di Andrea De Pasquale
All'interno del panorama delle biblioteche pubbliche statali non centrali spiccano sicuramente per importanza e ricchezza di patrimonio le quattro biblioteche nazionali di Torino, Milano, Venezia e Napoli. Sono in particolare la Biblioteca nazionale universitaria di Torino, aperta nel 1723, con compiti anche di biblioteca pubblica, per volontà del re di Sardegna Vittorio Amedeo II di Savoia1, la Biblioteca nazionale Braidense, progettata nel 1770, ma inaugurata nel 1786 per decisione dell'imperatrice Maria Teresa d'Austria2, la Biblioteca nazionale "Vittorio Emanuele II" di Napoli che, pur ideata nel 1784, venne aperta al pubblico solo nel 1804 durante il regno di Ferdinando IV di Borbone3. Caso a parte è rappresentato dalla Biblioteca nazionale Marciana che, di fondazione addirittura del XV secolo, diventò la biblioteca dello Stato della Repubblica di Venezia, fino all'annessione al Regno Lombardo Veneto4.
Si tratta quindi di istituzioni generalmente nate (o potenziate, nel caso della Marciana) nel XVIII secolo, nell'ambito della politica illuminata di sovrani o del governo in materia di istruzione pubblica. L'idea originaria che le accomunava era quella di costituire non biblioteche di corte o personali di sovrani, ma biblioteche di Stato aperte al pubblico, destinatarie del privilegio del deposito legale, dotate di opere moderne pertinenti a tutte le materie, di carattere generalmente umanistico, ma anche documentarie dell'evoluzione del pensiero scientifico.
Tali biblioteche, depositarie delle più importanti collezioni bibliografiche degli antichi Stati preunitari, divennero governative al momento dell'unificazione nazionale e fin da subito ebbero un trattamento di riguardo rispetto alle altre. Se il r.d. 25 novembre 1869, n. 5368 riconobbe il titolo di nazionale solo a quella di Napoli, insieme alle altre di Firenze e Palermo, e incluse tra quelle di prima classe le Biblioteche di Torino, Milano e Venezia, il r.d. 22 giugno 1873, n. 1482 assegnò a tutte le biblioteche in questione la presenza, in capo all'organico, di un prefetto, come per la Nazionale di Firenze. Ancora il r.d. 20 gennaio 1876, n. 2974 confermò alle Biblioteche di Torino e di Napoli il titolo di nazionale, con Firenze e Roma, definite tutte di primo grado, e incluse invece in quelle di secondo grado la Braidense e la Marciana, e infine, con il Regolamento r.d. 28 ottobre 1885, n. 3464, tutte vennero ricomprese tra quelle autonome e dotate del titolo di nazionale, il tutto cristallizzato poi nel r.d. n. 733 del 24 ottobre 19075.
Fino alla prima metà degli anni Novanta tali biblioteche hanno costituito il punto di riferimento sia per un'utenza di studiosi e studenti che ancora non disponeva di efficienti biblioteche universitarie, sia per le altre biblioteche, che vedevano nella biblioteca di Stato, spesso capofila del principale polo SBN della Regione, il luogo a cui indirizzarsi per avviare la progettazione dei propri servizi, apprendere le tecniche catalografiche, risolvere problemi legati alla gestione. Pur a tutt'oggi contenendo sicuramente le maggiori concentrazioni di patrimonio bibliografico italiano, insieme alle due biblioteche nazionali centrali6, da ormai molti anni le glorie di un tempo sono purtroppo gravate da numerosi problemi che minano spesso l'efficacia dei servizi erogati e la progettualità di nuove iniziative, rappresentati da urgenti necessità conservative delle sedi per lo più monumentali, bisognose di massicci interventi alle strutture e agli impianti ormai obsoleti, dal personale sempre più esiguo, invecchiato, demotivato e poco avvezzo al cambiamento, chiamato a svolgere gli stessi compiti di sempre e anche altri, da gravi carenze di spazio per la conservazione del patrimonio con l'obbligatorietà di allestire locali esterni alla struttura, di gravosa gestione e manutenzione, dalla incapacità di suscitare appeal e di sapersi "mostrare" ad un pubblico medio, che spesso bolla tali biblioteche di farraginosità e complicanza nelle procedure d'accesso alle risorse, dalla contrazione sempre più massiccia dell'utenza a causa anche della costante riduzione della ricerca umanistica, dalla concorrenza di altre biblioteche di ben più recente formazione, sovente fornite di personale e di risorse più adeguate, che permettono un aggiornamento più costante delle collezioni, spesso invece limitato, se non impossibile nelle biblioteche statali.
In un momento di sempre più costante rarefazione dei finanziamenti, soprattutto per quanto riguarda la gestione ordinaria, e di assenza di una politica nazionale delle biblioteche che lascia sostanzialmente senza un coordinamento le biblioteche statali senza mai definirne un rapporto con le biblioteche nazionali centrali, anche a causa dello scorporo delle biblioteche statali dalle dipendenze dalla Direzione generale delle biblioteche, gli istituti culturali e il diritto d'autore, per ricadere sotto le rispettive Direzioni regionali per i beni culturali e paesaggistici, delle problematiche evidenziate di non facile soluzione e della nebulosità di prospettive future, urge riflettere sul ruolo degli istituti, riscrivendo le rispettive mission che inevitabilmente dovranno confrontarsi con quelle delle altre istituzioni bibliotecarie cittadine, per provare a fare sistema e evitare l'isolamento7: le brevi considerazioni che seguono cercano di individuare, senza pretese di esaustività, alcuni di questi aspetti su cui inevitabilmente occorre riflettere.
Le biblioteche in oggetto hanno sicuramente come comune caratteristica quella di potersi definire "biblioteche di conservazione", termine quanto mai ambiguo, che sottintende i compiti di tutela, salvaguardia e divulgazione dei propri fondi documentari, non solo storici, ma anche contemporanei, con particolare riferimento a quel patrimonio che perviene attraverso il deposito legale. Infatti tali biblioteche dovrebbero rappresentare il contraltare territoriale delle biblioteche nazionali centrali, impegnate nella conservazione del patrimonio editoriale d'Italia, costituendo quindi dei depositi decentrati, oltre che delle collezioni bibliografiche dei principali Stati italiani, della produzione editoriale corrente del territorio in cui sono localizzate.
In Italia però, anche per ragioni storiche, lo status di biblioteca di conservazione è difficilmente inquadrabile. Infatti moltissime biblioteche, anche civiche, conservano ricchissimi fondi antichi, e possono anche considerarsi, come un Giano bifronte, anche biblioteche di conservazione (pensiamo ad esempio alla Biblioteca Malatestiana di Cesena, alla Biblioteca dell'Archiginnasio di Bologna, alla Biblioteca Ariostea di Ferrara o alla Biblioteca Bertoliana di Vicenza), ma assolvono anche il compito di biblioteche di pubblica lettura e talvolta sono pure destinatarie della copia del deposito legale. Oltre a risultare complicato darne quindi una definizione, è mancata una riflessione sugli effettivi compiti della biblioteca storica, se si eccettua l'esperienza del convegno internazionale, tenutosi a Verona nel settembre del 1992, riguardante "La Biblioteca generale storica fra continuità e trasformazione". In esso spiccò la relazione di Alfredo Serrai nella quale egli invitava i bibliotecari a far conoscere la propria biblioteca non solo in relazione a singoli pezzi segnalati come testimonianza storica, vetustà o venustà, ma anche a permettere ad un pubblico ampio ma pertinente di «estrarre i frutti culturali compresi nelle [...] estese e ricchissime potenzialità bibliografiche» delle biblioteche storiche8.
Se da una parte il fine principale delle biblioteche in oggetto è quindi quello della conservazione e quindi occorre affrontare i ben noti problemi dei parametri ambientali dei luoghi di conservazione, gli accorgimenti nell'allestimento dei magazzini, i danni da parte di agenti di varia natura, le attività di prevenzione diretta e indiretta e le operazioni di restauro, attività che, per l'esiguità dei finanziamenti sui relativi capitoli, sono a tutt'oggi difficilmente realizzabili, in certi casi neppure progettabili, sicuramente tali biblioteche dovrebbero pure avviare progetti di studio delle proprie collezioni che, a partire dalla catalogazione, portino all'individuazione di piste che evidenzino lo sviluppo delle idee e delle politiche documentarie che le hanno costituite, enucleino temi e aspetti della cultura intorno a cui sono nate e documentino la produzione editoriale del territorio nella sua storia.
Se nelle grandi biblioteche statali estere tali attività sono non solo all'ordine del giorno, ma sono spesso completate addirittura dalla promozione di bandi per studiosi finalizzati allo studio delle raccolte, le iniziative di ricerca sono invece in Italia sempre meno diffuse, sia per la mancanza di tempo, e anche in certi casi di formazione e inclinazione, da parte dei bibliotecari impegnati nelle quotidiane operazioni di erogazione dei servizi al pubblico, sia per la sempre più comune convinzione che il bibliotecario debba esclusivamente fornire informazioni, lasciando allo studioso il compito di effettuare indagini scientifiche sul patrimonio. Oltre a ribadire che il bibliotecario è sicuramente la figura più titolata per intraprendere iniziative di studio sulla propria collezione perché lui solo ne conosce a fondo materiali e aspetti che esclusivamente attraverso una quotidiana frequentazione possono essere apprezzati9, c'è da domandarsi come mai negli altri settori dei beni culturali, soprattutto quelli archivistici, storico-artistici o archeologici, l'attività di ricerca scientifica dei funzionari è cosa consueta e imprescindibile, e non è alternativa a quella svolta in Università, ma piuttosto complementare o sinergica.
In più senza la ricerca risulta precluso ogni tipo di iniziativa seria di divulgazione del patrimonio a pubblici di varia tipologia, sia attraverso conferenze, visite, dibattiti, seminari, ma anche eventi più ameni10, sia con progetti espositivi temporanei, atti a illustrare autori, produzioni, filoni bibliografici, tematiche, collezioni11. A tal proposito spiace constatare che spesso le biblioteche statali sono divenute contenitori di iniziative culturali "a pacchetto" promosse da altri soggetti, per le quali l'istituto si limita semplicemente a sposarne lo spirito, apponendo supinamente il proprio logo o promuovendole attraverso la propria attività di comunicazione, senza entrare minimamente nell'ideazione e progettazione, iniziative che però il più delle volte sono avulse dal contesto dei fondi documentari che le circondano e si configurano come semplici manifestazioni che potranno pur attirare pubblico, ma sicuramente non promuovono le collezioni che le biblioteche conservano.
Le biblioteche devono riprendere in mano anche la loro vocazione museale e riscoprire il valore che il libro, quello antico e raro soprattutto, ha, non solo di strumento di informazione e quindi significativo per il suo contenuto, ma anche di bene culturale, connotato che invita a trattarlo anche né più né meno che come un oggetto d'arte, sicuramente però di ben più difficile comprensione e promozione. Per tale ragione sarebbe auspicabile allestire, come spesso accade in biblioteche estere, spazi destinati all'esposizione permanente di materiali, scelti e presentati a rotazione, secondo percorsi e filoni appositamente progettati.
Tali iniziative non sono una novità nella storia delle biblioteche statali italiane: dobbiamo infatti ricordare che ancora nei primi decenni del XX secolo numerose istituzioni esponevano in spazi appositamente dedicati o in teche disposte nei saloni aulici, i cimeli più preziosi.
L'esempio più antico è quello rappresentato dalla Biblioteca nazionale di Torino, voluto per volontà del vicedirettore Bernardino Peyron intorno agli anni Sessanta del XIX secolo, consistente nella realizzazione di vetrine, chiamate «Museo», dislocate nella sala dei manoscritti ma poi distrutte durante l'incendio del 1904, «visibili agli avventori [e contenenti] tutti quegli oggetti preziosi di antichità, libri pregevoli per legatura od splendidezza di edizione, i quali sogliono mostrarsi a chi per pura curiosità visita la biblioteca»12.
Il secondo caso è quello della Biblioteca nazionale Braidense in cui nel 1886 veniva inaugurata la Sala Manzoniana, atta a conservare, per un'esposizione pubblica, i manoscritti, i libri e i cimeli di Alessandro Manzoni, donati alla Biblioteca da uno degli eredi, Pietro Brambilla che aveva sposato la nipote di Alessandro, Vittoria13.
Sono però soprattutto gli anni Venti del XX secolo che videro il diffondersi di mostre permanenti. Se nel 1922 la Biblioteca mediceo-laurenziana realizzò la Mostra della miniatura, e nel 1925 la Biblioteca Estense di Modena, in occasione del ritorno della Bibbia di Borso d'Este, allestì la Mostra dei manoscritti, libri a stampa con figure e delle legature artistiche14, l'unica ancora esistente ad oggi; nel 1929, durante il 1° Congresso mondiale delle biblioteche e di bibliografia la Biblioteca nazionale Marciana di Venezia aprì nel Salone Sansoviniano la Mostra dei cimeli marciani15 e, sia nel Salone Maria Teresa, sia nell'attuale sala dei cataloghi, la Biblioteca nazionale Braidense predisponeva una «mostra permanente dei cimeli», comprendente manoscritti, libri miniati, rari e figurati dei secoli XV e XVI e degli autografi16.
Le indicazioni restrittive in tema di tutela e conservazione del materiale bibliografico emanate dal neonato Istituto per la patologia del libro, creato nel 1926 da Alfonso Gallo, portarono però pochi anni più tardi alla chiusura della maggior parte di tali mostre: il Ministero della pubblica istruzione, con circolare n. 470 del 23 gennaio 1936, ordinò la rimozione di mostre di cimeli e successivamente con circolare n. 15993 del 14 dicembre 1937 acconsentì alla possibilità di allestire mostre temporanee di cimeli per particolari avvenimenti e ricorrenze. Alcune biblioteche però si opposero a direttive così severe, tanto che a Venezia, grazie al direttore Ferrari che nel 1938 si ribellò alla chiusura, ricordando che in essa vi erano «cimeli di fama, si può dire, mondiale [...] che i visitatori di Venezia si attendono di vedere esposti, indipendentemente da occasionali ricorrenze»17, la mostra marciana venne così chiusa solo nel 1974 dalla direttrice Eugenia Govi per il degrado delle bacheche lignee18.
Al fine di promuovere la conoscenza delle raccolte occorrerà dotarsi di strumenti comunicativi e promozionali adeguati che oltrepassino il semplice sito web, ma che si configurino come vere e proprie guide ai fondi. L'esperienza della Biblioteca Palatina di Parma, che ha dato vita ad una collana promossa da una casa editrice locale con sponsor privati, atta a illustrare, con linguaggio di alta divulgazione scientifica e ricco e sontuoso apparato figurativo, i principali materiali dell'istituzione, può costituire uno spunto per riflettere su operazioni in tal senso19.
Accanto alla valorizzazione dei materiali, non sarà da trascurare neppure quella dei locali sontuosi e suggestivi, spesso dotati di antiche scaffalature, arredi e oggetti d'arte, di cui la maggior parte delle biblioteche in oggetto (tranne quella di Torino) dispongono, locali talvolta quotidianamente occupati dai lettori, talaltra invece utilizzati come magazzini. Le biblioteche potrebbero anche promuovere iniziative di uso non tradizionale dei locali in questione che, oltre alla loro conoscenza a un pubblico non abituale, permetterebbero, attraverso i canoni di concessione d'uso, l'avvio di attività di fund raising, indirizzando i proventi per le necessità di tutela e valorizzazione dell'ente20. Ci si riferisce in particolare all'utilizzo di tali spazi per manifestazioni mondane e conviviali, quali eventi di gala, meeting, campagne pubblicitarie, set per spettacoli. Esse infatti possono diventare occasioni per imbastire vere e proprie attività di promozione atte a presentare agli ospiti i propri tesori e facendo contestualmente assimilare ai presenti le necessità dell'Istituto, sollecitando aiuti in tal senso. Risulta anche vincente l'idea di proporre, a fronte della concessione, la realizzazione di interventi di restauro di beni particolarmente bisognosi della Biblioteca, spesso scelti dal soggetto concessionario tra una rosa preconfezionata di possibili pezzi o da esso individuati, in accordo con la Biblioteca, sulla base di specifici interessi. Tali iniziative possono infatti costituire lustro al soggetto promotore e sono facilmente divulgabili attraverso organi di stampa o le riviste interne di chi ha sostenuto l'iniziativa, con grande vantaggio pubblicitario pure per la Biblioteca21.
L'avvio di una programmata attività di valorizzazione deve altresì far riflettere sulla necessità di formazione di una figura di curatore delle raccolte, in analogia a quella del curatore museale, attore di iniziative di tutela ma anche di promozione del patrimonio, a cui, oltre a competenze tecnico-scientifiche sulla storia del libro e delle biblioteche, devono aggiungersi inevitabilmente competenze culturali più a tutto tondo che permettano di inserire i libri in una compagine più vasta, saperi museografici e museologici, conoscenze gestionali-amministrative sulle procedure di ottenimento di prestiti esterni, sulle condizioni assicurative, sulle accortezze per la movimentazione, sulle tecniche di fund raising, comunicazione, marketing e di redazione editoriale.
Le grandi biblioteche nazionali soffrono sicuramente di una vera e propria crisi d'identità del loro pubblico, quanto mai eterogeneo e difforme, e notevolmente trasformato rispetto a un tempo. Occorre infatti considerare che l'utenza ha mutato le sue esigenze, e, forse anche a causa delle recenti modifiche all'ordinamento universitario che richiede livelli di approfondimento di gran lunga inferiori a un tempo, ha sempre meno bisogno di ricerche specialistiche, oltre al fatto della disponibilità in rete di un patrimonio informativo smisurato.
Se da una parte sono mancate indagini atte a conoscere la natura e le tipologie degli utenti di tali biblioteche, sicuramente non aiutano gli indicatori statistici per le biblioteche stesse individuati dal Ministero per i beni e le attività culturali, che mirano sostanzialmente a valutare il numero degli utenti, indipendentemente dai materiali consultati, ritenendoli misurabili esattamente nello stesso modo dei visitatori dei musei, senza considerare che in quest'ultimi si entra per apprezzare il contenuto, mentre nelle biblioteche la cosa non è sempre così. Infatti tali parametri hanno sostanzialmente incentivato operazioni estranee alla natura delle biblioteche di conservazione, quali l'apertura anche a lettori di libri propri, fatto che le ha viste trasformate sovente in vere proprie aule studio, con necessità di gestione di un pubblico vasto che ha bisogno di ampie disponibilità di posti a sedere, che ha spesso poca attenzione e cura verso la sede e il patrimonio conservato e che talvolta genera problemi di ordine pubblico. L'attivazione di servizi internet e wireless gratuiti, indifferentemente per ogni tipo di risorsa, senza limitazione alla consultazione di strumenti e banche dati specifici, ha causato la loro trasformazione in veri e propri internet point, necessitando, tra l'altro, pure gravosi problemi di manutenzione e aggiornamento delle infrastrutture tecnologiche.
Anche l'attivazione di servizi di prestito locale, ampiamente caldeggiati dal regolamento delle biblioteche pubbliche statali e valutati per numero di libri erogati esattamente come le presenze, cozza con i compiti di conservazione del patrimonio posseduto ed è anomalo rispetto al ruolo che una biblioteca nazionale deve garantire.
Anche la politica degli acquisti, particolarmente limitata dalla massiccia riduzione del rispettivo capitolo di spesa, dovrebbe essere ripensata sulle esigenze del tipo di pubblico che dovrebbe frequentare o verso cui si vorrebbe orientare la Biblioteca. Occorrerà pertanto incrementare e aggiornare il patrimonio bibliografico posseduto puntando su determinate discipline, con riguardo al settore umanistico (le discipline di carattere letterario, storico e religioso, e trascurando soprattutto quelle scientifiche), in particolare verso quei filoni disciplinari maggiormente rappresentativi e originariamente coltivati, individuando per ognuno specificità conservative e aree tematiche di sviluppo bibliografico, a discapito di quelle garantite da altre collezioni e istituzioni cittadine.
Dall'altra parte non deve prevalere la logica che la Biblioteca nazionale debba rincorrere quegli ambiti che le altre biblioteche non possiedono (del resto assai limitati, visto che insistono in città ampiamente fornite di biblioteche specialistiche), riducendosi al ruolo di tappabuchi, senza sviluppare una propria politica documentaria.
Una strategia, forse comoda, attuata da numerose biblioteche statali è stata quella di mantenere il più possibile le collezioni di periodici e limitare gli acquisti di monografie, a eccezione di quelle in collane. Da un'analisi dei prestiti e delle consultazioni risulta invece che l'interesse dei lettori riguarda per l'80 % circa le monografie degli ultimi 15 anni. Risulterebbe quindi forse più opportuno ridurre l'acquisto di periodici a quelli che sono strettamente legati ai fondi storici delle biblioteche stesse, alla storia locale, alla storia del libro e delle biblioteche, confidando nell'eventuale futuro possibile recupero delle annate non possedute attraverso archivi elettronici di periodici. Lo stesso dicasi per le collezioni che forse potrebbero limitarsi alle edizioni critiche di testi e documenti o a quelle di carattere enciclopedico, e, in modo da documentare la cultura nazionale, di quelle opere recensite periodicamente negli inserti letterari delle maggiori testate quotidiane nazionali, dall'«Indice dei libri del mese», dal «Times Literary Supplement» e dalla «New York Review of books».
Nell'ambito di tale politica ampio spazio dovrebbe essere riservato all'aggiornamento e al potenziamento degli apparati di consultazione che nelle biblioteche in questione risultano storicamente molto imponenti22. Tali collezioni erano nate generalmente alla fine del XIX secolo quando emerse la necessità di concentrare alle pareti di locali destinati allo studio strumenti di consultazione, costituiti per lo più da opere di carattere permanente che rappresentassero i cardini significativi delle discipline, a imitazione dell'esperienza della Biblioteca nazionale centrale di Roma attuata fin dal 1885 da Domenico Gnoli e tenendo conto delle indicazioni di Giuseppe Fumagalli23. Esempio precoce è stata la "sala riservata e di consultazione" di Brera, inaugurata nel 1886 da Isaia Ghiron, riordinata e ampliata poi nel 1933 dal direttore Tomaso Gnoli24. Altro caso era stato quello della Biblioteca nazionale di Torino dove nel 1895 erano create «due sale di consultazione, riservate ai professori dell'Università, ai membri della R. Accademia delle Scienze e della R. Deputazione di Storia Patria, agli studiosi dei manoscritti ed a tutte le persone, alle quali il Regolamento del prestito dei libri dà facoltà di rilasciare malleveria»25.
Lo scopo della loro realizzazione non era la creazione di un servizio informativo, ma garantire uno spazio appartato di studio per docenti e studiosi. Tale obiettivo rimase di fatto costante per tutta la metà del XX secolo, venendo cristallizzato da Amalia Vago nell'unico manuale italiano riservato alla sala di consultazione, in cui quest'ultima era vista come un luogo per «studiosi seri», distinti «dalla massa dei lettori comuni»26, e come tale era detta fino ancora ad anni recenti «sala riservata». Lo dimostra il fatto che, quando negli anni Settanta si dovette realizzare la nuova Biblioteca nazionale di Torino, si creò una grande sala di consultazione generale suddivisa in due da una parete, in cui si entrava da due distinte porte, di cui una riservata agli studiosi dotati di apposito tesserino, che accedevano direttamente alle sezioni di lingue classiche e moderne, l'altra per gli utenti medi.
Proprio tra gli anni Settanta e Ottanta le sale di consultazione delle biblioteche in questione hanno subito ingenti ristrutturazioni, grazie anche al contestuale aumento di personale, sia con il potenziamento delle raccolte, sia anche con la rivisitazione degli originari impianti classificatori. Caso tipico è stato quello della Biblioteca nazionale di Torino che proprio in quel periodo venne totalmente riclassificata e incrementata con nuovi strumenti, sotto le direzioni di Stelio Bassi e soprattutto di Giuseppe Dondi, alla cui idea si deve la pubblicazione del Catalogo delle sale di consultazione che ha costituito per anni il modello per l'allestimento di nuove sale di consultazione27.
Pur rivisitato, l'impianto classificatorio della biblioteche in questione, frutto spesso di adattamenti, con il mantenimento di partizioni che, non seguendo una classificazione universalmente adottata e quindi costantemente aggiornata, sono state solo occasionalmente incrementate e rivisitate, spesso a tutt'oggi si presenta rigido e macchinoso, e il patrimonio risulta sovente obsoleto e difficilmente integrato e completato con pubblicazioni su supporto elettronico28.
Il recente finanziamento con fondi dell'8 per mille assegnati all'ICCU destinati alla catalogazione e soprattutto digitalizzazione di fondi bibliografici della biblioteche nazionali, tra cui quelle in oggetto, deve indurre a definire una politica di digitalizzazione a scala nazionale che non si limiti solo a recepire i desiderata delle biblioteche stesse, spesso alla ricerca di curiosità e di mirabilia il più delle volte avulsi da un contesto più ampio, ma individui, biblioteca per biblioteca, oltre ai pezzi per i quali la digitalizzazione rappresenta uno strumento di tutela, i fondi e i materiali che costituiscono veramente i connotati pregnanti delle raccolte e che rappresentano l'ossatura bibliografica della cultura nazionale. Sicuramente dovranno essere scandagliati i fondi degli antichi Stati preunitari, alla ricerca di quegli autori e di quelle opere, manoscritte e a stampa, che hanno animato gli ambienti culturali che li hanno raccolti per lettura, gusto estetico, spirito bibliofilico, e, una volta digitalizzati, dovranno essere presentati in percorsi di studio e chiavi di letture.
La riforma organizzativa del Ministero del 2007, che ha definitivamente incardinato le biblioteche statali all'interno della struttura delle Direzioni regionali per i beni culturali e paesaggistici, invita a gran voce le biblioteche a confrontarsi con le consorelle istituzioni periferiche del Ministero, soprattutto con gli altri contenitori di beni culturali quali musei e archivi, che spesso sono ospitati negli stessi complessi architettonici, e quindi a definire strategie comuni. Numerose infatti potranno essere le attività svolte in sinergia, quali la condivisione di patrimoni bibliografici, documentari e iconografici spesso complementari, soprattutto per la storia del territorio, anche con la costituzione di banche dati digitali che integrino informazioni di carattere bibliografico, archivistico, archeologico, storico-artistico e architettonico, la realizzazione di esposizioni di materiale misto, anche attraverso la semplificazione di procedure per il prestito, l'ideazione di attività comuni di didattica.
[1] Andrea De Pasquale, Il sapere per tutti: la politica bibliotecaria a Torino tra XVII e XIX secolo, Savigliano: L'Artistica, 2006, p. 21-27.
[2] Corrado Pecorella, Ricerche storiche sulla fondazione della Biblioteca nazionale Braidense con appendice di documenti inediti, in: Inventario ragionato dei manoscritti giuridici della Biblioteca nazionale Braidense di Milano, Milano: Giuffrè, 1958, p. 75-116; Silvia Furlani, Maria Teresa fondatrice di biblioteche?, in: Economia, istituzioni, cultura in Lombardia nell'età di Maria Teresa, a cura di Aldo De Maddalena, Ettore Rotelli, Gennaro Barbarisi, Bologna: Il Mulino, 1982, vol. II, p. 1057-1076, riedito in «Accademie e biblioteche d'Italia», L (33° n.s.), n. 6, p. 459-474; Laura Zumkeller, Gli interventi culturali a Milano in epoca Teresiana e l'istituzione della Biblioteca di Brera, in: Navigare nei mari dell'umano sapere: biblioteche e circolazione libraria nel Trentino e nell'Italia del XVIII secolo: atti del Convegno di studio, Rovereto, 25-27 ottobre 2007, Trento: Provincia Autonoma di Trento, 2008, p. 209-222.
[3] Vincenzo Trombetta, Storia e cultura delle biblioteche napoletane: librerie private, istituzioni francesi e borboniche, strutture postunitarie, Napoli: Vivarium, 2002.
[4] Marino Zorzi, La libreria di San Marco: libri, lettori, società nella Venezia dei Dogi, Milano: Mondadori, 1987; Id., La Biblioteca Marciana: Venezia, Firenze: Nardini, 1998.
[5] Paolo Traniello, Storia delle biblioteche in Italia dall'Unità a oggi, Bologna: Il Mulino, 2002, spec. p. 11-119; Id., Le biblioteche italiane oggi, Bologna: Il Mulino, 2002, p. 9-41; Mauro Tosti-Croce, Lo stato e le biblioteche: un percorso istituzionale dall'Unità al 1975, in: Tra passato e futuro: le biblioteche pubbliche statali dall'unità d'Italia al 2000, a cura di Francesco Sicilia, Roma: Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, 2004, p. 17-72.
[6] La Nazionale di Napoli possiede un patrimonio di oltre due milioni di volumi, circa 18.000 manoscritti oltre a 1.800 papiri, più di 4.500 incunaboli e circa 3.500 testate di periodici in corso; la Braidense circa 1.200.000 volumi, oltre 2.000 manoscritti e oltre 2.300 incunaboli, oltre a circa 4.000 periodici; la Nazionale di Torino oltre 850.000 volumi a stampa, più di 4.500 manoscritti, circa 1.600 incunaboli, oltre 4200 testate di periodici; la Marciana circa 800.000 volumi a stampa, oltre 13.000 manoscritti, circa 2.900 incunaboli.
[7] Paolo Traniello, Biblioteche e società, Bologna: Il Mulino, 2005, spec. p. 143-171.
[8] Alfredo Serrai, Le biblioteche storiche, «Il Bibliotecario», ripreso in: Biblioteche e bibliografia: vademecum disciplinare e professionale, a cura di Marco Menato, Roma: Bulzoni, 1994, p. 17-28.
[9] Andrea De Pasquale, I fondi storici delle biblioteche, Milano: Editrice Bibliografica, 2001, p. 5-9.
[10] Come nel caso della realizzazione in Biblioteca Palatina di Parma di momenti del rito ebraico per valorizzare i fondi in tale lingua ivi conservati. Cfr. Andrea De Pasquale, Momenti di valorizzazione del fondo ebraico della Biblioteca Palatina di Parma, «Accademie e biblioteche d'Italia», V (2010), n. 1-2, n.s., p. 25-28.
[11] Sulle mostre in biblioteca cfr. Anna Rosa Venturi, Mostra bibliografica, Roma: AIB, 2006.
[12] Andrea De Pasquale, Il sapere per tutti: la politica bibliotecaria a Torino tra XVII e XIX secolo, Savigliano: L'Artistica, 2006, p. 78-79, 120.
[13] Mariella Goffredo De Robertis, La Sala Manzoniana nella Biblioteca nazionale Braidense di Milano, in: Manzoni scrittore e lettore europeo: Milano, Biblioteca nazionale Braidense, 8 febbraio-31 marzo 2001, Roma: Edizioni De Luca, 2000, p. 129-139.
[14] Domenico Fava, Catalogo della mostra permanente della R. Biblioteca Estense, Modena: G.T. Vincenzi e nipoti, 1925.
[15] Descrizione in Ministero dell'educazione nazionale. Direzione generale delle accademie e biblioteche, Le biblioteche d'Italia dal 1932-X al 1940-XVIII, Roma: Palombi, 1942, p. 999-1000.
[16] Biblioteca nazionale di Brera, Catalogo descrittivo della mostra bibliografica: manoscritti e libri miniati, libri a stampa rari e figurati dei secc. XV-XVI, legature artistiche, autografi, Milano: Sperling & Kupfer, 1929
[17] Bando alle mostre bibliografiche?, «La Bibliofilia», XXXVIII (1936), p. 220.
[18] Gian Albino Ravalli Modoni, Pagine di vita della Biblioteca Marciana negli anni ottanta, «Miscellanea Marciana», XV (2000), p. 161, 166, nota 6.
[19] La collana ha preso il nome di «Mirabilia Palatina», edita dalla casa editrice MUP di Parma.
[20] Da risolvere sarà sicuramente l'impossibilità di introito diretto degli importi dei canoni, vietata dalle attuali norme della contabilità di Stato, fatto che obbliga, su autorizzazione della Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici, a utilizzare le somme in questione per pagamenti di fatture di fornitori della Biblioteca per lavori e servizi, senza poterle far confluire su un capitolo apposito che permetterebbe una più agevole finalizzazione delle cifre in questione.
[21] Andrea De Pasquale, Esperienze di fund-raising alla Biblioteca Palatina di Parma, «Bollettino AIB», (2010), n. 3, p. 239-246. Sul fund raising per il restauro cfr. Id., Adotta un carattere: il restauro del materiale dell'officina di Giambattista Bodoni tra tecniche innovative e fund raising, in: Restauro: sinergie tra pubblico e privato: XVII Salone dell'arte del restauro e della conservazione dei beni culturali e ambientali, Ferrara, 24-27 marzo 2010, Roma: Ministero per i beni e le attività culturali; Edizioni MP Mirabilia, 2010, p. 195-197; Adotta un carattere: il restauro del materiale dell'officina di Giambattista Bodoni tra tecniche innovative e found raising, in: Ministero per i beni e le attività culturali. Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici dell'Emilia-Romagna, Elementi innovativi per lo studio e la conservazione dei beni culturali: sperimentazione in Emilia-Romagna: atti del Convegno organizzato dalla Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici dell'Emilia-Romagna nell'ambito del XVII Salone del restauro e della conservazione dei beni culturali e ambientali, Ferrara, 24-27 marzo 2010, a cura di Paola Monari, Bologna: Minerva soluzioni editoriali, 2010, p. 99-109.
[22] Rino Pensato, Il servizio di consultazione, in: Lineamenti di biblioteconomia, a cura di Paola Geretto, Roma: La Nuova Italia Scientifica, 1992, p. 280: «Le biblioteche generali di ricerca dispongono solitamente di grandi collezioni di opere di consultazione, il cui fulcro è costituito dai repertori bibliografici, correnti e retrospettivi, nazionali e internazionali, dalle più autorevoli compilazioni enciclopediche nazionali, dai più notevoli repertori biografici e indici biobibliografici, dalle più accreditate collezioni di fonti storiche e di testi classici delle grandi letterature antiche e moderne. Gli apparati delle grandi biblioteche generali sono quelli nei quali si annovera la maggior percentuale di materiali permanenti rispetto ai materiali rimpiazzabili periodicamente. L'uso degli apparati è in minima parte rivolto alla informazione singola e rapida, e ricerca soprattutto la documentazione bibliografica, il controllo filologico dei testi, la verifica storica».
[23] Giuseppe Fumagalli, Della collocazione dei libri nelle pubbliche biblioteche, Firenze: Sansoni, 1890, p. 76-77. Cfr. Rino Pensato, Il servizio di consultazione, in: Lineamenti di biblioteconomia, a cura di Paola Geretto, Roma: Nis, 1991, p. 273-276.
[24] Ugo Aschieri, La Biblioteca di Brera illustrata, con prefazione di Tomaso Gnoli, Milano: Rizzoli, 1936, p. 21.
[25] Le biblioteche governative italiane nel MDCCCXCVIII, Roma: Società Editrice Dante Alighieri, 1900, p. 108.
[26] Amalia Vago, Le sale di consultazione, Milano: Mondadori, 1941, p. 24.
[27] Biblioteca nazionale universitaria. Torino, Catalogo delle sale di consultazione, Torino: 1982-1989.
[28] Gianna Del Bono, Consultazione, Roma: AIB, 1992, p. 54-55; Andrea De Pasquale, L'integrazione tra risorse tradizionali e risorse elettroniche: come cambia la sala di consultazione di una Biblioteca nazionale, in: I cambiamenti del servizio di reference nell'era dell'informazione digitale: atti del Convegno Bibliocom 2002, a cura di Paola Gargiulo, Roma: AIDA, 2003.