La lettura in Italia: sempre più una "missione impossibile"

di Maria Stella Rasetti

Leggere (e far leggere) non sarà diventata una specie di «missione impossibile»? Nonostante i cambiamenti «antropologici» che hanno interessato i lettori negli ultimi anni, situando l'atto di lettura nel cuore di un fecondo universo multimediale; nonostante i generosi sforzi spesi nel tentativo di rendere familiare il libro nella scuola; nonostante che lettura e libri siano ultimamente assurti al rango di divi, diventando protagonisti di talk show e festival di ogni tipo, e che la lettura sia stata, talvolta, (fra)intesa e proposta come atto taumaturgico, non cresce il suo impatto nella società e stenta ad affermarsi la necessità della sua penetrazione tra le fasce sociali più deboli.

Così scrivevano nel 2009 Bartolini e Pontegobbi, nell'introdurre le relazioni presentate all'appuntamento annuale organizzato a Campi Bisenzio sul tema della biblioteca per ragazzi1. Il punto interrogativo posto al termine della frase d'esordio intendeva lasciare aperta la speranza che i "buoni" potessero prevalere sui "cattivi", nonostante la chiara preponderanza delle evidenze contrarie: esattamente come avviene nella saga cinematografica che spopola ai botteghini da oltre quindici anni.
D'altronde, se i bibliotecari, i librai, gli insegnanti ed in generale gli operatori della filiera del libro non coltivassero più la speranza di poter vivere, un giorno, in un paese dove la lettura è un evento ordinario e normale, allora la storia sarebbe davvero finita: tanto varrebbe da domani gestire un chioschetto di hamburger nel parco, coltivare miele biologico, aiutare gli anziani del condominio, o scegliersi qualunque altra attività lecita con la quale mettere assieme il pranzo con la cena. Se non ci fosse più margine per questa speranza, allora sarebbe davvero dura per noi passare la giornata in mezzo ai libri e agli utenti, inventarsi mille modi per catturare un lettore in più, sperimentare sempre nuove occasioni per far scoccare scintille tra i libri e le persone.

Speranza: potremo anche chiamarla generosamente caparbietà, pervicacia, ostinazione, oppure, meno generosamente, testardaggine o cocciutaggine. I più politicizzati potrebbero chiamarla resistenza; i più sensibili alle mode, resilienza. I più fiduciosi la chiamerebbero semplicemente ottimismo, richiamando - come avviene sempre in questi casi - la classica storia del bicchiere riempito a metà, che qualcuno giudica mezzo pieno (gli ottimisti, appunto), e qualcun altro giudica mezzo vuoto (i pessimisti). Perché - ormai lo sanno anche i bambini - la mappa non è il territorio, e quel che conta non è la realtà, ma il modo in cui la interpretiamo.
Se infatti contasse la realtà, non ci sarebbe più storia: perché la lettura in Italia sta andando di male in peggio. Il quadro fosco ce lo aveva presentato già un paio d'anni fa Giovanni Solimine, che nel suo saggio L'Italia che legge2 era riuscito - tra le altre cose - a ottenere due ottimi risultati, apparentemente contrastanti fra loro. Il primo: offrirci un quadro molto ricco di dati statistici aggiornati, grazie al quale sostanziare con riscontri recenti le tradizionali e consolidate "verità" sulle dimensioni e sulle caratteristiche della non-lettura in Italia. Il secondo: invitarci a non focalizzare l'attenzione sul confronto tra rilevazioni di breve periodo, che sul momento possono registrare oscillazioni significative, ma che sulla distanza più lunga vengono riassorbite e annullate, ricomponendosi lungo linee di tendenza più stabili. Inutile, dunque, costruire castelli interpretativi su presunti crolli o incrementi registrati da un quadrimestre all'altro, o anche da un anno all'altro, quando queste oscillazioni si limitano solo ad increspare per un attimo la superficie calma del mare nero della non-lettura.

Con questa accortezza conviene interpretare i dati statistici più recenti diffusi dall'Istat3 che appunto registrano tra 2010 e 2011 un arretramento delle abitudini di lettura: tra coloro che hanno letto almeno un libro nel tempo libero nei dodici mesi precedenti, si torna sotto la soglia del 40% per gli uomini (40,1% nel 2010, 38,5% nel 2011) e sotto il 52% per le donne (53,1% nel 2010, 51,6% nel 2011). Il calo della percentuale complessiva dei lettori (il 45,3% della popolazione sopra i sei anni, contro il 46,8% dell'anno precedente) è sicuramente da non sottovalutare, ma merita di essere contestualizzato in un trend di più lungo corso, all'interno del quale può essere interpretato come un riallineamento fisiologico - dopo il "picco" 2010 - rispetto all'anno 2009 (che aveva registrato, appunto, il 38,2% di lettori tra gli uomini e il 51,6% di lettrici tra le donne). Il quadro riassuntivo del periodo 2001-2011, infatti, registra un lentissimo progresso delle abitudini di lettura, che nel decennio mettono a segno soltanto un risicato + 4,4% sui valori medi (dal 40,9% del 2001 al 45,3% del 2011): l'unico segno positivo, peraltro, che si rileva a fronte della piccolo arretramento nei consumi televisivi (dal 94,5% al 94%), del calo di ascolto della radio (dal 63,1% al 59%) e della contrazione nella lettura dei quotidiani (dal 58,9% al 54%)4.
La lettura dei libri è dunque sostanzialmente ferma da dieci anni: nonostante tutti gli sforzi contrari, come ci dicevano all'inizio Pontegobbi e Bartolini. A nulla sembrano valere i costosissimi festival letterari che punteggiano le nostre città inflazionando il curioso fenomeno del divismo culturale; a nulla sembrano valere le nostre belle biblioteche piene di gente, e con i numeratori dei prestiti che mettono a segno "fatturati" altissimi. Al Moloch della non-lettura risultano immolarsi invano tutti i successi visibili.
Le medie nazionali sulla lettura, ampiamente e stabilmente sotto il 50%, sono già sufficienti da sole a farci pensare a una vera emergenza sociale: siamo un paese in piena crisi economica, che difficilmente potrà trovare un suo riscatto se non potrà far conto su risorse umane fresche, capaci di innovazione, ricche di inventiva, disponibili a puntare sulla qualità5: difficile pensare che questo capitale umano pregiato possa maturare in un contesto di deprivazione culturale, nel quale le spinte all'innovazione non si alimentano con il carburante della lettura, intesa nel suo effetto primario di circolazione di pensieri e idee.
Ma l'emergenza sociale di un paese impoverito culturalmente, già di per sé gravissima, rischia di assumere i contorni oscuri di una vera e propria emergenza democratica, quando le risultanze di tale deprivazione producono - come vedremo tra poco, alla luce dei dati disponibili - effetti devastanti rispetto alla tenuta dell'unità nazionale e alle opportunità di vita dei singoli, i cui destini personali rimangono segnati indelebilmente dalle condizioni socio-economiche della famiglia d'origine: finora la Repubblica risulta essere venuta meno all'impegno fondamentale di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese»6. Mancare un obiettivo di questa portata sociale non è una lacuna da poco.

Ma andiamo per gradi: il report La produzione e la lettura di libri in Italia7, sopra menzionato, registra un aggravamento della tradizionale spaccatura del paese attorno al valore medio del 45,3% : sopra tale asticella saltano solo undici regioni su venti, tutte quelle del centro-nord e la Sardegna, di cui otto (tutto il nord e la Toscana) viaggiano sopra il 50%, con punte di eccellenza che si avvicinano al 60% (Trentino-Alto Adige, 58,3%, Friuli-Venezia Giulia 58%), mentre due regioni si avvicinano molto al 50% (Emilia-Romagna 49,5%, Lazio 49,1%) e l'ultima, la Sardegna, con il suo 46,7% marca la sua differenza di destino rispetto alle regioni meridionali, assieme alle quali viene solitamente rappresentata nelle classificazioni territoriali. Che parte del merito vada anche alle biblioteche, è cosa nota, che purtroppo qui non è possibile approfondire. Marche, Abruzzo e Umbria si collocano poco sotto la media nazionale, rispettivamente con il 43,4%, 40,3% e 40% di lettori. Dopo di loro, si apre il baratro del sud: Molise 36,7%, Basilicata 32,8%, Calabria 31,6%, Puglia 31,5%, Sicilia 30,5% e - fanalino di coda - la Campania con il 29,8%8.
Il confronto si fa ancora più doloroso quando, scendendo nel dettaglio dei reali comportamenti di lettura, la generica condizione di "lettore" viene valorizzata in ragione dell'effettivo numero dei libri letti nel corso dell'anno. L'indagine introduce una utile articolazione delle abitudini di lettura in quattro fasce: la fascia che potremmo chiamare dei lettori sporadici, ad un passo dalla non-lettura integrale (persone che nel corso dell'anno leggono da 1 a 3 libri, e che perciò hanno un rapporto del tutto casuale e non continuativo con il libro nel tempo libero), la fascia dei lettori deboli (che leggono da 4 a 6 libri l'anno), quella dei lettori medi (da 7 a 11 libri) e infine la fascia dei lettori forti (che leggono da 12 libri in su: gli unici, in effetti, che molti di noi sarebbero disponibili a riconoscere come veri e propri lettori). Leggere un libro l'anno o leggerne 25 fa notoriamente una differenza abissale in termini di familiarità con la pratica della lettura: per questo l'etichetta generica di lettore può risultare incapace, nel suo eccesso di generosità definitoria, di restituire le enormi distanze che nel Paese si misurano quotidianamente nelle effettive abitudini delle persone.

Se dunque solleviamo il velo pietoso che rende indistinguibili i lettori-non lettori dai lettori effettivi, veniamo a scoprire che su 100 lettori localizzati nelle regioni di nord-ovest, 39 di essi leggono solo sporadicamente, 27 leggono fino a 6 libri l'anno, 17 leggono fino a 11 libri e altrettanti vanno oltre 12 libri l'anno. Una situazione ben diversa si registra nella corrispondente coorte di 100 lettori localizzati nel sud, giacché ben 60 di loro si fermano a 3 libri, 23 circa arrivano a 6, solo 11 si piazzano nella fascia 7-11 libri e solo 6 arrivano oltre i 12 libri l'anno9. L'incidenza reale della pratica di lettura nei due gruppi risulta pertanto fortemente differenziata: una semplice proiezione ci permette di attribuire agli ideali cento lettori del nord-ovest una potenzialità di lettura di oltre 624 libri all'anno, di contro alla quota di 427 a cui si fermano i cento lettori del sud: un distacco quantitativo pesantissimo, che evidenzia la capacità compositiva degli effetti discriminatori collegati alla diversa residenza geografica delle persone.
Sconfortante la situazione delle biblioteche domestiche: circa il 10% delle famiglie italiane non ha in casa neppure un libro; quasi un altro 30% arriva ad occupare con i propri libri all'incirca un ripiano di un metro; un altro 35% delle famiglie italiane si colloca tra i 25 e i 100 libri (praticamente un paio di ripiani di un comune mobiletto da soggiorno); quasi il 12% conserva tra 100 e 200 libri (l'equivalente di una mezza Billy di Ikea), e poco meno del 15% delle famiglie supera i 200 libri10. Ma lo sconforto si aggrava ulteriormente, quando il dato delle biblioteche domestiche viene incrociato con la residenza geografica: basti pensare che il dato medio sulle famiglie prive di biblioteca domestica nasce dalla composizione compensativa di estremi molto lontani tra loro, come il 20,1% della Sicilia contro il 2,5% del Trentino-Alto Adige11.

La ricerca Istat fa emergere come la propensione alla lettura risulti evidentemente legata alle opportunità offerte dal contesto familiare: oltre il 90% dei non-lettori si colloca in famiglie prive di libri, mentre per contro quasi l'80% dei lettori vive in case dove la presenza del libro è maggiormente sentita ed impatta sui comportamenti quotidiani. Le scelte personali in controtendenza sono ovviamente rilevate dalle statistiche, ma risultano comunque minoritarie (come nel caso del 18,8% di non-lettori che vivono in case piene di libri) o addirittura eccezionali (come lo 0,2% di lettori forti, in grado di "sopravvivere" in case completamente sguarnite di libri): come a dire che - fatta salva la scelta individuale di non leggere, pur essendo circondati da libri e lettori in famiglia - la pratica della lettura alligna meglio in un contesto complessivamente favorevole, dove tende a ricercare e produrre a propria volta effetti compositivi virtuosi, piuttosto che sopravvivere con fatica in situazioni non facilitanti12.
Analogamente, risultano forti i legami tra i comportamenti di lettura dei genitori e quelli dei figli: vivere con genitori che hanno maturato l'abitudine a leggere offre ai ragazzi l'evidente agio di sviluppare un approccio positivo nei confronti dei libri, per l'effetto mimetico ben noto ai bibliotecari, agli insegnanti e a tutti gli operatori impegnati a ricercare il coinvolgimento delle famiglie nelle diverse occasioni di animazione della lettura. I ragazzi fra i 6 e i 14 anni, infatti, sono lettori nel 72% dei casi quando entrambi i genitori sono lettori, scendendo al 64,5% quando è lettrice solo la madre, e al 60,7% dei casi quando a leggere è solo il padre (evocando una maggiore incisività femminile nella "trasmissione" del piacere della lettura). Per contro, quando nessuno dei genitori legge, solo il 39,2% dei ragazzi trova la forza individuale di bucare la superficie spessa della non-lettura13.
I dati raccolti ci raccontano un paese nel quale i destini individuali di lettore (e - vale la pena sottolineare - anche di cittadino) sono tragicamente schiacciati sulla fortuna socio-economica della famiglia d'origine (alla quale è notoriamente legato il successo nella carriera scolastica): ecco dunque che risultano lettori l'81,1% dei laureati, il 58,4% dei diplomati, il 38,5% dei possessori di licenza media e solo il 27,9% dei possessori di licenza elementare14. Siamo di fronte a una vera e propria sinfonia di disuguaglianze, capaci di stratificarsi e comporsi tra loro, potenziandosi vicendevolmente in un "gioco" che esce dalla statistica per farsi materia pulsante di battaglia civile, politica e morale. Perché non si può vivere bene là dove non c'è margine per la mobilità sociale, economica, culturale e di destino.

Moltissime le considerazioni che la mèsse di dati relativi alla distribuzione dei lettori per titolo di studio, incrociata con le fasce d'età, rende possibile fare. Fra le tante, valga quella sull'effetto "pioggia sul bagnato" che si rileva nell'effetto compositivo tra titolo di studio e quantità di libri letti: tra i laureati, solo il 27,8% legge fino a tre libri l'anno, contro il 53,3% dei possessori di licenza elementare, mentre il 23,8% dei primi legge oltre 12 libri, a fronte del 10,2% dei secondi.
Quasi il 20% dei laureati (quasi il 25% degli uomini, meno del 15% delle donne) non legge neppure un libro nel tempo libero. I dati non riescono a dirci di quali materiali è composto il corredo esperienziale e immaginativo di questi cittadini, che - grazie al bagaglio sperabilmente ricco di competenze tecniche - sono candidati a ricoprire posizioni professionali caratterizzate da responsabilità nell'innovazione ed alta connessione relazionale. I più pessimisti potrebbero pensare che la disabitudine alla lettura possa esporre questi laureati al rischio di un serio impoverimento intellettuale, con l'effetto di inchiodarli al ruolo di lavoratori "cervelluali"15, ovvero dotati di scarsa capacità innovativa. I più ottimisti potrebbero invece immaginare che queste persone, dotate del pre-requisito formativo per entrare a far parte della classe dirigente del Paese, siano già "oltre" il libro, avendo maturato quella familiarità con le nuove tecnologie che permette loro di trovare nei prodotti digitali gli oggetti su cui orientare le preferenze in materia di consumo culturale.
Peccato però che i dati del report tendano a boicottare crudelmente l'interpretazione degli ottimisti, mostrando una relazione diretta tra propensione alla lettura e familiarità con le nuove tecnologie: tra i giovani della fascia d'età 16-24 anni, infatti, coloro che non leggono accedono a Internet da casa nel 79,9% dei casi, mentre il 20,1% di loro non dispone di accesso a Internet. Tra i lettori, la percentuale di "connessi" sale subito di quasi dieci punti, raggiungendo quota 89,5% per chi legge da 1 a 3 libri, per guadagnare altri punti a mano a mano che si consolidano le abitudini di lettura, fino ad attestarsi sulla ragguardevole quota del 96,8% nel caso dei lettori più forti16.
Del pari, la quota di giovani che utilizzano Internet per leggere o scaricare giornali, news, riviste è del 32,4% tra i non lettori e del 53,9% tra i lettori, con un picco del 68,5% tra i lettori forti; hanno inoltre consultato un Wiki il 43,9% dei non lettori, contro il 69% dei lettori, con un picco dell'85,5% tra i lettori forti17. Dati del genere inducono a pensare non a un conflitto, ma ad una potente complementarietà tra libro e i media più innovativi. Lungi dall'essere seppelliti dagli e-book, i libri di carta appaiono - almeno in questa fase storica - come le leve più potenti per sollevare le sorti dei libri di silicio, non solo come oggetti culturali, ma anche come merci, se è vero come è vero che solo l'1,6% dei giovani non lettori risulta aver acquistato un e-book via Internet, contro il 20,9% dei lettori forti appartenenti alla stessa fascia d'età18.

Sul fronte specifico degli e-book, l'Ufficio Studi dell'Associazione italiana editori ha pubblicato sul proprio sito nel giugno scorso alcune cifre19 che meritano qualche considerazione di contorno: tra il 2010 e il 2011 è cresciuta la spesa degli italiani per l'acquisto di smartphone (da 1.250 a 1.670 milioni di euro), di tablet (da 210 a 472 milioni di euro) e di e-reader (da 16 a 131 milioni di euro), segnando un significativo miglioramento, almeno sul fronte tecnologico, delle precondizioni per la crescita del mercato degli e-book. Che in effetti hanno incrementato il numero dei titoli disponibili, passando dai 1.619 del dicembre 2009 ai 31.416 del maggio 2012. I lettori di e-book sono passati dall'1,3% del 2010 al 2,3% del 2011: un progresso davvero piccolo piccolo, se si pensa a quanto sia complessivamente arretrato il contesto nel quale si inserisce. In questa minuscola nicchia si consuma - stando sempre ai dati statistici AIE - un raro episodio di sorpasso degli uomini sulle donne: tra i lettori di libri elettronici, solo il 38,5% sono donne, rispetto al 61,5% di uomini, a segnare forse da parte femminile un maggiore attaccamento alle modalità tradizionali del leggere, che si lascia scalfire poco dall'appeal dei nuovi "aggeggi elettronici".
In effetti è esperienza comune che i forti lettori (tra cui notoriamente le donne sono prevalenti) amino quell'intorno di "ritualità" della lettura - il frusciare delle pagine, l'odore dell'inchiostro, i segnalibri personali, gli scaffali ricolmi di libri come segni del proprio orgoglio di lettore - che i nuovi strumenti costringono a una completa rideclinazione, a vantaggio di una nuova ritualità che non ha ancora vinto e convinto, perché non è stata ancora in grado di far valere ed esibire il suo lato più cool. Finora il mercato non sembra avere tenuto in gran conto di queste resistenze, offrendo strumenti capaci di incontrare i gusti delle donne, né pare aver pensato ad accompagnare il loro potenziale upgrading verso le nuove abitudini di lettura con proposte-lancio in grado di attirare quello specifico pubblico che può garantire una base di consumo più stabile e più ampia. Per capirsi, nessuna campagna per gli e-book fatta sulle riviste femminili, niente di simile alla saga della Kinsella in omaggio per chi compra un e-reader, niente giochi pubblicitari su quanto spazio si libera in valigia portando in vacanza un e-reader al posto della consueta "pila" di romanzi da ombrellone. Può ritenersi curioso il fatto che per il decollo degli e-book non si sia puntato sul pubblico femminile, così come il mercato editoriale ha fatto invece a piene mani per il libro a stampa. Ed è probabile che possa essere questo uno dei motivi della diffusione ancora fortemente residuale di tali nuovi strumenti.

La femminilizzazione della pratica della lettura è un fenomeno generale, ma particolarmente importante in Italia, e proprio per questo richiede qualche considerazione di approfondimento, a partire dalle riflessioni condotte da Elisa Molinari di Ediser (la società di servizi di AIE) e Giovanni Peresson di AIE20 in merito alla crescita del divario tra uomini e donne nella propensione alla lettura di libri. I dati statistici ci raccontano un'Italia del 1965 nel quale leggeva solo il 16,3% della popolazione (il 14,6% delle donne e il 18% degli uomini); nel 1988 (in un Paese fortemente diverso da quello del 1965, e per certi versi più somigliante a quello di oggi), leggeva il 36,6% della popolazione: ma le donne erano già al 39,3%, contro il 33,7% degli uomini. Vent'anni dopo, nel 2008, le lettrici hanno raggiunto il 50%, quando gli uomini sono riusciti ad arrancare soltanto fino al 37,7%. Nel 2011, le donne sono salite ulteriormente a quota 51,6%, mentre gli uomini hanno spuntato meno dell'1% in più, attestandosi al 38,5%. Dunque, la forbice si è allargata tra il 1988 e oggi da 6 a 18 punti. Questo divario è riscontrabile in tutte le fasce d'età: poco consistente solo nella fascia dei bambini tra i 6 e i 10 anni, quando i destini di lettura sembrano ancora non completamente segnati dalla differenza di genere (53,8% di lettrici contro il 49,8% di lettori), per poi ampliarsi al crescere dell'età, fino a raggiungere differenze notevolissime tra i 15 e i 17 anni (28,7 punti), tra i 18 e i 19 (19,3 punti), tra i 20 e 24 anni (21,9 punti).
Una così forte prevalenza femminile nel consumo (e nell'acquisto) di libri ha comprensibili ripercussioni sugli orientamenti del mercato, con evidenti conseguenze sulla tipologia e sulla qualità delle proposte editoriali (basta aggirarsi tra i banchi di una qualunque libreria per accorgersi di essere in un luogo fortemente orientato da segnali al femminile, soltanto gettando lo sguardo sulle copertine dei libri in mostra, oltre che osservando l'appartenenza di genere dei frequentatori). Non è un caso che stia crescendo la presenza femminile anche nei ruoli direttivi dell'editoria: le donne ricoprivano il 27% degli incarichi nel 1991, contro il 40% di oggi. Un trend probabilmente destinato a crescere, giacché - segnalano Molinari e Peresson - sono donne più del 60% delle nuove leve che hanno fatto il loro ingresso in editoria negli ultimi 10 anni. Che poi risultino anche più attente all'aggiornamento professionale e più capaci di assumersi nuove responsabilità, è un fatto che depone a favore di un consolidamento di questa tendenza. Analogamente, in libreria lavorano sempre più donne (71,8% contro il 28,2% di uomini), così come peraltro avviene da sempre in biblioteca. Per non parlare della composizione dei gruppi di lettura, dove la dominazione femminile regna incontrastata.

La percezione condivisa della lettura di libri come "roba da donne" è un dato che rende difficile la vita a chi, come i bibliotecari, ha il compito di conquistare nuovi lettori: mancano le buone pratiche da impiegare, non ci sono salde esperienze da copiare, sono troppo fragili - perché scarsamente esercitate - le competenze per usare in modo appropriato la grammatica e la sintassi della promozione della lettura presso gli uomini. Troppo spesso anche le bibliotecarie più consapevoli e avvedute non dispongono di strumenti relazionali raffinati con i quali predisporre per gli uomini allettanti "assaggi" di lettura che vadano oltre "Quattroruote" o i libri sulla pesca e il calcio. La disabitudine a gestire i contatti di lettura con gli uomini, non permettendo il consolidarsi di competenze specifiche, ha l'effetto di un circolo vizioso che allontana sempre più i maschi dalla lettura, dal discorso sulla lettura e dalla condivisione dei luoghi della lettura. Così come è avvenuto in passato per i giovani adulti, la nuova frontiera in biblioteca è rappresentata oggi dal tempo libero dell'uomo adulto: uno spazio pieno di sterpaglie, che la biblioteca può utilmente imparare a coltivare, rinnovando e adeguando le modalità impiegate non solo nei servizi ordinari, ma anche nelle attività di promozione.
Nell'approntare le strategie di servizio, le biblioteche sono chiamate a tenere conto anche dei cambiamenti registrati nei tempi di vita e nell'impiego del tempo libero da parte delle persone: cambiamenti che un altro report Istat21, non aggiornatissimo ma comunque ancora utile, offre all'attenzione di chi produce cultura, restituendo nei diversi prospetti quanto il senso comune percepisce con grande chiarezza: è aumentato per tutti il tempo di lavoro e quello per gli spostamenti, le donne sopravanzano di parecchie lunghezze gli uomini nel lavoro familiare, soprattutto nel fine-settimana, ritrovandosi con una porzione di tempo libero comparativamente inferiore. In quella società che era stata preannunciata come potenzialmente dominata dall'ozio22, sembra invece prevalere un sentimento comune di fatica e desiderio di recupero, testimoniato se non altro dalla forte colonizzazione del riposo all'interno degli spazi di tempo libero (pari all'11,3% per gli occupati maschi e al 13% per le donne lavoratrici23): una cospicua intrusione del sonno durante le ore di veglia, che evidentemente viene scelto per ricompensare il dispendio di energie personali percepito come sopravanzante rispetto al desiderio di esercitare la propria libera espressività.

L'esame della distribuzione delle attività nel tempo libero offre un utile spunto di riflessione per le biblioteche: sia gli studenti che gli occupati, senza grandi disparità tra uomini e donne, dedicano la fetta più importante del proprio tempo libero (dopo quella, preponderante, destinata alla televisione) alla socialità, ovvero al ricevere ospiti a casa e intrattenersi in vari luoghi con parenti, amici e conoscenti. Il successo registrato dalle biblioteche che hanno dedicato grande attenzione agli spazi di incontro, alle caffetterie, alle aree relax e conversazione può essere interpretato come l'effetto virtuoso di una risposta efficace ad un bisogno profondamente avvertito dalle persone. La biblioteca come luogo dove condividere con altri il tempo libero è un format vincente, attorno al quale ricalibrare servizi, spazi ed opportunità. Stesso ragionamento può valere nel caso del tempo libero dedicato ai giochi e passatempi e all'attività all'aperto: sono ancora relativamente poche le biblioteche che offrono l'uso in sede o il prestito di giochi da tavolo, puzzle o altri passatempi (spesso in ragione della fondata preoccupazione sulla loro durabilità e integrità nel tempo), così come risulta ancor oggi minoritaria la gloriosa e antica pratica del "fuori di sé"24, grazie alla quale è possibile offrire occasioni di lettura a persone che stanno impiegando il proprio tempo libero facendo tutt'altro: prendono il sole dopo una nuotata in piscina, portano bambini e cagnolini nel parco, passeggiano lungo i percorsi benessere ritagliati nei pochi spazi verdi rimasti in città.
Difficile per le biblioteche aggredire direttamente lo zoccolo duro dei telespettatori, anche se sarebbe proprio lì il mercato più succoso da catturare, se è vero come è vero che proprio davanti alla TV gli adulti passano all'incirca il 40% del tempo libero (più i maschi delle femmine, ad onor del vero), dissipando in gran parte - data la qualità media del prodotto televisivo - un patrimonio personale tanto prezioso quanto limitato. È però auspicabile che l'azione delle biblioteche possa indurre ad una riscrittura complessiva delle agende del tempo libero, offrendo opportunità non solo per la lettura, ma anche per la socialità e il gioco, in grado di rendere meno preferibile rimanere seduti davanti alla televisione. Va da sé che questa azione possa trovare gambe forti in un significativo ampliamento dell'apertura in orario serale e festivo: prospettiva notoriamente non alla portata di tutte le biblioteche.

In attesa di tempi migliori, qualcosa però può essere fatto comunque, sperabilmente non invano. Una possibile linea di attività riguarda la difesa della bibliodiversità, intesa - come ci ha insegnato a dire la Federazione italiana degli editori indipendenti25 - quale diversità culturale applicata al mondo del libro, facendo riferimento all'esigenza di garantire al lettore la massima diversificazione nell'offerta. In effetti il report La produzione e la lettura di libri in Italia, più volte richiamato in precedenza, se da un lato evidenzia la limitatezza e la fragilità della domanda di lettura, dall'altro registra il forte squilibrio presente tra grandi editori (il 12,9% del totale) e il pulviscolo dei piccoli e medi editori (pari all'87,1%), soprattutto a fronte della potenza di fuoco espressa in termini di opere pubblicate e di copie stampate: in una applicazione estrema del principio di Pareto, i grandi editori vanno a coprire il 77,5% delle opere pubblicate e addirittura l'88,1% delle copie stampate, lasciando a tutti gli altri non più che le briciole26. Siamo di fronte a una situazione di monopolio, che nel registrare gli squilibri di potere esistenti tra i pochi e i molti, non soltanto chiama in causa un'attenzione aggiuntiva al tema della libertà di parola e pensiero, con tutte le complicanze che l'unicità del caso italiano porta con sé, ma impone di considerare anche gli aspetti più prosaicamente legati alla dimensione delle economie locali: la tendenziale crescita della concentrazione editoriale ha fatto scomparire molti piccoli editori, cancellando in un colpo solo porzioni significative di interi settori d'impresa. La tendenziale crescita del numero dei libri pubblicati (63.800 titoli nel 2010, contro i 57.558 del 2009) fa i conti con un contestuale calo delle tirature medie (da 4.373 a 3.343 copie): troppi titoli destinati a vita brevissima, al pari di sciami di moscerini pronti ad esibirsi in una danza della durata di un giorno. Che poi il super-attivismo produttivo sia interamente in capo ai grandi editori (+15,9%), contro l'arretramento dei piccoli e medi editori (rispettivamente al -0,1% e al -4,9%) è un dato da leggere in controluce con il segno negativo per tutti delle tirature sul medio periodo: le piccole case editrici nel quinquennio perdono il 38%, le medie registrano una diminuzione più contenuta (solo l'8,9%), mentre le grandi case editrici fanno i conti con un -18,4%.

Peraltro il segno meno caratterizza tutti i settori editoriali, come ci dice Emilio Sarno27, che dalle colonne del «Giornale della libreria» ha ricostruito un quadro sintetico di grande impatto sulle contrazioni registrate negli ultimi anni nel complesso della cosiddetta "industria dei contenuti", comprendente non solo i libri, ma anche il digitale, il cinema, l'home video, i videogiochi, la stampa, mostrando come la crisi economica abbia causato un rapido ridimensionamento dei consumi di contenuti culturali e di intrattenimento.
Nei cinema gli incassi hanno registrato una flessione del 10,3% tra 2010 e 2011; nonostante il numero maggiore di uscite (da 345 a 363), le presenze in sala sono diminuite di quasi 9 milioni di unità, pari a circa l'8%. Evidentemente non basta - come si è già visto per i libri - aumentare l'offerta per godere della crescita della domanda da parte del pubblico. Il mercato dei DVD è andato sotto del 17,6% tra il 2011 e il 2010, anno nel quale si era già registrata una perdita di oltre il 10% sul 2009. Gravi perdite anche sul fronte del noleggio (-16,5%), mentre ha recuperato qualcosa il video online (passato dallo 0,4% all'1,8%). Buone le prestazioni di Blu-Ray e 3D, che si stanno godendo il loro piccolo momento di gloria. Il resoconto offre numerosi spunti di approfondimento anche in tema di musica, stampa, videogiochi, che qui per motivi di brevità si è costretti ad abbandonare.
Complessivamente la crisi ha eroso anche la lettura, sia pure in misura meno grave rispetto ad altri comparti dell'industria dei contenuti. Ce lo conferma anche l'indagine commissionata dal Centro per il libro e la lettura alla Nielsen Company, di cui Gian Arturo Ferrari ha reso conto nella sua presentazione avvenuta il 28 marzo scorso presso la Biblioteca Casanatense di Roma28. La ricerca, condotta a partire da un campione rappresentativo di 9.000 famiglie, ricostruisce nel dettaglio i comportamenti di acquisto e di lettura di libri degli italiani nell'ultimo anno, permettendoci di rinnovare gran parte delle osservazioni fatte a corredo del report PLLI dell'Istat.
Meritano qualche osservazione i grafici che restituiscono visivamente le forti disuguaglianze esistenti nei comportamenti di acquisto: su 52.200.000 persone, gli acquirenti di libri sono risultati 22.800.000, pari al 44%, per un totale di 114 milioni di libri comprati. Il 5% della popolazione (pari a circa 2 milioni e mezzo di persone) si è accaparrato da solo il 41% delle copie vendute, mentre le classi più basse di acquirenti si spartiscono tutto il resto del venduto: l'11% va agli acquirenti fino a 3 libri, il 20% a chi compra da 3 a 6 libri, il 17% a chi compra da 6 a 9 libri e l'11% rimanente a chi compra da 9 a 12 libri.

Analoga situazione si riscontra nel caso dei lettori, che spuntano qualche punto percentuale in più rispetto agli acquirenti (raggiungendo nell'indagine Nielsen il 49% della popolazione, con all'attivo 149 milioni di libri letti nell'anno): gli alto-lettori, pari al 7% della popolazione, si accaparrano il 43% delle letture, mentre le altre classi di lettura si ripartiscono il resto della torta con pochissimi scostamenti rispetto a quanto avviene per gli acquirenti.
Vale la pena sottolineare che i libri letti dagli italiani nel 2011 vengono solo per il 16% dalle biblioteche, che riescono ad incidere sui destini di lettura esattamente come i prestiti di amici e conoscenti, nonostante i cospicui costi d'esercizio con cui debbono fare i conti. I libri destinati alla lettura risultano essere quelli acquistati da poco (21%) o acquistati in precedenza (15%) da chi li legge, o comunque già presenti in casa da tempo (17%), sancendo il primato della scelta personale e/o familiare, rispetto per esempio alla scelta operata da altri in occasione di un libro ricevuto in regalo (9%) o segnalato dalla scuola (1%).
        La scarsa incisività della biblioteca come fonte dalla quale trarre gli "oggetti di lettura" è il segno incontrovertibile della marginalità di questo istituto culturale nel complesso di un "giro d'affari" fragilissimo e minoritario: non è dunque un caso che essa sia frequentemente negletta dai soggetti della stessa filiera, e sia percepita dai protagonisti dell'industria culturale non come partner attivo, ma come soggetto in grado di sottrarre potenziali clienti (pensiamo alle reali motivazioni della "tassa sul prestito" contro la quale hanno intensamente combattuto i bibliotecari con la campagna "Non pago di leggere"29) o di ridurre i margini già risicati di guadagno (pensiamo alla Legge Levi).

Negli ultimi anni abbiamo cominciato a pensare in termini di azione e progettazione collettiva, vedendo in questa modalità di lavoro l'unica strada per ottenere risultati significativi. Il Manifesto per la lettura30 promosso dall'Associazione Forum del libro, testimonia una spinta verso l'assunzione di iniziative concrete e significative per la promozione della lettura, che vadano oltre la logica delle inutili e costosissime campagne pubblicitarie - dall'impatto tutt'altro che significativo - per puntare prima di tutto al rafforzamento delle infrastrutture della lettura: scuole, librerie, biblioteche, case editrici.
Anche l'AIB è impegnata, a fianco dell'Associazione Forum del libro, nella messa a punto di una proposta di legge per la lettura che permetta di superare la difesa degli interessi parcellizzati dei singoli soggetti, troppo spesso l'un contro l'altro armati, per promuovere l'avvio di politiche pubbliche in grado di colmare il ritardo del Paese in materia di lettura e information literacy.
Chiedere al Governo di porre al centro della propria azione di rinnovamento la lettura può apparire inopportuno, a fronte della grave emergenza occupazionale e economico-finanziaria che assilla le famiglie, mette in forse il futuro dei giovani e crea le premesse di una grave instabilità sociale e politica. E invece partire dalla lettura può risultare una scelta opportuna, perché permette di ridurre uno spread diverso da quello di cui si sente continuamente parlare sui giornali e in tv, ma altrettanto pericoloso: quello che oggi ci costringe a pagare a carissimo prezzo gli effetti dell'ignoranza e dell'analfabetismo, di andata e di ritorno. Che non permette al nostro Paese di essere competitivo ed inclusivo.


NOTE

[1] Cfr. La lettura, nonostante: libri e ragazzi, tra promozione e rimozione, a cura di Domenico Bartolini e Riccardo Pontegobbi, Campi Bisenzio: Idest, 2009, p. 11.

[2] Cfr.Giovanni Solimine L'Italia che legge, Roma-Bari: Laterza, 2010.

[3] Si fa qui riferimento al report La produzione e la lettura di libri in Italia: anni 2010 e 2011, pubblicato in rete dal Centro diffusione dati Istat a partire dal 21 maggio 2012 (testi integrali e tavole di corredo sono raggiungibili online a partire dall'indirizzo http://www.istat.it/it/archivio/62518).

[4] Si veda al riguardo il Prospetto 1.1 Persone di 3 anni e più che guardano la televisione e ascoltano la radio e persone di 6 anni e più che leggono quotidiani e libri. Anni 2001-2011, contenuto nelle tavole "Cultura" di corredo alla indagine sociale multiscopo "La vita quotidiana", i cui dati sono stati pubblicati in rete dall'Istat a partire dal 15 luglio 2012.

[5] Consentanee valutazioni sono reperibili nel fortunato saggio di Antonella Agnoli, Caro sindaco, parliamo di biblioteche, Milano: Editrice Bibliografica, 2011, in particolare p. 39-49.

[6] Costituzione della Repubblica Italiana, art. 3.

[7] Da ora in poi indicato in nota con la sigla PLLI.

[8] Cfr. Figura 4. Persone di 6 anni e più che hanno letto almeno un libro nel tempo libero nei 12 mesi precedenti l'intervista per regione, p. 11 del report PLLI.

[9] Cfr. Prospetto 2. Persone di 6 anni e più che hanno letto almeno un libro nel tempo libero nei 12 mesi precedenti l'intervista per numero di libri letti, sesso, area geografica e titolo di studio, p. 12 del report PLLI.

[10] Cfr. Figura 7. Famiglie per numero di libri posseduti, p. 14 del report PLLI.

[11] Cfr. Figura 8. Famiglie che non possiedono libri in casa per regione, p. 14 del report PLLI.

[12] Cfr. Prospetto 3. Persone di 6 anni e più per numero di libri letti nel tempo libero negli ultimi 12 mesi e per libri posseduti dalla famiglia, p. 15 del report PLLI.

[13] Cfr. Figura 3. Persone di 6-14 anni che hanno letto almeno un libro nel tempo libero nei 12 mesi precedenti l'intervista per classe di età e comportamento di lettura dei genitori, p. 10 del report PLLI.

[14] Cfr. Tavola 4. Persone di 6 anni e più che hanno letto almeno un libro nel tempo libero nei 12 mesi precedenti l'intervista per numero di libri letti, sesso, classe di età e titolo di studio. Anno 2011, in allegato al report PLLI.

[15] Nel lessico dell'educazione degli adulti, il lavoratore cervelluale è un soggetto che, a differenza del lavoratore manuale, opera in un contesto fortemente caratterizzato da nuove tecnologie, conoscenze teoriche e alti tassi relazionali, ma non sviluppa le competenze e le abilità afferenti a creatività e innovazione: per queste loro caratteristiche, egli tende a essere un perfetto esecutore di processi maturi, ma non riesce a guardare oltre lo scenario esistente per prefigurare situazioni di cambiamento. Per queste sue caratteristiche, è portatore di competenze inadeguate nei contesti ad alta competizione. L'uso del termine "lavoratore cervelluale" è invalso a partire dagli scritti di Paolo Federighi, professore ordinario di Pedagogia generale presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di Firenze, che al tema della lettura ha dedicato, assieme al prof. Filippo Maria De Sanctis, suo maestro, uno storico contributo che ha registrato numerosi estimatori e altrettanti detrattori nel mondo bibliotecario: cfr. Paolo Federighi - Filippo Maria de Sanctis, Pubblico e biblioteca: nuove frontiere del lavoro educativo all'uso del libro, Roma: Bulzoni, 1981.

[16] Cfr. Prospetto 6. Persone di 16-24 anni che possiedono un accesso a internet da casa per numero di libri letti nel tempo libero negli ultimi 12 mesi, p. 17 del report PLLI.

[17] Cfr. Prospetto 7. Persone di 16-24 anni che negli ultimi tre mesi hanno utilizzato internet per leggere o scaricare giornali, news o riviste e consultare un wiki e per numero di libri letti nel tempo libero negli ultimi 12 mesi, p. 18 del report PLLI.

[18] Cfr. Prospetto 8. Persone di 16-24 anni che negli ultimi 12 mesi hanno ordinato o comprato su internet film, musica, libri, giornali, riviste (inclusi e-book) e biglietti per spettacoli, per numero di libri letti nel tempo libero negli ultimi 12 mesi, p. 18 del report PLLI.

[19] Il documento è disponibile online all'indirizzo: http://www.aie.it/Portals/_default/Skede/Allegati/Skeda10-50-2012.2.16/Dentro%20l'e-book%20giugno%202012.pdf?IDUNI=zytofio5ewxf0kgf4n4hhqzx8773

[20] Cfr. Elisa Molinari - Giovanni Peresson, Editoria (ancor più) al femminile. Un modo diverso di fare libri? Slides dell'intervento svoltosi a Milano il 7 marzo 2012 disponibili on line a partire dall'indirizzo http://www.aie.it/Portals/_default/Skede/Allegati/Skeda105-2661-2012.3.7/EditoriaalFemminile2012.pdf?IDUNI=501

[21] Cfr. Si fa qui riferimento al report Cambiamenti nei tempi di vita e attività del tempo libero. Anno 2008-2009 (da ora in poi CTV), pubblicato in rete dal Centro diffusione dati Istat a partire dal 6 dicembre 2011 (testi integrali e tavole di corredo sono raggiungibili online a partire dall'indirizzo http://www.istat.it/it/archivio/47442), da integrare utilmente alla significativa mèsse di dati raccolta a seguito dell'indagine L'uso del tempo, condotta dall'Istat tra il 1° febbraio 2008 e il 31 gennaio 2009, interamente disponibili online a partire dall'indirizzo http://www.istat.it/it/archivio/52079 Cambiamenti nei tempi di vita e attività del tempo libero. Anno 2008-2009, a cura del Centro diffusione dati dell'Istat.

[22] Cfr. Domenico De Masi, Il futuro del lavoro: fatica e ozio nella società postindustriale, Milano: Rizzoli, 1999; Id., Ozio creativo, Milano: Rizzoli, 2000.

[23] Cfr. Grafico 5. Composizione percentuale delle attività del tempo libero della popolazione di 15 anni e più per condizione e sesso, p. 10 del report CTV.

[24] Per un nostalgico tuffo nella storia delle biblioteche fuori di sé, Biblioteche "fuori di sé"... alla ricerca di nuovi pubblici: una rassegna originale di strategie promozionali, «Biblioteche oggi», 14 (1996), n. 8, p. 10-27, dove comparvero alcuni contributi presentati al convegno "La biblioteca fuori di sé" svolto a Castelfiorentino (FI) nel 1995.

[25] La FIDARE (Federazione italiana editori indipendenti) è nata nel 2001 a partire dall'associazione di cinque associazioni editoriali regionali, e conta oggi oltre 140 soci. Informazioni e approfondimenti sono disponibili sul sito http://www.fidare.it. Si veda in particolare la Dichiarazione internazionale degli editori indipendenti, per la tutela e la promozione della bibliodiversità, disponibile online all'indirizzo: http://www.fidare.it/wp-content/uploads/2010/10/bibliodiversita.pdf

[26] Cfr. Prospetto 1. Editori attivi, opere pubblicate e copie stampate per tipo di editore, p. 2 del report PLLI.

[27] Cfr. Emilio Sarno, Un 2011 di segni meno, «Giornale della libreria», luglio-agosto 2012, p. 14-16.

[28] Il report L'Italia dei libri: un anno, le stagioni, due trimestri a confronto è disponibile online in un testo di sintesi e in versione slides a partire dall'indirizzo: http://www.internetculturale.it/opencms/opencms/it/archivionovita/2012/novita_0023.html

[29] Sulla campagna "Non pago di leggere" si rinvia al sito web http://www.nopago.org/.

[30] Il testo del Manifesto per la lettura è disponibile on line all'indirizzo: http://www.forumdellibro.org/projects.php?id_prog=5.