava il rapporto tra prestiti e documenti posseduti e/o catalogati, e tra ingressi o prestiti e popolazione della circoscrizione territoriale di riferimento. Talvolta sono pubblicati dati quali i costi di gestione e la loro suddivisione in spese correnti e in conto capitale, il personale impiegato espresso in FTE (full-time equivalent, risorse equivalenti a tempo pieno), l’ammontare speso per acquisti librari, il numero di eventi culturali organizzati e così via. Dati del genere, condotti su base demografica, costituiscono un’ottima base per una comparazione, in ambito regionale, tra le diverse reti provinciali e, in ambito nazionale, tra sistemi bibliotecari regionali. Non mi sembra un caso, peraltro, che le statistiche più accurate e semplicemente più visibili si ritrovino al nord.
Ancora: la Regione Lombardia pubblica i dati statistici (disponibili attualmente quelli per il 2009) aggregati per provincia15. Sono indicati l’orario di apertura, la consistenza patrimoniale, i prestiti diretti e interbibliotecari, le spese, gli accessionamenti, lo sviluppo delle raccolte, con i rapporti già calcolati o facilmente calcolabili rispetto al numero di abitanti o al numero degli iscritti. Su una popolazione di 9.826.141 abitanti, l’indice del patrimonio documentario è pari a 2,77 documenti per abitante, con un aumento in un anno di 1.117.379 documenti pari a 113 documenti per 1.000 abitanti (mentre nello stesso 2009 sono stati "scartati" quasi 500.000 documenti e circa altri 50.000 risultano smarriti o rubati); gli iscritti annuali al prestito sono 1.300.496 (13,24% della popolazione regionale), i prestiti di documenti a stampa e multimediali 15.182.767 (11,67 prestiti per iscritto, 1,55 per abitante; in rapporto al patrimonio documentario posseduto l’indice di prestito è un notevole 55,85%). Il personale retribuito conta 2.223,87 FTE (0,57 per 2.500 abitanti), 440 biblioteche utilizzano 1.475 operatori volontari. Il 9,48% delle spese è destinato all’acquisto di documenti. Oltre 300 biblioteche sono aperte meno di 12 ore a settimana, 89 oltre 39 ore. Colpiscono anche i raffronti diacronici: i prestiti in Lombardia sono passati da 8.432.000 nel 1999 a 13.295.000 nel 2009 (ancora più consistente l’incremento del prestito interbibliotecario, da 827.000 a 3.670.000 prestiti in undici anni).
La Regione Veneto dal canto suo pubblica un’originale applicazione grafica16 che fornisce i dati del 2010 e, a lato, i grafici storici 2006-2010 per le biblioteche della regione, in cui vengono rappresentati tra gli altri i seguenti indici: indice di incremento della dotazione (acquisti / popolazione * 1000, Rovigo 39,746, Vicenza 91,992, media Veneto 60,505), indice d’impatto (iscritti al prestito / popolazione * 100, Rovigo 8,908, Vicenza 15,771, media Veneto 11,481), indice di prestito (prestiti / popolazione, Rovigo 0,708, Vicenza 2,105, Veneto 1,149), indice di frequentazione (visite / popolazione, Rovigo 0,909, Vicenza 2,400, Veneto 1,652). I corrispondenti file pdf, suddivisi tra rilevazioni regionali e provinciali e per fasce demografiche dei comuni, si trovano invece a un diverso indirizzo, mentre un altro sito riporta le tabelle in formato xls con i dati dei singoli istituti della regione17. A proposito di tali dati mi limito a notare il rapporto tra il basso indice di incremento della dotazione per la provincia di Rovigo e i bassi indici di impatto, prestito e di frequentazione della medesima provincia. Come a dire, anche se la realtà è sicuramente più sfumata e complessa, che meno si investe e meno si ottiene. Elaborando i dati delle singole biblioteche, ho potuto determinare anche i rapporti tra prestiti e presenze delle maggiori istituzioni civiche nelle città di Belluno, Padova, Treviso, Verona e Vicenza: si va dal 15% di Treviso (77% invece per l’intero territorio provinciale), al 56% della Bertoliana di Vicenza (121% per la provincia). Come a Firenze, anche in questo caso il tipo di uso che si fa della biblioteca sembra variare notevolmente a seconda che si prenda in considerazione la singola istituzione ovvero il comune o ancora, più ampiamente, la provincia.
Non mi dilungo oltre. Le statistiche delle reti civiche sono piuttosto eterogenee, con un grado di completezza e aggiornamento decrescente da nord a sud; anche i dati numerici degli indicatori rappresentati tendono a decrescere man mano che dal nord scendiamo verso il centro Italia (vi risparmio i pochi dati disponibili per la provincia e il comune di Roma in particolare18). Saltano agli occhi alcune costanti: la quantità notevolissima dei prestiti annui19, l’elevato numero degli iscritti e dei prestiti in rapporto ai residenti e dei prestiti per iscritto, l’alto indice di circolazione (rapporto prestiti/posseduto), o di frequentazione (numero di presenze per abitante), la performance del prestito interbibliotecario. Di contro, le reti civiche non brillano, in alcuni casi e per determinate tipologie di biblioteche, in quanto a numero e professionalità degli addetti, diffusione dei cataloghi informatici (così a Bolzano), estensione dell’orario di apertura. Questi esempi, assieme al rapporto tra prestiti e presenze complessive, possono bastare per illustrare, come ho detto sopra, tendenze e indicatori.
Rimane però da menzionare un documento di pianificazione che mi pare assai interessante nel presente discorso. In Emilia-Romagna, l’Istituto per i beni artistici culturali e naturali ha elaborato una "direttiva sugli standard" (redatta ai sensi della l. reg. n. 18/2000 "Norme in materia di biblioteche, archivi storici, musei e beni culturali") che fissa degli "standard di servizio e di professionalità per gli addetti"20. Interessanti alcuni indicatori programmatici fissati dall’amministrazione regionale: incremento librario: 100 accessioni annuali per 1000 abitanti (0,1 documenti per abitante), riducibili a 50 in situazioni locali svantaggiate; indice di prestito: 1,5 prestiti annui per abitante; indice di impatto: 15 iscritti attivi per 100 abitanti; indice di superficie: 0,30 mq per ogni 10 abitanti per la sola area di servizio al pubblico; 0,50 addetti FTE per 2.000 abitanti (in situazioni svantaggiate 0,25); orario di apertura: minimo 18 ore settimanali, ma l’obiettivo è 30, 40, o 50 a seconda della dimensione territoriale comunale; dotazione documentaria di base: 1,5 documenti per abitante.
Per una comparazione con i dati delle biblioteche del MiBAC, dovendo assumere un valore di riferimento in assenza di una media nazionale, farò riferimento ad alcuni tra i migliori indicatori di servizio come rilevati dall’AIB nel 2000 proprio per la valutazione delle biblioteche pubbliche21:
Le statistiche delle biblioteche del MiBAC sono pubblicate dall’Ufficio di statistica, articolazione del Sistema statistico nazionale (SISTAN) che ha attualmente in corso cinque rilevazioni nell’ambito del Programma statistico nazionale22. Benché alcuni dati non siano pubblicati con lo stesso dettaglio con cui vengono raccolti (ad esempio le spese di gestione, pubblicate come dato complessivo benché rilevate frazionatamente secondo diverse categorie di spesa), si tratta di statistiche assai particolareggiate. Si tenga presente inoltre che l’Ufficio di statistica del MiBAC pubblica dati numerici non elaborati, ma non occorrono operazioni eccessivamente complicate per ricavare indicatori di servizio corrispondenti a quelli utilizzati per le reti civiche.
Un esempio di elaborazione ufficiale dei dati forniti dal MiBAC si ritrova nelle serie statistiche venticinquennali che l’Istat pubblica sul sito http://culturaincifre.istat.it/. Nella sezione "biblioteche", il link "dati" conduce a statistiche anagrafiche (provenienti dall’Anagrafe dell’ICCU), ai dati 1998-2009 delle biblioteche del MiBAC e a una serie storica sulle stesse biblioteche; non sono considerati i sistemi regionali. La serie storica venticinquennale (racchiusa in una cartella in formato xls contenente i dati del periodo 1985-2009), fornisce 6 serie di dati (numero delle biblioteche, numero dei manoscritti, numero dei volumi a stampa, numero delle opere consultate, numero dei prestiti a privati, e dal 1990 numero di addetti) ripartiti in quattro macroregioni e aggregati a livello nazionale. In più troviamo, sempre a partire dal 1990, due medie, quella delle opere consultate per addetto e dei prestiti a privati per addetto.
Le serie ventennali per addetto offrono qualche spunto interessante. I prestiti a privati per addetto variano, a livello nazionale, da 82 nel 1990 a 100 nel 2009 (il picco, 128, è raggiunto nel 2002). La tenuta dell’indice non è imputabile a un elevato numero dei prestiti, che anzi dal 1996 in poi tendono a calare anche se non in modo netto, bensì a causa della diminuzione degli addetti, passati dai 3.230 del 1990 ai 2.259 del 2009. L’andamento delle opere consultate per addetto è altrettanto significativo, in quanto a fronte di oltre 3 milioni di opere consultate tra il 1994 e il 2000, scese negli ultimi anni a 2,2 milioni di unità movimentate, la media è di 760 opere distribuite per addetto nel 1990, raggiunge il massimo di 1.214 nel 1996 e si attesta tra il 2001 e il 2009 attorno a quota 1.000. La stessa analisi può essere frazionata per macroregione, ed evidenzia il medesimo andamento discendente con una particolarità. Al nord-est, gli indicatori delle opere prestate o consultate per addetto sono ai massimi all’inizio della serie per scendere poi inesorabilmente nonostante la riduzione del numero di addetti.
L’annuario delle statistiche culturali 2008-2009 dell’Istat23contiene un ulteriore dato da tenere a mente: nel 2009 le biblioteche pubbliche statali del MiBAC erano il 60% (6 su 10) delle biblioteche italiane dotate di oltre 1 milione di volumi, e oltre il 30% (12 su 38) di quelle dotate di almeno 500.000 volumi. Considerando le sole opere a stampa, secondo i dati 2010 pubblicati dall’Ufficio di Statistica le biblioteche dei monumenti nazionali hanno un patrimonio compreso tra 29.779 e 189.218 unità documentarie, mentre per le altre si va da un minimo di 65.917 (con 3 sole biblioteche al di sotto delle 100.000 unità documentarie) a un massimo di 8.445.425 unità. La media per questi 35 istituti supera le 868.000 unità documentarie.
Manca infine, nelle statistiche del MiBAC, qualsivoglia attenzione per la dimensione demografica, anche se il frazionamento per provincia e regione delle suddette statistiche consente ugualmente di eseguire elaborazioni simili a quelle presenti, ad esempio, nel sistema statistico lombardo. Il motivo dell’assenza di elaborazioni di tipo demografico è presumibilmente che il pubblico di riferimento delle biblioteche pubbliche statali è, in teoria almeno, un pubblico nazionale. Poiché però non bisogna confondere il pubblico che può accedere alle biblioteche statali con quello che effettivamente le frequenta, il dato demografico ha la sua importanza; anzi il dato dei servizi incrociato con il dato demografico da un’idea più precisa del ruolo della biblioteca nel territorio: cosa che tuttavia ha diverse implicazioni per ciascuna tipologia di biblioteca statale, a differenza di quello che può accadere in ambito regionale e infraregionale.
Gli elementi su cui mi soffermerò da qui in avanti sono i migliori indicatori di servizio rilevati nel 2000 dall’AIB, citati sopra, e ulteriori indicatori calcolati mettendo in correlazione tra loro alcuni dei dati di servizio rappresentati nelle rilevazioni statistiche, con specifico riferimento all’anno 2010 da poco reso pubblico, e precisamente:
– il rapporto prestiti/ingressi, dal quale si può evincere quanta parte del servizio della biblioteca si impernia sul servizio di prestito rispetto alle altre attività della biblioteca, e il numero di prestiti per iscritto al servizio;
– il rapporto ingressi/patrimonio complessivo, che può mettere in relazione la ricchezza documentale con la domanda di servizi di biblioteca, per costruire una sorta di indice di attrazione.
Le domande che mi sono posto, prima ancora di elaborare i dati e compararli, sono: risulta dal dato statistico un gruppo di biblioteche statali con numeri di servizio tali da distinguerle dalle altre biblioteche del MiBAC? Esistono affinità tra tali dati statistici e dati campione provenienti dall’universo delle biblioteche civiche? Dall’insieme delle comparazioni effettuate sembrerebbe di sì, con tutte le riserve e precisazioni del caso24.
Le migliori prestazioni in fatto di indice della dotazione di personale sono comprese, riporta l’AIB, tra 0,7 e 1,2 FTE per 2000 abitanti. Tra le biblioteche del MiBAC si collocano in questa fascia nel 2010 Cremona, Firenze Nazionale, Pisa, Cagliari; al di sopra di 1,2 sono invece Pavia, Gorizia, Potenza e Cosenza25.
La dotazione di personale è un indice importante a livello di sistema, mentre per la singola biblioteca non ha rapporto tanto con la popolazione residente quanto con l’ampiezza degli orari e l’articolazione e la professionalità dei servizi. La corrispondenza di alcune biblioteche statali allo standard è quindi casuale, e ovviamente non possono comparire le realtà demografiche più importanti (Roma, Napoli, Milano, Torino, Genova), mentre la nota carenza di personale delle biblioteche del MiBAC che si avverte soprattutto al centro-nord non emerge dai valori dell’indicatore. Più interessante è il dato degli addetti per biblioteca: ad esempio, gli addetti di ruolo sono circa 1 per biblioteca in provincia di Bolzano (mentre oltre 5, in media, sono i volontari) e poco meno di 2 per biblioteca in Lombardia. La media per il MiBAC è di 47 addetti per biblioteca (e poco meno di 14 se contiamo il solo personale bibliotecario).
L’indice ottimale della dotazione documentaria è compreso tra 2 e 3 volumi pro capite. Vi rientra solo Venezia in quanto le seguenti biblioteche si collocano tutte al di sopra di 3 volumi (a stampa) pro capite nel 2010: Cremona, Pavia, Gorizia, Modena, Parma, Firenze Nazionale, Lucca, Pisa, Cagliari. Non molto al di sotto di 2 figurano poi le seguenti biblioteche: Padova, Macerata, Roma Nazionale, Napoli Nazionale, Potenza, Cosenza, Sassari. Ilposseduto delle statali è, in termini legali, patrimonio dello Stato; nelle statali tale patrimonio cresce inesorabilmente, causando tra l’altro i problemi di spazio che affliggono quasi tutti gli istituti del MiBAC. Naturalmente quando si parla di dotazione, e si paragonano singole biblioteche a interi sistemi bibliotecari, occorre considerare anche l’assortimento della dotazione libraria. E’ raro che singole biblioteche del MiBAC possiedano doppie copie di una stessa opera, mentre nelle reti civiche è piuttosto la norma che un testo per il quale si prevede un’alta domanda del pubblico venga acquistato in numerose copie. Ecco quindi che lo standard di 2 o 3 volumi pro capite, evidenziato dalle statistiche locali, ha un significato ben diverso che per le statali: gli oltre 27 milioni di volumi che le biblioteche lombarde (4,5 milioni a Bergamo, 6 a Milano, ecc.) mettono a disposizione di quasi 10 milioni di abitanti non sono certo 27 milioni di titoli unici. L’effettivo assortimento a disposizione del singolo cittadino è determinato ovviamente dalle scelte di acquisto e da un’adeguata circolazione dei documenti nella rete.
L’indice ottimale della dotazione di periodici è compreso tra 10 e 15 testate correnti per 1000 abitanti. Le statali che raggiungono o superano tale soglia nel periodo 1998-2010 sono: Pisa, Gorizia e Firenze Nazionale nell’intero periodo, Cremona tra il 1998 e il 2008, Pavia nel 1998, Sassari tra il 2001 e il 2010, Modena nel 2004 e Lucca nel 2008. Ildato della Nazionale di Firenze è "drogato" dal deposito legale, che non ha lo stesso impatto sulla Nazionale di Roma per la diversa dimensione demografica dei rispettivi comuni; conseguono buoni risultati le universitarie site nelle città con minor numero di abitanti (Pisa, Pavia e Sassari); le "non universitarie" ben piazzate sono Cremona, Gorizia e Lucca. I periodici sono anche la tipologia di materiale il cui acquisto va attentamente valutato in quanto impegna la biblioteca nel medio-lungo periodo. I tagli lineari che dal 2005 hanno colpito il MiBAC e in particolare le dotazioni per acquisti librari, hanno costretto i direttori a tagliare gli acquisti a partire dalle monografie e dalle collezioni, ma anche i periodici e le opere in continuazione sono stati duramente colpiti.
Indice di incremento della dotazione documentaria: da 200 a 250 acquisti annui per 1000 abitanti. Nessuna delle statali vi si avvicina nel 2010. Solo tre (Gorizia, Firenze Nazionale e Cosenza) superano 100 acquisti annui per 1000 abitanti, tra i 10 e i 30 si collocano in 11 (Cremona, Milano, Pavia, Modena, Lucca, Pisa, Macerata, Roma Nazionale, Bari, Potenza, Cagliari). Ilrisultato delle statali è quasi scontato in termini assoluti; più interessante, a parte la consueta distinzione tra centri grandi e piccoli, è notare che tra le migliori solo Cagliari, Macerata e Potenza sono biblioteche che non godono del deposito legale regionale o provinciale e che nessuna delle tre figura tra le biblioteche con una cospicua dotazione di periodici correnti, di cui al precedente indicatore: il che dimostra che le scarse risorse finanziarie disponibili non bastano per sviluppare contemporaneamente diverse tipologie di materiale, e che le scelte a favore dell’una si scontano nell’altra.
Indice di impatto: dal 25% al 40% di iscritti sulla popolazione residente. Nessun reale confronto è possibile, soprattutto perché il dato disponibile per le statali è il numero degli iscritti al prestito, non alla biblioteca; ciò significa che non sono conteggiati i fruitori degli altri servizi. Infatti la media nazionale delle biblioteche del MiBAC è di appena il 2,28%. Sopra la media nel 2010 si collocano le biblioteche di Torino Nazionale, Cremona, Pavia, Gorizia, Parma, Lucca, Macerata e Cagliari.
Indice di prestito: da 1,5 a 2,5 prestiti pro capite (in rapporto alla popolazione residente). Anche qui non è possibile una vera e propria comparazione, visto che la media nazionale per le biblioteche del MiBAC è nel 2010 pari ad appena 0,02 volumi prestati per abitante (ponendo a denominatore i residenti dei comuni in cui tali biblioteche sono ubicate, circa 9,1 milioni di abitanti). La spiegazione risiede sia in regole più restrittive per il prestito rispetto alle biblioteche delle reti civiche, sia nel diverso assortimento del materiale posseduto: da un lato occorre ricordare infatti che libri antichi, manoscritti, periodici non sono prestabili, dall’altro che la tipologia di materiale che abbonda in molte biblioteche comunali – narrativa, saggistica d’attualità e audiovisivi – risponde meglio a un certo tipo di domanda che viene soddisfatta dal prestito diretto. Rimane da segnalare, in termini relativi, che Gorizia totalizza 0,36 prestiti pro capite, Cremona 0,23, Macerata 0,20.
Rapporto prestiti/ingressi: per questo dato, che può dirci approssimativamente quanta parte della domanda degli utenti si concentra sul prestito, le statali raggiungono nel 2010 una media del 14,54% (monumenti nazionali esclusi), e sopra la media si collocano i seguenti istituti: Torino Nazionale (15,99%), Milano (15,65%), Cremona (15,34%), Pavia (15,35%), Padova (14,88%), Venezia (14,59%), Gorizia (25,18%), Trieste (25,03%), Modena (20,22%), Lucca (16,33%), Pisa (15,23%), Macerata (41,66%), Storia Moderna (35,84%), Medica (20,06%), Roma Nazionale (18,05%), Napoli Nazionale (15,75%), Cosenza (34,95%), Cagliari (42,24%), Sassari (18,17%). Il dato della Nazionale di Roma può essere interpretato nel senso che, disponendo spesso di una doppia copia delle pubblicazioni italiane in base alla vecchia normativa sul deposito degli stampati, nonché di un assortimento insuperabile di titoli, attira utenti specificamente interessati al prestito. Per gli altri istituti direi che il prestito tende a crescere quando si combinano più fattori come un’offerta libraria ben assortita in rapporto alla domanda e regolamenti interni relativamente liberali, ferme restando le esclusioni dettate dall’art. 54 del regolamento statale. Infatti, poiché viene di regola escluso dal prestito il materiale di consultazione generale, nelle biblioteche dove molto materiale è collocato nelle sale di consultazione, il prestito è spesso limitato alle collocazioni di magazzino, sovente la parte più datata delle raccolte.
Se consideriamo il numero di prestiti per iscritto, le statali che si avvicinano ai migliori dati disponibili per le reti civiche (ricordo: 10 in Lombardia, 7,69 a Firenze, 7,2 in Piemonte), sono Cremona con 7,79 nel 2010, e Milano con 7,00, mentre tra 3 e 5 troviamo Padova, Venezia, Trieste, Genova, Modena, Roma Archeologica, Napoli Nazionale, Bari, Potenza e Cosenza. Il dato delle statali viene però raccolto con una metodologia differente rispetto alle civiche in quanto il numero degli ammessi al prestito è inteso come singole persone che nell’anno solare hanno usufruito del servizio e non come rapporto col numero totale di iscritti alla biblioteca. Per questo mi sembra significativo solo il dato di Cremona e Milano, peraltro conseguito in una regione come la Lombardia in cui il prestito è in generale un servizio molto richiesto. In quanto poi al dato del numero di prestiti per addetto (non sempre rilevato nelle statistiche regionali ma pari a 6.827 in Lombardia nel 2009), tra le statali la media ventennale Istat si attesta attorno a 100. Alcune statali però si distinguono con numeri superiori: 204 Torino Nazionale, 577 Cremona, 450 Gorizia, 236 Trieste, 949 Macerata e 230 Medica.
Indice di circolazione: da 0,7 a 1,5 movimenti per volume posseduto, calcolato sul posseduto di 10 anni. Per le statali, ho calcolato la differenza in termini quantitativi tra il posseduto (tutte le tipologie di materiale) al 2010 e quello al 2000, e rapportato questo delta al numero di opere date in lettura, in prestito diretto e in prestito interbibliotecario. I risultati sono sorprendenti in quanto restituiscono valori abbastanza alti, con una media statale (esclusi i monumenti nazionali) di 0,98. Chiaramente le statali (salvo forse alcune biblioteche speciali e universitarie) non movimentano esclusivamente e nemmeno in prevalenza i volumi di più recente acquisizione, a differenza di quanto facciano sovente le civiche, per cui il risultato è da prendere con molta cautela. Infatti raggiungono almeno 1 movimento per volume di nuova acquisizione biblioteche di varia tipologia: "statali" (Cremona, Macerata), speciali (Medica, Archeologica), storiche (Angelica, Casanatense), universitarie (Cagliari) e nazionali (Torino, Venezia, Firenze, Napoli). Se invece consideriamo il rapporto tra opere date in lettura e posseduto complessivo (limitandoci questa volta ai soli volumi a stampa), la media nazionale per il 2010 è 0,07, e sopra la media si collocano, in ordine decrescente, Cremona (oltre 5 volte la media nazionale), Archeologica, Macerata, Gorizia, Trieste, Storia Moderna, Cagliari. Infine, considerando il rapporto tra opere prestate e posseduto (sempre per i soli volumi a stampa), la media nazionale per il 2010 si abbassa fino a 0,01, e sopra la media, a decrescere, troviamo Macerata (7 volte la media nazionale), Gorizia, Cremona, Trieste, Medica, Cosenza, Storia Moderna, Cagliari, Potenza e Genova.
L’ultimo dato su cui mi soffermo è il rapporto tra numero di ingressi e dotazione documentaria complessiva (manoscritti esclusi): lo chiamerei una sorta di indice di attrazione, benché, considerando la metodica di rilevazione degli ingressi, possa misurare la capacità della biblioteca di coinvolgere la popolazione solo con il complesso dei servizi locali, a esclusione ad esempio degli eventi culturali o dei servizi resi da remoto. La media 2010 per le statali (esclusi i monumenti nazionali) è pari al 7,62%. Sopra la media si collocano le seguenti biblioteche: Torino Nazionale (10,85%), Cremona (19,27%), Pavia (7,85%), Gorizia (14,84%), Trieste (11,30%), Genova (11,56%), Macerata (19,04%), Medica (10,80%), Baldini (32,53%), Alessandrina (8,50%), Potenza (29,40%).
La rassegna comparativa ha evidenziato che alcune biblioteche conseguono più spesso indici di servizio elevati tra quelli presi in considerazione. Nonostante che alcuni indici non possano applicarsi senza riservealle statali oppure abbiano significato diverso in tale campione di biblioteche26, il dato non mi sembra irrilevante. Beninteso, avvicinarsi alle migliori performance delle reti civiche o superare nettamente la media nazionale delle statali per uno o più indici di servizio non costituisce di per sé prova di un’affinità funzionale in termini di servizio prestato, quanto piuttosto un segno dell’efficacia dell’istituzione in rapporto al contesto territoriale. Benché anche le nazionali centrali e le speciali, come abbiamo visto, e persino talvolta le biblioteche di conservazione, riescano a conseguire numeri di rilievo, esse esulano dall’argomento del presente articolo.
Diverso il caso delle numerose "nazionali" italiane, delle "universitarie" (tra le quali spiccano per indici di servizio Cagliari, Pavia e Pisa) e a maggior ragione delle "statali". Qui sarà opportuno dedicare un po’ di attenzione a quei fattori storici, geografici e sociali cui ho fatto riferimento commentando il regolamento del 1995. Infatti la funzione "civica" che si può riconoscere a una biblioteca statale non coincide con quel ruolo di promozione della lettura o dei consumi culturali che emerge dalle statistiche delle biblioteche di ente locale, quanto meno nel Nord Italia, ma nel costituire un punto di riferimento per la città a vari livelli: adempiendo a una funzione di testimonianza, nel senso di curare la raccolta e la conservazione dei documenti prodotti localmente e concernenti il territorio e le comunità che vi risiedono, con o senza il supporto del deposito legale; in termini di servizio al territorio, sotto forma di configurazione organizzata di risorse e servizi messi a disposizione della cittadinanza (come ad esempio la selezione di appropriate tipologie di pubblicazioni, un ampio orario al pubblico, l’apertura di sale per ragazzi, l’offerta di connettività o l’allestimento di sale multimediali) che possono dare poi come risultato alti valori degli indici di servizio; infine come presenza culturale in senso soggettivo, nel senso che la biblioteca, affermandosi quotidianamente come istituzione che crea, organizza e diffonde cultura, diventa il referente privilegiato per i soggetti pubblici e privati locali interessati a intraprendere iniziative culturali o di tutela, e diventa l’ideale destinataria di donazioni e lasciti da parte di chi desidera che la propria collezione di libri sia utile alla comunità. Per non poche biblioteche statali tutte queste sono dimensioni concrete dell’identità storicamente costruita nel territorio, che vorrei a questo punto documentare con brevi profili utili a comprendere da dove vengono e dove stanno andando.
Possiamo cominciare da una delle due biblioteche che più si distinguono negli indici di servizio sopra menzionati, la Biblioteca statale Isontina di Gorizia27.
La biblioteca ha origine dalla Studienbibliothek nata nel 1825; nel corso della prima guerra mondiale viene privata del materiale raro e di pregio trasferito in Austria nel 1915, mentre il resto viene riparato alla Laurenziana per divenire poi, a guerra finita nel 1919, il nucleo della nuova biblioteca di Stato che nel 1925 assume il nome di Governativa. Nel 1919, nelle macerie dell’immediato dopoguerra, la Civica e la Provinciale si uniscono alla Governativa. La Provinciale nel 1941 riacquista la sua autonomia, mentre la Civica rimane unita per convenzione annuale alla Governativa, che acquisisce la denominazione di Statale Isontina a partire dal regolamento del 1967. Considerato che è quasi un secolo che la Biblioteca Civica è all’interno della Biblioteca Statale, essa deve essere considerata, al di là del puro nome, un "fondo" della Statale piuttosto che un’autonoma biblioteca: condivide infatti con la Statale gli ambienti, il personale, la gestione, il catalogo, sia quello cartaceo sia quello elettronico, mentre la distinzione rimane solo per gli inventari cronologici e topografici.
La Biblioteca ha mantenuto e aggiornato nel tempo la specificità di essere, fin dall'inizio, biblioteca collegata al mondo degli studi ed inserita nella complessa storia del Goriziano, caratterizzata dalla presenza secolare di comunità di lingua friulana, italiana, tedesca e slovena. L’Isontina riceve le due copie del deposito legale regionale per la provincia di Gorizia. Contiene anche il Centro di pubblica lettura, un tempo centro della rete provinciale di prestito (nell’ambito del servizio nazionale di lettura organizzato dal Ministero della Pubblica Istruzione negli anni Cinquanta, cessato poi per effetto della legge delega n. 382 del 22 luglio 1975 e del conseguente d.P.R. n. 616 del 24 luglio 1977, art. 47), divenuto poi sistema bibliografico provinciale isontino, che costituisce nell’Isontina una sezione di pubblica lettura per i lettori minorenni, dotata di scaffali aperti e una sala per ragazzi. La Biblioteca ha ricevuto inoltre importanti donazioni che ne attestano la rilevanza nel panorama culturale cittadino, dal 13 giugno 2011 offre il servizio di connettività wireless e ha aperto da poche settimane una pagina su Facebook. Dal 2003 il numero di frequentatori si mantiene sopra ai 50.000 annui dopo aver toccato il minimo di 34.750 nel 2000.
Tutt’altro percorso quello della Biblioteca statale di Trieste, da poche settimane denominata "Stelio Crise", la cui nascita risale al 1956. Negli anni cinquanta il Ministero della pubblica istruzione organizzò il Servizio nazionale di lettura, promuovendo la rinascita di quelle biblioteche popolari che esistevano prima dell'avvento del fascismo e aprendo nuove biblioteche dove queste istituzioni non erano mai state presenti. Nella provincia di Trieste l’apertura della biblioteca popolare avvenne per iniziativa del Commissariato Generale del Governo per il Territorio di Trieste "con il compito di divulgare presso tutte le classi sociali l’amore per la lettura; fu perciò organizzata secondo il modello delle public libraries anglosassoni, e si articolò in una sede destinata alla gestione tecnica e amministrativa e in più succursali per il prestito e la consultazione dei volumi. L’attività venne inizialmente coordinata dalla Soprintendenza, alla quale, nel 1962, successe il Commissariato Generale per il Territorio di Trieste, che ribadì i compiti di diffusione di opere di recente edizione, di gestione di sale di lettura e prestito domiciliare. Quest’ultimo servizio si estese a ‘punti di prestito’ attivi presso carceri, ospedali, campi profughi e vennero raggiunte, grazie all’impiego di un ‘bibliobus’, zone periferiche densamente abitate. Fin dalla sua fondazione ebbe un larghissimo seguito, giungendo in breve a registrare oltre centomila prestiti all’anno"28.
All'inizio degli anni Settanta, tra l’Amministrazione Comunale di Trieste e il Commissariato del Governo vi erano stati contatti per il passaggio dell'istituzione al Comune. Ma la Biblioteca del Popolo non diventa comunale, anzi nel 1977 passa alle dipendenze del Ministero per i Beni Culturali e inizia un percorso di trasformazione delle sue finalità e della tipologia delle sue raccolte che la portano a cedere in comodato la sede di Muggia al Comune nel 1995, a chiudere le sedi rionali di pubblica lettura, e a trasferirsi in palazzo Morpurgo dove assume la denominazione di "Biblioteca Statale di Trieste" col regolamento del 1995. Da quel momento il Comune di Trieste si fa carico della gestione del servizio di pubblica lettura sul territorio comunale attraverso il Servizio bibliotecario urbano. Col tempo dunque la Biblioteca ha preso le distanze dai compiti di pubblica lettura e gli ultimi anni hanno visto un decremento sia del numero dei frequentatori che dei prestiti, ma i suoi indici di servizio (in particolare i prestiti per addetto e il rapporto tra prestiti e ingressi) rimangono ancora relativamente elevati tra le biblioteche pubbliche statali, mentre il numero di ingressi ha raggiunto il massimo negli anni 2004-2007. Tra le altre attività di servizio degne di nota, segnalo l’adesione all’iniziativa Libro parlato, con una postazione destinata ai non vedenti, ipovedenti o dislessici, e dal 15 febbraio 2012 l’accesso, anche da remoto, a una piattaforma di consultazione e prestito di testi digitali.
L’altra biblioteca che spicca per indici di servizio, la Statale di Cremona29, ha per nuclei originari, come molte biblioteche italiane, il patrimonio librario accumulato da bibliofili ed eruditi di famiglie nobili locali andate via via estinguendosi. La Libreria civica (esatta denominazione del nucleo "civico" della statale di Cremona, che fino a pochi anni or sono era denominata appunto Biblioteca Statale e Libreria civica), trae origine dal lascito del marchese Giuseppe Sigismondo Ala-Ponzone del 1842 (imparentato con quel ramo milanese degli Ala-Ponzone che qualche anno dopo lasceranno i loro libri alla Biblioteca Braidense), cui si aggiunge la notevole biblioteca del marchese Pietro Araldi-Erizzo, del medico e storico cremonese Francesco Robolotti e altri ancora. Si trattava però di un agglomerato di libri, che avevano avuto sì un ordinamento, ma non erano consultabili e non avevano una sede. Nel 1885 la proposta vincente di Edoardo Alvisi, allora direttore della Governativa, fu di cedere l’intero patrimonio a quest’ultima, con una convenzione che, continuamente rinnovata, dura ancora oggi (l’ultimo rinnovo scade nel 2015). La convenzione prevede che il Comune metta a disposizione la sede e fornisca una dotazione per il funzionamento e l’incremento delle collezioni civiche; mentre in passato il Comune pagava l’energia elettrica ed erogava un contributo per libri e riviste, attualmente viene stanziata una somma annuale (indicizzata) che il direttore della Statale amministra e rendiconta. I libri della Libreria civica hanno una loro serie inventariale e sono collocati separatamente nei depositi librari. Nel corso del tempo sono state molte le collezioni o le riviste che hanno mutato proprietà: iniziate come civiche sono diventate statali e viceversa, a seconda delle contingenze economiche. Per quanto ormai siano completamente compenetrate, a livello teorico sarebbe ancora possibile scindere le due raccolte. Da sottolineare che i fondi "civici" sono in realtà una delle parti più preziose della Statale, fondi antichi che non hanno niente di "civico" inteso come pubblica lettura. La Libreria civica continua ad arricchirsi di fondi come la serie di manoscritti già depositati presso il museo civico Ala-Ponzone (lettere di musicisti quali Rossini, Paganini ecc.) e il fondo Madre Agata Carelli di recente acquisizione (con relativa sede e suppellettili).
La Governativa di Cremona (denominata fino al 1860 Imperial Regia Biblioteca e risalente alla biblioteca pubblica fondata dai Gesuiti a inizio Seicento), nasce invece con la soppressione degli ordini religiosi, assieme a quella della vicina Mantova che invece viene trasferita al comune. La natura e le funzioni (duplici: biblioteca storica di ricerca a indirizzo umanistico, ma anche di necessità biblioteca di pubblica lettura) della biblioteca erano ben chiare alla giovanissima Virginia Dainotti (poi Carini, quando sposa il prefetto di Cremona), teorica della public library, che il 22 novembre del 1938, alla presenza del Ministro Bottai, inaugurò la nuova sede alla cui progettazione aveva personalmente collaborato. A lei si devono l’organizzazione degli spazi e specialmente la creazione del grande salone di lettura, con il materiale collocato secondo la Dewey e 99 comodi posti a sedere (oltre ai 20 della sala consultazione), nonché l’invenzione della sala dei ragazzi, prima del genere in Italia, destinata ad accogliere i giovani fino a 16 anni, che il regolamento nazionale escludeva dalla frequentazione della biblioteca.
Oggi i tavoli del 1938 sono ancora in uso, anche se dotati di prese elettriche a cui collegare il pc; molte attività continuano a essere legate alla scuola, come ad esempio gli incontri con autori di libri per ragazzi; in biblioteca è possibile studiare e fare i compiti, e persino fare un poco di rumore; fino a pochi anni fa, inoltre, venivano acquistate opere di narrativa e saggistica d’attualità, molto gradite dal pubblico, per le quali erano state ideate apposite sezioni di collocazione: acquisizioni poi cadute sotto la scure dei tagli di bilancio. Per molti anni, fino a fine secolo scorso, la Statale è stata anche sede del Centro sistema bibliotecario provinciale. Al servizio bibliotecario provinciale la Biblioteca ha di nuovo aderito nel 2010, collegandosi a un sistema di prestito organizzato tra le provincie di Cremona, Mantova e Brescia (compresa la Queriniana) gratuito e molto apprezzato, la cui gestione è in capo all’amministrazione provinciale. E’ stato anche attivato il servizio di connessione wireless che ha senza dubbio contribuito a una sensazionale ripresa del numero dei frequentatori (le presenze, calate dalle 82.000 del 1998 alle 41-42.000 del 2004-2005, hanno superato quota 109.000 nel 2010).
Altro istituto più volte in evidenza in fatto di indici di servizio (con una dotazione documentaria di mezzo milione di unità documentarie, l’alto rapporto tra iscritti e residenti e tra prestiti e ingressi) è la Biblioteca statale di Lucca, la cui storia, che rimonta alla Biblioteca dei Canonici Lateranensi di S. Frediano, istituita nel XVII secolo dall’abate Girolamo Minutoli, si intreccia strettamente con l’organizzazione statale dell’antica Repubblica lucchese. Nel 1791 infatti le venne concesso dalla Repubblica il diritto di stampa per Lucca insieme a uno stanziamento annuo per l’acquisto di libri, e nel 1794 venne finalmente aperta al pubblico. Ripresasi da un terribile incendio del 1822 grazie anche al generoso intervento del governo borbonico, che le consentì di acquistare sul mercato prestigiose raccolte come quella dei fratelli Cesare e Giacomo Lucchesini, nel 1877 a seguito della cospicua acquisizione dei fondi delle biblioteche ecclesiastiche soppresse si trasferì nella sede attualmente occupata nell’ex convento dei Chierici Regolari della Madre di Dio. La Biblioteca continua oggi ad accrescere le sue raccolte nelle linee tradizionali di documentazione della cultura italiana, ma presta particolare attenzione alla cultura lucchese (cui è in parte destinata una sala di studio riservata), sia attraverso gli acquisti sia attraverso le donazioni, e gode del diritto di stampa che la Regione le ha assegnato per la provincia di Lucca. Le sue iniziative di valorizzazione e promozione culturale si sono affermate come un appuntamento importante nella vita culturale della città30.
La Biblioteca statale di Macerata31 nasce con decreto interministeriale del 1987 come sezione della Nazionale di Napoli, ai sensi dell’art. 3 del regolamento del 1967 che per l’appunto contemplava la possibilità di istituire sezioni staccate di biblioteche esistenti, e comincia a operare nel 1990. Viene costituita per l’«esigenza di dotare la Regione Marche di una Biblioteca statale per rispondere alle esigenze di promozione culturale, di sostegno alle iniziative locali, e di tutela del patrimonio bibliografico». Il suo nucleo originario è il fondo Buonaccorsi, composto di circa 8.000 volumi, acquistato dal MiBAC e poi collocato in una struttura messa a disposizione dall’Università di Macerata e con personale proveniente dall’Archivio di stato. Quindi la sua esistenza si deve a un’iniziativa consapevole di politica bibliotecaria che ha ricevuto il supporto sia del ramo archivistico dell’amministrazione del MiBAC che dell’Università statale.
Non solo: essendo a carattere generale ma orientata in particolare all’acquisizione di pubblicazioni locali riguardanti soprattutto i settori letterario e storico-artistico, essa integra l’offerta culturale della Biblioteca dell’università nonché della comunale Mozzi-Borgetti, in accordo con le quali sin dai primi anni pianifica gli acquisti. Si tenga presente che in una città di piccole dimensioni come Macerata, le cui principali biblioteche sono ubicate a poca distanza l’una dall’altra, i rispettivi patrimoni possono considerarsi di fatto integrati per quanto riguarda la fruizione. E anche la promozione culturale, che costituisce uno dei filoni principali di attività di questa Biblioteca, può esercitare un forte richiamo sulla cittadinanza: si segnalano in proposito le collaborazioni con la Diocesi, la Provincia e il Comune, con l’Istituto storico della resistenza e dell’età contemporanea, con l’Accademia dei Catenati. Le consistenti donazioni private di cui beneficia attestano ulteriormente il radicamento della Biblioteca nel territorio, confermato dai numeri delle presenze annue che dopo una flessione tra il 2004 e il 2006 si sono riportati nel 2010 ai livelli del 2000. Gli indici per i quali si colloca ai primi posti tra le statali sono la dotazione documentaria, il rapporto tra iscritti e residenti, i prestiti pro capite, il rapporto tra prestiti e ingressi, il numero di prestiti per addetto (il valore più alto in assoluto), il numero di opere prestate in rapporto al posseduto (anche questo un record tra le statali).
Abbiamo visto, in tutti questi casi, un rapporto col territorio duplicemente connotato: nel senso di radicamento storico-culturale e di complementarità alle altre istituzioni culturali locali. Non si tratta di un’esclusiva delle biblioteche denominate "statali", ma è una caratteristica comune anche ad altre categorie di biblioteche del MiBAC quali le nazionali e le universitarie, le prime in quanto sono da considerarsi più propriamente biblioteche di rilevanza regionale o provinciale, le seconde in quanto non si limitano a fungere da supporto agli studi universitari ma si rivolgono consapevolmente a tutti i cittadini come del resto tutte le biblioteche del MiBAC. Tra i diversi istituti di queste due categorie che si distinguono per indici di servizio piuttosto elevati mi limiterò ad accennare brevemente alla Nazionale di Cosenza e all’Universitaria di Pavia.
La Biblioteca nazionale di Cosenza32 nasce col decreto ministeriale 9 novembre 1978, emanato ai sensi del citato art. 3 del regolamento del 1967, come sezione staccata della Biblioteca nazionale di Napoli. Il 17 settembre 1985 inizia la sua attività nel palazzo del Seminario Arcivescovile, acquistato appositamente dal Ministero. Poi, con decreto del 4 dicembre 1991, diviene istituto autonomo, specializzato a svolgere anche funzioni di biblioteca universitaria. Nello stesso anno il Comune di Cosenza delibera a favore della Biblioteca il comodato d'uso di un’antica costruzione adiacente all'ex seminario.
La Regione le ha riconosciuto il deposito legale delle pubblicazioni regionali a dimostrazione di quanto efficacemente questa Biblioteca, autonoma da poco più di un ventennio, ha saputo integrarsi nel suo territorio, occupandosi della conservazione, diffusione e valorizzazione della documentazione materiale della cultura regionale e locale. Non a caso molte famiglie cosentine si rivolgono alla biblioteca per riordinare le loro raccolte storiche e sono anche alle viste cospicue acquisizioni per donazione. Riguardo alle richieste di riordinamento di raccolte private, va detto che la Biblioteca, grazie anche alla fortuna di essere al momento ben dotata di personale, è in grado di dare ascolto anche a queste richieste ben poco consuete e praticabili nella realtà quotidiana delle istituzioni culturali italiane. Tra le caratteristiche del patrimonio della Biblioteca, si può citare la ricca sezione di narrativa moderna e contemporanea con testi anche in lingua inglese e francese, le cui opere sono richieste soprattutto per il prestito, e i buoni livelli di utilizzo del prestito interbibliotecario conseguiti negli ultimi anni. Gli indicatori che la vedono ai primi posti tra le statali sono la dotazione di personale e documentaria, il rapporto tra prestiti e ingressi, il numero di prestiti per iscritto e le opere prestate in rapporto al posseduto.
La Biblioteca Universitaria di Pavia33 nasce nel quadro della riforma dell’Università voluta da Maria Teresa d’Austria a partire dalla seconda metà del Settecento. Dal 1778 la Biblioteca ha sede nel Palazzo Centrale dell’Università occupando inizialmente il Salone Teresiano, a cui si aggiungono man mano gli spazi necessari all’accrescimento delle raccolte e all’ampliamento dei servizi, fino a raggiungere le attuali dimensioni. Il patrimonio bibliografico, costituitosi inizialmente con i volumi doppi delle biblioteche di Brera e di Vienna, con lasciti importanti e con scambi, si arricchisce poi con l’acquisto di intere biblioteche e di fondi librari. Dal 1802 gode del diritto di stampa per la provincia di Pavia oggi confermato dalla Regione. Il rapporto di collaborazione con l’Università è stato costante nel tempo. Una convenzione del 1989 con l’Università ha avviato per la Biblioteca il processo di introduzione delle nuove tecnologie. Con il sorgere di numerose biblioteche di istituto, di dipartimento e di facoltà con compiti di aggiornamento specialistico, nei confronti dell’utenza universitaria la Biblioteca ha assunto il compito di documentare le varie discipline attraverso l’acquisto delle grandi opere di consultazione e i più significativi repertori bibliografici.
La Biblioteca possiede una sala multimediale con 22 postazioni (di cui 4 accessibili anche ai disabili e dotate di ausili per ipovedenti e non vedenti) dove sono disponibili i servizi di navigazione in Internet e consultazione di banche dati, software di produttività personale, strumenti di e-learning e videoconferenza, aula didattica, consultazione di supporti audiovisivi. Offre inoltre il servizio di connettività wireless. Gli indici in cui si mette in luce, come abbiamo visto, sono la dotazione di personale e documentaria, il rapporto tra iscritti e residenti, e tra prestiti e ingressi. In termini assoluti, ha registrato negli ultimi anni un livello piuttosto costante di presenze, con un leggero recente incremento delle opere date in lettura e in prestito.
Tutte le biblioteche di cui si è detto operano in capoluoghi di provincia con una popolazione residente inferiore ai centomila abitanti. In tale dimensione probabilmente si esprimono al meglio le tre dimensioni sopra postulate della funzione "civica" di una biblioteca pubblica statale: la testimonianza, il servizio al territorio, la presenza culturale. Mi sembra però che esista anche una quarta dimensione di tale funzione, che contribuisce anch’essa a fare di una biblioteca una realtà viva e partecipe della comunità in cui opera: l’essere luogo fisico deputato allo studio, cioè biblioteca di studenti. Qui conta meno l’utilizzo del patrimonio (gli indici di prestito e di circolazione) e più invece la "popolarità" della biblioteca, cioè l’attrazione che essa esercita su settori di popolazione la cui preferenza per la biblioteca non discende strettamente da principi di biblioteconomia (l’entità e assortimento del posseduto, lo sviluppo delle collezioni, la regolamentazione dei servizi) o dalla sua vivacità culturale. Spesso ha un ruolo determinante l’ubicazione stessa della biblioteca, che le permette di intercettare flussi di utenza giovanile nei punti in cui essa si aggrega e per così dire prende coscienza del bisogno di biblioteca. Saranno sufficienti due esempi di questo legame speciale tra studenti e biblioteca e per far ciò dobbiamo trasferirci a Firenze e a Roma, salendo svariati gradini nella scala demografica.
Il primo esempio è un istituto mai fin qui nominato, quindi apparentemente mediocre in quanto a indici di servizio, ma che merita attenzione sia in quanto antica biblioteca pubblica, sia per la popolarità di cui gode tra i giovani. Si tratta della settecentesca Biblioteca Marucelliana, pensata dall’abate Francesco Marucelli quale biblioteca di cultura generale aperta ad una vasta utenza, così come attesta l'iscrizione sulla facciata: Marucellorum Bibliotheca publicae maxime pauperum utilitati. Il nucleo originario della Biblioteca è la collezione libraria del Marucelli che, morendo a Roma nel 1703, aveva disposto che la propria libreria, allora conservata in un palazzo di via Condotti, fosse destinata alla creazione di una biblioteca pubblica in Firenze dove, al momento della sua morte, non era presente alcuna istituzione di questo tipo. Per dar vita alla biblioteca fu costruito un edificio apposito, il cui progetto fu scelto in seguito a pubblico concorso. Con la legge del 1910 sul deposito obbligatorio degli stampati, la Marucelliana cominciò ad acquisire le edizioni stampate nei quattro circondari della provincia di Firenze, Pistoia, San Miniato e Rocca San Casciano. Oggi è destinataria delle opere stampate a Firenze e provincia.
Il suo carattere, a quello che posso giudicare, è quello di essere una biblioteca dalle fattezze antiche ma al contempo moderna e gradita ai giovani, giusto complemento, tra le statali fiorentine, alla Nazionale e alle due storiche Laurenziana e Riccardiana. Mi sembra indicativo un commento sulla Marucelliana rivenuto in un blog. Riporto infatti da www.yelp.it: «La Biblioteca Marucelliana è il posto ideale per trovare un po' di raccoglimento e studiare. Occorre lasciare tutti i propri effetti personali all'ingresso ma poi si può godere della pace e del silenzio della grande sala principale, che sembra praticamente la biblioteca della Bella e la Bestia, con il suo soffitto altissimo e la struttura in legno antico, è semplicemente uno spettacolo. E' possibile prendere libri in consultazione ma previa iscrizione al servizio. In genere questo è il ritrovo di universitari e studenti vari, trovandosi così in centro rappresenta l'alternativa migliore alla tristissima e lontana casa dello studente e anche a molte altre biblioteche meno interessanti. Qui almeno si gode della vera atmosfera della biblioteca d'altri tempi» (post del 27 ottobre 2011). Sempre dal blog si apprende che da ottobre 2011 è partita la sperimentazione della connessione wireless gratuita34 che dovrebbe contribuire, come in altri casi, a un aumento delle presenze, che nell’ultimo decennio sono passate dalle circa sessantamila del 2000 alle trentamila del 2010.
Una biblioteca che solo una volta abbiamo nominato nel precedente excursus statistico, e che primeggia peraltro nel rapporto tra ingressi e patrimonio documentario, è la Biblioteca Antonio Baldini di Roma, la stessa che attualmente dirigo. A confronto con la Marucelliana, dotata di oltre 750.000 unità documentarie rilevate al 2010, la Baldini possiede meno di 129.000 unità documentarie, tutte moderne. Ciononostante, ha totalizzato nel 2010 40.530 presenze che sono diventate 50.922 l’anno scorso (dato non ancora pubblicato). Nata nel 1962 su iniziativa dell’Ente nazionale per le biblioteche popolari e scolastiche, istituito in epoca fascista, gli appartenne fino alla sua liquidazione quando, con il d.P.R. n. 616 del 1977, furono trasferite alle Regioni le funzioni esercitate in precedenza dallo Stato in ordine alle biblioteche popolari. A quel punto si dovette decidere cosa fare della Baldini e dell’altra biblioteca dell’Ente, la Rispoli. Fu quasi un braccio di ferro con il Comune, guidato al tempo dal sindaco Giulio Carlo Argan, in seguito al quale una delle biblioteche andò allo Stato, l’altra al Comune.
Un rapido confronto tra le due ex gemelle può essere istruttivo35. La Biblioteca comunale Rispoli ha più o meno lo stesso numero di posti della Baldini suddivisi tra sala lettura, emeroteca e sala multimediale; oltre che sul posseduto, che ammonta a 30.000 volumi, la pagina web fornisce notizie sulle sezioni speciali dedicate alla poesia, a testi in varie lingue (inglese, francese, spagnolo, iraniano e russo), agli audio-libri e a Roma; nonché sul laboratorio linguistico, sulla videoteca con film in inglese e francese, sui corsi di lingua. La sua attività sembra pertanto concentrarsi sulla promozione della lettura, destinatari i cittadini italiani e stranieri, e sulla fruizione di audiovisivi e materiale locale. Il patrimonio della Baldini è composto dai testi di base e dai classici di narrativa e di saggistica indispensabili per una biblioteca di cultura generale, provenienti dalla raccolta iniziale costituitasi all’epoca dell’Ente, mentre le successive acquisizioni sono state finalizzate a creare un centro di informazione e approfondimento per gli studi universitari e una biblioteca di pubblica lettura al servizio di un ampio bacino di utenza. La Biblioteca quindi cerca di rappresentare ad un buon livello qualitativo l’editoria corrente e di tenere dietro all’aggiornamento della manualistica universitaria. Col tempo si è arricchita di consistenti acquisizioni come il fondo librario e fotografico del giornalista e scrittore Paolo Monelli, e vanta raccolte speciali come ad esempio la "biblioteca internazionale del fanciullo" (4.421 libri di fiabe di tutto il mondo). In sostanza la Baldini, non più propriamente una biblioteca di pubblica lettura, è per così dire una biblioteca "di pubblico studio"; nei suoi cinquant’anni di storia si è affermata senz’ombra di dubbio come la biblioteca del quartiere (Parioli) e non solo, e la sua forza d’attrazione è un mix di elementi che giornalisti e intellettuali hanno ben raccontato sulla stampa quotidiana36.
Vorrei concludere qui un percorso che ci ha portati a contatto con luoghi e storie diversi da cui non è facile ricavare un fattor comune. A parte il buon livello della dotazione di personale e di quella documentaria, le statistiche degli indici di servizio delle biblioteche pubbliche statali ci dicono che ciò che le accomuna non è la promozione della pubblica lettura, non è il perseguimento di alti livelli di prestito e di circolazione dei documenti, non è uno sviluppo delle raccolte orientato al soddisfacimento di una domanda di massa; non è nemmeno la rincorsa a forme tecnologicamente avanzate di comunicazione e consumo culturale, anche se spesso queste fanno comunque breccia nei servizi offerti. Quando leggiamo nell’art. 2 (comma 4) del Codice dei beni culturali e del paesaggio, che «I beni del patrimonio culturale di appartenenza pubblica sono destinati alla fruizione della collettività, compatibilmente con le esigenze di uso istituzionale e sempre che non vi ostino ragioni di tutela», il bibliotecario statale sa che l’ultimo vocabolo, la tutela, è quello che conta. Quando le biblioteche pubbliche statali acquisiscono un bene, potrei dire, parafrasando uno slogan commerciale, che è per sempre. Le biblioteche del MiBAC sono istituti della cultura in cui la tutela e la fruizione devono (per legge, e direi anche per forma mentis) continuamente bilanciarsi affinché possano essere assicurate le stesse condizioni odierne di fruizione alle generazioni future. In altre parole, esse sono soprattutto e per natura testimoni e custodi della memoria collettiva che si incarna nei testi (e anche in questo senso sono "presidi della democrazia").
Non c’è una ragione precisa, in definitiva, per cui le biblioteche del MiBAC siano proprio quelle che conosciamo e non altre (o che non debbano essere solo le nazionali centrali, come peraltro è perfettamente legittimo sostenere). Spero però anche di aver saputo dimostrare che, fin quando esistono, le biblioteche pubbliche statali sono in grado di incorporare ogni sorta di tecnologia nel loro impianto "tradizionale"; sono in grado di intercettare bisogni culturali anche inespressi, o potenziali; possono diventare punto di riferimento per cittadini, istituzioni culturali, organizzazioni e imprese e svolgere quindi, al di là dei loro compiti regolamentari, anche una funzione "civica" di supporto al territorio. Tutto ciò, nonostante che la crisi finanziaria, iniziata nel 2005 e di cui ancora non si intravede la fine, impedisca veri e propri investimenti nello sviluppo di questi istituti e li costringa inoltre a operare rigidamente "in economia" per difendere standard di servizio sempre più a rischio, a cominciare dagli orari al pubblico.
Avere però la potenzialità di svolgere tutte queste funzioni non significa automaticamente riuscirvi. Occorre che vi sia una cosciente forza propulsiva, e una combinazione di circostanze favorevoli, da verificare luogo per luogo e momento per momento. Un possibile punto di forza, forse non molto evidente dall’esterno, è che le biblioteche del MiBAC sono istituzioni della cultura nelle quali la figura professionale del bibliotecario è quella che assume necessariamente e globalmente le responsabilità culturali, scientifiche e amministrative della conduzione. A parte la pattuglia dei circa 600 funzionari bibliotecari in servizio (fino a estremo logoramento, direi, vista l’assenza di turnover), vorrei brevemente ricordare lo status giuridico del funzionario delegato statale, direttore di biblioteca, sottolineandone l’esercizio obbligatorio di funzioni dirigenziali pur sovente in assenza di una nomina a dirigente (e della relativa retribuzione), l’attribuzione di poteri "datoriali" in termini di gestione del personale e della sicurezza del lavoro e le considerevoli responsabilità di programmazione, oltre beninteso a quelle contabili, civili e penali che sarebbe troppo lungo anche solo elencare. Più da vicino ci riguarda nel presente contesto la definizione delle politiche di acquisizione e di servizio. I funzionari delegati sono giudicati (se sono giudicati) più sui costi delle rispettive strutture (il controllo di gestione, la contabilità economica e i controlli di legittimità sono gli strumenti di questa – ahimè – pressoché quotidiana rendicontazione dell’operato individuale), che non sulla base del rispetto di determinati parametri di servizio. Del resto il d.P.R. n. 417 per gran parte del funzionamento delle biblioteche rimanda espressamente ai regolamenti interni e più ancora, di fatto, l’amministrazione centrale non è attrezzata per entrare nel merito dell’organizzazione dei servizi e dell’impiego delle risorse, mentre lo è per valutare gli indicatori amministrativi della gestione finanziaria, della spesa annua, del costo medio per dipendente, del rispetto delle norme di contabilità di stato (intesa come gestione e rendicontazione precise e puntuali del patrimonio).
Nonostante le differenze tra loro, in questo le biblioteche pubbliche statali sono indistinguibili. Ciascuna dovrà fare quanto di meglio per assicurare il miglior servizio alle migliori condizioni al più ampio pubblico possibile; dovrà tenere conto della domanda e delle condizioni sociali del suo pubblico effettivo e potenziale, organizzare le risorse umane e materiali di cui dispone e controllare la qualità del servizio prestato. Questa è al momento la ragione della loro esistenza.
[1] Reperibile all’indirizzo http://culturaincifre.istat.it/sito/biblioteche/biblioteche.htm, link "Classificazioni".
[2] Così anche il Manifesto Unesco per le biblioteche pubbliche, reperibile in italiano all’indirizzo http://www.aib.it/aib/commiss/cnbp/unesco.htm.
[3] Paolo Traniello, Legislazione delle biblioteche in Italia, Roma, Carocci, 1999, p. 36. L’inverso non è certo vero. Il fatto che appartenga allo Stato e che sia aperta al pubblico non qualifica una biblioteca come "biblioteca pubblica statale", se pensiamo ad esempio, nello stesso MiBAC, alle numerose biblioteche operanti negli archivi di stato, oppure alle biblioteche di tante amministrazioni centrali e periferiche ed enti pubblici.
[4] Le novità erano: il passaggio alla Regione delle tre biblioteche siciliane; la nascita nel 1975 del Ministero per i beni culturali e ambientali; la costituzione di cinque nuove biblioteche statali (tre delle quali, inizialmente, come sezioni staccate della Nazionale di Napoli, poi rese autonome: Potenza, sezione nel 1980 e autonoma nel 1984, Cosenza nel 1985 e nel 1992, Macerata nel 1990 e nel 2002; due già esistenti e acquisite dal Ministero: nel 1977 la Baldini di Roma, nata nel 1962 e appartenuta all’Ente nazionale per le biblioteche popolari e scolastiche fino alla sua soppressione, nel 1978 la Biblioteca del Popolo di Trieste, nata nel 1956 come biblioteca di pubblica lettura); la sparizione delle sezioni musicali. Poiché nel regolamento vigente le biblioteche annesse ai monumenti nazionali sono definite "anche" biblioteche pubbliche statali, considero che le "biblioteche pubbliche statali" propriamente dette, oggetto del presente ragionamento, sono solo 35 o, se vogliamo, lo 0,27 per cento delle 12.646 biblioteche censite nell’Anagrafe dell’ICCU a maggio 2012.
[5] Paolo Traniello, Legislazione delle biblioteche in Italia, cit., p. 33.
[6] Secondo Paolo Traniello, che peraltro commenta non il regolamento del 1995 bensì il d.P.R. n. 805 istitutivo del Ministero per i beni culturali e ambientali, «ridurre un insieme di istituti [...] a organi di un’amministrazione governativa non può [...] che significare la prevalenza dell’interesse per l’attività di filtro periferico delle direttive e delle disposizioni dell’amministrazione centrale rispetto a quello per la capacità di un’iniziativa culturale originale e autonoma che ciascuno di essi, per propria natura, dovrebbe essere in grado di assumere, in relazione al proprio ambiente e alla propria utenza» (Le biblioteche italiane oggi, Bologna, Il Mulino, 2005, p. 25). Il punto che voglio sottolineare nel presente articolo è proprio l’opposto: le regole comuni fissate per le biblioteche sono talmente "tecniche" e procedurali che, di fatto, le scelte fondamentali, vorrei dire di politica culturale, a cominciare dalla definizione degli obiettivi di servizio, sono state in gran parte demandate a direttori e bibliotecari.
[7] Secondo il decreto ministeriale del 28 dicembre 2007, godono del deposito "regionale" le Nazionali di Bari, Cosenza, Milano, Torino e l’Universitaria di Genova; sono invece titolari del deposito "provinciale" la Statale di Cremona, la Marucelliana di Firenze, l’Isontina di Gorizia, la Statale di Lucca, l’Estense Universitaria di Modena, le Nazionali di Napoli e Venezia, la Palatina di Parma, le Universitarie di Padova, Pavia, Pisa, Roma. Naturalmente, poiché la funzione di raccogliere la produzione editoriale regionale o provinciale discende da un autonomo provvedimento della Regione di riferimento, la si può definire in certo senso, oggi, una funzione accidentale, ma va ricordato che molti istituti, già depositari in base a precedenti norme di legge (anche antecedenti l’Unità d’Italia), si sono visti confermare compiti che già svolgevano e che hanno profondamente segnato nel tempo la loro identità.
[8] Non mancano poi le denominazioni "ibride" che sembrano riflettere per talune biblioteche una duplice identità frutto di vicende storiche e di accadimenti amministrativi: si pensi all’Estense Universitaria di Modena e alla Nazionale Universitaria di Torino.
[9] Ne sono esempi la Reale di Torino, la Riccardiana e la Medicea Laurenziana di Firenze, l’Angelica, la Casanatense e la Vallicelliana di Roma.
[10] Si veda al proposito il documento, riferito alle biblioteche pubbliche di ente territoriale, intitolato Rilanciare le biblioteche pubbliche italiane, pubblicato dall’Associazione italiana biblioteche nel settembre 2011 e reperibile a partire dalla pagina http://www.aib.it/attivita/campagne/rilanciare-le-biblioteche-pubbliche-italiane/.
[11] La questione della governance non riguarda solo lo stato. L’approccio bottom-up traspare ad esempio nel commento che Rosaria Campioni ha dedicato a un documento delle regioni intitolato Linee di politica bibliotecaria per le autonomie: «è senz'altro per questa vicinanza quotidiana delle biblioteche alle esigenze informative del cittadino che si è avvertita ‘dal basso’ la necessità di condividere alcuni principi generali e di individuare linee operative comuni per uno sviluppo programmato dei servizi, di là dalle specifiche situazioni locali» (Rosaria Campioni, Linee di politica bibliotecaria per le autonomie: il documento e le attività , in «Bibliotime», n. 2, luglio 2006). Tale documento ha previsto tra le altre cose l’istituzione di un comitato nazionale per il coordinamento delle politiche bibliotecarie, i cui obiettivi prevedono anche l’individuazione e la verifica di linee-guida in merito agli indicatori di efficacia ed efficienza e alle rilevazioni statistiche. A livello nazionale va ricordato l’ultimo "protocollo d’intesa" del Servizio Bibliotecario Nazionale, sottoscritto il 31 luglio 2009 da ministeri ed enti territoriali (lo si può scaricare dal sito dell’ICCU all’indirizzo http://www.iccu.sbn.it/opencms/opencms/it/main/sbn/aderire/pagina_0001.html), che prevede veri e propri strumenti di governance condivisa del sistema: il "documento strategico" quadriennale con le linee programmatiche del Servizio bibliotecario nazionale, la cui elaborazione compete a un comitato nazionale di coordinamento; il comitato tecnico-scientifico preposto alla verifica del rispetto del livello e della qualità dei servizi; i comitati regionali di coordinamento che attuano i progetti nazionali nell’ambito di SBN. I nuovi organi centrali "cooperativi" del SBN sono però stati ufficialmente costituiti solo a fine 2011, e sono operativi da pochi mesi, per cui che siano in grado di coordinare, regolare e governare la complessa realtà delle biblioteche italiane rimane una fondata speranza ma nulla più.
[12] Spiccano in negativo quasi tutte le regioni centro-meridionali. Vi sono ad esempio regioni, come la Campania, che raccolgono dati sulle biblioteche di interesse locale allo scopo di valutare il livello di contributi da erogare per il loro funzionamento, ma senza prevedere una sistematica pubblicazione dei dati. Non sono riuscito a reperire evidenze di statistiche bibliotecarie per le altre regioni meridionali. Altre regioni sono in fase di avvio, e un esempio è dato da BiblioMarche: presentato ufficialmente il 19 luglio del 2010, il progetto ha avviato una campagna di rilevazione per il 2011, annunciata alla pagina http://bibliomarche.cultura.marche.it/web/, per la quale a luglio del 2012 sono disponibili solo due link, uno dei quali permette lo scaricamento di un documento in pdf contenente l’elenco delle biblioteche partecipanti alla rilevazione (63 in totale), mentre l’altro, intitolato "Risultati dell’analisi", rimanda a una pagina vuota.
[13] http://www.provinz.bz.it/astat/it/istruzione-cultura/669.asp, seguire il link Biblioteche 2011.
[14] All’indirizzo http://sdiaf.comune.fi.it/statistiche.html.
[15] All’indirizzo http://www.cultura.regione.lombardia.it (link Biblioteche e Archivi -> Biblioteche in Lombardia -> Anagrafe delle biblioteche lombarde - Dati statistici e Grafici). Non è purtroppo possibile, dai dati pubblicati, fare raffronti tra i capoluoghi e il rispettivo territorio.
[16] La si trova all’indirizzo http://www2.regione.veneto.it/cultura/cms/allegati/Pmv/A26_visual_report.swf.
[17] Le tabelle in formato xls si trovano all’indirizzo http://dati.veneto.it/?q=taxonomy/term/332; i file pdf all’indirizzo http://www.regione.veneto.it/Servizi+alla+Persona/Cultura/Beni+culturali/PMV/Statistiche.htm; tuttavia i dati ivi pubblicati a maggio 2012 erano relativi soltanto agli anni 2006, 2007 e 2008.
[18] Un dato provinciale, purtroppo assai invecchiato, si trova nell’area dei documenti di lavoro del sistema bibliotecario della Provincia, all’indirizzo http://sistema-bibliotecario.provincia.roma.it/content/documenti-di-lavoro. Per il comune di Roma segnalo un’analisi ragionata di Filippo Lobina apparsa sul numero 3/2006 di "Biblioteche oggi", intitolata Biblioteche di Roma e biblioteche europee: dati a confronto (p. 29-36).
[19] I dati attestano oltre 15 milioni di prestiti in Lombardia nel 2009, oltre 2,6 milioni in provincia di Bolzano nel 2011, e 573.624 nell’area fiorentina nel 2009; di contro, tutte le statali messe insieme nel 2010 hanno prestato solo 211.115 volumi e il massimo numero di prestiti (meno di 359.000) è stato raggiunto nel 2002.
[20] Il documento è all’indirizzo http://www.ibc.regione.emilia-romagna. it/wcm/ibc/menu/dx/ 11norm/ibc_ normativa_ riferimento/normativa_reg/Direttiva_Standard.pdf, accessibile anche dal sito dell’AIB sezione Emilia-Romagna, alla sezione "Materiali e Documenti". Si tratta di un documento non datato ma sicuramente antecedente al Codice del 2004 in quanto fa riferimento al vecchio testo unico d. leg. n. 490/1999, ed è una dichiarazione programmatica in quanto nulla dice della situazione di partenza del sistema regionale e delle aree territoriali che dovrebbero tendere al raggiungimento degli indici in esso definiti.
[21] Gruppo di lavoro AIB "Gestione e valutazione", Linee guida per la valutazione delle biblioteche pubbliche italiane. Misure, indicatori, valori di riferimento, Roma: Associazione italiana biblioteche, 2000, p. 100; gli indicatori sono disponibili anche all’indirizzo http://www.aib.it/aib/commiss/cnbp/guide-it.htm.
[22] Per ulteriori particolari rimando alla pagina web http://www.statistica.beniculturali.it/.
[23] Statistiche culturali Anni 2008 e 2009, Roma: Istituto nazionale di statistica, 2010, p. 105.
[24] Per quanto riguarda gli indicatori correlati alla popolazione ho fatto riferimento al numero di abitanti dei singoli comuni aggiornati al 1° gennaio 2011 (vedi http://demo.istat.it/pop2011/index.html). Per i dati statistici delle biblioteche del MiBAC ho preso in considerazione l’intero periodo tra il 1998 e il 2010.
[25] Per esigenze di sintesi indico le biblioteche con il solo nome della città in cui sorgono, specificando laddove necessario per quei casi in cui ne esistono più d’una.
[26] L’indice di circolazione, in particolare, anche se rapportato al posseduto di 10 anni, significa qualcosa di profondamente diverso per quelle biblioteche che oltre ad acquistare possono anche scartare libri: come notato sopra, in Lombardia nel 2009 le comunali hanno acquistato 1,1 milioni di documenti ma ne hanno scartati quasi cinquecentomila. In questo tipo di biblioteche la pratica dello scarto è consuetudinaria e si inserisce nella metodica di svecchiamento e adeguamento delle raccolte librarie alla domanda. Le regole stabilite dalle Regioni per questa pratica si imperniano a volte su black lists (così il Veneto, cfr. http://www.regione.veneto.it/Servizi+alla+Persona/Cultura/Beni+culturali/Sovrintendenza+Beni+Librari/Scarto+di+materiale+bibliografico.htm), cioè su tipologie di materiale che non si può scartare, il che dà alle biblioteche una discreta libertà di manovra; inoltre è nella logica stessa della biblioteca di rete civica che il materiale deteriorato (in ogni caso), o superato, o non più richiesto possa essere ceduto o distrutto (cfr. le regole di Sala Borsa reperibili all’indirizzo http://www.bibliotecasalaborsa.it/content/cartacollezioni/conservazione.html). Non così ovviamente nelle biblioteche del MiBAC, dove continua a prevalere la concezione patrimoniale e "culturale" del bene librario.
[27] Le mie fonti sono il sito della biblioteca http://www.isontina.beniculturali.it e Marco Menato (comunicazione personale).
[28] Citato da http://www.bsts.librari.beniculturali.it/storia.asp.
[29] Stefano Campagnolo (comunicazione personale) e Servizi di connessione wi-fi nelle biblioteche: qualche riflessione, in «Accademie & biblioteche d’Italia», 5 (2010), n. 1/2, p. 16-24; inoltre http://www.bibliocremona.it.
[30] Marco Paoli, La Biblioteca statale di Lucca tra tradizione e valorizzazione: gli eventi culturali 2009-2010, «Accademie & biblioteche d’Italia», 5 (2010), n. 1/2, p. 29-31 e il sito della biblioteca http://www.bslu.beniculturali.it/.
[31] Angiola Maria Napolioni, La biblioteca nazionale di Macerata dalla fondazione al 2000: un decennio di attività, in: Istituzioni culturali del Maceratese: atti del XXXIV Convegno di studi maceratesi, Tolentino 7-8 dicembre 1998, Polienza: Tipografia San Giuseppe, 2000.
[32] Elvira Graziani (comunicazione personale) e http://www.bncs.beniculturali.it/.
[33] Il sito ufficiale è http://siba.unipv.it/buniversitaria/.
[34] La notizia non è tuttavia confermata dal sito ufficiale della biblioteca: http://www.maru.firenze.sbn.it/.
[35] Informazioni tratte dai siti http://www.bibliotecabaldini.beniculturali.it/ e http://comune.roma.it/wps/portal/pcr?jppagecode=biblioteca_rispoli.wp.
[36] Edoardo Sassi, in un articolo del 7 giugno 2005 sul "Corriere della Sera", intitolato Il cuore dei Parioli è una biblioteca, scrive: «Se mai un giorno si dovesse girare un film sugli anni Ottanta a Roma, la sala di lettura di questa biblioteca [...] potrebbe essere una location ideale. [...] uno dei caratteri distintivi della biblioteca Antonio Baldini, nel cuore dei Parioli, consiste proprio in questo: nell’esser stata, soprattutto in passato, ma in gran parte ancora oggi, un luogo simbolo di ritrovo e studio per centinaia di giovani di Roma nord. I quali, per assicurarsi un posto al tavolo, erano disposti a mettersi in coda anche un’ora prima dell’apertura. Aspiranti reginette diventate avvocatesse d’assalto, futuri manager e giornalisti; in molti hanno studiato qui nei pomeriggi di tanti inverni fa, quando andare "alla Baldini" era un vero must, un po’ come l’aperitivo nel posto giusto o l’agognato ingresso nel locale fighettone di tendenza.» E Giorgio Montefoschi, sempre sul "Corriere" del 15 giugno 2010, ripercorrendo i suoi anni Sessanta: «A farla breve, in pochi mesi la Biblioteca Baldini ebbe un grande successo. Le ragioni erano molteplici, e abbastanza evidenti. In primo luogo, era bello il posto: quieto, un po’ nordico, adattissimo a chi avesse voglia di concentrarsi. Poi c’erano libri di ogni tipo [...] e bastava andare allo scaffale a prenderli. Infine c’erano ragazze molto carine [...] che improvvisamente facevano il loro ingresso nella sala di lettura e magari ti si sedevano di fronte.»