A proposito di Introduzione alla scienza dell'informazione di Alberto Salarelli:
alcune osservazioni metodologiche

di Maurizio Vivarelli

Il recente volume di Alberto Salarelli Introduzione alla scienza dell'informazione, pubblicato dall'Editrice Bibliografica nel 2012, è interessante per numerosi motivi; in primo luogo per il tentativo di offrire un approccio introduttivo e generalista, di taglio manualistico, a questo complesso campo disciplinare. L'autore, nella Premessa, parte dalla presa d'atto che «informazione è una parola chiave fra le più utilizzate per descrivere la società contemporanea» (p. 7), e che la «scienza che di essa si occupa» ha «come scopo lo studio sistematico dell'intero ciclo di vita dell'informazione e delle sue implicazioni con i diversi campi del sapere» (p. 9). Tuttavia, proprio in quanto «non scevra da contraddizioni», sospesa tra tensioni riduzionistiche, volte a qualificarla come indagine delle funzioni delle tecniche e delle tecnologie, e tensioni universalistiche, che la farebbero coincidere in ultima istanza con teorie generalissime del cosmo, essa è «tuttora alla ricerca di un proprio statuto epistemologico» (ivi). Da ciò nasce l'esigenza di «accompagnare il lettore verso una prima, sintetica riflessione sui concetti di base della scienza dell'informazione [...] e poi nel dar conto delle principali teorie che ruotano intorno a tale scienza» (ivi).

Il percorso argomentativo di Salarelli si snoda dunque secondo una articolata struttura, che dopo una Premessa i cui contenuti essenziali sono stati qui sopra bre- vemente richiamati vede disposti nell'Indice i seguenti temi:

  1. I concetti di base
  2. La scienza dell'informazione: definizione e cenni storici
  3. Questioni di epistemologia
  4. La teoria matematica dell'informazione
  5. Le metateorie socioculturali dell'informazione.

Seguono tre appendici (I: Bibliometria; II: Information retrieval; III: Fonti per lo studio della scienza dell'informazione), e un'ampia Bibliografia generale.

La fase fondativa della disciplina viene rinvenuta quando cominciano a pren- dere forma, prima teorica e poi ingegnerizzata, i computer, pensati come macchine universali di calcolo in grado non solo di «gestire automaticamente l'informazione, ma addirittura di poter essere istruite al fine di ottenere determinati esiti» (p. 13). In questo modo, a partire dagli anni successivi la fine della seconda guerra mondiale, ed in relazioni a profonde trasformazioni di contesto nella trama culturale del pensiero occidentale, si afferma gradualmente una definizione di “informazione” che, seguendo la General definition of information del filosofo Luciano Floridi, individua in essa tre concetti fondanti. “Informazione” dunque consiste anzitutto di dati; in secondo luogo di dati conformi ad una struttura; ed infine di dati conformi ad una struttura capaci di veicolare un significato1. Su questa base generalissima si innesta prima il richiamo ai concetti di segno e di codice, attraverso un rapido richiamo alla semiotica di Charles Sanders Peirce (1839-1914), e successivamente la discussione dell'esigenza di radicare il concetto di “dato” nel suo essere una “cosa”, secondo le tuttora valide osservazioni proposte qualche tempo fa da Michael Buckland2. In questo ambito si situa l'elaborazione dei concetti base della disciplina, e rispetto ai quali può forse essere utile fornire qualche precisazione ulteriore.

Salarelli individua nel concetto di “dato” l'elemento radicale e originario cui fanno riferimento i principi e le pratiche di questa area disciplinare, e rispetto al quale possono essere individuate altre distinzioni tipizzanti. In questo senso, dunque, diviene possibile parlare di «dati grezzi», la cui natura viene individuata per la capacità di distinguersi dall'«indifferenziato pleroma in cui sono immersi»: si tratta dunque di segni differenziali (0/1, bianco/nero ecc.), che permettono in ultima istanza di esprimere differenze. Secondo questa prospettiva si precisano dunque gli elementi costituenti di un campo d'indagine amplissimo, sul cui sfondo si situa l'originario ed indifferenziato “pleroma” a partire dal quale, secondo Gregory Bateson (1904-1980), si precisa l'identità formale della “creatura”3. A partire da questo strato può essere pensata una gerarchia di costituenti gradualmente più strutturati, definibili come «dati semplici», «dati complessi», «metadati», «dati operativi» (prodotti dal sistema che gestisce ed elabora le informazioni, e «dati derivati» (estratti a partire dalle funzionalità del sistema informativo). Attraverso questi strumenti viene nel suo insieme effettuata una rappresentazione di concetti e di fatti, che attraverso la piramide dei dati vengono rappresentati ed espressi (p. 23-24).

Uno scarto importante è quello che qualifica il passaggio dai “dati” ai “documenti”, che esprime la discontinuità tra i contenuti informativi presi in esame nella loro natura di puri segni e codici, e gli “oggetti”, le “cose” su cui quei segni sono impressi. Con questo concetto si passa all'ambito delle pratiche culturali e sociali, e infatti Salarelli richiama, a questo proposito, il concetto di “oggetto sociale” elaborato da Maurizio Ferraris, locuzione con la quale il filosofo torinese designa le entità sostanziali e formali (la carta d'identità, ad esempio) che permettono l'articolarsi di pratiche sociali condivise4.
Poste queste premesse generali, l'autore situa in questo campo, certamente non scevro di problemi, le basi delle discipline che di questi fatti si occupano, dalla documentazione fino al cosiddetto knowledge management.
La dimensione storica della scienza dell'informazione, la cui fondazione formale è situata intorno alla metà del XX secolo, viene retrodatata allo scorcio finale del secolo precedente, nell'ambito degli studi e soprattutto delle visionarie intuizioni di Paul Otlet (1868-1944) e di Henri La Fontaine (1854-1943), nei quali inizia a farsi strada quella che Salarelli qualifica come la «prefigurazione di una società reticolare», tappa importante delle fasi del percorso tecno-cognitivo che perverrà alla elaborazione del concetto e della struttura del Memex da parte di Vannevar Bush (1890-1974), alla cibernetica di Norbert Wiener (1894-1964), alla teoria matematica della comunicazione di Claude Elwood Shannon (1916-2001). In questo campo teorico articolato e dinamico viene rinvenuta la genesi dei principi e dei metodi della scienza dell'informazione nella sua costitutiva interdisciplinarietà, che la qualifica da un lato in quanto umbrella term metadisciplinare e metascientifico, necessario per tenere assieme prospettive di indagine eterogenee e diverse, e dall'altro in quanto terreno di studi microanalitici sulle diverse questioni inerenti la produzione, la comunicazione e l'uso dell'informazione digitale.

Salarelli prende poi ampiamente in esame la teoria matematica di Claude Shannon, mettendo a fuoco sinteticamente il tentativo di «formulare delle leggi che regolino con efficacia il trasferimento di un messaggio da un emittente ad un destinatario attraverso un sistema basato su una mediazione tecnologica» (p. 62), e, nel capitolo successivo, riemergendo dai formalismi matematici delle teorie shannoniane, discute le modalità attraverso le quali l'informazione, pensata da Shannon solo nella sua dimensione quantitativa e asemantica, acquista significato per una comunità interpretativa. Salarelli riconduce gli studi che si occupano di questi temi a tre principali metateorie, in cui, saltando ad un livello gerarchico sovraordinato, si cercano di precisare le problematiche filosofiche che caratterizzano i singoli e specifici contesti teorici. Queste metateorie sono individuate nel costruttivismo dello psicologo e pedagogista svizzero Jean Piaget (1896-1980), nell'approccio socio-cognitivo dello psicologo russo Lev SemënovièVygotskij (1896-1934), ed infine nel costruzionismo del filosofo e critico lettarario russo Michael Bachtin (1895-1975) e del filosofo e logico austriaco Ludwig Wittgenstein (1889-1951), che trova un altro potente momento di elaborazione nell'opera del filosofo francese Michel Foucault (1926-1984).
Infine l'autore cerca di individuare le linee generali di un modello concettuale ancora più generale, e sovraordinato anche rispetto a quello metateorico, discutendo alcuni tratti che hanno caratterizzato la teoria generale dell'informazione (Unified Theory of Information - UTI) del filosofo e studioso di scienze sociali Wolfgang Hofkirchner, tesa alla elaborazione di una teoria «che possa tenere insieme sia l'informazione come oggetto sia le condizioni soggettive della sua produzione e assimilazione» (p. 89).

La conclusione del volume è improntata ad una cauta ed equilibrata sospensione. L'autore mostra di essere ben consapevole della straordinaria complessità degli elementi in gioco, e se da un lato sembra escludere la possibilità di rinchiudersi entro i confini, invero rigidi ed angusti, di quanto la scienza dell'informazione è riuscita a produrre sino ad oggi, guarda tuttavia con interesse ai possibili futuri sviluppi promossi da nuove generazioni di studiosi, oscillando tra le tensione verso la ricerca di utopico ed un po' messianico «nuovo ordine delle cose» e una più umana e malinconica presa d'atto della necessità di far tesoro «della saggezza dell'incertezza». Non è certo un caso che il volume si chiuda con una citazione di Milan Kundera, tratta da L'arte del romanzo: è come se l'autore intravedesse, oltre i tentativi di modellizzare, e dunque di dare forma, all'indistinto, un limite epistemologico ancor più fondativo, e che potremmo qualificare come la consapevolezza, antropologica ancor prima che ontologica, della limitatezza del pensare e dell'agire umani.
Il volume di Alberto Salarelli ha indubbiamente molti meriti, il primo dei quali, come già si è accennato in apertura, è certamente da ravvisare nel lucido coraggio con cui l'autore ha trattato una materia molto problematica, cercando di illustrare, entro i limiti di una introduzione generale, i connotati generali dei principali nodi concettuali che caratterizzano questo intricatissimo ambito di studi, in cui convergono computer science e scienze cognitive, documentazione e scienze sociali, matematica e filosofia. Rimane tuttavia la sensazione di una sostanziale incertezza, e non certamente per demerito dell'autore, nel delineare presupposti e obiettivi della configurazione teorica ed operativa della disciplina. Se infatti la locuzione “Information science” ha un senso sufficientemente chiaro nell'individuare, sul piano applicativo, le implicazioni derivanti dall'uso delle tecnologie informatiche in ambito precipua- mente biblioteconomico, il discorso, e i conseguenti profili argomentativi, si complicano a dismisura se ci si pone il ben più impegnativo obiettivo di discutere gli elementi radicali e fondanti di cui la disciplina si occupa. Ciò rende infatti necessario confrontarsi con i concetti di “dato”, di “informazione”, di “documento”, sia nella loro fisionomia teorica generale, sia nella loro natura di concetti strumentali alla definizione di sistemi informativi ed informatici che si occupino della loro elaborazione e gestione. Quello qui indicato pare uno dei più rilevanti tra i problemi che rendono ardua la chiarificazione delle identità e delle relazioni tra concetti di “dato” ed “informazione” e l'affidamento delle loro rappresentazioni normalizzate alle funzionalità delle macchine; si situano dunque qui questioni di natura ontologica certamente non semplici da affrontare. Come ha sostenuto recentemente Maurizio Ferraris, infatti, «Da trent'anni a questa parte, il mondo si è riempito di nuovi oggetti fisici, i computer, che hanno dato vita a nuovi oggetti virtuali, come i siti web. Proprio per far funzionare il web, e per evitare l'effetto-Babele, gli informatici hanno avvertito l'esigenza di un'ontologia, ossia di ciò che, sin dal Seicento, era una maniera per organizzare e classificare gli oggetti del mondo. Nell'età barocca si compilavano dei “cataloghi ontologici” che classificavano, per esempio (e rispondevano a loro modo ad esigenze di modernizzazione) tutto ciò che si trovava in uno Stato o in una regione; dalle stoviglie ai titoli nobiliari, dagli animali da cortile alle città e ai sobborghi. Una specie di mappa dell'impero che [...] avrebbe fatto la felicità di Borges [...]. Ora questi cataloghi hanno trovato una nuova attualità. I Siti, nuovi Stati dei cataloghi ontologici, sono connessi tra loro (“web”, “net”, “rete”, significano proprio questo) e si riferiscono a una grandissima quantità di oggetti o di eventi: i medicinali prodotti da una casa farmaceutica, le sentenze pronunciate dalla Corte di cassazione, i pacchetti di viaggio tutto incluso per una settimana in Finlandia, gli acquisti dei clienti in un supermercato, gli evasori fiscali della provincia di Belluno [...]. Come si organizzano questi oggetti?»5.

Da un lato, insomma, ci sono i problemi ontologici che riguardano l'organizzazione, seguendo Ferraris, degli «oggetti del mondo»; dall'altro i problemi, anch'essi qualificati come ontologici, che cercano di ordinare gli oggetti digitali. E ciò mentre, a complicare ulteriormente le cose, alcuni degli oggetti digitali sono rappresentazioni di oggetti analogici, ed altri sono invece meramente “dati” necessari per il funzionamento dei sistemi informativi, alla ricerca ancora più utopica di una rete di relazioni semantiche dotate di significato sia per le macchine che per gli umani.
Nella seconda parte di questa breve nota vorrei proporre per concludere alcune osservazioni valutative che dalla lettura di Introduzione alla scienza dell'informazione sono sollecitate.
Salarelli colloca la sua Introduzione nel quadro, certamente consolidato, dellaInformation Science di matrice precipuamente statunitense, la cui genesi, negli anni Sessanta del secolo scorso, è fondamentalmente collegata alle trasformazioni indotte sia dalla diffusione delle tecnologie digitali, sia dai tentativi di definire principi e modelli in grado di governare la delega alle macchine della rappresentazione e gestio- ne delle informazioni, a partire da quelle di natura documentaria. La natura intere transdisciplinare della scienza dell'informazione, come è noto, è chiaramente pre- figurata nei primi studi che a questo ambito di studi sono stati dedicati, a partire da quelli di uno dei suoi pionieri, Harold Borko (1922-2012), che nel 1968 scriveva che l'Information Science «is that discipline that investigates the properties and behavior of information, the forces governing the flow of information, and the means of processing information for optimum accessibility and usability»; e ancora che essa «is concerned with that body of knowledge relating to the origination, collection, organization, storage, retrieval, interpretation, transmission, transformation, and utilization of information. This includes the investigation of information representations in both natural and artificial systems, the use of codes for efficient message transmission, and the study of information processing devices and techniques such as computers and their programming systems. It is an interdisciplinary science derived from and related to such fields as mathematics, logic, linguistics, psychology, computer technology, operations research, the graphic arts, communications, library science, management, and other similar fields. It has both a pure science component, which inquires into the subject without regard to its application, and an applied science component, which develops services and products».

Si aggiunga a ciò che Borko, professore per molti anni alla University of California di Los Angeles, fu tra i primi a dare spazio entro gli studi biblioteconomici classici alle questioni derivanti dalla diffusione delle tecnologie digitali, impostando corsi nei quali ci si occupava di Principles of information systems analysis and design Information retrieval systems e Data processing in the library, in un periodo in cui, negli Stati Uniti in particolare, si definiva l'ambito della Library and information science6. In questo modo, per la confluenza senz'altro impetuosa di istanze di natura tecnica e tecnologica con più ampie e generali questioni di natura culturale e filosofica, si è dato origine a un campo di studi collegato alle matrici di numerose discipline, che entro la propria tradizione avevano sviluppato una attenzione particolare al tema della informazione, e alle implicazioni da esso suscitate. In questo crocevia si situa a mio parere il primo dei problemi che connotano la fisionomia epistemologica dell'Information science che, nata in un contesto essenzialmente applicativo, tuttavia in modo più o meno articolato e palese non ha mai cessato di andare in cerca di fondamenta disciplinari solide: basti pensare in tal senso al poderoso tentativo effettuato in Italia da Alfredo Serrai, all'inizio degli anni Settanta del secolo scorso, per conferire alla biblioteconomia lo status di una disciplina scientifica. Serrai, detto in estrema sintesi, riteneva allora che l'impiego degli elaboratori potesse offrire la possibilità di organizzare memorie digitali la cui dinamicità si adeguasse a quella delle memorie biologiche. Preso atto del fatto che «le memorie catalografiche sono una rappresentazione rigida ed eccessivamente selettiva della grande memoria costituita dal raggruppamento di tutti i particolari pacchi di simboli», le memorie, nuove per allora, degli elaboratori elettronici potevano offrire «impostazioni e configurazioni che non siano già obbligatamente predeterminate», entro le quali «gli elementi mnemonici possono scomporsi e ricombinarsi in maniera sufficientemente libera»7. Da quel tumultuante contesto, reso ancora più problematico dalla graduale diffusione di Internet e poi del web, si è originato un ambito di studi e ricerche assai variegato (e non poteva essere altrimenti), in cui all'interesse originario per le applicazioni informatiche riferite agli strumenti ed ai servizi degli istituti documentari si sono andate aggiungendo prospettive ulteriori di indagine, vertenti sia sugli elementi concettuali fondanti (il concetto di dato, informazione e documento), sia le pratiche socio-documentarie ad essi connesse; prospettive correlate essenzialmente alle modalità pragmatiche attraverso cui un “qualcosa”, variamente denominato (appunto “dato”, “informazione” o anche “conoscenza”) viene elaborato, sotto il profilo documentario e in senso più ampio culturale. Nel campo di questa massa amplissima di studi, afferenti a diverse tradizioni e punti di vista, si è creato un gigantesco coacervo in cui hanno coabitato studi microanalitici e prospettive di indagine universalistiche. Non è dunque un caso se recentemente Michael Buckland, uno dei più autorevoli protagonisti di questo campo, già richiamato in questa nota, abbia avvertito la necessità di chiedersi ancora, e proprio nella qualificatissima sede del «Journal of the American Society of Information Science and Technology», quale possa essere la natura disciplinare di questo campo di studi8. Buckland prende atto che la locuzione “scienza dell'informazione” «has been used to denote different fields that we can distinguish by using different names: library and information science, computer science, the physics of information, entropy, etc., and information technology, meaning electronic technology applied to communication and computation. Of these, only the first is directly concerned with knowing and learning»; entro questa pluralità di possibili punti di vista interpretativi si differenzia e si specifica il campo connesso al come le informazioni vengono elaborate ed interpretate. Buckland, insomma, consiglia di limitare il campo della Library and information science alle questioni che hanno a che fare con le modalità attraverso cui le persone e le comunità sociali di interpreti organizzano i propri contesti informazionali. Non si è molto distanti, dunque, da quanto Serrai affermava quando scriveva che l'oggetto della bibliotecono- mia era costituito dalla «struttura e dal funzionamento dei sistemi ai quali è affidato il compito di mettere in relazione i prodotti intellettuali e informazionali di alcuni uomini con le necessità intellettuali e informazionali di altri uomini, di solito distanti dai primi nel tempo e nello spazio»9.

A partire da queste considerazioni, che in questa sede non possono che essere rapide e schematiche, può essere forse immaginata una radicale reinterpretazione del campo d'indagine di cui si è occupata la Information science classica, provando ad allentare il legame troppo stretto con il campo confinante, e spesso egemonizzante, della Computer science. Per questo, credo, sarebbe interessante valutare due prospettive, dalle quali potrebbe trarre origine un nuovo possibile perimetro della disciplina. Il primo ambito, già richiamato in precedenza, è di natura essenzialmente teorica e riguarda lo studio delle modalità attraverso cui le relazioni esistenti tra fatti, oggetti e concetti del mondo fisico vengano digitalizzate, modellizzate, e ristrutturate in ambiente digitale; ciò vuol dire - e certamente non è impresa da poco – indagare le relazioni tra memoria biologica, memoria culturale, memoria documentaria, memoria digitale. L'obiettivo consiste dunque nell'analizzare le fasi secondo cui dati, infor- mazioni, conoscenza vengano “cotti” ed elaborati dalle strutture cognitive umane, in particolare attraverso la mediazione organizzata nelle istituzioni documentarie (archivi, musei, biblioteche): è sostanzialmente la linea additata da Buckland. Importante è non smarrire la chiave esplicativa delle relazioni individuabili tra “qualcosa”, variamente denominato (appunto dato, informazione, conoscenza), che viene interpretato da una struttura cognitiva umana, e le modalità secondo cui sempre quel “qualcosa” diviene entità digitale che si situa nella logica circuitale delle macchine.

Il secondo ambito riguarda invece la necessità di individuare e periodizzare (anche e forse soprattutto per le esigenze connesse alla didattica) un ambito cronologico entro il quale si sono andate precisando le tracce capaci di diventare oggetto di questa prospettiva di studio. Questo confine non può trarre origine solo dall'analisi delle dinamiche socio-tecnologiche connesse alla diffusione della Computer science, come si diceva, ma può e deve radicarsi in quello, ben più ampio ed articolato, che studia le modalità secondo cui le discipline bibliografiche e documentarie, nel loro divenire storico, si sono confrontate con questi nodi concettuali. La linea che va da Otlet a Bush al web risulta parziale, e alla fine fragile, se non viene recuperata una consapevolezza d'assieme delle dinamiche storico-culturali entro le quali si sono andate dinamicamente definendo le architetture informative dell'età moderna. Ciò vuol dire, in altri termini, rafforzare gli elementi di relazione della scienza dell'informazione non solo con la scienza dei computer, e con i modelli teorici ad essa correlati, ma con le matrici e le istanze del pensiero bibliografico classico, secondo una linea che, retrocedendo, colleghi Berners-Lee, Nelson, Bush e Otlet agli esordi dell'età moderna e alle frastagliate e complesse fasi in cui si situa l'elaborazione da parte di Konrad Gesner (1516-1595) della fisionomia e degli strumenti della sua Bibliotheca Universalis, in un ambiente culturale entro il quale, dal ceppo originario della historia litteraria, si sono andate gradualmente differenziando le differenti discipline, e con esse i modi e le forme dell'organizzazione delle memorie culturali e documentarie. Osservare questi fenomeni con uno sguardo lungo, andando in cerca degli elementi di continuità diacronicamente sedimentati, può conferire agli studi contempranei, orientati secondo un asse sincronico, una più solida e matura consapevolezza che, senza minimizzare le differenze originate a partire dalla diffusione dei dispositivi di calcolo, ne inserisca le specifiche funzioni, incluse quelle connesse all'esercizio della professione bibliotecaria, entro una cornice più ampia, ed anche euristica- mente più proficua. L'Information science, in questo modo, può essere pensata come una delle modalità secondo cui è possibile modellizzare e pensare le strutture attraverso le quali vengono organizzate e comunicate relazioni intelligibili tra i fatti, i concetti, gli oggetti, analogici e digitali. Certo, sull'altro versante è necessario imma- ginare un pensiero bibliografico che, come hanno suggerito ad esempio Donald McKenzie (1931-1999) con la sua ampia e ospitale sociologia dei testi10, e prima ancora Jesse Hauk Shera (1903-1982) con la sua epistemologia sociale, sappia diventare capace di ospitare una prospettiva disciplinare, non importa alla fine quanto scientifica, che tenda comunque ad integrare le diverse tipologie di fenomeni informativi e comunicativi11. In questo modo l'oggetto di interesse di questa possibile configurazione di studi è l'indeterminato strato situato tra i testi, i documenti, le esigenze informative e di conoscenza delle persone.

È in questo territorio di confine che si collocano infatti le esperienze d'uso delle informazioni da parte delle persone. In questo intreccio di rapporti con le più diverse tipologie testuali, mutuamente implicantesi, si distende dunque, da Gesner al web, lo strato dei prodotti del pensiero, in cui le informazioni, dinamicamente, si approssimano ad acquisire la forma che deriverà solo dall'attuarsi, attraverso la lettura, delle diverse traiettorie attraverso cui le persone alimentano i propri percorsi di crescita umana ed intellettuale12. Secondo questa prospettiva, certamente non semplice da tracciare, e da esplicitare poi sotto il profilo didattico, diverrebbe forse possibile rinvigorire le relazioni tra i punti di vista disciplinari maturati nell'ambito delle discipline del libro, nelle loro varie accezioni e declinazioni (bibliografia, biblioteconomia, bibliologia), quelle centrate sul documento (documentazione) e infine quelle che individuano nel concetto generalissimo e sfuggente di informazione il proprio originario nucleo tematizzante.


NOTE

[1] Cfr. Luciano Floridi, Information: a very short introduction, Oxford: Oxford University Press, 2010, p. 21.

[2] Michael Buckland, Information and information systems, New York: Greenwood, 1991, p. 40-41; Id., Information as thing, «Journal of the American Society of Information Science», 42 (1991), n. 5, p. 351-360.

[3] Gregory Bateson, Verso un'ecologia della mente, Milano: Adelphi, 1977 (tit. or.: Steps to an ecology of mind: collected essays in anthropology, psychiatry, evolution, and epistemology, 1972).

[4]Maurizio Ferraris, Documentalità; perché è necessario lasciar tracce, Roma-Bari: Laterza, 2009.

[5] Maurizio Ferraris, Introduzione, in: Storia dell'ontologia, a cura di Maurizio Ferraris, Milano: Bompiani, 2008, p. 8.

[6] Harold Borko, Information science: what is it?, «American Documentation», 19 (1968), n. 1, p. 3-5. Ulteriori informazioni sono recuperabili all'URL: http://gseis.ucla.edu/news-events/news-items/harold- borko-1922-2012-professor-pioneered-information-studies-at-ucla

[7] Cfr. Alfredo Serrai, Biblioteconomia come scienza. Introduzione ai problemi ed alla metodologia, Firenze: Olschki, 1973, p. 19.

[8] Michael K. Buckland, What kind of science can information science be?, «Journal of the American Society of Information Science and Technology», 63 (2012), n. 1, p. 1-7, pubblicato online il 12 ottobre 2011, DOI: 10.1002/asi.21656. La citazione è a p. 5.

[9] Alfredo Serrai, Biblioteconomia come scienza cit., p. 5.

[10] Il riferimento è a Bibliografia e sociologia dei testi, Milano: Sylvestre Bonnard, 1998 (tit. or.: Bibliography and the sociology of the text, 1986), p. 8-20.

[11] Per un approfondimento delle tesi di Shera cfr. An epistemological foundation for library science, Cleveland: Press of Western Reserve University, 1965; Libraries and the organization of knowledge, London: Crosby Lockwood 1965; Sociological foundations of librarianship, New York: Asia publishing House 1970.

[12] Scusandomi per l'autocitazione mi permetto di rimandare, per considerazioni più approfondite su questi temi, a Maurizio Vivarelli, La forma delle informazioni: parole e immagini nelle biblioteche e nelle istituzioni della memoria, «Biblioteche oggi», 30 (2012), n. 4, p. 3-20.