Il libro a stampa è semplicemente uno dei supporti tecnologici alla trasmissione delle conoscenze, che si è affermato negli ultimi 550 anni circa. Che questo tipo di documento conviva, in modo più o meno ampio, con i supporti e i servizi tecnologici attuali, o che sparisca quasi del tutto, non è questione determinate, se non storicamente: punto. Il problema, piuttosto, è il ruolo contemporaneo e futuro delle discipline e delle pratiche inerenti alla trasmissione dell'informazione, della cultura e della conoscenza. Questo ruolo, e la funzione delle strutture operative a esso legate, sono adeguati a cogliere le problematiche mutevoli della diffusione della cultura ai nostri giorni? È necessario un ripensamento teoretico interno, o una pragmatica riconsiderazione del mondo circostante? Il convegno delle Stelline di metà marzo ha delineato una risposta almeno per questa seconda questione.
L'incontro di quest'anno ha rilanciato in tutte le sessioni la discussione sulla ricerca di strategie di condivisione, più profonde nei contenuti e nei metodi della "semplice" cooperazione. Per quanto queste prospettive siano analizzate da tempo da studiosi e professionisti, serve stare attenti a non dover sempre rincorrere con il fiatone iniziative già maturate in altri Paesi. Ancora più necessario è chiedersi se non siamo addirittura in ritardo, perché stavolta è in ballo non solo il riconoscimento sociale del valore, o la mera sussistenza, ma la possibilità di essere realmente utili delle biblioteche e delle organizzazioni per la conservazione e la trasmissione della conoscenza. È in gioco la possibilità di essere indispensabili per la creazione della cultura della società tutta, o di un territorio, che sia una città, un'università, un'azienda.
Le alte cariche politiche regionali, provinciali e comunali, e le massime cariche professionali di editoria, biblioteche, musei e archivi, sembrano concordare sulla necessità di un'alleanza concreta e completa. Ogni definizione o decisione deve essere valutata con un unico obiettivo sociale, senza differenziazioni di campo o di istituzione, intendendo società e conoscenza da un punto di vista univoco. In più, la comunità, i cittadini, devono essere parte di eguale peso nella determinazione delle strategie culturali, membri essenziali della stessa "maggioranza" che vuole evitare il rischio del disastro sociale, la perdita del valore produttivo e del valore aggiunto della conoscenza.
Il pericolo che la crisi economica mondiale diventi una condizione "stabile" è senz'altro uno dei propulsori dello spirito collaborativo. Stessa spinta danno i rivolgimenti dovuti alle varie applicazioni della spending review, che arrivano a declassare i servizi culturali degli enti locali a "non fondamentali", o alle precedenti riorganizzazioni dell'istruzione, l'università e la ricerca, fatte in base ai "numeri" e non alle esigenze disciplinari. La condivisione da raggiungere nel campo della cultura, però, non può limitarsi a simili presupposti: il sistema della cultura deve pensarsi centrale come produttore e propulsore critico della conoscenza, come luogo di aggregazione e sviluppo sociale, come fonte di alleanze strategiche e non meramente difensive. Se la crisi diventerà stabile, il problema si eliminerà da sé, sarà la condizione naturale della civiltà. Se, invece, il sistema della cultura non sarà adeguato al nuovo assestamento, diventerà un accessorio poco utile, pericolosamente poco utile per una società dove prevarrebbero altre logiche di sussistenza e sviluppo.
Così il presidente AIE, Marco Polillo, propone una visione ampia e un obiettivo alto per l'alleanza «necessaria e stabile» tra editori e biblioteche: la diffusione della lettura. Come fine di lunga durata, di là da interessi parziali, lo sviluppo del leggere, rilanciato dalle tecnologie, produce effetti molto convenienti per entrambi gli alleati, interessati allo stesso modo alla circolazione del sapere. Il nostro presidente Stefano Parise, dunque, sottolinea come le alleanze strategiche debbano strutturarsi in quanto vera condivisione, «capacità di vedere insieme» un fine univoco, oltre la sola cooperazione, in un orizzonte di senso e prospettiva comune. Un primo esempio sono stati gli stati generali MAB dello scorso novembre. La condivisione "organica" è, poi, un tema IFLA, e dovrà essere il tema del raccordo tra Stati e istituzioni culturali: non rappresenta solo la resistenza alla crisi dell'economia, che negherà sempre le risorse a ciò che è avvertito come inessenziale dalla società.
Il principio dell'alleanza, quindi, non può che essere il valore che la conoscenza è in grado di dare a ogni attività della società. Il welfare diventa il centro del "consorzio umano", e la conoscenza è la risorsa strategica che consente la sua centralizzazione. L'alleanza efficace non potrà più essere basata solo sulla collaborazione nelle procedure, bensì su focus di contenuti, scopi ampi profondamente condivisi tra tutti i "buoni cittadini" che partecipano alla creazione del benessere. Questa alleanza, paritetica, sul nostro versante deve essere sostenuta dal lavoro propositivo e qualificato dei professionisti, alla cui valorizzazione sarà dedicato anche il Congresso nazionale AIB di questo novembre, e di cui parlano alcuni interventi di questo fascicolo.
È chiaro che la Biblioteconomia, la LIS e le scienze degli archivi e dei musei, non possono rimanere indietro teoreticamente rispetto ai cambiamenti che dovrebbero, anzi, suscitare. Dobbiamo avere le idee già chiare su una disciplina che persegua un forte impatto sociale, propagatrice di cultura come bene comune, come si spiega anche più avanti in questo fascicolo. Una disciplina dell'informazione aggiornata e non autoreferenziale deve proporsi come co-realizzatrice di uno stato sociale "costruttivo", dove ognuno non elemosina generici vantaggi, ma impara a costruire un benessere diffuso per sé e per gli altri.
Giovanni Solimine e Chiara Faggiolani rilevano come il benessere complessivo possa nascere solo dal rilanciare la cultura come «bene essenziale» della società. Se è, allora, determinate definire una Biblioteconomia sociale, è necessario cercare un presupposto univoco che consenta di venire a capo delle vecchie e delle nuove questioni, mutando il "paradigma" senza tradire i principi della Biblioteconomia. In questo, serve capire quale può essere il migliore impatto sulla comunità, accogliendo nella governance della biblioteca le istanze che vengono "dal basso", poiché essa deve essere parte di un sistema di welfare fatto dalle persone per le persone. Maurizio Vivarelli, riferendosi ai principi del MAB, parla anche di necessaria coabitazione dei punti di vista delle discipline coinvolte: Museologia, Archivistica e Biblioteconomia. La condivisione è data dalla univocità dell'organizzazione della conoscenza in ambiente digitale, che consente la rielaborazione metodologica delle tre distinte visioni. Oltre la perimetrazione accademica dei "campi" disciplinari, le connessioni «si riscoprono» mettendo il focus sugli elementi comuni da trattare: la descrizione dei documenti, la semantica, l'ordine, la comunicazione, l'interoperabilità, l'integrazione.
Parlando del valore sociale della conoscenza, poi, è necessario porre il problema della «ecologia della mediasfera», come scrive anche nel suo blog Luca De Biase. Biblioteche, archivi e musei, sono i luoghi dell'ecologia dell'informazione, e hanno il dovere di "purificarla" dall'uniformazione statistica del "sapere" e dall'automatizzazione algoritmica della "scoperta". Infine, se anche è avvenuto da poco il cambiamento del paradigma bibliotecario del possesso verso quello dell'accesso, dobbiamo realizzare subito un altro cambio di paradigma, dall'accesso verso la condivisione. Come ricorda Anna Maria Tammaro, i modelli 2.0 di servizio di informazione condiviso prevedono la creazione di contenuti comuni, la condivisione dei dati di ricerca, e la cura diffusa dei metadati e della conservazione. La trasmissione della conoscenza è, così, un processo sociale, che le biblioteche devono facilitare e tutelare.
In tutti questi cambiamenti, per le biblioteche pubbliche l'interlocutore politico non è più da considerare un muro in cui far breccia tramite un'irresistibile sfilata di buone ragioni generali. Il vero successo è nel convincere la società, i cittadini, a solidarizzare con i beni culturali, chiedendo ai governi di reindirizzare le tasse. Serve far vedere quanto il settore, l'organo, bibliotecario possa contribuire nella proposta alla comunità di una rinnovata situazione di benessere sociale e culturale. Non si tratta di utopie, ma di progetti concreti, che nascono lontano dal banale "lamentarsi" e sono basati sul fiuto delle cose e dei tempi.
Tra le strategie di condivisione del valore della biblioteca, la rendicontazione sociale permette di presentare ai cittadini e a tutti gli stakeholder la viva ricchezza prodotta dal servizio culturale. Il bilancio sociale consente, dunque, di mostrare quanto l'istituzione sia capace di restituire alla comunità che su di essa investe, a patto che sia strutturato sulla base di un'efficace condivisione di intenti e di fiducia. Allo stesso modo, il fund raising non deve essere pensato come pratica correttiva per un'emergenza o altro problema, e magari non attinente alla "dignità" dell'istituto, ma come pratica strategica, che fa leva proprio sulla fiducia che la società ha verso un'istituzione.
Infine, decisivo è il coinvolgimento di tutti gli interlocutori del territorio in cui è la biblioteca, che diventano a loro volta "propagandisti" della mission comune: dalle società di servizi ai possibili "benefattori", dai commercianti alle associazioni di volontariato, le quali possono essere coinvolte con grande vantaggio reciproco, secondo giusti principi e programmi di supporto ai servizi base. Nodale è anche la condivisione con le altre strutture del luogo: oltre ad archivi e musei, scuole e università, ci sono librerie, cinema, teatri, istituti culturali. Il palinsesto urbano può essere accuratamente "mappato", per leggerlo su cartine reali o virtuali, e poter costruire un vero sistema culturale territoriale.
Quanto alle biblioteche delle università, anche queste possono "accerchiare" i propri interlocutori politici, partecipando significativamente nei consigli di amministrazione e nei senati accademici, e proponendo una politica culturale condivisa, diretta a tutta la comunità accademica e al territorio. Similmente, se ci si sta ancora attrezzando per affrontare lo strapotere degli editori scientifici, è invece già tempo di pensare a strategie di collaborazione per il comune interesse nella diffusione degli open data, nello scambio di metadati per nuovi servizi, e vedendo nell'Open Access non più uno strumento di "resistenza" della cultura, ma di condivisione dell'obiettivo della circolazione del sapere.
Le biblioteche accademiche e di ricerca hanno già da tempo avviato proficue collaborazioni, nei progetti di digitalizzazione e di editoria digitale, con partner pubblici, fondazioni e privati. Fioriscono nuove alleanze con i docenti e con gli studenti, oltre che per la valutazione e validazione dell'informazione, per la diffusione di piattaforme istituzionali, per la creazione di oggetti digitali interoperabili, per la valutazione della ricerca, per l'assistenza e la consulenza nello studio e nella professione. Adesso si tratta di rilanciare anche i patti già stabiliti, producendo "beni" con specifica valenza sociale oltre che scientifica, che non perdano la propria valenza pubblica anche se realizzati insieme ai privati. La rendicontazione sociale è presente nei nuovi statuti di alcuni atenei, e il coinvolgimento del territorio è perseguito da sempre più "accademie". Nelle biblioteche deve svilupparsi, allora, un'attenzione maggiore per la citizen scienze, al rapporto tra scienza e società e al modo di porsi verso il territorio, occupandosi a pieno di information literacy, dell'educazione permanente e dell'apprendimento informale, nonché della relazione con la scuola e con i giovanissimi, da introdurre alla ricerca critica e qualificata.
Anche l'OA rappresenta un importante momento di collaborazione per la diffusione della cultura, in modo democratico, nella forma in cui essa può essere assicurata e salvaguardata dalle biblioteche accademiche. Per l'obiettivo della circolazione del sapere, non è necessario scegliere a priori una via "verde" o una via "aurea" per le strutture e le politiche dei repository aperti, ma ci sono diverse combinazioni possibili del rapporto tra istituzione pubblica e alleato commerciale, che consentono varie forme di gestione della qualità, dei costi, dei diritti e dei guadagni. Un'intelligente apertura della politica dell'OA, in cui hanno un ruolo qualitativamente determinate le nuove university press digitali, consente di sostenere molte iniziative scientifico-sociali, e di evitare che i nostri prodotti della ricerca finiscano quasi tutti su piattaforme estere.
In conclusione, lo spirito vincente della condivisione e dell'alleanza vale per ogni tipo di biblioteca o istituzione "apparentata", che può trovare la propria mission e la propria identità nel semplice guardarsi dentro e intorno. Si tratta di scendere in "piazza", reale o telematica, avvicinandosi a quanti e a quanto si è spesso guardato da lontano in voli "angelici" autoreferenziali. Ogni conquista può essere declinata sotto diversi e autonomi punti di vista, con il beneficio che deriva dal reciproco scambio di idee, metodi ed esperienze.
Roberto Raieli