Quaderno sui profili professionali
Le professioni per le biblioteche accademiche di ricerca

Il bibliotecario accademico tra passato, presente e futuro: alcune considerazioni a margine di un seminario CNUR/AIB Lazio sui profili professionali emergenti nella biblioteca digitale

di Maria Cassella

Negli ultimi venti anni le biblioteche accademiche hanno subito veloci e profonde trasformazioni indotte dalla tecnologia digitale. L'elemento che traina il cambiamento è lo sviluppo iniziale delle collezioni digitali e, successivamente, dei servizi di biblioteca digitale (servizi di linking, OPAC di nuova generazione, discovery tools, piattaforme per la gestione di collezioni digitalizzate, per la gestione del reference digitale ecc). Non sono estranei a questo sviluppo:

  1. gli editori e le loro esigenze di business, la loro necessità di rimanere competitivi sul mercato offrendo servizi innovativi, la nascita dei nuovi modelli commerciali (il Big Deal e il più recente Patron Driven Acquisition);
  2. l'impatto della rivoluzione digitale sulla comunicazione scientifica: la sua internazionalizzazione, la diffusione di forme di pubblicazione di nuova generazione (si pensi ai megajournals o alla diffusione di blog e wiki come strumenti informali di pubblicazione) e di modelli di comunicazione alternativi, più democratici e sostenibili (le piattaforme di e-publishing e le istanze del movimento Open Access).

Fedeli alla propria mission di sostenere la didattica e la ricerca le biblioteche accademiche hanno seguito le trasformazioni profonde della comunicazione scientifica nel mondo digitale e l'evoluzione, talvolta controversa, dell'organizzazione universitaria e dei curricula accademici seguita al Processo di Bologna.
Nel contesto sopra delineato la biblioteca accademica di ricerca ha dovuto riconfigurare la propria organizzazione, le collezioni ed i servizi per andare verso un modello aperto e flessibile, meno fortemente centralizzato, dove i servizi della biblioteca digitale si integrano pienamente con quelli della biblioteca fisica, ibridizzandola, e il dialogo interno con le diverse componenti universitarie ed esterno con i partner pubblici e privati (Google ed i nuovi entranti nella disseminazione dell'informazione) diventa strategico.
Dillon descrive efficacemente il mutato scenario con il quale si confronta quotidianamente la biblioteca accademica:
In contextual terms, we must recognize the shifts in scholarship practices that are occurring in our universities and research labs, and then seek to understand how the library functions appropriately in this new world where large data repositories become the norm for some disciplinary practices; where many students never visit a physical campus, let alone a library; where libraries assume part of the role of publishers; where tenure decisions are loosened from the documentary formats we have known for decades; and where special collections become indistinguishable from museums1.

La complessità della biblioteca digitale cresciuta via via che la biblioteca accademica transitava dal modello passivo di biblioteca che gestisce la conoscenza acquisita tramite i tradizionali canali commerciali, verso un modello innovativo che implica un ruolo proattivo nella creazione, gestione, conservazione e valutazione della conoscenza scientifica, ha avuto un impatto notevole anche sulle professioni legate al mondo della documentazione.
Questo impatto, come scrive acutamente Mariella Guercio, è stato «più immediato sugli assetti professionali, sul mercato del lavoro e, quindi, sulle istituzioni che operano nel campo della formazione. [...] Ci vorrà invece qualche anno perché le conseguenze sui patrimoni di memoria digitale possano emergere»2.
In biblioteca così come nel campo editoriale, nel campo della ricerca e della comunicazione, in quello dei servizi e dei web-services nuovi profili professionali, alcuni dei quali altamente specializzati, sono emersi dalla necessità quotidiana di affrontare il cambiamento nella comunicazione scientifica.
Per il bibliotecario accademico si è trattato di un'opportunità unica di rivitalizzare il proprio ruolo, solo in parte minacciato dalla disintermediazione informativa che in realtà ne ha reso più essenziale la figura e ne ha valorizzato le competenze professionali.
Nel mondo anglosassone intriso di benefico pragmatismo e grazie anche all'attenzione posta sulla professione esercitata dalle associazioni professionali dedicate alle biblioteche accademiche di ricerca - si pensi, per fare solo alcuni esempi all'Association Research Libraries, all'Association of College and Research of Libraries e alla Society of College, National and University Libraries (SCONUL)3 - si sono, quindi, moltiplicate le descrizioni (job positions) dei nuovi profili legati alla biblioteca digitale. E' sufficiente scorrere la JobList dell'American Library Association per avere un'idea della ricchezza e varietà di profili emergenti nel contesto statunitense4: dall'electronic resources librarian, il bibliotecario che si occupa della gestione delle risorse elettroniche, al metadata librarian, esperto nell'applicazione e gestione di diversi schemi di metadati, dal repository manager, bibliotecario esperto nella comunicazione scientifica, al bibliotecario esperto di questioni di diritto di autore in ambiente digitale, fino al discovery services librarian ovvero colui che personalizza e mantiene quel sofisticato strumento di recupero dell'informazione che è il discovery tool, per citarne solo alcuni5.

Le denominazioni di questi ruoli sono in realtà ancora ben lungi dall'essere consolidate, le competenze e le abilità che caratterizzano queste figure professionali finiscono, a seconda dei contesti organizzativi, per sovrapporsi, ma queste figure sono ormai una realtà consolidata della biblioteca digitale, ne sostengono l'azione e lo sviluppo.
I contributi pubblicati nella sezione "Note e discussioni" del presente numero di «AIB studi» riprendono e approfondiscono alcune delle relazioni presentate in occasione del seminario "Oltre la biblioteca e i bibliotecari: professioni necessarie per la biblioteca accademica di ricerca" organizzato a novembre 2012 dalla Commissione Nazionale Università e Ricerca dell'Associazione Italiana Biblioteche in collaborazione con la sezione Lazio dell'AIB e l'Università degli studi Roma Tre e presentano in dettaglio, nell'ottica di alcuni professionisti, le attività e i contorni professionali che caratterizzano questi nuovi profili. L'idea del seminario è scaturita da una duplice esigenza:

In the past, discussions of change in academic libraries have often focused on the use of new technologies. Going forward, the conversation needs to focus on the less technical, but perhaps even more complex, issues of changing user needs, different organizational structures, new kinds of jobs, and partnerships among the key organizations involved in knowledge dissemination6.

Due sono i temi cruciali che, secondo chi scrive, ruotano intorno a questa nuova visione del ruolo della biblioteca accademica di ricerca ed alle rinnovate esigenze professionali che questa visione porta con sé.
Il primo è quello del rapporto tra i nuovi profili bibliotecari e i profili di tipo tradizionale. Alcune di queste nuove figure professionali sono un'evoluzione diretta di profili ben noti e già delineati:

Altre figure professionali appaiono più lontane dalla tradizione ed emergono dalla necessità di gestire nuovi servizi e nuovi strumenti di recupero dell'informazione. Tra queste:

In Italia la recente problematica esperienza del secondo esercizio di valutazione nazionale della ricerca (Valutazione Qualità della Ricerca) ha fatto emergere in molti contesti universitari la necessità di uno staff di professionisti esperto e competente in schemi di metadati descrittivi e in tema di diritti di autore.
Il secondo nodo della riflessione sul tema dei nuovi profili professionali del bibliotecario è, in realtà, un tema ambivalente: da un lato è legittimo chiedersi quale sia il quadro di competenze professionali che delinea il profilo di figure emergenti; dall'altro è inevitabile interrogarsi, anche alla luce della recente riforma nazionale degli ordinamenti universitari (L. 240/10), quale sia, in Italia e in Europa, il rapporto della professione con la formazione accademica, laurea e post-laurea, e quali le prospettive future della scienza biblioteconomica in Italia.
Per tutte queste nuove figure professionali l'interrogativo di fondo resta innegabilmente quello del rapporto tra tecnologia e discipline umanistiche. La recente costituzione in Italia di un'associazione dedicata all'informatica umanistica e alla cultura digitale dimostra il grado di maturazione e di integrazione tra discipline umanistiche e tecnologia e innalza, se ancora ce ne fosse il bisogno, il livello di attenzione su questi temi8.
Quello che qui preme sottolineare è come la crescita delle competenze informatiche nella professione del bibliotecario accademico non possa essere scissa da una solida formazione biblioteconomica di base e da una pratica di lavoro nella biblioteca fisica a meno di non volere rinunciare in toto alla propria identità professionale e di cedere ad altre professioni la leadership nel controllo e gestione della conoscenza (pubblicazioni e dati della ricerca).
Tema quest'ultimo ancora distante dal quadro professionale esistente in Italia ma fortemente sentito in altri Paesi europei. Scrive Liz Lyon, direttore del Digital Curation Centre in Gran Bretagna, riflettendo sulla nuova figura del digital curator ovvero quella figura che, in estrema sintesi, è responsabile della gestione e conservazione degli oggetti digitali (pubblicazioni, dati primari della ricerca, materiale archivistico ecc.)9:

How do we ensure that this librarian leadership is in place? One answer is for professional organizations (SCONUL, Research Libraries UK and CILIP), to accept a collective responsibility to ensure that Library "leaders-in-waiting" are given the appropriate leadership training to equip them to operate in this data-centric world10.

Il rischio è condiviso da tutte le professioni legate al mondo dell'informazione in virtù di quella contaminazione dei saperi che la convergenza al digitale impone alle professioni che si occupano dei documenti e della loro memoria: archivisti, funzionari, addetti alla gestione dei musei, documentalisti11.
Sarebbe tuttavia fuorviante ritenere che le competenze tecnologiche e le competenze legate al proprio specifico dominio di conoscenze (subject knowledge) siano sufficienti a completare il quadro professionale dei profili legati al mondo della biblioteca digitale.
Come emerge, infatti, dalla letteratura sull'argomento12, nonché dai risultati del recente progetto di ricerca DigCurV finanziato dall'Unione Europea nell'ambito del programma Leonardo, allo scopo di studiare le abilità e le competenze della figura del digital curator13, il profilo di queste diverse figure professionalmente legate alla biblioteca digitale comprende anche abilità di tipo comunicativo, progettuale (project management), capacità nella gestione del lavoro di gruppo e, da ultimo ma non per ultimo, competenze di vario tipo in merito alle licenze e al diritto di autore in ambiente digitale.
Queste considerazioni ci portano al terzo ed ultimo nodo della nostra riflessione sui profili professionali della biblioteca digitale.
In che modo si formano queste figure professionali in Europa e in Italia? A che livello di specializzazione? Quale il rapporto tra formazione accademica e professionale, tra formazione e autoformazione? Quale il ruolo di un'associazione professionale come l'AIB? Mi preme fare qui alcune considerazioni che aprano la strada ad una successiva più ampia riflessione.

L'evoluzione della professione, quale essa sia, dovrebbe ineludibilmente portare ad un ripensamento complessivo dei programmi e dei corsi di laurea magistrale e specialistica. In Italia questo ripensamento è tanto più urgente in quanto la già citata legge di riforma dell'università impone un cambiamento radicale dell'organizzazione universitaria e, quindi, dei curricula universitari. Potrebbe essere, nonostante gli effetti negativi già subiti da alcuni corsi di laurea breve in scienze dell'informazione, un'occasione per superare la frammentazione del contesto formativo nelle discipline biblioteconomiche in Italia.
Il livello rispetto al quale formare figure professionali quali quelle sopra descritte, non è certamente quello della laurea magistrale e neanche, forse, quello della laurea specialistica, nonostante alcune esperienze internazionali pregresse si riferiscano ad una infrastruttura curriculare di secondo livello - ad esempio i progetti DigCCurr (Digital Curation Curriculum) della University of North Carolina14. Si tratta, infatti, di ruoli che richiedono una formazione si specifica, ma agile e flessibile in grado di rimodularsi sulla base delle rapide trasformazioni in atto nella biblioteca digitale quale potrebbe essere, ad esempio, quella offerta nel nostro Paese dalla formula dei corsi di perfezionamento. Questo modello curriculare sembra adattarsi meglio che non il Master alle caratteristiche del mercato del lavoro in Italia, alle ridotte possibilità di movimento di chi lavora nelle pubbliche amministrazioni, alle sofferenze del quadro economico complessivo.
Infine un ruolo strategico nella definizione e formazione di queste figure professionali giocano e giocheranno sempre più in futuro anche le associazioni professionali. In Italia la recente legge sulle professioni non organizzate in ordini o collegi15, esercitate abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale, assegna alle associazioni che rappresentano tali professionisti un ruolo nella formazione (art. 2, comma 3) e nella promozione e qualificazione delle attività professionali (art. 3, comma 3)16, adeguando così gli ordinamenti nazionali in tema di riconoscimento delle attività professionali alle normative europee17. Si concretizza, pertanto, l'occasione per chiudere quella forbice che negli anni si è aperta sempre più tra professione bibliotecaria e formazione accademica in Italia, sul modello di ciò che già avviene in altri Paesi dove le associazioni professionali contribuiscono ad individuare i contenuti della formazione accademica18.
L'auspicio è che l'AIB sappia cogliere e sfruttare al meglio questa occasione sviluppando un dialogo proficuo con il mondo accademico e con le diverse associazioni professionali che rappresentano gli interessi dei professionisti dell'informazione.

NOTE

[1] Andrew Dillon, Accelerating learning and discovery: refining the role of academic librarians, in: No brief candle: reconceiving research libraries for the 21. Century, Washington D.C.: Council for libraries and information resources, 2008, p. 51-57, http://www.clir.org/pubs/reports/pub142/contents.html.

[2] Mariella Guercio, Le discipline del documento e l'innovazione tecnologica nelle iniziative di formazione degli archivisti, «DigItalia», 6 (2011), n. 1, p. 9-28, http://digitalia.sbn.it/riviste/index.php/digitalia/article/view/204.

[3] Si legge sul sito di SCONUL: «SCONUL promotes awareness of the role of academic libraries in supporting research excellence and student achievements and employability and represents their views and interests to stakeholders».

[4] Tale ricchezza è anche un sintomo di quella frammentazione e parcellizzazione del sapere indotta dalla diffusione delle tecnologie.

[5] http://joblist.ala.org/.

[6] Kate Wittenberg, The Role of the Library in 21st Century Scholarly Publishing, in: No brief candle: reconceiving research libraries for the 21. Century, Washington D.C.: Council for libraries and information resources, 2008, p. 35-41, http://www.clir.org/pubs/reports/pub142/contents.html.

[7] Talvolta, a seconda dei contesti, anche del bibliotecario di reference.

[8] http://www.umanisticadigitale.it/.

[9] La figura del digital curator nasce e si sviluppa nel contesto della biblioteca accademica in relazione alle necessità di gestione dei depositi istituzionali. Viene, tuttavia, percepita sempre più frequentemente come una figura professionale trasversale a tutti gli specialisti dell'informazione.

[10] Liz Lyon, The informatics transform: re-engineering libraries for the data decade, «The International journal of digital curation», 7 (2012), n. 1, p. 126-138 http://www.ijdc.net/index.php/ijdc/article/view/210.

[11] Si pensi alla ricerca di crosswalks tra standard descrittivi differenti, all'integrazione su piattaforme comuni di oggetti archivistici, museali e librari. In Italia nel 2011 si è costituito il MAB un coordinamento permanente tra archivi, biblioteche e musei per esplorare le prospettive di convergenza tra gli istituti dedicati alla gestione e cura del patrimonio culturale.

[12] Estremamente vasta e legata al singolo profilo professionale. Sulla figura del repository manager, approfondita in precedenti studi da chi scrive, si legga ad esempio: Mary Robinson, Institutional repositories: staff and skills set, revision August 2009, http://www.sherpa.ac.uk/documents/ Staff_and_Skills_Set_2009.pdf; Jackie Wickham, Repository management: an emerging profession in the information sector. Online Information 2010, London: Olympia, 2010 http://eprints.nottingham. ac.uk/1511/; Maria Cassella, Maddalena Morando, Fostering new roles for librarians: skills set for Repository Managers: results of a survey in Italy, «Liber Quarterly», 21 (2012), n. 2/4 p. 407-428, http://liber.library.uu.nl/index.php/lq/article/view/8033; Natasha Simmons, Johanna Richardson, New roles, new responsibilities: examining training needs for repository staff, «Journal of librarianship and scholarly communication», (2012), n. 2 http://jlsc-pub.org/jlsc/vol1/iss2/7/.

[13] http://www.digcur-education.org/

[14] La complessità dei progetti DigCCurr ha successivamente richiesto anche l'attivazione di un programma di dottorato (2008-2012) sviluppato in collaborazione con gli US National Archives.

[15] Legge 14 gennaio 2013, n.4, Disposizioni in materia di professioni non organizzate, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 23 del 26.01.13. Accessibile alla URL: http://www.normattiva.it/uri-res/ N2Ls?urn:nir:stato:legge:2013;4.

[16] A tal fine le associazioni professionali possono costituire comitati di indirizzo e di sorveglianza (art. 4, comma 3).

[17] Il riferimento è alla Direttiva 2005/36/CE del 7 settembre 2005, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali http://europa.eu/legislation_summaries/internal_market/living_and_working _in_the_internal_market/c11065_it.htm#Amendingacts.

[18] Penso all'American Library Association che nel 2009 ha pubblicato il documento "Core competences for librarianship" http://www.ala.org/educationcareers/careers/corecomp, nel quale l'ALA individua le conoscenze di base che devono essere acquisite tramite i Master in LIS negli Stati Uniti.


L'electronic resources librarian fra competenze vecchie, nuove e future

di Paola Gargiulo

I cambiamenti intervenuti nel mondo delle biblioteche e nella professione del bibliotecario negli ultimi vent'anni hanno fatto emergere nuovi ruoli e funzioni, tra questi vi è una nuova figura professionale che si è affermata con lo sviluppo delle tecnologie dell'informazione e il diffondersi delle risorse informative su supporto digitale, quella del bibliotecario addetto all'acquisizione, gestione, manutenzione, organizzazione e accesso delle risorse informative elettroniche, che d'ora in poi chiameremo electronic resources librarian, o anche ER librarian, così come viene chiamato nel mondo anglosassone. In Italia questa figura professionale, che non ha una sua denominazione precisa, potrebbe chiamarsi specialista delle risorse informative elettroniche, o anche specialista dell'accesso digitale, ma dal momento che spesso non ha una collocazione precisa e ben definita perché nella prassi quotidiana il suo lavoro viene suddiviso tra una pluralità di ruoli e funzioni, di fatto non abbiamo un appellativo condiviso. Per questa ragione preferiamo usare il termine inglese.
Lo scopo di questa relazione è appunto quello di analizzare brevemente le caratteristiche umane e le competenze professionali al fine di contribuire alla definizione di questo profilo professionale e al suo riconoscimento.

Chi è?

Si tratta di un bibliotecario che ha la responsabilità di facilitare il processo di fornitura dell'accesso integrato e trasparente all'informazione, indipendentemente dai formati, tramite una visione coerente dell'infrastruttura della tecnologia dell'informazione e tramite l'applicazione di questa visione alla gestione della cosiddetta biblioteca ibrida1. Abbiamo parlato di accesso all'informazione, intendendo con questo, ovviamente, le risorse informative elettroniche, cioè quei contenitori d'informazione i cui contenuti possono essere acceduti e usati solo attraverso la mediazione di un qualsiasi (pc, tablet, smartphone ecc.) computer in locale o - e in misura ormai maggiore - in remoto.
Se andiamo a vedere quando e da dove si origina questa figura professionale, troviamo che il più delle volte essa nasce negli anni Novanta e si evolve da due tipi di servizio: quello al pubblico per l'assistenza agli utenti per l'identificazione e l'uso ottimale delle fonti (reference, information literacy - front-office) e quello relativo agli acquisti e alla gestione delle banche dati e dei periodici (acquisition/serials librarian - back-office). Mentre le due figure professionali relative a questi servizi permangono, seppur con modifiche anche sostanziali dovute al nuovo contesto elettronico, nasce ben presto una nuova, terza, figura professionale, intermedia ma dotata di nuove competenze che integrano e sviluppano quelle precedenti e che assume pertanto caratteristiche professionali a sé stanti. Ciò avviene soprattutto, inizialmente, negli Stati Uniti2, per poi diffondersi nel resto del mondo bibliotecario accademico, anche se in Italia questa figura professionale, come tante altre sorte negli ultimi anni nelle biblioteche, non ha un adeguato riconoscimento formativo e professionale.
Nel delineare le competenze dell'electronic resources librarian, prescindiamo da come il sistema bibliotecario (grande o piccolo che sia, aderente o meno ai servizi di un consorzio) organizzi il lavoro di acquisizione e gestione delle risorse elettroniche, centralizzandolo, decentrandolo, organizzandolo in modo misto e articolato, per cui la pluralità delle competenze potrebbe essere caricato anche su qualche altro profilo professionale. Tutto ciò dipende dal modello organizzativo adottato, quest'ultimo esula dalla nostra indagine; la nostra attenzione è focalizzata dalle attività che il workflow delle risorse elettroniche richiede3, e soprattutto la sua integrazione con gli strumenti e i servizi informativi offerti dalla biblioteca. Ci preme sottolineare che, come nella maggior parte delle attività che oggi vengono svolte in biblioteca e non solo, anche in questo caso il lavoro è fondamentalmente collaborativo e articolato tra team diversi e integrati tra loro. Analogamente, le attività e le competenze qui delineate non potranno non esser attivate tutte e nella loro interezza.

Attività vecchie e nuove

Entro un medesimo contesto di biblioteca ibrida, questa figura professionale svolge insieme attività di tipo tradizionale e di tipo innovativo. Quanto alla prima, si tratta di proseguire, in un contesto elettronico, le tradizionali funzioni di acquisizione, organizzazione, gestione, valutazione, promozione, istruzione agli utenti, accesso/circolazione, conservazione. Quanto alla seconda, essa svolge attività del tutto nuove, come la negoziazione dell'accesso e dell'uso dei contenuti informativi, la gestione delle licenze d'uso, la gestione dell'accesso on-line (autenticazione/autorizzazione) tramite supporti diversi, la visibilità e l'accesso tramite il portale della biblioteca, la integrazione delle risorse informative tramite l'utilizzo di linking resolver con tutti gli strumenti di ricerca, dal catalogo della biblioteca, alle principali banche dati, agli open repositories, ai motori di ricerca, al discovery tool. Inoltre, gestisce il servizio di help desk/trouble shooting per i problemi di accesso o di uso dei contenuti, si occupa delle problematiche legali e commerciali connesse al riuso delle risorse (uso didattico, text/data mining), individua e adotta tecnologie e standard emergenti per un migliore utilizzo delle risorse nell'ambito della produzione delle statistiche d'uso, dell'adozione di strumenti gestionali di supporto come l'ERM, o di soluzioni che miglorino la ricercabilità dei contenuti come i discovery tool, ma soprattutto l'applicazione dei linked data.

Le attitudini richieste

A tale pur succinta descrizione di attività e specializzazioni professionali deve far ovviamente riscontro una serie di capacità e attitudini soggettive, capaci di contraddistinguere questo individuo come un tipico knowledge worker in un contesto altamente dinamico e caratterizzato da lavoro di gruppo con i diversi portatori d'interesse e partner di lavoro, per l'integrazione di competenze diverse. È pertanto indispensabile la capacità di entrare in relazione, possedere capacità progettuali, visionarie e anticipatrici dei bisogni degli utenti e del sistema e di nuove architetture del servizio, capacità comunicative (con utenti, fornitori, colleghi, docenti e ricercatori, amministrazione, eventuali consorzi di riferimento, uffici di ricerca, centri di calcolo), capacità di promozione e di marketing dei servizi, capacità di svolgere attività di liaisoning con i docenti e gli studenti per meglio integrare le risorse elettroniche ai loro flussi di lavoro e di ricerca.

Abilità apprese

Si aggiungono a questo quadro soggettivo altre abilità tecniche che vanno apprese, come l'abilità di valutare, negoziare, acquisire le risorse, gestire le licenze, collaborare nell'organizzazione del portale d'accesso e nella sua integrazione con i vari servizi offerti dalla biblioteca, raccogliere, analizzare, valutare le statistiche d'uso, valutare le piattaforme degli editori e dei prodotti da integrare (ERM, linking resolver, discovery tool ecc.) nonché monitoraggio dei sistemi di digital preservation.
In particolare, soccorrono abilità tecniche di base (software di reporting come Excel e i principali pacchetti di standard automated data processing come Office e simili) e avanzate, come la conoscenza approfondita degli standard e dei protocolli utilizzati per l'integrazione delle risorse (open url, KBART), per le statistiche d'uso (COUNTER, SUSHI), per le esigenze degli ERM (ERMI), per l'interoperabilità delle piattaforme OA (OAI PMH), per le licenze d'uso standard (SERU) e di tutto ciò che l'evoluzione tecnologica propone e impone.
Pur non essendo indispensabile, in questo quadro, il possesso di competenze altamente specializzate, come quelle del metadata librarian, è tuttavia auspicabile una solida familiarità con tutto l'insieme dei set e dei formati MARC e non-MARC (come DC, PREMIS, LOM, METS, VRA Core, ecc.) così come con i linguaggi per la rappresentazione semantica dell'informazione (RDF, OWL, ecc.) e dei linked data, che ormai dovrebbero appartenere, oggi, alla formazione del bibliotecario del XXI secolo.
Il complesso di queste attività richiede, inoltre, l'acquisizione di una doppia serie di conoscenze specifiche dell'information specialist per quanto attiene la struttura, le modalità di ricerca, le funzionalità delle specifiche risorse, così come una conoscenza di base delle discipline, quando non ci si può avvalere di un subject librarian, da un lato e di ambito economico-giuridico (trattandosi di risorse elettroniche prevalentemente commerciali - non escludendo il fatto che anche le risorse informative aperte si muovono in un contesto economico-giuridico) dall'altro. E' auspicabile che in entrambi in questi ambiti si lavori in modo fortemente collaborativo con gli altri esperti di dominio; nel caso della selezione delle risorse di interesse disciplinare, con il subject librarian laddove la figura professionale esista, e con i docenti delle discipline.

Quanto all'altro aspetto, economico-giuridico, non ci pare parimenti possibile prescindere da una conoscenza approfondita del mercato editoriale elettronico nazionale e internazionale, della sua evoluzione commerciale e tecnologica, dei suoi attori, dei business model praticati, nonché del suo impatto sui presupposti e gli effetti sulla didattica, sulla comunicazione scientifica e le attività connesse alla valutazione qualitativa della ricerca e dei ricercatori, così come sulla società più generale e sulla cultura in senso lato.
Gestire una licenza significa negoziare clausole contrattuali tali per cui il supporto di un ufficio legale non esime dal possesso di sufficienti competenze nel settore. Anche i diritti d'uso e riuso dei contenuti, coinvolgendo le problematiche relative al diritto d'autore, rientrano nel campo. È quindi opportuno che il nostro bibliotecario mantenga anche qui una propria specifica competenza, in modo da potersi orientare con sufficiente sicurezza entro i presupposti e gli sviluppi del contesto. E a maggior ragione, stante la complessità delle licenze d'uso e la parallela insidia delle clausole contrattuali, per cui la navigazione tra di esse rappresenta un vero e proprio percorso a ostacoli4.
Non diversa è la questione delle competenze attive e passive nella lingua inglese, interlingua tipica della comunicazione scientifica e del commercio editoriale internazionale oltre che della tecnologia dell'informazione, Anche la possibilità di interscambio di informazioni e procedure tra colleghi appartenenti a realtà di Paesi diversi può favorire una migliore negoziazione e il conseguimento di risultati migliori e più convenienti per la comunità di riferimento così come ottenere suggerimenti e informazioni su prodotti e soluzioni adottate sulla gestione delle risorse.

Alcune sfide

La prima sfida è rappresentata dalla centralità crescente che le risorse elettroniche e i servizi a esse connesse rivestono nelle biblioteche accademiche, per cui queste organizzazioni dovranno sempre più destinarvi risorse economiche e umane, con tutto l'impatto innovativo che ciò dovrà avere sui profili professionali e sull'organizzazione del lavoro5.
La seconda riguarda la crescente produzione in formato digitale dei risultati della ricerca, sia dal lato delle pubblicazioni scientifiche sia da quello dei dati fattuali (research data, primary data, row data, data set ecc.), che stimola la creazione di servizi a valore aggiunto, con il conseguente peso che grava sulla ricercabilità dell'informazione così come sulle licenze, sull'integrazione dei servizi, sulle potenzialità di riuso. La stessa ricerca scientifica si muove nella direzione della collaborazione e dell'integrazione in formato digitale, ponendo sfide crescenti sull'interoperabilità dell'informazione e dei dati. Nel medesimo tempo, l'affermarsi di nuove metriche e nuovi modi di valutazione della ricerca richiede il supporto dei bibliotecari per la scelta e la gestione ottimali di questi strumenti.
La terza sfida si esprime nel settore della formazione. Nessuna attività in biblioteca è oggi possibile senza l'aggiornamento costante, l'acquisizione di nuove conoscenze e competenze, e l'adattamento al cambiamento. Gli sviluppi rapidi della tecnologia dell'informazione richiedono che l'electronic resources librarian si aggiorni costantemente attraverso una formazione permanente e un aggiornamento professionale tramite la partecipazione a corsi di aggiornamento, la frequentazione di convegni, seminari, webinar, l'iscrizione attiva a liste di discussione, blog, RSS feeder, gruppi di lavoro nazionali e internazionali, eccetera. Si tratta di attività talmente dinamiche e innovative che, d'altra parte, nessun curriculum universitario potrebbe esaurirne una conoscenza esaustiva e completa, pur con tutti gli sforzi doverosi in questo settore.
Sarah Sutton6 ha esaminato, nella sua tesi di dottorato le core competencies dell'ER librarian negli Stati Uniti attraverso l'analisi delle competenze richieste nelle offerte di lavoro nel settore, quelle insegnate nei programmi di master, nonché quelle insegnate nei corsi di formazione permanente. Emerge, da questa analisi comparata, come non sia possibile prescindere dall'esperienza maturata sul campo e dalla formazione continua come integrazione indispensabile di ciò che si è appreso in classe. L'autrice, rilevando come non esista nemmeno negli Stati Uniti una definizione condivisa delle varie competenze tipiche dell'ER librarian, ritiene che sia invece quanto mai necessario identificarle, ma sopratutto insiste sulle necessità di un costante aggiornamento sul lavoro.

Un discorso a parte andrebbe fatto sulla situazione italiana, dove la realtà della formazione curricolare è particolarmente carente, così come lo sono le iniziative sistematiche di formazione permanente, oltre al fatto che questa figura professionale non viene formalmente riconosciuta nella sua individualità ma esiste solo - quando lo è - nella prassi quotidiana e spesso diffusa su una pluralità di ruoli e funzioni. Ci auguriamo che questa breve relazione possa contribuire alla definizione delle competenze dell'electronic resources librarian in Italia e in generale al dibattito sul riconoscimento e l'adozione di profili professionali.

Un'appendice

Ci sembra utile trascrivere, a mo' di conclusione, il profilo professionale dell'ER libriaran, così come emerso da un'analisi condotta dal gruppo AIB-CNUR sulle nuove figure professionali nell'ambito delle biblioteche universitarie, nella primavera del 2012. Tale analisi non è stato resa pubblica in quanto confluirà in uno studio più completo dell'AIB sui profili professionali.

Scopo
Competenze / Professionalità / Conoscenze
Principali attività

NOTE

[1] Lai-Yng Hsiung, Expanding the role of the electronic resources (ER) librarian in the hybrid library, «Collection management», 32 (2007), n. 1-2, p. 31-47.

[2] Nancy H., Dewald, Anticipating library use by business students: the uses of a syllabus study, «Research Strategies», 19 (2003) n. 1, p. 33-45.

[3] Maria Cassella - Paola Gargiulo, Il workflow delle risorse elettroniche, «Biblioteche Oggi», 6 (2006) Luglio- Agosto p. 46-58, http://www.bibliotecheoggi.it/2006/20060604601.pdf.

[4] Paola Gargiulo, Clausole e contratti. Un percorso ancora ad ostacoli, in: CIBER 1999-2009, Milano: Ledizioni, 2009, p. 43-50.

[5] OCLC Reports (2012), Libraries: A Snapshot of Priorities and Perspectives, https://www.oclc.org/en-US/reports.html.

[6] Sarah W. Sutton, Core Competencies for Electronic Resources Librarians in the Twenty-First Century Library. PhD diss., Texas Woman's University, 2011, http://repositories.tdl.org/tamucc-ir/bitstream/ handle/1969.6/33/Sutton_dissertation_final.pdf?sequence=1.


Il discovery services librarian1

di Pierfranco Minsenti

Questo contributo intende indagare l'emergere di un nuovo ruolo per i bibliotecari universitari che può essere genericamente definito come coordinatore dei servizi informativi online o responsabile della gestione di un portale inteso come piattaforma integrata che rende disponibile l'accesso a contenuti, strumenti e servizi per gli utenti delle biblioteche universitarie. L'esigenza di definire un ruolo specifico per la gestione unificata dei servizi messi a disposizione da un portale informativo è emersa lentamente. La fisionomia autonoma assunta da questo ruolo è uno dei risultati della riorganizzazione dei servizi bibliotecari a seguito della crescita di importanza e complessità della gestione dei servizi online e della parallela esigenza di offrire un servizio user-centric. Particolarmente importante è stata la distinzione, influenzata dalle teorie del management, tra la gestione di un sistema, attribuita tradizionalmente al systems librarian, e la gestione di un portale inteso come servizio e non come semplice piattaforma tecnologica.
La definizione di portale informativo su cui si basa questo contributo è quella fornita nel volume collettivo Portals: People, Processes, Technology2 dove viene inteso soprattutto nella sua natura di «servizio». L'attuale punto di approdo dell'evoluzione dei portali informativi usati dalle biblioteche accademiche è costituito dai discovery tools, piattaforme che offrono l'accesso integrato a strumenti di ricerca e a servizi di accesso e fornitura dei documenti, sia cartacei che digitali. La gestione di questi portali presuppone una più stretta integrazione tra attività originariamente distinte, come attività di back-office quali la gestione dei sistemi, la creazione di metadati, la gestione delle risorse elettroniche, e attività di front-office come i servizi al pubblico legati alla fornitura di documenti e quelli dedicati all'assistenza degli utenti nell'accesso alle risorse elettroniche. Gestire queste attività come un insieme coerente e in un'ottica di servizio basato sulle esigenze dell'utente finale è il compito del ruolo descritto da questo contributo.

1. L'evoluzione del contesto: fattori che hanno influenzato l'evoluzione del concetto di portale e delle attività connesse

La gestione di un portale costituisce un'attività strategica nelle biblioteche accademiche. La centralità attribuita da questo contributo al portale è basata sul fatto che si è rivelato un termine "ombrello" più adeguato rispetto all'espressione digital library per riassumere l'insieme dei servizi resi accessibili da un'unica piattaforma online e che costituiscono un'estensione dei servizi offerti da una biblioteca ai propri utenti istituzionali. Il termine portale designa piattaforme online che danno accesso alle collezioni multiformato (analogiche e digitali) che compongono il complesso delle collezioni della biblioteca accademica. L'espressione digital library, invece, ponendo l'accento su un solo formato e riferendosi all'ideale di una biblioteca completamente digitale, non rende espliciti i rapporti con un'istituzione reale3.
Sulla definizione della gestione di un portale e delle attività connesse hanno influito sia l'evoluzione del concetto di portale informativo, sia altri fattori legati all'evoluzione complessiva del contesto entro cui si pongono i portali per gli utenti universitari:

  1. la graduale distinzione del portale dal gateway: mentre quest'ultimo è uno strumento usato per localizzare e accedere a risorse esterne, il portale è inteso come "ambiente" che integra sia strumenti di ricerca che contenuti e servizi e che è fatto per "trattenere" l'utente, perché è in grado di visualizzare nella propria interfaccia i risultati della ricerca indipendentemente dalla loro localizzazione, insieme a servizi a valore aggiunto4.
  2. una rinnovata consapevolezza dell'importanza dei metadati sia per migliorare l'indicizzazione full text5 (in GoogleScholar e GoogleBooks l'indicizzazione si appoggia sui metadati), sia per costruire nuovi servizi basati su mash-up di informazioni (per esempio il nuovo servizio Knowledge Graph lanciato da Google negli Stati Uniti nel maggio 20126), sia ai fini della funzione che svolgono i metadati nell'ambiente informativo distribuito, globale e web-based in cui il ricorso a "surrogati" descrittivi consente la distinzione tra data providers (archivi distribuiti di oggetti digitali) e service providers (indici integrati per la ricerca). Esempi di iniziative concepite per rendere i metadati più funzionali allo scopo del recupero dell'informazione nell'ambiente distribuito del web sono costituite dal loro uso in connessione con il protocollo OAI-PMH per consentire l'harvesting, e da iniziative come Schema.org e Linked data.
  3. l'importanza crescente dell'interoperabilità posta al servizio di una visione dei portali come nodi locali dell'infrastruttura informativa globale7 che richiede non solo l'interoperabilità tecnica e semantica tra sistemi, ma anche l'interoperabilità sotto il profilo legale, politico, disciplinare al fine di consentire una navigazione senza ostacoli8.

Al livello della progettazione e gestione dei servizi informativi di un'istituzione, questa evoluzione del contesto si traduce nell'invito a elaborare una doppia strategia di servizio, a livello locale e globale: «think globally act locally»9:

  1. consentendo il riuso da parte di sistemi esterni di dati e metadati creati a livello locale;
  2. partecipando a programmi nazionali e internazionali per la creazione, il mantenimento e il riuso di authority files;
  3. adottando standard e architetture aperte per integrare institutional repositories e collezioni digitali locali nella infrastruttura informativa globale10.

Infine l'evoluzione tecnologica ha creato le premesse per una gestione unificata di strumenti e servizi tramite piattaforme modulari integrate. Questi prodotti sono noti oggi con il nome di discovery tools, o web scale discovery services11 o index-based discovery services12. Si tratta di piattaforme per la ricerca unificata in tutte le collezioni della biblioteca, indipendentemente dal formato (analogico o elettronico) e dal fatto che si tratti di collezioni stabilmente possedute dalla biblioteca (collezioni a stampa o risorse elettroniche locali) o di risorse non possedute ma rese solo accessibili (risorse elettroniche remote). Oltre a fornire un accesso unificato alla ricerca bibliografica, i discovery tools offrono anche servizi di accesso diretto al documento indipendentemente dal formato, sotto forma di accesso al full-text nel caso di pubblicazioni elettroniche, o di accesso a funzioni per la verifica della disponibilità e la prenotazione del materiale o moduli per la richiesta di materiale non posseduto dalla biblioteca (prestito interbibliotecario, document delivery)13.

2. La gestione di un portale: dalla gestione di un sistema alla gestione di un servizio

La definizione dei ruoli coinvolti nella gestione di un portale e il concetto stesso di gestione di un portale sono cambiati nel tempo subendo una profonda evoluzione, parallela a quella tecnologica. Fondamentale è stata la distinzione ispirata dalle teorie del management tra la gestione di un sistema e la gestione di un servizio che pur basato sull'uso della tecnologia vede nella sua finalità di "servizio" la dimensione considerata identificante: «for those managing a portal service, the focus needs to be on the word "service" rather than "portal"»14. Il sistema, o meglio l'insieme delle tecnologie utilizzate, è lo strumento per ottenere il servizio.
Emmott15 spiega l'equivoco persistente tra gestione di un sistema e gestione di un portale come un caso specifico di un equivoco più generale che riguarda la gestione di ogni servizio web e che dipende dalla percezione errata, sia da parte degli utenti che dell'istituzione, che il servizio si identifichi con il sistema, con la tecnologia impiegata. Alla base di questa percezione errata sta il fatto che i servizi informativi via web assecondano la disintermediazione, l'uso autonomo dei servizi informativi da parte degli utenti, cosa che finisce per rendere "invisibili" le attività interne che consentono la gestione di un portale e le stesse persone coinvolte nelle diverse attività.
Laddove è stata compresa la distinzione tra sistema e servizio, la conseguenza è stata la distinzione tra il ruolo di gestore del sistema e il ruolo di gestore del portale come servizio. A seconda del tipo di organizzazione, la gestione dell'insieme di tecnologie su cui si basa un portale può essere ricompresa all'interno dell'unità che si occupa della gestione complessiva del servizio, o far parte di un centro servizi che opera a livello di ateneo. Infine la gestione sistemistica può anche essere gestita in outsourcing, in tutto o in parte. Al di là delle differenze specifiche, la novità della distinzione tra ruoli sta nel fatto che la gestione di un portale viene identificata come una responsabilità che riguarda la qualità del servizio e la sua rispondenza alle necessità informative degli utenti. Per Emmott questo richiede pianificazione e monitoraggio di tutte le procedure interne (e/o di quelle date in outsourcing), di tutti i componenti e i processi che garantiscono il funzionamento di un portale.

Schematicamente, la gestione di un portale riguarda questi diversi livelli e attività16:

  1. la tecnologia (che comprende l'infrastruttura tecnica: composta dalle unità di memoria, dai processori e dalle reti di comunicazione; pacchetti software e i sistemi operativi);
  2. i contenuti resi accessibili dal portale (sia le collezioni di oggetti digitali, sia i loro surrogati: i metadati descrittivi);
  3. le funzioni (di ricerca, accesso, navigazione, autenticazione ecc.) e i servizi resi accessibili dalle interfacce utente;
  4. le persone coinvolte nella gestione.

Il servizio offerto da un portale informativo è il risultato dell'interazione tra queste componenti.
Dal punto di vista delle competenze richieste per la gestione di un portale, sono considerate decisive competenze di tipo manageriale, oltre alla conoscenza di standard e dei principi di usabilità nella configurazione delle interfacce utente. Invece le competenze legate alla gestione dei sistemi sono ormai considerate patrimonio di una distinta figura professionale, il systems librarian, cioè la figura professionale nata tra metà anni '70 e inizio anni '80 in coincidenza con il passaggio dal catalogo cartaceo al catalogo elettronico e l'introduzione dell'automazione in biblioteca. Questo ruolo tradizionalmente veniva identificato come il responsabile della gestione di uno o più sistemi informativi per la biblioteca17.
Ma oggi l'applicazione delle teorie del management al caso della gestione di un portale informativo ha influito sul processo di ridefinizione del concetto di gestione di un portale e parallelamente ha portato a una ridefinizione più specifica del ruolo del systems librarian. Altri importanti fattori legati all'evoluzione generale del contesto hanno influito sulla distinzione tra competenze sistemistiche e quelle richieste dalla gestione di un portale:

  1. gli strumenti di ricerca offerti dalle biblioteche universitarie si sono moltiplicati e diversificati causando frammentazione e complessità nella ricerca di informazioni. Per risolvere queste criticità e agevolare l'utente, un servizio informativo deve abbandonare un punto di vista system-centric e acquisire un punto di vista user-centric capace di rispondere alle aspettative degli utenti indipendentemente dai sistemi e più in generale dalla tecnologia impiegata;
  2. gli studi sui comportamenti di ricerca degli utenti dimostrano che l'uso di sistemi di ricerca non bibliotecari è sempre più diffuso, in particolare l'uso di motori di ricerca generalisti18;
  3. l'importanza crescente acquisita dall'usabilità, dalla progettazione delle interfacce, dalla comunicazione;
  4. l'adozione di standard, sia in merito agli schemi di metadati sia per i protocolli di comunicazione dati, è diventata un requisito indispensabile per consentire l'interoperabilità tra sistemi, il riuso dei metadati e l'harvestizzazione da parte di aggregatori, locali o esterni, nazionali o internazionali, insieme alla capacità di definire schemi per la conversione dei metadati e la codifica XML. Tutto questo richiede il possesso di competenze tradizionalmente possedute dai catalogatori o metadata librarians e che ora devono essere adattate al nuovo contesto multisistema caratterizzato da una pluralitaÌ di schemi di metadati. Ma fondamentale diventa anche la definizione di una "politica" istituzionale relativa alla creazione dei metadati anche al fine di agevolarne la disseminazione in sistemi esterni.

Questi importanti cambiamenti suggeriscono l'esigenza di superare una visione troppo ancorata alla gestione dei sistemi informativi locali e al ruolo del systems librarian. La gestione del portale deve considerare anche la popolarità che hanno presso gli utenti i sistemi non locali e operare per agevolare la disseminazione dei dati nelle piattaforme usate dagli utenti: in particolare quelle collaborative19.
Le recenti offerte di lavoro pubblicate dalle università statunitensi dimostrano la capacità di rispondere ai mutamenti del contesto e la maturazione a cui è giunto il concetto di gestione di un portale, insieme alla consapevolezza della necessità di definire un ruolo specifico.

3. Il ruolo del discovery services librarian

Una definizione specifica del ruolo incaricato della gestione di un portale è emersa lentamente. Un'indagine svolta in Gran Bretagna nel 2003 tra le biblioteche di cinque università inglesi che avevano implementato un portale, rivela diverse soluzioni per l'attribuzione della responsabilità nella gestione del portale: soluzioni che vanno dall'affidamento al systems librarian, oppure a uno dei responsabili della biblioteca, fino all'affidamento al bibliotecario incaricato della gestione delle risorse elettroniche20. Nel complesso questa indagine rivelava incertezze circa la natura del ruolo di responsabile della gestione di un portale e le competenze richieste: informatiche, manageriali o legate alla gestione delle risorse elettroniche.
Una soluzione molto diversa, basata sulla creazione di un ruolo specializzato per la gestione del portale e sullo sviluppo di sinergie tra diverse competenze, è quella offerta dalla creazione di un team apposito come quello esistente all'interno della California Digital Library, un grande centro servizi che fa parte dell'Università della California e che si occupa di gestire tutti i servizi informativi online per le biblioteche dell'ateneo californiano. L'organigramma della California Digital Library è composto da nove unità operative, tra cui quella chiamata Discovery & Delivery, che possiede un direttore all'apice e uno staff che mette assieme competenze miste composto da sistemisti, programmatori, esperti di metadati21. Si tratta quindi di una soluzione che rivela la consapevolezza della necessità di distinguere tra la gestione della componente tecnologica e la gestione del portale nel suo complesso inteso come servizio.
Altre soluzioni dimostrano una consapevolezza matura delle ragioni per creare un ruolo specifico dedicato alla gestione di un portale e dotato di uno staff con competenze miste. Si tratta delle offerte di lavoro pubblicate recentemente da diverse università negli Stati Uniti che mostrano l'adeguamento dell'organizzazione ai cambiamenti del contesto.
Tra le offerte di lavoro apparse nell'anno 2012 su due mailing lists: Web4Lib22 e Code4Lib23, il testo forse più significativo è quello dell'offerta pubblicata dalla University of Nevada in data 25 maggio 2012 per la posizione di: Head of Discovery Services Librarian24, che viene definita come un ruolo appena creato e inserito nell'unità operativa chiamata Logistics & Resources Distribution Services (LRDS) Division. La LRDS Division è descritta come dotata nel complesso di uno staff di circa venti persone e organizzata in due settori: quello che si occupa di discovery services e quello che si occupa di sviluppo delle collezioni e accesso. Nell'insieme la LRDS Division si occupa quindi della gestione di attività che rientrano in 4 aree funzionali:

  1. gestione delle collezioni;
  2. accesso alle risorse elettroniche e servizi interbibliotecari;
  3. catalogazione bibliografica e creazione di metadati;
  4. gestione degli strumenti di ricerca.

Il raggruppamento di queste funzioni in un'unica divisione rappresenta una novità rispetto alla tradizionale organizzazione che vedeva attività diverse come la gestione degli acquisti, quella delle risorse elettroniche, la catalogazione e la gestione degli strumenti di ricerca come operazioni condotte in settori separati. L'organizzazione che rivela la LRDS Division della University of Nevada dimostra la consapevolezza che acquisto e messa a disposizione dei contenuti, descrizione delle risorse e creazione di percorsi bibliografici, e allestimento di dispositivi di ricerca e servizi di accesso, sono tutte attività strettamente legate perché condividono un obiettivo comune: agevolare reperimento e accesso alle fonti informative, su qualsiasi supporto, al fine di consentirne l'uso all'utente. Coordinare le attività che consentono di realizzare questo obiettivo permette di ottimizzare le sinergie interne. Un'organizzazione di questo tipo, dove anche i cosiddetti «servizi di back-office» sono finalizzati in maniera esplicita al servizio all'utente, sembra rispondere meglio alla prima legge di Ranganathan: «Books are for use» e al suo corollario espresso da Charles Hildreth: «Bibliographic records are for use»25.
Le attività specifiche che l'offerta di lavoro attribuisce al ruolo dello Head of Discovery Services Librarian presso la University of Nevada a Las Vegas sono:

  1. sviluppare un nuovo paradigma per i «servizi di back-office»;
  2. realizzare l'obiettivo di rendere le collezioni della biblioteca accessibili indipendentemente dal sistema e sviluppando anche un senso di leadership, una vision e un approccio aperto al cambiamento;
  3. monitorare e valutare periodicamente tutti gli strumenti di ricerca che compongono l'ambiente informativo (discovery environment) delle biblioteche;
  4. contribuire a selezionare una piattaforma gestionale di nuova generazione;
  5. supervisionare le attività del personale incaricato della catalogazione bibliografica e della creazione di metadati con l'obiettivo di migliorare la ricerca bibliografica («discovery») e l'accesso alle risorse informative sia a stampa che digitali tenendo presente le esigenze dell'utente finale;
  6. cooperare con altri settori impegnati in attività collegate.

Le competenze richieste al Discovery Services Librarian dalla University of Nevada a Las Vegas consistono in:

  1. conoscenza di sistemi operativi, struttura dei database e degli applicativi utilizzati in biblioteca, incluse le tecnologie per i dispositivi mobili;
  2. conoscenza di piattaforme di nuova generazione per la ricerca di informazioni;
  3. conoscenza di tecnologie legate ai Linked data e al web semantico;
  4. esperienza nel trattamento e conversione di records MARC e familiarità con altri formati di metadati come Dublin Core;
  5. conoscenze di project management applicate alla realizzazione di progetti complessi;
  6. esperienza nell'uso di metodi di indagine al fine di migliorare le attività e gli applicativi usati per fornire servizi agli utenti.

Questa descrizione del ruolo del discovery services librarian ha diversi elementi innovativi:

  1. viene chiesto un approccio alla gestione dei servizi di accesso alle collezioni, che non tenga conto del sistema ma dell'utente finale;
  2. comporta la supervisione del lavoro dei catalogatori: lavoro che viene giudicato in base agli obiettivi dell'utente finale: ricerca e accesso;
  3. lavora in sinergia con altre unità tenendo sempre presente le esigenze dell'utente;
  4. viene sottolineato l'apporto che deve dare all'innovazione e allo sviluppo di leadership e vision;
  5. il background di competenze richieste è legato alla gestione dei metadati e non alla gestione dei sistemi26.

Significativa è anche la descrizione del ruolo per Discovery and Integrated Systems Coordinator alla University of Massachusetts Amherst27. Il testo dell'offerta rivela l'esigenza di superare la frammentazione causata dall'uso di diversi strumenti di ricerca tramite la creazione di un ruolo di coordinatore con funzioni di supervisione. Anche in questo caso il coordinatore lavora con uno staff misto di cui fanno parte anche sistemisti, ma tra le doti che deve garantire spicca soprattutto un forte orientamento verso l'utente finale. Tra le competenze richieste non figurano le tipiche competenze sistemistiche che fanno parte semmai del ruolo del systems librarian, ma competenze legate alla conoscenza dei database, agli schemi di metadati e a XML, e ai principi di usabilità nelle interfacce web.
Altri esempi di offerte di lavoro per discovery services librarian pubblicate da università americane sono apparse tra il 2011 e il 2012:

  1. University of Alberta Libraries, Edmonton, Alberta, Canada (1 posto per Discovery Systems Librarian)28;
  2. University of Nevada, Reno (1 posto per Knowledge Access & Discovery Librarian)29;
  3. East Carolina University, Greenville, North Carolina (1 posto per Discovery Services Librarian)30.

Queste recenti descrizioni del ruolo del discovery services librarian riflettono l'emancipazione della figura di responsabile della gestione di un portale da quella del systems librarian, il cui ruolo perde l'eterogeneità di funzioni tipica della fase iniziale dell'automazione in biblioteca per diventare più specialistico e coincidere con quello di responsabile della gestione tecnica del sistema. Invece il discovery services librarian è la figura professionale che gestisce il portale inteso come un servizio e non come un sistema. La conferma di questo viene anche da un aspetto comune delle cinque offerte di lavoro esaminate: in tutti i casi la figura professionale cercata è quella di un bibliotecario. Infatti il titolo di studio richiesto non ha che fare con studi di informatica ma è sempre una laurea specialistica (master nel sistema USA) in un corso di laurea in Library science riconosciuto dalla American Library Association31. Questo dimostra la consapevolezza dell'importanza di riconoscere la dimensione di servizio dei portali informativi e pertanto la necessità di attribuire la responsabilità della loro gestione a un bibliotecario. Il suo compito consiste nel creare un ambiente di ricerca unificato, user-centric, ispirato al modello di ricerca centralizzato di Google con lo scopo di far risparmiare tempo all'utente consentendogli di esplorare tutte le collezioni della biblioteca, insieme a risorse esterne selezionate. Questo richiede attenzione sia alle procedure interne (gestione dei sistemi e dei componenti che costituiscono lo strato del middleware del portale, definizione di una politica complessiva di creazione dei metadati e dei vocabolari controllati per evitare di gestirli separatamente per sistema), sia alla configurazione delle interfacce per l'utente finale. In questo modo il portale come piattaforma unificata dei servizi informativi ricrea online un ambiente unitario capace di riprodurre in forma virtuale l'ambiente "controllato" e "amichevole" della biblioteca "sovrapponendo" alla complessità e frammentazione che sono proprie dell'informazione online uno "strato" unificante in grado di agevolare gli utenti nel reperimento di informazioni e nell'accesso alle risorse con una navigazione facilitata, autorizzazioni automatiche, e servizi di assistenza on line.

NOTE

[1] Versione rivista e ampliata dell'intervento presentato al seminario: «Oltre la biblioteca e i bibliotecari: professioni necessarie per la biblioteca accademica di ricerca», organizzato da: Commissione nazionale biblioteche delle università e della ricerca AIB, AIB Lazio, Università Roma Tre, EBSCO. Roma, Università di Roma Tre, 5 Novembre 2012. Gli indirizzi internet sono stati tutti controllati alla data del 2 febbraio 2013.

[2] Portals: People, Processes, Technology, edited by Andrew Cox, London: Facet, 2006.

[3] Sui limiti dell'espressione digital library, vedi le considerazioni di Christine Borgman, che cita Clifford Lynch, in: Christine L. Borgman, Scholarship in the Digital Age, Cambridge (Mass.): MIT Press, 2007, p. 17.

[4] Vedi Portals: People, Processes, Technology cit., p. 63: «the concept of a portal has developed from being a gateway through which information services located elsewhere are accessed, to being an environment within which information services are consumed, whether located elsewhere or not».

[5] Vedi Dick Miller: «Much apparent success in keyword searches relies on underlying and not always obvious metadata». Dick R. Miller, Identities and Relationships: Parallels between Metadata and Professional Relevance, «Journal of the Medical Library Association: JMLA», 100 (2012), n. 2, p. 83-86, http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3324793/.

[6] Per una presentazione di Knowledge Graph vedi la pagina: http://www.google.com/insidesearch/ features/search/knowledge.html.

[7] Paul Miller, Interoperability: What Is It and Why Should I Want It?, «Ariadne», n. 24 (2000), http://www.ariadne.ac.uk/issue24/interoperability/.

[8] Sul concetto di global information infrastructure vedi soprattutto Christine L. Borgman, Scholarship in the Digital Age, cit., p. 19, che definisce la global information infrastructure come «un'espressione usata per designare il quadro comune in cui interagiscono fattori di tipo tecnico, sociale e politico e in cui operano persone, tecnologie, strumenti e servizi che rendono possibile l'uso collettivo di contenuti accessibili in rete, senza vincoli geografici o temporali» (traduzione mia).

[9] Vedi i contributi di Christine L. Borgman: From acting locally to thinking globally: a brief history of library automation, «The library quarterly», 67 (1997), 3, p. 215-249; From Gutenberg to the Global Information Infrastructure: Access to Information in the Networked World, Cambridge (Mass.): MIT Press, 2003 e Scholarship in the Digital Age, cit. Inoltre: Karen Calhoun, The changing nature of the catalog and its integration with other discovery tools. Final Report, March 17, 2006. Prepared for the Library of Congress, http://www.loc.gov./catdir/calhoun-report-final.pdf.

[10] Uno tra i tanti esempi è offerto dalla harvestizzazione dei metadati descrittivi delle tesi di dottorato da parte del portale europeo DART-Europe E-theses Portal: http://www.dart-europe.eu/.

[11] Jason Vaughan, Web Scale Discovery Services, numero monografico della rivista «Library Technology Reports», 47 (2011), n. 1. Rimandiamo a questa monografia per un'introduzione ai discovery tools, che contiene anche recensioni approfondite dei principali prodotti presenti sul mercato.

[12] Marshall Breeding, NISO launches Open Discovery Initiative, «Information today», 17 November 2011, http://newsbreaks.infotoday.com/NewsBreaks/NISO-Launches-Open-Discovery-Initiative-78983.asp.

[13] In alternativa ai prodotti commerciali esiste una soluzione open source, VuFind, nato per gestire l'interfaccia di un next generation opac, e utilizzabile anche come interfaccia per la ricerca nell'indice integrato di un discovery tool sfruttando le API: vedi il caso della soluzione basata su VuFind e Summon utilizzata dalla Villanova University negli Stati Uniti: https://library.villanova.edu/Find/Resource/Home.

[14] Stephen Emmott, «Managing Portal Services», in: Portals: People, Processes and Technology, cit., p. 63.

[15] Ibidem.

[16] Rielaborazione da: Joint Information Systems Committee, Description of the DNER, JISC, 1999.

[17] Vedi Jennifer Long, Content analysis of job advertisement for systems librarians. Master's research paper, Kent State University, 1997: «A Systems librarian is a person with primary responsibility for one or more computer-based library systems».

[18] Vedi Cathy De Rosa - Lorcan Dempsey - Alane Wilson, The 2003 OCLC Environmental Scan: Pattern Recognition: a Report to the OCLC Membership, Dublin (Ohio): OCLC Online Computer Library Center Inc., 2004, http://www.oclc.org/reports/escan/.

[19] Tutto questo senza dimenticare le esigenze legate alla protezione del diritto alla riservatezza e del diritto d'autore.

[20] Yvonne Hamblin, LibPortal Project: Case Studies of Portal Implementation in Higher Education Libraries - a Report to the Joint Information Systems Committee, Loughborough University, 2004, http://www.lboro.ac.uk/microsites/infosci/lisu/downloads/Lib%20Portal%20Case%20Studies% 20in%20HE.pdf.

[21] Vedi l'organigramma della California Digital Library a: http://www.cdlib.org/ about/docs/CDL_Org_Chart.pdf. Altre tre unità sono dotate di uno staff numeroso e di un direttore: quella dedicata allo sviluppo delle collezioni, quella dedicata alla preservazione digitale e quella dedicata all'editoria.

[22] Web4Lib: Web Systems in Libraries Mailing List, accessibile da http://web4lib.org/.

[23] Code4Lib: Code for Libraries, accessibile da https://listserv.nd.edu/cgi-bin/wa?A0=CODE4LIB.

[24] Vedi The University of Nevada Las Vegas. Head of Discovery Services Librarian, http://www.higheredjobs. com/institution/details.cfm?JobCode=175633278&Title=Head%20of%20Discovery%20Services%20Librarian&aID=584.

[25] Charles R. Hildreth, Online catalog design models: are we moving in the right direction? Report prepared for the Council on Library Resources, 1995, http://myweb.cwpost.liu.edu/childret/clr-two.html: «never assume the display of a bibliographic record is the end of a search, merely to be selected or rejected, then "set aside." Bibliographic records are for use, not just as location devices, but as information-laden devices for furthering the search».

[26] «This position, with a strong background in MARC record management and familiarity with non-MARC standards will also contribute to the library-wide effort to research next generation ILS / Library Services Platforms. This position will facilitate the MARC metadata 'clean up' associated with significant print collection migrations». Vedi The University of Nevada Las Vegas. Head of Discovery Services Librarian, http://www.higheredjobs.com/institution/details.cfm?JobCode=175633278&Title=Head%20of% 20Discovery%20Services%20Librarian&aID=584.

[27] Vedi la mail apparsa sulla mailing list Code4Lib in data 5 aprile 2012 e consultabile nei CODE4LIB Archives alla URL: https://listserv.nd.edu/cgi-bin/wa?A2=ind1204&L=CODE4LIB&O=D&P=26074.

[28] Vedi la mail apparsa sulla mailing list Web4Lib in data 2 marzo 2011 e consultabile nei WEB4LIB Archives alla URL: http://web4lib.org/archive/2011-March/052925.html.

[29] Vedi la mail apparsa sulla mailing list Web4Lib in data 13 ottobre 2011 e consultabile nei WEB4LIB Archives alla URL: http://web4lib.org/archive/2011-October/053575.html.

[30] Vedi la mail apparsa sulla mailing list Web4Lib in data 21 febbraio 2012 e consultabile nei WEB4LIB Archives alla URL: https://listserv.nd.edu/cgi-bin/wa?A2=ind1202&L=WEB4LIB&O=D&P=22946.

[31] Il titolo di studio richiesto in genere viene definito come: «a master's degree in library science from a program accredited by the American Library Association» o espressioni equivalenti.


Repository manager:
nuovi scenari per i bibliotecari accademici a supporto della ricerca

di Maddalena Morando

1. Tradizione e nuovi scenari a confronto

Il lavoro del bibliotecario è una delle professioni che negli ultimi anni ha subito più variazioni, sia in termini di contenuti che di modalità operative, permettendo a chi lo esercita di arricchire le proprie competenze e di porsi nel panorama delle professioni culturali con grande versatilità. Questa diversificazione è ancora più evidente per chi opera in ambito accademico dove il bibliotecario, da sempre un valido collaboratore per chi fa ricerca, è ora promotore della diffusione della ricerca.
Tutto questo è indubbiamente il frutto di quella che viene chiamata "rivoluzione digitale" con la dematerializzazione e frammentazione dei contenuti che da fisici sono diventati cartacei e che dai canali canonici dell'editoria si espandono e si diffondono ora attraverso la rete.
Il processo lavorativo e le competenze del bibliotecario si sono quindi evolute secondo alcune direttrici che delineano in modo ormai chiaro questo percorso di cambiamento professionale.

  1. Dalla catalogazione alla metadatazione, in cui il focus passa dall'aspetto descrittivo del contenuto alla sua ricercabilità e interoperabilità. Un approccio che consente al contenuto di essere non solo identificato in modo univoco, ma anche diffuso, condiviso e riutilizzato, che potremmo sintetizzare con il passaggio dall'aspetto statico del contenuto all'aspetto dinamico.
  2. Dal catalogo al repository, quindi dalla gestione di un contenitore di oggetti documentari descritti attraverso il processo di catalogazione alla gestione di un contenitore che, attraverso lo standard OAI-PMH, consente l'interoperabilità e la diffusione dei contenuti.
  3. Dalle competenze biblioteconomiche alle competenze tecnologiche con il bibliotecario che si fa sempre più esperto di sistemi informativi sia acquisendo competenze relative a linguaggi di descrizione, standard e protocolli di condivisione dati, sia gestendo e implementando servizi tecnologici
  4. Dal reference bibliografico alla Scholarly Communication, con l'ampliamento dei servizi di supporto all'utenza che dal reperimento del documento/notizia informativa si amplia a quell'insieme di azioni di supporto alla diffusione della ricerca che vanno dalle politiche sull'accesso aperto, alla gestione delle problematiche relative al diritto d'autore, al rapporto con gli editori, alla valorizzazione e alla crescita dell'impatto della ricerca anche ai fine della sua valutazione.

2. Chi è il repository manager1

La prima evidenza nel cercare di delineare la figura professionale del repository manager è la mancanza di una definizione univoca. Uno studio effettuato da SHERPA del 2007 distingue tra repository manager "who manages the 'human' side of the repository including content policies, advocacy, user training and a liaison with a wide range of institutional departments and external contacts" e repository administrator "who manages the technical implementation, customization and management of repository software, manages metadata fields and quality, creates usage reports and tracks the preservation issues"2. Nella realtà la distanza tra il bibliotecario che si occupa delle politiche di gestione dell'institutional repository (IR) e l'implementatore del software e dei servizi ad esso collegati, appare più sfumata. È infatti necessario che chi gestisce le politiche del repository abbia chiare le potenzialità dei software di gestione, così come dei servizi di valore aggiunto che possono essere integrati in un repository, affinché possa essere pianificata una sua implementazione che permetta la più vasta gamma di potenzialità. Allo stesso tempo il repository è tanto più valido quanto è più pieno di contenuti, sia in termini di documenti resi disponibili che di servizi forniti, e quanto più è utilizzato e co-partecipato. Da qui l'accento posto dal report SHERPA sulle competenze relative agli aspetti gestionali e di comunicazione rispetto a quelli tecnologici.
Le competenze del RM così delineate si applicano a contesti differenti, ma certamente l'ambito principale resta quello accademico e il RM si delinea come uno degli attori cardine del processo di valorizzazione e diffusione della ricerca. Il secondo ambito, implicito ma è bene ricordarlo, in cui si muove il RM è quello dell'accesso aperto (OA). L'IR è infatti lo strumento primario della Green Road, oltre ad essere di supporto alla Gold Road. Gestire un IR significa porre atto alle azioni a favore dell'accesso concretizzando i principi in azione.
Sintetizzando si può dare una definizione di RM come colui che nel contesto della promozione dell'accesso aperto alla ricerca scientifica, si occupa della progettazione e gestione dell'IR, ne definisce e cura i contenuti e le modalità di accesso, delinea i servizi collegati, ne promuove l'uso e ne valorizza l'impatto al fine della diffusione della ricerca.

3. Attività e linee di azione

Nell'attività di progettazione prima e di gestione poi di un repository si possono individuare alcune linee di azione che caratterizzano questo percorso e che potremmo definire come i focus del RM. Andremo ad analizzarli cercando di calare le buone pratiche fornite dalla letteratura di contesto nel quadro della realtà universitaria italiana.

3.1 La definizione degli obiettivi e la scelta dei contenuti

Definire i contenuti di un IR significa individuare i suoi obiettivi in relazione al contesto delle politiche di ateneo per la promozione della ricerca, all'utenza a cui si rivolge e alle modalità di accesso.
Il primo obiettivo del repository è il suo porsi come "vetrina della produzione scientifica di ateneo"3 e in conseguenza di ciò pubblicazioni scientifiche e tesi di dottorato sono le tipologie di materiale più presenti. Ma non esauriscono il concetto di produzione scientifica che è molto più vasto comprendendo materiali scientifici e didattici non editi (pre-print) spesso elaborati in formati non prettamente testuali, come le slide di presentazioni o in formato multimediale. Bisogna inoltre tenere conto che gli esercizi di valutazione nazionali della produzione scientifica di ateneo, stanno delineando e indirizzando in modo esplicito il quadro di ciò che rientra nel concetto di produzione scientifica. Nel contesto italiano, il MIUR ha individuato sette tipologie di prodotti scientifici all'interno dei quali sono compresi anche i brevetti e una tipologia collettiva definita "Altro" contente materiali grafici, multimediali e software4. Infine molti IR si stanno arricchendo dati scientifici, il frutto primario della ricerca, anche se il trattamento dei dati richiede competenze specifiche che fanno parlare di una nuova figura professionale ad hoc denominata appunto data repository manager5.
Il RM, nel definire i contenuti di un IR, deve quindi prevedere la presenza di pubblicazioni scientifiche di ateneo ai fini della diffusione dei risultati della ricerca, accrescendo così la visibilità dei suoi prodotti e l'impatto dell'ateneo nel contesto accademico; di tutto quell'insieme di materiale non edito (comprese le tesi di dottorato) che supporta e accompagna l'attività pubblicistica, contribuendo a fornire un'immagine più capillare dell'attività accademica al di fuori dal circuito dell'editoria scientifica; dei brevetti al fine di accelerare i processi di trasferimento tecnologico fra università e imprese accrescendo l'impatto della ricerca di ateneo nel contesto economico e produttivo; dei dati grezzi della ricerca per supportare e velocizzare i processi di condivisione dei risultati scientifici6.

La scelta della tipologia dei contenuti comporta anche da parte del RM la definizione dei requisiti di qualità dei contenuti conservati in un IR. Per le pubblicazioni scientifiche la qualità è data dal processo di peer review effettuata dagli editori. Anche per altre tipologie di documenti si possono individuare processi di attestazione della qualità, è il caso delle tesi di dottorato la cui qualità è attestata dalla discussione della tesi presso la commissione giudicatrice, o dei brevetti la cui registrazione avviene al termine di un percorso di certificazione del prodotto in termini di originalità e innovazione tecnologica. Diverso è invece il caso dei prodotti non editi o dei dati scientifici la cui qualità non sempre è garantita. Nel contesto della valutazione interna della produzione scientifica di ateneo (cioè effettuata dall'ateneo stesso sui propri prodotti) che può prevedere processi di valutazione qualitativa con la definizione di appositi board disciplinari, è possibile pensare di sottoporre anche questa tipologia di materiali a processi di peer review. Altre formule di attestazione della qualità possono fare riferimento ai processi di peer review partecipata attraverso il riconoscimento di qualità attestato dalla community scientifica formulata per mezzo degli strumenti di social network quali Mendeley, ResearchGate, Academia.Edu. Definire policy sulla qualità dei contenuti dell'IR è quindi una delle sfide del RM che deve bilanciare diffusione e controllo.

Il secondo principale obiettivo di un repository è che i suoi contenuti siano ad accesso aperto e riutilizzabili ai fini della diffusione della ricerca. Il primo problema che deve affrontare il RM per raggiungere questo obiettivo è quello della barriera dei diritti di proprietà intellettuale (IPR), se infatti per i materiali non editi gli IPR appartengono quasi sempre agli autori (eccezioni ci possono essere per i proceeding, i brevetti e le tesi di dottorato), le pubblicazioni scientifiche (tranne quelle pubblicate ad accesso aperto o in cui l'autore ha trattenuto per sé i diritti) sono sottoposte al diritto d'autore e la possibilità di caricare la pubblicazione in OA sul repository è regolato da specifiche policy elaborate dai singoli editori. La cosiddetta barriera del copyright impone al RM di fare delle scelte sui contenuti e sulle azioni per sostenere l'accesso aperto. I full open access repository sono oggi giorno assai pochi e per la maggior parte appartengono alla categoria dei subject repository, cioè ai repository che raccolgono i documenti relativi a una determinata disciplina. Gli IR invece sono da questo punto di vista ibridi e contengono sia documenti ad accesso aperto che semplici descrizioni bibliografiche dei prodotti scientifici. Una delle azioni più efficaci per rendere l'IR pieno è la definizione di una policy di ateneo di obbligo al deposito nell'IR di tutti i prodotti frutto della ricerca. Questo garantisce, dal momento dell'emanazione del mandato di deposito, di avere un'ampia copertura di prodotti ad accesso aperto.
Anche il riutilizzo dei contenuti del repository è sottoposto alle barriere degli IPR e delle policy editoriali che definiscono i termini della loro usabilità. Un problema a parte è dato dalle gestione dei dati aperti le cui barriere degli IPR differiscono da quelli relativi alle pubblicazioni essendo spesso oggetto di accordi di riservatezza regolati dal diritto industriale e sottoposti alla tutela della privacy (è questo il caso dei dati sensibili di natura personale). Per i dati non sottoposti a IPR, così come per i pre-print il riutilizzo è garantito dall'assegnazione di licenze d'uso quali le Open Data Commons per i dati aperti e le licenze Creative Commons per tutti materiali non editi.
Terzo obiettivo di un repository è quello di conservare i prodotti frutto della ricerca, attenzione va quindi riservata da parte del RM alle politiche di digital preservation, tenendo anche conto delle politiche individuate dalle Commissione Europea nella gestione dell'archivio delle pubblicazioni OpenAire7. L'IR è infatti prima di tutto un archivio in cui i documenti sono raccolti per poi essere resi ricercabili, accessibili e diffusi. Particolare attenzione va inoltre riservata alle politiche di conservazione a lungo termine dei dati scientifici la cui conservazione nei repository è di fatto l'unica strategia per non disperdere i contenuti scientifici della ricerca primaria permettendo il loro riutilizzo.

3.2 Le azioni di comunicazione, advocacy, informazione e supporto

Affinché l'IR sia la vetrina dei prodotti di ateneo e acquisisca in tal modo il ruolo di valorizzazione e messa in evidenza dell'attività di ricerca di ateneo verso il mondo accademico, l'IR deve essere ricco di contenuti che siano qualitativamente di valore e accessibili da tutti. L'attività di comunicazione ed advocacy del RM è quindi uno degli aspetti chiave del suo operare e si rivolge a due tipologie di stakeholder. Da un lato la comunità dei ricercatori di ateneo che deve essere incentivata e supportata nell'azione di caricamento dei documenti ad accesso aperto, dall'altro gli organi di governo che devono attuare le politiche di incentivo e di obbligo al deposito di documenti ad accesso aperto.
A monte sta l'attività di sensibilizzazione alla filosofia dell'accesso aperto che deve accrescere la consapevolezza dell'intera comunità accademica sui vantaggi dell'accesso aperto in termini di visibilità, diffusione della ricerca, impatto (compresa la crescita degli indici citazionali), reputazione e prestigio sia a livello di ateneo che del singolo ricercatore.
L'esperienza nel contesto internazionale di politiche sull'accesso mostra che l'aspetto motivazionale dei singoli ricercatori non è sufficiente a rendere l'IR fortemente popolato e che è bene affiancare alle azioni di advocacy politiche di incentivo e di obbligo al deposito. Le politiche di incentivo attuate a livello di ateneo o di dipartimento, prevedono una quota premiale per chi deposita pubblicazioni ad accesso aperto. I mandati di obbligo al deposito invece operano in modo negativo, imponendo un vincolo al deposito in OA con azioni penalizzanti per chi non rispetta le condizioni del mandato. Il contesto internazionale offre una vasta tipologia di University mandate e di esempi ormai consolidati8. Il panorama italiano in tema di mandati per l'OA è invece assai povero. Le motivazioni sono da ricercare in un'ancora troppo limitata consapevolezza da parte della comunità accademica dei vantaggi dell'accesso aperto anche a seguito della mancanza di una politica nazionale sul tema e nella difficoltà di avvicinare gli editori italiani a politiche a favore dell'accesso aperto, a danno di molte aree scientifico disciplinari che rimangono così escluse dal circuito dell'OA. In conseguenza di ciò diventa strategica la capacità del RM di trovare soluzioni che garantiscano il popolamento dell'IR individuando forme di incentivo che non vadano a penalizzare quegli ambiti disciplinari in cui le politiche sull'accesso aperto sono ancora limitate o inadeguate. Una possibile soluzione è l'individuazione di forme premiali che definiscano delle soglie di deposito per ogni settore disciplinare. Le soglie indicherebbero in modo modulare i livelli sotto il quale si innesca il meccanismo di incentivo-disincentivo a fronte di una policy di ateneo a favore dell'accesso aperto.

Le politiche di ateneo per l'accesso aperto non possono prescindere dall'aspetto formativo e di supporto sul diritto di proprietà intellettuale che è certamente uno dei maggiori ostacoli per i ricercatori al deposito ad accesso aperto. Il RM deve quindi prevedere una serie di azioni attraverso momenti informativi, tutorial, linee guide, ad accompagnamento dell'IR per informare i ricercatori sui diritti posseduti e le strategie per acquisire i diritti di deposito. Sintetizzando, significa fornire informazioni sugli IPR, su come leggere un contratto di edizione, sugli strumenti per contrattare la non cessione di tutti i diritti quale l'Addendum, sulle varie tipologie di licenze per il riuso (comprese quelle sui dati aperti), su come utilizzare il sito Sherpa-Romeo in merito alle policy editoriali che consentono il deposito di pubblicazioni su IR, sulle tipologie di versioni utilizzabili (versione editoriale o versione draft), sulla gestione di regole di embargo.
Per l'Italia un discorso a parte va fatto sulle tesi di dottorato dove, anche grazie al recente processo di informatizzazione del deposito legale delle tesi di dottorato presso le biblioteche nazionali centrali, i mandati che obbligano al deposito ad accesso aperto sono cresciuti e al momento se ne registrano ventitré9.

3.3 Le scelte tecnologiche e i nuovi sviluppi

Gli aspetti tecnologici vanno gestiti in stretta collaborazione tra il RM e il repository administrator, dove il RM si occupa di definire l'architettura del sistema, il flusso di lavoro e i servizi da attivare, mentre il secondo si occupa della configurazione del software, della sua gestione e dell'implementazione delle funzionalità.
Il primo aspetto da definire riguarda indubbiamente la scelta del software, i più diffusi sono i software open source EPrints, DSpace e Fedora che forniscono sistemi di gestione molto simili, con una maggiore versatilità di Fedora verso i contenuti grafici e multimediali. Tutti e tre i sistemi sono supportati da community di sviluppatori e garantiscono l'aggiornamento dei servizi e il supporto alla loro implementazione.
Altri due aspetti rilevanti nella definizione dell'architettura tecnologica del repository che il RM deve pianificare riguardano il flusso di inserimento dei dati e la scelta del numero di repository in base alla tipologia dei contenuti.
I software di gestione dei repository sono configurati in modalità di inserimento self-archiving, si intende che i soggetti abilitati all'inserimento dei dati, siano essi ricercatori od operatori, inseriscono i dati direttamente sul repository. I processi di valutazione nazionale stanno però influenzando in modo rilevante questo processo essendo i collettori dei prodotti della ricerca. Alcuni sistemi di valutazione nazionale, quali quelli inglesi e australiano, hanno previsto l'utilizzo degli IR nel processo di raccolta e invio dei dati per la valutazione nazionale. In Italia invece il processo è gestito dal sito Cineca con una forte spinta da parte del MIUR a far sì che gli atenei si dotino del software di gestione UGO. In mancanza di policy di ateneo per il deposito ad accesso aperto, la separazione dell'IR da UGOV, essendo il primo anch'esso un collettore dei prodotti della ricerca, ha reso più complessa la gestione del caricamento dei prodotti da parte dei ricercati, inficiando alquanto il processo di popolamento dell'IR. Se è vero che l'IR permette la diffusione e la ricercabilità dei suoi contenuti via web e l'accesso ai documenti caricati in modalità aperta, è altrettanto vero che per il ricercatore caricare due volte i propri prodotti (su UGOV e sull'IR), seppur con finalità diverse, diventa oneroso. Il ricercatore si trova nella condizione di dover caricare i propri prodotti su UGOV per un obbligo di legge e sull'IR per motivazioni personali, che vanno dalla scelta etica di adesione al movimento Open Access, alla volontà di rendere maggiormente visibile i frutti della propria ricerca anche ai fini della crescita dell'impatto citazionale. Questo ha comportato un progressivo impoverimento e obsolescenza dei contenuti degli IR. Una delle possibili soluzioni (in attesa di una probabile futura implementazione da parte del Cineca di un modulo IR in UGOV-Pubblicazioni) che il RM deve prospettare, è la gestione integrata del repository con UGOV. Il flusso così concepito prevede che i prodotti siano caricati su UGOV e poi migrati nell'IR grazie allo standard OAI-PMH10.
. Questo flusso consente di avere in UGOV un unico punto di accesso per l'inserimento dei prodotti della ricerca da parte del ricercatore e una migrazione automatica dei dati nell'IR, garantendo un suo aggiornamento continuo.

Diversa invece la situazione italiana dei repository di tesi di dottorato dove la presenza di un numero significativo di Thesis Mandate garantisce un aggiornamento costante.
Resta comunque il problema se creare un unico repository per contenuti differenti o più repository. Anche qui le soluzioni possibili sono diverse e l'architettura del repository va concepita da parte del RM in base agli obiettivi che ci si è posti. Contenuti differenti dalla produzione scientifica della componente accademica di ateneo potrebbero essere inseriti su repository differenti dedicati, è il caso dei repository di tesi di dottorato, ma anche di laurea magistrale, di materiale didattico, di contenuti iconografici e multimediali, di dati della ricerca. I vari repository possono essere creati con lo stesso software, nel qual caso di parla di più istanze dello stesso software, o con software differenti in base all'architettura del flusso di inserimento o delle funzionalità offerte dai vari software. La tendenza è comunque quella di cercare di creare meno repository possibili e comunque di integrare i loro contenuti con sistemi di linking, è questo il caso delle architetture degli IR per i dati scientifici che devono poter essere collegati alle pubblicazioni di cui forniscono il sostrato scientifico.

I servizi che possono essere collegati al repository sono molteplici e possono esser così sintetizzati:
Statistiche. In particolare quelle relative alla tipologia dei prodotti caricati, all'incremento dei dati e ai download, fornendo un quadro sul tasso di vivacità-obsolescenza del repository da parte di chi lo popola (comunità accademica di ateneo) e sul suo utilizzo da parte dell'utenza (interna ed esterna all'ateneo).
Indici citazionali. L'integrazione con gli indici citazionali delle banche dati Scopus e Web of Science (ma anche di altre fonti di dati citazionali come Google Scholar e CiteBase) permette di rendere l'IR uno strumento di supporto alla validazione e valutazione dell'impatto della ricerca.
Riuso dei dati. La possibilità di esportare le ricerche in formati differenti e di fornire le API dei contenuti del sistema.
Permanent identifier. La possibilità di collegare sistemi di identificazione univoci dei documenti, quali ad esempio il DOI, da assegnare a documenti non editi, come pre-print, tesi di dottorato, materiali non testuali contenuti nei repository, consente di amplificare la ricercabilità e l'impatto di queste tipologie di documenti.
Fair Dealing Button. L'inserimento di un bottone di "Richiedi copia all'autore" permette all'utenza del repository di inviare una mail di richiesta all'autore per l'invio della pubblicazione che non è stata caricata sull'IR o non è presente ad accesso aperto, consentendo la diffusione dei risultati della ricerca anche quando le barriere degli IPR imposte dagli editori non permettono il deposito in OA.
Linking. Sistemi di linking tra repository differenti, applicativi web o semplici pagine web, consentono di integrare le informazioni del repository sfruttando le potenzialità della rete.
Applicativi web 2.0. L'integrazione con i social network e i sistemi di tag consente di inserire i contenuti del repository nel contesto di condivisione e di manifestazione di interesse delle community della rete.

4. Oltre il repository manager

Le competenze qui elencate del RM mostrano le potenzialità di una professione che in ambito universitario può riservarsi un ruolo centrale nella diffusione della ricerca che va oltre la gestione dell'IR, supportando la comunità accademica nel rispondere agli adempimenti e ai bandi della Commissione Europea sul tema dell'OA. Ponendosi come intermediario verso l'editore sulle problematiche sul diritto d'autore e come esperti in tema di editoria scientifica. Infine collocandosi nel contesto più ampio della promozione e valorizzazione dell'impatto della ricerca che va dal contributo ai processi di valutazione alla progettazione dei portali per la ricerca.

NOTE

Ultima consultazione siti web: 12 gennaio 2013.

[1] Nel 2011, insieme a Maria Cassella, mi sono occupata della figura professionale del repository manager a seguito di un questionario che avevamo inviato ai bibliotecari italiani e in generale agli operatori che gestiscono archivi istituzionali. Da quella esperienza sono stati redatti due articoli, uno in italiano e uno in inglese. Maria Cassella - Maddalena Morando, Un quadro di competenze per i repository manager in Italia, «Biblioteche oggi», 30 (2012) n.1-2, p. 9-23, http://www.bibliotecheoggi.it/content/ n20120100901.pdf; Maria Cassella - Maddalena Morando, Fostering new roles for librarians: skill sets for repository managers - results of a survey in Italy, «Liber Quarterly», 21 (2012) n. 3/4, p. 407-428, http://liber.library.uu.nl/index.php/lq/article/view/8033.

[2] Mary Robinson, Institutional Repositories: Staff and Skills Requirements, SHERPA Document, 2007, p. 1, http://www.sherpa.ac.uk/documents/sherpaplusdocs/notts-Repository%20Staff%20and%20Skills.pdf.

[3] La definizione è presa da: Mauro Guerrini, Gli archivi istituzionali, Milano: Editrice Bibliografica, 2010, p. 28. Si vedano anche p. 27-30.

[4]Per un elenco delle tipologie MIUR si faccia riferimento al file accessibile dall'area ricerca dell'Università di Firenze: http://www.unifi.it/upload/sub/ricerca/nuove_tipologie_ugov.xls. Per un'analisi della produzione scientifica italiana si veda: Sergio Benedetto, Alessio Ancaiani, Valutazione della qualità della ricerca 2004-2010. Statistiche sui prodotti conferiti e commenti preliminari, 2012, http://www.anvur.org/sites/anvur-miur/files/statistiche_commenti_prodotti_0.pdf.

[5] Per una panoramica sui dati aperti si faccia riferimento a: Antonella De Robbio, Forme e gradi di apertura dei dati. «Biblioteche oggi», 30 (2012) n. 6, p. 11-24, http://www.bibliotecheoggi.it/content/ 201200601101.pdf .

[6] Molta attenzione è stata data da parte della CE sui dati aperti si veda, European Commission. Riding the wave. How Europe can gain from the rising tide of scientific data, 2010, http://ec.europa.eu/information_ society/newsroom/cf/document.cfm?action=display&doc_id=707

[7] European Commission, National OA and preservation policies in Europe, 2011, http://ec.europa.eu/ research/science-society/document_library/pdf_06/open-access-report-2011_en.pdf.

[8] Birgit Smith - Iryna Kuchma, Implementing Open Access mandates in Europe, Universitätsverlag Göttingen, 2012, http://webdoc.sub.gwdg.de/univerlag/2012/oa_mandates.pdf.

[9] Dati RoarMap, http://roarmap.eprints.org/.

[10] La migrazione dei prodotti può avvenire utilizzando un software di gestione IR, è questo il caso di PORTO del Politecnico di Torino che ha implementato l'IR utilizzando EPrints (http://porto.polito.it/information.html), oppure creando l'IR come vista web di UGOV senza l'intermediazione di un software di IR. È questa la soluzione adottata dall'Università di Firenze con FLORE e dall'Università di Verona.


Un bersaglio mobile: l'evoluzione
dei profili degli information professional
alla luce dei nuovi scenari accademici

di Ellis Sada, Liliana Gregori, Paolo Sirito



Il contesto accademico

L'evoluzione delle biblioteche universitarie e di ricerca corre parallela a quella degli atenei di riferimento. Questi devono confrontarsi con scenari di elevata competizione, costruiti su due presupposti non sempre convergenti: l'efficacia, intesa come la capacità di creare innovazione e valore per la propria organizzazione e l'efficienza, cioè la capacità di operare al meglio, anche in presenza di vincoli di risorse.
È interessante notare come, negli ultimi anni, il tema dell'efficienza sia diventato predominante, soprattutto per quanto riguarda le attività svolte sul campo (in gran parte di natura progettuale). Da questo punto di vista l'apporto dell'ICT (Information & Communication Technology), intesa come "grappolo" di tecnologie abilitanti del cambiamento, è stato complessivamente modesto e comunque guidato soprattutto dai fornitori di prodotti / servizi; spesso si è trattato di innovazioni mutuate da altri contesti più ampi o semplicemente più "ricchi", come quello finanziario (basti pensare alle soluzioni per l'acquisizione o il trattamento delle immagini).
Questo trend, che è possibile fare risalire all'ultima vera innovazione genuinamente biblioteconomica, ovvero gli OPAC su Internet, deve essere invertito o quanto meno corretto, a favore di una rinnovata attenzione agli aspetti qualitativi delle attività pertinenti agli information professional (IP). È tuttavia una vera e propria corsa in salita, resa ancora più difficile da un fardello, che storicamente grava sulla figura del bibliotecario: la mancanza di un vero e proprio body of knowledge (BoK), come quello presente ormai in numerose professioni e sempre più alimentato da competenze trasversali, caratteristica non determinante in ambiti o settori industriali1.
Prioritario si rivela dunque l'investimento sistematico e strutturato nelle risorse umane, con una prospettiva strettamente funzionale, promuovendo cioè l'acquisizione di competenze mirate all'erogazione di servizi percepiti come di valore dall'utenza di riferimento. Su questo punto occorre essere chiari e pragmatici: in un momento di crisi come quello attuale, l'idea di costruire secondo un modello rigorosamente deduttivo - dal generale al particolare - i profili professionali per fare innovazione in biblioteca rischia di essere difficilmente sostenibile, sia dal punto di vista economico che organizzativo. A nostro avviso, un approccio di tipo induttivo, che prenda spunto dai bisogni concreti degli utenti e che sia finalizzato a soddisfarli studiando nuovi profili professionali o facendo evolvere quelli già in uso, costituisce una risposta concreta sia ai bisogni dei patrons di riferimento sia alle legittime aspettative di crescita professionale delle risorse umane coinvolte.

A questo scopo, la Biblioteca di Ateneo dell'Università Cattolica ha predisposto un osservatorio permanente del livello di servizio atteso dai propri utenti istituzionali, impegnato a tracciare i comportamenti, preconizzare i bisogni e predisporre interventi sinergici di revisione dei processi legati alle operatività di front-end e di back-end. Giovandosi dei report provenienti dai servizi di reference (1° e 2° livello) e da quelli effettuati a vario titolo in ambito di supporto alla ricerca (ad esempio il servizio di help-desk del repository di Ateneo), l'osservatorio, attivo dal settembre 2011, ha reso disponibile una mole di dati quantitativi (statistiche e tracking record), e qualitativi (interviste strutturate agli utenti e sondaggi somministrati attraverso il servizio di reference virtuale denominato "Chiedi@lbibliotecario")2.
La metodologia utilizzata richiama - in modalità semplificata - quella dello Scenario Planning, proposta in origine da Ringland3 e successivamente adottata anche da una recente indagine promossa dall'American Research Libraries Association4. Un primo risultato si è concretizzato effettuando uno studio su più aspetti:

Le biblioteche universitarie e di ricerca

Nella fattispecie, i principali driver di cambiamento riguardano:
- la gestione del ciclo di vita della ricerca, anche in funzione dei cambiamenti intervenuti, primo tra tutti la maggiore tempestività richiesta ai docenti/ricercatori in termini di rilascio di contenuti originali e - conseguentemente - anche di produttività;

Dal punto di vista organizzativo, l'osservatorio ha capitalizzato l'esperienza sul campo raccolta, nel corso degli ultimi tre anni, da parte del team impegnato nelle attività di reference.
Nel caso della Biblioteca d'ateneo dell'Università Cattolica del Sacro Cuore - sede di Milano - si tratta di una gamma completa di servizi eterogenei tra loro, ma che hanno in comune la finalità ultima: fornire supporto personalizzato agli utenti, utilizzando in primis gli strumenti in possesso della Biblioteca, ma con una prospettiva accademica complessiva, fungendo quindi da collegamento con le altre funzioni dell'Ente.
L'insieme dei servizi offerti sia in modalità sincrona (tramite incontri diretti e/o transazioni telefoniche), che asincrona (mediate il servizio via mail Chiedi@lbibliotecario) è riconducibile a tre macro tipologie:

Come cambia il modello di servizio: un'ipotesi
Il modello tradizionale

Uno studio recente, opportunamente corredato di dati, riferimenti e statistiche ha messo in luce alcuni aspetti del mutamento avvenuto nel ruolo del bibliotecario, in particolare del professionista dell'informazione, analizzando gli annunci di lavoro censiti dall'American Library Association's JobLIST e da altre fonti, in un periodo compreso tra gli anni '80 e la prima decade del 21° secolo. Lo scostamento progressivo dai compiti tradizionali (centrati sugli input di un processo comune a tutte le biblioteche: libri, documenti, risorse elettroniche) e un equivalente incremento nell'assunzione di nuove responsabilità di progettazione, istruzione e promozione dei servizi occupano percentuali importanti nelle richieste di assunzione5.

Il modello evolutivo

Nel contesto attuale, magmatico nelle tendenze e proteiforme nelle tecnologie, gli studiosi sono molto interessati a conoscere in quale dominio le competenze bibliografiche, le informazioni ricevute sui servizi, le istruzioni avute in merito alle risorse siano effettivamente applicabili, e in misura tale da caricare le proprie ricerche di un vantaggio competitivo.
I servizi bibliotecari accademici si orientano dunque ad evolversi all'insegna della flessibilità, della creatività e della proattività; il compito è sempre più focalizzato sugli output peculiari della filiera accademica e delle comunità di ricerca6.
La riflessione in merito in ambito statunitense sintetizza il cambiamento in atto con due espressioni significative: learning e discovery7. La sfida sarà dunque quella di immaginarsi funzioni di counseling che attraverso metodologie scientifiche realizzino nuovi punti di accesso alla conoscenza e alla sua divulgazione8.
Gli obiettivi verso i quali far convergere questo tentativo saranno le nuove pubblicazioni, i dataset di ricerca e i brevetti.

Gli effetti del nuovo concept sui profili degli information professional

Le dinamiche della produzione e della divulgazione della ricerca scientifica rendono sempre più dialettico, in ambiente accademico, il rapporto tra il lavoro delle facoltà e quello delle biblioteche, realizzando rivoluzionarie contiguità nell'ottica della gestione della conoscenza.
In tal senso, i professionisti dell'informazione si trovano ingaggiati su due fronti distinti e sinergici al tempo stesso: il ciclo passivo della conoscenza che perpetua una funzione di tutela attraverso il processo tradizionale di selezione, acquisizione, classificazione e distribuzione dei contenuti e un ciclo attivo all'interno del quale si pongono le premesse per una nuova produzione di conoscenza.
Una vasta gamma di collaborazioni - alcune già implementate per esigenze di servizio, altre previste all'interno di progetti per rivalutare il profilo di alcune strutture - sta configurando l'apporto che le biblioteche concretamente possono assicurare all'identità scientifica degli atenei.
Il contesto attuale richiede dunque alla biblioteca come organizzazione una tensione a percepirsi rilevante in termini di:

L'evoluzione dei profili professionali: aree di intervento

A partire da questo approccio ed in funzione degli strumenti a disposizione, di natura sia quantitativa (statistiche delle transazioni di reference) che qualitativa (interviste strutturate, svolte con le diverse tipologie di patrons) è stato possibile individuare le aree di intervento ritenute prioritarie in termini di risultati attesi. In effetti, quelli che seguono sono i cosiddetti "driver di valore" così come sono stati riportati dagli stessi utenti:

I profili emergenti:

A questo punto, è stato possibile tracciare una serie di profili emergenti di information professional. Per ognuno di essi è stata redatta una vera e propria scheda, analoga a quella comunemente utilizzata nel corso del processo di selezione e reclutamento delle risorse umane.
Dopo una breve introduzione metodologica, la struttura dei profili riprende e sintetizza una serie di parametri tipo:

Scholarly communication librarian

Il profilo è strategico per il suo potenziale osmotico, cioè per l'orientamento a creare condizioni di permeabilità dei contenuti attraverso l'individuazione di modelli e soluzioni applicative.
Si tratta di un profilo articolato e complesso, sia in termini di hard skills, che prevedono una conoscenza approfondita degli strumenti disponibili (soprattutto, ma non solo le banche dati citazionali), sia di soft skills (in primo luogo, capacità relazionale e riconosciuta autorevolezza professionale) per potere trattare alla pari un argomento così delicato e spesso critico per i docenti / ricercatori.
Per questo motivo, è stato deciso di investire in termini strutturali su questo profilo, individuando un piccolo team di risorse già in possesso di almeno una parte delle competenze richieste, promuovendone l'attività in team e favorendo quindi la trasmissione del know how in modo tacito, oltre che esplicito (secondo la nota bipartizione). A partire dal gruppo di supporto al repository di Ateneo, è stato creato un pool di risorse in grado affrontare anche temi più ampi, che hanno come comune denominatore il supporto alla comunicazione scientifica.

Finalità

Competenze / Professionalità / Conoscenze

Principali attività


[Benchmark: Washington State University; University of Florida; North Carolina State University; Syracuse University (NY)]

Copyright & licensing librarian

Contribuendo alla promozione della conoscenza della normativa e delle tematiche in materia di protezione dei dati e dei contenuti, svolge un'importante funzione di sensibilizzazione alla conformità in materia di identità e proprietà intellettuale.
Le competenze già presenti in biblioteca e derivanti da conoscenze ed esperienze maturate nello svolgimento delle attività di reference in ambito giuridico sono state convogliate verso un unico set informativo che ha messo a frutto anche il patrimonio di metodologie e conoscenze provenienti dalle attività di formazione ad utenze selezionate. Ciò ha creato le condizioni per tutelare la proprietà intellettuale degli studiosi sia come autori sia come fruitori di contenuti (ad esempio: evitare i rischi del plagiarismo).

Finalità

Competenze / Professionalità / Conoscenze

Principali attività


[Benchmark: Stanford University; University of Minnesota; University of Regina; Rutgers State University; University of Illinois]

Data Librarian

Dedicato ai progetti collaborativi di ateneo e tra atenei, riguardanti training di data literacy per studenti, docenti e staff, questo professionista - le cui competenze sono mutuate in gran parte dal dominio tecnologico - si adopera per implementare infrastrutture di condivisione e riutilizzo di dati per la ricerca, mantenendo aggiornati i servizi di consulenza delle biblioteche di ricerca e contribuendo alla progettazione di nuovi servizi a supporto delle politiche dell'università sulla gestione e divulgazione dei dati.

Finalità

Competenze / Professionalità / Conoscenze

Principali attività


[Benchmark: University of Applied Sciences (Potsdam, Germania); University of Iowa; Karlsurhe Universität; Edinburgh University; Oxford University]

Semantic librarian

Potendo mettere a frutto un set di competenze trasversali (linguistiche, culturali e tecnologiche), questo profilo professionale è valorizzato dall'appartenenza ad un team dedicato a sviluppare e formalizzare soluzioni per la gestione della conoscenza, a servizio della mission delle varie comunità epistemiche.
Nel nostro contesto, si è trattato di fare un upgrade della posizione del subject librarian, equipaggiandola sul versante tecnico/informatico e configurandola come punto di raccordo tra le istanze del dominio disciplinare e il complesso delle risorse (informative e tecnologiche) a disposizione per la ricerca.

Finalità

Competenze / Professionalità / Conoscenze

Principali attività


[Benchmark University of Applied Sciences (Potsdam, Germania); University of Iowa; Karlsurhe Universität]

NOTE

[1] Un esempio tra tutti: il Project Management BoK «Project management is and will remain an important aspect of library management is supported not only by the increasing body of literature concerning project management in libraries, but also by the training and continuing education sessions offered by library professional associations [...] Clearly, the visionaries of the profession have noticed the growing importance of project management and are taking steps to help make librarians better project managers [...] The results of this research have implications for library science graduate students, library administrators, and practicing librarians», J. Kinkus, Project Management Skills: A Literature Review and Content Analysis of Librarian Position Announcements, «College & Research Libraries», 68/4, July 2007, p. 357-358.

[2] Sulle linee guida e best practices di questo servizio, attivato nel 2008 presso la sede di Milano e attualmente erogato anche nelle sedi di Brescia e Piacenza, si veda il contributo: Liliana Gregori, Paolo Senna, Searching the Library. Riflessioni sul servizio di Reference dall'osservatorio Ask-@ dell'Università Cattolica, «Biblioteche Oggi», 9 (2009), p. 21-29.

[3] Gill Ringland, Scenario Planning. Managing for the future, Chichester: Wiley & Sons, 1998.

[4] The ARL 2030 Scenarios. A User's Guide for Research Libraries, October 2010, http://www.arl.org/ bm~doc/arl-2030-scenarios-users-guide.pdf.

[5] Robert Detmering - Claudene Sproles, Forget the desk job: current roles and responsibilities in entry-level reference job advertisements, «College & Research Libraries news», 73 (2012) n. 6, p. 543-555.

[6] David W. Lewis, Academic library staffing a decade from now in The expert library. Staffing, sustaining and advancing the academic library in the 21st century, edited by Scott Walter and Karen Williams, Chicago: American Library Association, 2010, p. 1-29.

[7] Steven Bell - John Shank, The blended librarian: a blueprint for redefining the teaching and learning role of Academic librarian, «College & Research Libraries news», 65 (2004) n. 7, p. 372-375.

[8] «Librarians must be able to convert the general feelings of goodwill towards the library to effective communication to all stakeholders that clearly articulate its value to the academic community», ACRL Research Planning and Review Committee, 2012 top ten trends in academic libraries. A review of the trends and issues affecting academic libraries in higher education, «College & Research Libraries news», 73 (2012) n. 6, p. 311-320.