Recensioni e segnalazioni


Marco Santoro. Lezioni di Bibliografia, con la collaborazione di Gianfranco Crupi. Milano: Bibliografica, 2012. 293 p. (Bibliografia e Biblioteconomia; 104). ISBN 978-88-70757-22-4 EUR 28,00.

Nel 2006, per i tipi della Bibliografica, appariva Avviamento alla Bibliografia, a firma di Marco Santoro e Antonella Orlandi, valido e stimolante supporto all'insegnamento universitario della disciplina, che corroborava la trattazione con il contrappunto costituito dall'oculato inserimento di brani strategici, estratti dagli apparati paratestuali di alcuni dei titoli più significativi presi in esame. Sei anni dopo, presso la medesima casa editrice, lo stesso Santoro - studioso troppo noto perché si renda necessario riassumerne qui la biografia intellettuale - questa volta coadiuvato da Gianfranco Crupi, italianista e stimato esperto in informatica umanistica, licenzia le Lezioni di Bibliografia, un nuovo manuale, dedicato, sia detto per inciso, alla memoria di Antonella, nel frattempo prematuramente scomparsa. Si tratta di un testo agile e scorrevole - sussidio didattico nonché testo di letteratura professionale -, articolato in cinque sezioni (L'universo documentario, p. 21-79; La ricerca bibliografica, p. 83-159; La prassi bibliografica, p. 163-191; L'informazione bibliografica nel tempo, p. 195-239; Nuove forme dell'informazione bibliografica, p. 243-286), ciascuna delle quali coniuga al suo interno rigore espositivo e sapiente leggerezza, e opportunamente corredato da indici (p. 287-293).

A partire dai concetti fondamentali - e in realtà tutt'altro che scontati - di documento, di informazione, di libro, di biblioteca, di catalogo, viene ripercorsa la fitta trama di contributi che nel merito hanno a lungo indagato, fino agli approdi recenti e recentissimi. Contenuto, forma e supporto, dal manoscritto pergamenaceo all'incunabolo, alle stampe di antico regime, agli esiti dell'editoria moderna, all'e-book e dintorni, vengono analizzati nel loro reciproco (sia pure asimmetrico) rapporto, marcato dal costante divenire degli orizzonti della comunicazione, dei mezzi di produzione, delle dimensioni e dell'identità di un pubblico di lettori, attraverso i secoli sempre più numeroso ed eterogeneo sotto ogni profilo. Dall'ordito dei presupposti disseminati lungo questa sorta di vestibolo epistemologico prendono a emergere le ragioni genetiche e le finalità di una methodus elenchandi nonché describendi e individuandi, che consolida nel tempo le sue radici, i suoi criteri, i suoi obiettivi. Per nulla ignoto all'antichità e al Medio Evo, si connota in senso forte nei decenni immediatamente successivi all'invenzione gutenberghiana, veicolando per molti versi l'energica reazione all'impatto col mare magnum di prodotti quotidianamente sfornati dal maraviglioso procedimento dei torchi tipografici. Per orientare, per coagulare, per selezionare, per proibire, rappresentando di volta in volta il filo rosso che accompagna nel labirinto e che ne garantisce autorevolmente l'uscita. Biblioteche u-topiche, senza perimetro e senza scaffali, racchiuse nello spazio cartaceo di un solo volume (tutt'al più suddiviso in vari tomi) si moltiplicano in tutta Europa, seguendo di volta in volta i dettami di una differente, più particolareggiata e circoscritta finalità. Edificato a più livelli, dove la quantità di tessere pazientemente reperite perviene a comporsi in solido e convincente sistema relazionale.

Queste pagine ne ripercorrono la parabola, dalla titanica universalitas gesneriana alla segmentazione geografica, cronologica, tematica, che avrà modo di dipanarsi dal secondo Cinquecento in poi, fino agli ultimi decenni del secolo scorso ed oltre. Retrospettive e correnti, primarie e secondarie, più o meno analitiche, locali, nazionali e internazionali. Sempre auspicabilmente esaustive, e sempre in affanno quanto alla effettiva completezza dei dati nonché a omogeneità e coerenza dei parametri adottati. Una sfida sempre nuova a caos e dispersione, destinata a concretizzarsi puntualmente in una operazione astratta, per sua natura percorsa da un'intima tensione virtuale. Particolarmente felice, dunque, il connubio tra discipline bibliografiche e nuove tecnologie, i cui esiti fecondi vengono incrementati secondo un ritmo pressoché quotidiano, in Italia e nel resto del mondo. Il manuale Santoro-Crupi prende ad esaminare, sia in chiave tipologica che metodologica, le innumerevoli risorse disponibili in rete già a partire dal sesto capitolo, fino al diciottesimo (quello conclusivo), esclusivamente incentrato su banche dati, archivi aperti, biblioteche digitali e metadati.
Sottesa all'intero discorso è la guida alla ricerca - tanto alla consultazione del cartaceo quanto all'interrogazione on line -, in ogni sua fase e per ogni grado di approfondimento, consapevolmente calata nella trama pressoché illimitata dei percorsi possibili, esplorata alla luce di una tutt'altro che marginale imprevedibilità (e/o serendipità, comunque nel segno di Proteo): nell'illustrare le logiche di selezione e di ordinamento generale, vengono qui contestualmente chiariti elementi e funzioni per la lettura univoca di ciascuna notitia librorum, nella sua irriducibile singolarità. Alla fisionomia della citazione tout court si affianca poi quella segnalazione, della promozione e della valutazione del prodotto editoriale, in sede critica come in sede bibliometrica - impact factor compreso - volta a raggiungere, quest'ultima, l'assoluta oggettività del giudizio, a tutti i costi.

Un corso di lezioni decisamente completo, quindi, ben impostato e accuratamente aggiornato fin nelle pieghe di un vasto e denso orizzonte disciplinare, ricco di implicazioni, di spunti, di valenze dalla estensione assai più ampia. Ma non è ancora tutto. Prima di concludere, vorrei sollevare l'attenzione su un altro aspetto del volume, che mi sembra costituirne un ulteriore pregio, e non da poco. La sequenza di argomentazioni cui si è fatto sin qui cenno si distende in capitoli e paragrafi non, come di consueto, soltanto in base a meri criteri storici, teoretici e logici, ma si apre spesso lungo il fluire del discorso a una nutrita serie di apparenti digressioni, in realtà approfondimenti e variazioni sul tema: al lettore non si presentano nella fattispecie di aggiunte parentetiche, appendici o note a piè di pagina; suscitano piuttosto l'impressione di link di cui è solitamente disseminato l'ipertesto, link cartacei posti in rilievo dal contrasto cromatico, nell'economia della medesima pagina. Un implicito invito ad approcci trasversali, ad una autentica navigazione lungo le rotte del libro che validamente affianca la sistematicità rettilinea e uniforme dello studio tradizionale. Per un pubblico di giovani fruitori, per i quali ormai cliccare è gesto più familiare, quotidiano e istintivo che sfogliare, il contatto si rivela più agevole ed immediato, sul filo di una sorta di riconoscimento, di assonanza, nel vivo dello spazio nevralgico che presiede alle forme della percezione. Così, al messaggio verbale della scrittura si aggiunge quello subliminale di una mise en page rassicurante e stimolante al tempo stesso, di un impatto più incisivo proprio perché più friendly, che va ben oltre il pur abile espediente grafico. Chi scrive ha già avuto modo di costatarne, nello scorso semestre, le ricadute positive sull'apprendimento degli studenti, sul versante contenutistico e su quello non certo meno rilevante della Gestaltpsychologie.

Paola Zito
Seconda Università di Napoli


Chiara Faggiolani. La ricerca qualitativa per le biblioteche: verso la biblioteconomia sociale. Milano: Editrice Bibliografica, 2012. 252 p. (Bibliografia e biblioteconomia; 103). ISBN 978-88-7075-721-7. EUR 26,00.

Questa monografia è importante («un momento di svolta per la riflessione scientifica italiana sulle biblioteche», scrive Giovanni Solimine nella sua prefazione): pone questioni cruciali, alle quali il dibattito biblioteconomico italiano non dovrà sottrarsi; disegna lucidamente le linee di frattura che allontanano la biblioteca pubblica (ma l'accezione è decisamente ampia) dallo spirito e dalla domanda dei tempi; schiude prospettive di metodo e pratica valutativa avanzate e in buona misura inedite per il nostro settore. Gli elementi di continuità e discontinuità con i filoni frequentati e le sensibilità espresse dagli studi e dalle applicazioni biblioteconomiche degli ultimi venti/trent'anni, specialmente in materia di valutazione, sono proposti in maniera articolata, rigorosa e persuasiva. In questa sede è il caso di soffermarsi soprattutto sulle criticità, su ciò che a parere dell'autrice non funziona più, o non abbastanza, perché da qui si dipanano poi le sue argomentazioni a favore della ricerca qualitativa come irrinunciabile risorsa di metodo e opportunità disponibile per chi voglia allargare i confini della disciplina e rafforzare la capacità di analisi e iniziativa delle biblioteche.

Il maggior punto di sofferenza sta, per la Faggiolani, nello iato che separa una riflessione teorica attenta alla dimensione macro dei fenomeni (la domanda di qualità, il confronto sul futuro delle biblioteche ecc.) da un'inadeguata «strategia di comprensione rispetto ai fenomeni in atto» (p. 13) a livello micro, causata dall'andamento saltuario delle indagini empiriche e dalla carenza di «strumenti utili a supportare la riflessione con importanti evidenze» (p. 105). In discussione è la necessità di un collante metodologico in grado di tenere insieme analisi delle specificità (le motivazioni, le percezioni, i comportamenti di utenti e non utenti ecc.) e analisi ambientale (gli scenari del cambiamento, i modelli di consumo, le comunità territoriali e quelle "trasversali" e così via). Gli elementi di scenario richiamati nel libro rimandano sinteticamente ma puntualmente alla complessità post-moderna e alla società liquida, segnate da ribaltamenti valoriali, dal declino dei paradigmi razionali, dalle tecnologie globali, dall'affermarsi di nuove e pervasive forme di consumo.

Queste ultime recano il segno della transitorietà e del nomadismo, sono dettate anche da emozioni e sentimenti, infine palesano una spiccata componente esperienziale (una "sfera di senso", in cui cresce il primato dei desideri sui bisogni) e una relazionale (che evidenzia l'influsso della condivisione sociale di passioni e stili di vita sulle scelte individuali). Colui che frequenta o che non frequenta la biblioteca, sottolinea l'autrice, è il medesimo "individuo sociale" di cui si occupano oggi, nella sua interezza e complessità, le discipline organizzative. L'utente vive infatti la biblioteca come uno dei luoghi in cui compie le sue esperienze di vita, con essa ha un rapporto personale ma anche condizionato dalle scelte degli altri, la giudica sia in termini di costo/beneficio sia in termini affettivi: «In questa logica, in biblioteca, non è soltanto la fruizione del servizio che genera valore ma più spesso la stessa modalità di fruizione e il piacere generato dalla rappresentazione del servizio, il senso di identificazione e di appartenenza che si crea con l'istituzione: ovvero la situazione più che il servizio diventa un elemento di valore» (p. 27).

La Faggiolani posiziona il suo discorso critico dentro questa cornice e lo articola su due livelli: a) la biblioteconomia e la sua tenuta metodologica e interpretativa; b) la biblioteca e le sue attività analitiche e valutative. Sul versante disciplinare auspica, energicamente, un ampliamento della domanda di conoscenza e del bagaglio metodologico nella direzione indicata dalle scienze sociali, al fine di colmare il "deficit di profondità" che prima impedisce di comprendere la natura dei nuovi fenomeni e «le logiche sottese alle azioni di consumo» (p. 179), poi di «accettare l'idea che la biblioteca sia anche una forma si aggregazione sociale [...] plasmata dagli utenti, dai loro comportamenti e dal loro nuovo modo di aggregarsi» (ibidem), quindi di portare in superficie le percezioni profonde e i significati connessi alla frequentazione/non frequentazione della biblioteca stessa, al fine di capire quali sono i mutamenti in atto e quali effetti producono. Il percorso delineato qui conduce da una declinazione prevalentemente gestionale della biblioteconomia, che mette al centro del suo interesse di studio l'efficacia del servizio e la soddisfazione dell'utente, a una declinazione sociale e interpretativa, che privilegia il benessere dell'utente e l'impatto diretto o indiretto che la biblioteca sa o può generare. Il profilo è quello di «una disciplina che alla transazione antepone la relazione [...]. Una disciplina che oltre al concetto di soddisfazione dell'utente contempla anche [...] da una parte il benessere dell'individuo-utente [...] dall'altra l'impatto sociale della biblioteca nella sua comunità di riferimento. Una disciplina, infine, che prende in considerazione anche la dimensione simbolica, relazionale, sociale e umana del servizio, in sintonia con l'evoluzione dei valori socialmente condivisi» (p. 91).

La biblioteconomia sociale trova in questo libro una definizione convincente e materiali di ottima qualità per il proprio cantiere disciplinare, che certo di supporti metodologici extradisciplinari (a partire dalla ricerca qualitativa) ha sicuramente bisogno. Dal canto loro, la biblioteca e la professione dovrebbero rispondere con nuove strategie di ricerca e cicli valutativi a una domanda di qualità storicamente e socialmente connotata: per l'autrice, si tratta di abbandonare visioni autoreferenziali (come quella che porta a prendere in esame i soli bisogni informazionali dell'utenza e a trascurarne le esigenze relazionali e sociali), rinunciare a categorie obsolete (come quella, semplificatrice, di "utenza istituzionale"), ripensare modelli e schemi interpretativi (come il profilo di comunità e l'analisi dei bisogni, da aggiornare mediante criteri di segmentazione traversale dei pubblici, all'altezza dei processi e dei profili della post-modernità), imparare a «esaminare il fenomeno mentre accade» (p. 93), trasformare la gestione consapevole dei servizi in gestione responsabile della biblioteca, in grado di collocarla strategicamente nella realtà sociale e di contribuire alla crescita sostenibile del territorio e della comunità. Sono i tasselli di un'operatività sensibilmente rinnovata, che davvero molto può fare per garantire alle biblioteche pubbliche chances concrete di radicamento e legittimazione sociale.

Chiara Faggiolani ritiene che alla disciplina e all'azione valutativa delle biblioteche la ricerca qualitativa possa offrire notevoli risorse metodologiche, che consentirebbero di leggere meglio la complessità e non linearità del rapporto frequentazione/soddisfazione nonché le motivazioni di uso/non uso del servizio; di quest'ultimo, inoltre, permetterebbero anche di cogliere la dimensione quotidiana e psico-sociale e non solo quella cognitivo-razionale. Potrebbe cambiare, per le biblioteche, l'oggetto medesimo delle indagini: l'attenzione sarebbe focalizzata da un lato sull'individuo-utente e sul significato che egli attribuisce al servizio, dall'altro sul contesto nel quale comportamenti e percezioni si sviluppano dinamicamente. Se in un primo momento, negli anni Ottanta, il focus valutativo stava nelle misurazioni (dati strutturali, attività), e se dopo si sono affermate le indagini sulla qualità, sull'uso del servizio e sui livelli di soddisfazione, affidate per lo più a tecniche della ricerca quantitativa, per l'autrice è ora il tempo di una terza fase della valutazione, nella quale dovrebbero prevalere le indagini sugli utenti e sull'impatto, sorrette da approcci di metodo misti, insieme quantitativi e qualitativi, con un convinto uso dei secondi, fino a questo momento sottoutilizzati: «In sintesi, la terza fase [...] si distingue dalle precedenti in primo luogo per una forte consapevolezza rispetto alla necessità di includere [...] interrogativi meno autoreferenziali che [...] a livello micro si occupino di indagare il livello di benessere e il senso che la frequentazione della biblioteca assume nella vita delle persone, e a livello macro, approfondiscano la rispondenza dei valori di cui la biblioteca stessa è portatrice rispetto a quelli socialmente condivisi» (p. 52). Non si può non essere d'accordo: questa sollecitazione arriva al momento giusto, riuscendo a incrociare perfettamente, e in modo originale, altri luoghi e temi della recente elaborazione e pratica biblioteconomica (mi riferisco, va da sé, agli studi e ai progetti sulla valutazione d'impatto delle biblioteche).

La tesi di fondo del saggio è che, a fronte di un dominante ricorso alla ricerca quantitativa, nei processi valutativi delle biblioteche italiane sia indispensabile trovare un nuovo equilibrio metodologico, valorizzando maggiormente l'approccio qualitativo: «In biblioteca il rischio connesso all'utilizzo dei soli metodi quantitativi è, in un certo senso, la presa di distanza dalla realtà, dalla sfera quotidiana, dal contesto in cui la biblioteca si colloca e quindi dalla sua specificità e ricchezza, in cerca di una visione regolativa della stessa che voglia rendere conto di un'omogeneità e di un ordine che probabilmente non esistono e che però finiscono col rendere invisibili quei fenomeni sottostanti, che sono spesso determinanti nel rapporto biblioteca-utenti e che non possono essere ricondotti a generalizzazioni» (p. 222). Ovviamente, alcune pagine sono dedicate al confronto fra le due tipologie di ricerca, con l'intento dichiarato non di stabilire la preminenza dell'una sull'altra (anche se risultano fin troppo trasparenti le preferenze dell'autrice), ma di enuclearne le diverse caratteristiche, finalità, possibili applicazioni in biblioteca, esiti conoscitivi. La ricerca quantitativa - ricorda la Faggiolani - è strutturata, poggia su di un impianto teorico predefinito, si propone di verificare sul campo ipotesi già formulate, si sviluppa per fasi sequenziali, si avvale di «un metodo lineare, caratterizzato dall'uso della matrice di dati, basato su variabili, finalizzato alla generalizzazione dei risultati: un tipo [di] ricerca che si distingue per una comprensione sintetica dei fenomeni, per essere applicabile a grandi campioni e che vuole produrre come risultato la schematizzazione della realtà» (p. 54-55). La ricerca qualitativa, invece, è aperta, ha un movimento circolare e "riflessivo" e modifica se stessa strada facendo, perché rinuncia a formulare ipotesi teoriche a priori, ricuperandole induttivamente dal lavoro sul campo: «sono le informazioni raccolte nel corso dell'indagine empirica il punto di partenza per far emergere, nel corso della ricerca, i significati e i concetti che vi sono racchiusi» (p. 75-76).

A guidare il ricercatore sono la disponibilità ad accettare sviluppi imprevedibili e l'apertura verso i dati che man mano affiorano dall'interazione con i soggetti coinvolti, interazione favorita dalla disponibilità di tecniche relazionali di rilevazione, come le interviste qualitative e i focus group, più flessibili del tradizionale questionario e più ospitali nei confronti delle opinioni e della loro libera espressione. Sotto il profilo tecnico-operativo, la Faggiolani segnala molte differenze, che toccano appunto gli strumenti di rilevazione (strumentazione uniforme per la ricerca quantitativa, che punta all'omogeneità dei dati raccolti; eventuale impiego di più tecniche nella ricerca qualitativa, che si dà obiettivi di approfondimento e studio delle specificità), la natura e il formato dei dati raccolti (matrice di cifre nel caso della ricerca quantitativa; prevalenza di documenti, osservazioni e testi nella ricerca qualitativa), il campionamento (esteso, nel primo caso, perché rispondente alla necessità di considerare efficacemente la distribuzione delle variabili; circoscritto nel secondo, perché finalizzato alla comprensione profonda dei fenomeni), l'analisi dei dati (le tecniche di ricerca quantitativa si preoccupano di spiegare la relazione fra le variabili individuate; quelle qualitative prediligono una prospettiva di comprensione complessiva, olistica, dei soggetti studiati), la presentazione e comunicazione dei risultati (da una parte soprattutto tabelle e grafici; dall'altra brani di interviste e testi con un corredo di classificazioni).

L'autrice, saggiamente, guarda al reciproco aiuto e all'integrazione piuttosto che alla contrapposizione delle due metodologie. Questa, a mio parere, è senz'altro la strada da seguire, per compensare il deficit di profondità senza cedere nulla in termini di concettualizzazione, per coprire adeguatamente sia il livello locale della ricerca sia quello a più ampio spettro, per beneficiare sia dei vantaggi conversazionali sia dei dati più strutturati. Nell'immediato, e non a torto, la Faggiolani avverte però l'esigenza di "lanciare" l'approccio qualitativo nel mondo delle biblioteche, esaltarne le potenzialità, suggerirne destinazioni non meramente ancillari rispetto alla pratica valutativa corrente, segnalarne i vantaggi: «la sua capacità di sviscerare e approfondire fenomeni nuovi; la sua capacità di tenere in considerazione il contesto di riferimento e di mettere l'utente al centro della ricerca, per renderlo il fine che indirizza le azioni in biblioteca e al contempo il mezzo della conoscenza, in quanto parte integrante del sistema e agente protagonista di una realtà socialmente costruita e non oggettivamente data» (p. 58). Non sono peraltro taciuti alcuni limiti d'uso, per esempio derivanti dalla ragguardevole necessità di tempo e concentrazione da dedicare alle indagini.

Il metodo qualitativo più diffuso, la Grounded Theory, è trattato nel terzo e nel quarto capitolo del volume, i quali ne ricostruiscono collocazione e fortuna nel dibattito scientifico, ne mostrano le caratteristiche salienti (una metodologia induttiva, contestuale-situazionale, dinamico-processuale), ne descrivono le modalità di applicazione (comparazione costante, ricorsività, campionamento teorico, concettualizzazione, presenza di memo e diagrammi), ne illustrano le tecniche di raccolta dati (l'intervista discorsiva e il focus group) e di analisi e codifica dei dati stessi (con specifico riferimento all'analisi computer-assistita), per richiamarne la validità in «tutti quei campi in cui alla ricerca si chiedono indicazioni operative e una direzione per il cambiamento» (p. 132). E il cambiamento in questione, spiega la Faggiolani, non investe soltanto l'offerta e la fruizione dei servizi: il metodo qualitativo, spostando «l'attenzione dal mezzo al fine» (p. 214), può determinare un maggior coinvolgimento di tutti gli interlocutori della biblioteca verso gli outcomes e i progetti di miglioramento sociale. È un passaggio di grande rilievo, perché subordina metodo e opzioni tecniche a una finalità di livello più alto: per un verso, la biblioteca è permeata, in parte guidata, dal cambiamento; per un altro verso, e dentro una trama fitta di relazioni, deve farsi a sua volta occasione e leva di cambiamenti nella vita e nella consapevolezza delle persone e dei contesti sociali in cui esse agiscono.

Forse un punto su cui tornare, in qualche modo introdotto dal libro stesso (si veda, per esempio, la figura 5.3 a p. 215), riguarda il rapporto tra il dominio valoriale e comportamentale dei consumi e il ruolo non passivo, di rispecchiamento, delle biblioteche pubbliche, giacché l'orizzonte della biblioteca "sociale" può accogliere esperienze, motivazioni e relazioni situabili altrove, in uno spazio di senso e di conoscenza (quindi potenzialmente critico) che valorizza altre forme di protagonismo intellettuale, culturale e civile delle persone e altre forme, "disinteressate", di aggregazione, inclusione e scambio.
Il lavoro di Chiara Faggiolani può vantare, tra gli altri, il merito di porre molte domande e di fornirci al tempo stesso una bussola funzionante per il cammino. Dopodiché, ha dalla sua non solo respiro, chiarezza d'intenti e forza espositiva: si fa apprezzare anche per la conoscenza delle fonti pertinenti e la consistenza dei riferimenti bibliografici. L'ottica prescelta è inevitabilmente ma efficacemente interdisciplinare: senza dubbio un'ottica feconda, che annuncia seguiti assai promettenti.

Giovanni Di Domenico
Università di Salerno


Istorija bibliotek: Issledovanija, materialy, dokumenty: Vypusk 9. Sankt-Peterburg: Rossijskaja nacional'naja biblioteka, 2012, 304 p. ISBN 978-5-8192-0426-9. Rubli 421.

Storia delle biblioteche: ricerche, materiali, documenti è il titolo di questa serie, giunta al suo nono volume, pubblicata dalla Biblioteca nazionale russa di San Pietroburgo. Nel solco di una tradizione che già in epoca sovietica aveva visto svilupparsi in maniera molto significativa l'editoria di carattere scientifico prodotta dalle biblioteche, questa raccolta di studi, come le precedenti, raccoglie materiali relativi alla storia delle biblioteche sia russe sia straniere.
In particolare in questo volume che propone anche gli atti della conferenza Storia delle biblioteche attraverso il secolo, svoltosi nel 2008, gli articoli sono suddivisi in diverse sezioni: storia delle biblioteche russe; storia delle biblioteche di San Pietroburgo; raccolte librarie di bibliografi e problemi legati al loro studio; storia delle biblioteche straniere; storia della Biblioteca nazionale russa.
Da segnalare nella terza sezione gli articoli di Nadežda G. Derkaè sugli ex-libris della collezione Stroganov e di Sergej Kuznencov sull'importanza della biblioteca di Sergej Stroganov (1794-1882) nell'ambito della storia delle raccolte librarie costituite da mecenati e collezionisti, non fosse altro perché Gregorij Stroganov (1829-1910), uno dei membri di questa ricca famiglia di mercanti, visse a Roma e nella sua casa in via Sistina ebbe modo di creare una ricca biblioteca, che si affiancava alla sua importantissima collezione di opere d'arte e oggetti preziosi.

L'ultima sezione ospita un'interessante ricostruzione della storia della catalogazione dei fondi della Biblioteca nazionale russa relativa alla creazione e allo sviluppo dei cataloghi del diversi fondi nella prima metà dell'Ottocento.
Il volume si rivolge in particolare agli studiosi del settore e a quanti operano nelle biblioteche con un occhio attento alla ricostruzione della storia delle raccolte librarie. Ma questi contributi e, più generale, volumi miscellanei come questo, pur nella possibile disparità di livello dei diversi articoli ospitati, dovrebbero suscitare anche l'interesse degli storici e di quanti si occupino di storia della cultura. Non vi può essere dubbio che i temi affrontati in questi scritti varchino le pareti delle singole biblioteche o raccolte analizzate e consentano di ricostruire l'atmosfera o l'ambiente in cui si sono determinati alcuni eventi storici. In questo senso va sottolineato lo sforzo notevole di documentazione che viene compiuto nelle biblioteche russe per indagare sulle raccolte librarie in loro possesso e su quei dati storici e culturali che ne hanno connotato la formazione. Proprio la variegata realtà russa conferma la necessità di questi studi che per altro forniscono un'ulteriore testimonianza dell'intricato evolversi della Russia nel corso dei secoli.

Gabriele Mazzitelli
Università di Roma "Tor Vergata", Biblioteca Area biomedica


Archivi di persona del Novecento: guida alla sopravvivenza di autori, documenti e addetti ai lavori, a cura di Francesca Ghersetti e Loretta Paro. Treviso: Fondazione Benetton Studi Ricerche; Fondazione Giuseppe Mazzotti per la civiltà veneta: Antiga Edizioni, 2012. 203 p.: ill. ISBN 978-88-88997-84-1. EUR18,00.

La consultabilità degli archivi privati è regolata dalla fondamentale legge sulla disciplina archivista del 1963, che fissava a settant'anni dall'emanazione degli atti il divieto di utilizzo, a qualsiasi scopo, per tutelare la riservatezza delle persone. Pur avendo avuto nel tempo modifiche e adattamenti di varia natura, anche in rapporto all'introduzione delle tecnologie informatiche questa normativa rimane tuttora in vigore e appare sostanzialmente valida ancora, come spiega Paola Carucci in uno dei contributi più qualificanti il volume, Consultabilità dei documenti e tutela della privacy (p. 51-75). Sotto una più specifica angolatura giuridica il tema della conservazione delle carte ma anche quello della tutela del soggetto produttore è sviluppato da Silvia Stabile, Archivi di persona: appunti in tema di diritti d'autore (p. 77-94) che sottolinea l'opportunità di salvaguardare il ritratto delle persone produttrici di archivi anche per evitare, ad esempio, possibili danni patrimoniali.
Ad alcune delle principali novità, rispetto alla normativa del 1963, di conservazione e di uso del materiale archivistico collegato a singoli soggetti si riferisce Leonardo Musci, Archivi del Novecento: una rete attiva (p. 177-184), che spiega la necessità di una stretta connessione tra le fonti documentarie, realizzata attraverso collegamenti e scambi di dati grazie anche all'espansione dell'attività archivistica a livello privato e indipendentemente dalle strutture statuali alle quali è mancato più di un ricambio generazionale.

La diversa tipologia degli archivi di persone e, di conseguenza, dei differenti criteri di conservazione e fruizione è oggetto del saggio di Caterina Del Vivo, Accostarsi a un archivio di persona: ordinamento e condizionamento (p. 15-38) fondato sulla ricchezza di carte personali conservate presso il Gabinetto Vieusseux di Firenze e lì arrivate spesso in stato confuso e disordinato per il quale è stato necessario intervenire diversificando modalità e condizionamenti, ad esempio per sistemare autografi, corrispondenza, documenti personali, fotografie. Anche in considerazione della simultanea presenza e coesistenza, in non pochi casi, di archivi e biblioteche, come dimostra Anna Manfron, Biblioteca e archivio di persona: da fondo speciale a complesso documentario (p. 39-49), per la quale la biblioteca di un autore deve essere intesa come parte del suo archivio personale per mantenere l'unitarietà dei settori di studio e di lavoro. Lo dimostra anche il saggio di Raffaella Gobbo e Claudia Piergigli, Un esempio di soggetto conservatore: Apice (p. 143-163) che spiega l'organizzazione e il funzionamento degli Archivi della Parola, dell'Immagine e della Comunicazione Editoriale (Apice) attivo presso l'Università di Milano dal 2002, e che affronta le varie problematiche legate alla conservazione di materiali assai eterogenei, da libri antichi a ex libris, da fumetti a fotografie, da documenti di imprese a oggetti di varia natura che rispondono alle differenti professionalità dei singoli autori, ad esempio scrittori (Antonio Porta, Gabriele Mucchi), editori (Sonzogno, Bompiani, Ricciardi, Scheiwiller, Cederna, Pirola).

Si pone su questa linea anche il saggio di Paola Mita, L'inventario di un fondo complesso: carte e libri di Giuseppe Scarabelli (p. 115-125) che prende in esame la situazione delle carte e dei libri di Giuseppe Scarabelli (1820-1905), geologo e archeologo, membro dell'Accademia dei Lincei, primo sindaco di Imola dopo l'Unità d'Italia e senatore del Regno. Ciò vale anche per l'archivio e la biblioteca di Luigi Einaudi (1874-1961), professore nell'Università di Torino, governatore della Banca d'Italia, ministro, Presidente della Repubblica, appassionato bibliofilo, raccoglitore di documenti e di libri come spiega Roberto Einaudi, Dall'archivio all'esposizione: l'esempio della mostra "L'eredità di Luigi Einaudi" (p. 127-142) che illustra anche i criteri attuati nell'organizzazione della mostra tenutasi a Roma, nel palazzo del Quirinale, nel maggio 2008.
Il rapporto fra gli archivi di persona e il territorio in cui il soggetto produttore ha operato è rappresentato, in una sintetica esemplificazione basata sulla provincia di Treviso - la città in cui sono attive le Fondazioni Benetton e Mazzotti che hanno dato vita ai seminari all'origine del volume, come è spiegato dalla Prefazione di Luca Baldin e Marco Tamaro, direttori delle due Fondazioni (p. 7-8) - svolta da Francesca Ghersetti e Loretta Paro, autrici anche dell'Introduzione (p. 9-13), Gli archivi di persona come fonti per la storia del territorio: progetto pilota per un censimento nel Veneto (p. 185-187) che, oltre alla definizione di una tipologia dei possibili soggetti produttori, mette in risalto la possibilità dell'esistenza di fondi archivistici presenti presso privati non ancora conosciuti. Una situazione, per altro, in movimento e che non può non avere l'obiettivo primario della salvaguardia del materiale documentario, con adeguati strumenti anche legislativi nazionali e locali su cui insiste il contributo di Andreina Rigon, La Regione del Veneto per gli archivi di persona (p. 95-98). La necessità di creare una coscienza attiva nella conservazione degli archivi privati e nella valorizzazione del materiale è l'oggetto del contributo di Luigi Contegiamo, Didattica in archivio (p. 99-113), che dà conto dell'esperienza e del lavoro attuato da decenni presso l'Archivio di Stato di Rovigo volto a favorire, attraverso i più diversi filoni di ricerca, lo studio e l'interpretazione dei documenti.

Anche i luoghi dove i documenti si sono prodotti e talora conservati, insieme a oggetti originali, devono essere tutelati. Su tale specifico aspetto interviene Diana Toccafondi, Case della memoria, un'esperienza di rete (p. 165-175) che, partendo dall'esempio dell'abitazione a Prato dove visse il mercante trecentesco Francesco Datini, poi sede dell'Archivio di Stato, insiste sul legame prezioso fra cimeli e singoli oggetti con carte e archivi; per un'adeguata sensibilizzazione e valorizzazione è stata costituita a Firenze nel 2005 l'Associazione Case della memoria.
Appaiono evidenti anche da questa rapida presentazione l'importanza e l'interesse per gli argomenti trattati nel volume che dà un aiuto prezioso per l'approfondimento delle diverse problematiche legate alla tutela, alla conservazione e alla fruizione degli archivi di persone: argomenti, tutti, su cui si possono fare ulteriori considerazioni. Ad iniziare dal riconoscimento che in alcune Regioni italiane - nei vari interventi si è fatto riferimento specifico al Veneto, alla Toscana, al Piemonte, alla Lombardia, all'Emilia Romagna - esiste, e non da ora, una più sviluppata sensibilità e attenzione per la salvaguardia del materiale documentario che non sia solo quello conservato negli Archivi di Stato. Particolarmente fondante a tale proposito appare senza dubbio l'esempio offerto da mezzi di corredo come la Guida agli Archivi delle personalità della cultura in Toscana tra '800 e '900 (L'area fiorentina, a cura di E. Capannelli e E. Insabato, Firenze: Olschki, 1996, e L'area pisana, a cura di E. Capannelli e E. Insabato, Coordinamento di P. R. Coppini, Firenze: Olschki, 2000), la cui realizzazione si deve all'iniziativa promossa fin dal 1984 dall'Accademia Toscana di Scienze e Lettere La Colombaria in accordo con la Sovrintendenza Archivistica per la Toscana e la Regione Toscana.

Non ovunque, purtroppo, si deve registrare simile atteggiamento che ha sempre determinato e prodotto anche interventi operativi idonei proprio per assicurare il mantenimento di un patrimonio culturale che si sta rivelando sempre più ricco. È indispensabile anche nelle Regioni dell'Italia meridionale procedere con maggiore energia in questa direzione volta a recuperare la memoria collettiva legata all'operosità di personalità attive nei più diversi settori intellettuali, politici e sociali. A livello regionale si potrebbe, di conseguenza, avviare un più marcato impegno per il censimento di archivi (e biblioteche) di privati: in primo luogo per garantirne l'integrità e la sopravvivenza e in secondo luogo per recuperarne e valorizzarne la fruizione come fonti - del tutto fondamentali e irrinunciabili - aggiuntive a quelle istituzionali.
Su tale aspetto, comunque, va fatta una precisazione in rapporto alla presa d'atto, ormai irreversibile, di un ampliamento, con gli archivi di persone, delle fonti documentarie disponibili d'origine statale. L'aumento dell'interesse e dell'incidenza della documentazione per così dire privata non è il risultato di «un programmato processo di retrocessione del peso dello Stato nella società italiana», come appare a Leonardo Musci, per il quale «le carte statali/pubbliche non sono state più lo specchio (più o meno fedele, più o meno distorto) nel quale leggere le dinamiche della società italiana e le vicende dei singoli al suo interno» (p. 179). Si tratta, piuttosto, dell'ampliamento della base civile e sociale su cui si è fondata la politica, la cultura, l'attività in generale della società non solo italiana che ha determinato una crescente partecipazione dei cittadini alla vita e alla conduzione dello Stato in tutte le sue più diverse manifestazioni. I documenti prodotti dallo Stato sono e restano insostituibili per la ricostruzione, la comprensione, la trasmissione dei fatti e delle scelte operate: gli atti riguardanti l'Unità d'Italia sono autonomi e storicamente autosufficienti (per così dire), ad esempio, dalla sopravvivenza o meno delle carte o delle lettere di Camillo Benso di Cavour, così come quelli relativi alla ricostruzione successiva alla Seconda guerra mondiale rispetto agli archivi di Alcide De Gasperi o di Luigi Einaudi. Questi archivi di fatto non possono non essere considerati "impropri" secondo una definizione, che continua ad avere la sua validità, di Antonio Romiti che da tempo ne individuò caratteristiche e vincoli anche in rapporto agli archivi propriamente detti e come tali conservati e organizzati.

Indubbia è invece la convinzione che il recupero degli archivi di persona - da auspicare anche la loro riunione e conservazione - in istituti e in fondazioni specifiche (validissimi in tal senso i riferimenti discussi nei vari studi: Gabinetto Vieusseux, Fondazione Einaudi, Apice, divenute sedi di eccellenza per queste raccolte), ma anche e soprattutto in Archivi di Stato e in Biblioteche come garanzia di una continuità che lo Stato, al di là delle difficoltà che andrebbero comunque superate, può offrire più che enti privati.
Anche negli archivi di persona, dunque, si ritrova e si ricostruisce la storia nazionale, che è possibile definire attraverso testimonianze importanti, per certi versi fondamentali. Gli archivi di personalità politiche, religiose, culturali - l'elencazione indicata da Francesca Ghersetti e Loretta Paro (p. 186) può essere ancor più articolata - si possono caratterizzare senza dubbio come un patrimonio comune utile a determinare ancora di più l'identità collettiva dello Stato e l'inderogabile e categorica necessità di conservarne la memoria. E non solo - è ovvio - per le personalità sempre più decisamente emerse sulla ribalta civile e politica nel corso del Novecento: se in questo secolo - ma già a partire dal precedente - si ha un'affermazione crescente di responsabilità individuali, è altrettanto vero che gli archivi di persona sono sempre esistiti. Assai più e in forme maggiormente consistenti di quanto non possa sembrare a Caterina Del Vivo (p. 17), solo che si pensi alla trasmissione di carte private (e di libri) ad esempio all'interno di congregazioni religiose, di diocesi: luoghi che non possono essere ignorati in una seria ed esaustiva ricognizione.

Raffaella Maria Zaccaria
Università di Salerno


Fabio Paolucci. Le famiglie campane: tra storia, genealogia e personaggi illustri. Napoli: Kairos edizioni, 2012. (Il canto di Miseno). 285 p. ISBN 978-88-9802-907-5. EUR 14,00.

«Quest'opera di Fabio Paolucci si distingue dalle precedenti per la spiccata originalità, l'ampio raggio d'interesse, l'indagine rivolta ai cognomi più inusuali e l'utilizzo di un'innovativa metodologia di ricerca». Queste parole, tratte dalla Prefazione di Andrea Jelardi al volume Le famiglie campane, edito a cura di Fabio Paolucci, riassumono a grandi linee il tema dell'origine dei cognomi, molto spesso orientata esclusivamente allo studio delle famiglie nobiliari o di alto rango sociale. Paolucci, invece, abbandonando la consuetudine, analizza e documenta una molteplicità di cognomi appartenenti a ceppi minori e poco conosciuti, con un particolare interesse verso i piccoli Comuni dell'entroterra campano e delle Isole, dando spazio anche ai cognomi estinti (Della Vipera, Adottivo/Adottiva, Alferio ecc.) o di rara presenza (Alderisio, Pannucci ecc.).
Il volume è articolato in cinque parti, una per ogni Provincia campana, in cui sono raccolte le schede dei nuclei familiari suddivisi in base alla relativa provenienza; segue un'appendice con i cognomi più antichi, rilevati in zone specifiche (Lancusi, Ogliara e Sava), e un utilissimo dizionario esplicativo dei termini di linguistica e di onomastica. Questa capacità di indagine ad ampio raggio territoriale, prendendo in considerazione cognomi conosciuti e nobiliari (Del Tufo, De Paulis, Ruggi d'Aragona ecc.) e cognomi di più ampia diffusione (Esposito, Napoletano, Colucci ecc.), fa de Le famiglie campane un utile strumento di ricerca, soprattutto perché, alla base del lavoro c'è un'attenta e puntuale analisi delle testimonianze storiche. Anche il periodo cronologico di riferimento, come accade in questo tipo di ricerche, è piuttosto ampio e diversificato.

L'intento è quello di un viaggio all'indietro nel tempo, fin dove sia possibile arrivare con le prove ottenute dall'indagine storica sul campo. Vengono infatti alla luce specifici personaggi, che hanno dato lustro alle loro casate. Accade così che di fianco alle ricorrenti presenze dei più noti complessi familiari come i Carafa, i Filangieri, i Guevara, i Martinez, i Bartoli, i Miletti, emergano altre numerose figure di singoli personaggi, solo apparentemente meno conosciuti, che la capacità dell'autore ha riportato alla luce. Scopriamo quindi un Emanuele De Deo, considerato il primo martire della Rivoluzione Napoletana soffocata nel sangue nel 1799; Vincenzo Della Marra, balì dell'Ordine di Malta; Silvio Fiorillo, commediografo a cavallo tra il XVI e XVII secolo; e ancora affiorano Marco Spatola, sindaco dell'Università di Calabritto nel 1582, e John Basilone, italoamericano sergente dei marine, arruolato durante la Seconda guerra mondiale, unico a ricevere sia la Medal of Honor che la Navy cross; Padre Giuseppe Paolucci, autore di numerosi scritti, tra cui l'enciclopedica Arte pratica di contrappunto dimostrata con esempj di rarj autori e con osservazioni di Fr. Giuseppe Paolucci Minor Conventuale, edita nel 1765; Filiberto Campanile, storico e genealogista del XVII secolo che scrisse nel 1680 l'opera Dell'armi, ovvero insegne dei nobili, scritte dal Signor Filiberto Campanile, ove sono i discorsi d'Alcune famiglie cosi spente come vive nel Regno di Napoli.

All'interno della scheda dedicata al singolo cognome, l'autore riporta tutta una serie di elementi scientifici e probanti dei quali dà ampia testimonianza, partendo dall'origine linguistica ed etimologica, citando le fonti da cui sono tratti i documenti, secondo la prassi consolidata che la ricerca debba svolgersi attraverso testimonianze concrete che solo il confronto con le fonti può avallare (pratica peraltro ampiamente dimostrata anche in precedenti studi e collaborazioni, come ad esempio nel volume La famiglia Di Popolo da Calabritto. Storia, genealogia e documenti di un'antica famiglia contadina irpina). Il processo di "cognominizzazione" ha diverse origini e l'indagine di Paolucci riesce a sciogliere numerosi dubbi, traghettando il lettore da un secolo all'altro, sempre testimoniando i passaggi storici e le genealogie, attingendo a studi e documenti antichi ma anche moderni. Per riportare ancora qualche caso, si può partire dai Capasso, nella cui scheda viene citata l'opera storiografica Memorie istoriche di Frattamaggiore del canonico Antonio Giorgano o dei Cioffi, si sottolinea l'importanza dell'opera del musicista ed editore Giuseppe Cioffi, autore di celebri canzoni della tradizione napoletana. E ancora: nella scheda del cognome Gesualdo si fa riferimento all'opera di Stefano Vannozzi, Nomi e cognomi. Le famiglie di Cercemaggiore nei secoli, che fa risalire il ceppo dei Gesualdo al XVI secolo; così come, nella scheda relativa al ceppo Piacquadio, l'autore cita Luigi Villari, Un'antica famiglia sannitica: la Piacquadio e al Libro dei beni del Magnifico Signor Notaio Baldassarre Piacquadio, scritto appunto da Baldassarre Piacquadio nel XVIII secolo.

Numerose e ben articolate sono anche le notizie provenienti dalla documentazione d'archivio (variamente consultato è ad esempio il volume di Daniela Romano, Carturari Notarili Campani del XV secolo) come nei casi del ceppo Zuppa, le cui condizioni economiche si riscontrano nei Registri del Catasto Onciario della Terra di San Marco; della famiglia Merola la cui origine va fatta risalire ad un documento attualmente conservato presso l'Archivio dell'abbazia benedettina della Santissima Trinità di Cava de' Tirreni; dei Citro, anch'essi rintracciabili attraverso il Codices Diplomaticus Cavensis in un atto del 1058, sempre conservato presso l'Archivio della Badia di Cava; del ceppo D'Urso, identificato in un atto redatto a Capua dal giudice e notaio Andrea de Caprio nel 1432; dei Iodice e Iudice, la cui presenza è testimoniata fin dalla seconda metà del Quattrocento, attraverso il reperimento di un atto rogato nel 1477 a Napoli (anche qui il riferimento è nell'opera già citata di Daniela Romano).
A testimonianza delle informazioni storiche e patrimoniali delle famiglie non mancano riferimenti ai registri parrocchiali, fonte di prima mano per la ricostruzione della genealogia dei ceppi parentali; risultano quindi ampiamente consultati i Libri Baptizatorum e i registri sullo Status Animarum, come accade nelle schede relative alle famiglie: Martuccio, D'Emilia, Cioccia, Nigro, Verzino, Vignali, Nista, Vessecchia ecc. Così come l'autore dà notizia di alcune rarità e curiosità come nei casi di Carissimo, originario di Parma; Jelardi, di origine provenzale; Alighieri, diffuso solo a Mondragone. Numerosi sono anche gli accenni agli archivi araldici, soprattutto quando è necessario ricostruire uno stemma attraverso le notizie reperite dalle fonti documentali. Interessanti a questo proposito sono gli stemmi dei De Paulis, Iazeolla, Paolucci, ridisegnati dallo studioso di araldica Ezio Simini, e quelli delle famiglie Meomartini e Lembo, rispettivamente conservati presso l'archivio araldico Cimino e presso la chiesa di S. Antonio di Padova a San Rocco a Baselice. Sfogliando le pagine di Le famiglie Campane, la cui storia si dispiega attraverso i secoli, si approda ad una restitutio memoriae che va al di là della mera curiosità, derivata dal desiderio di ciascuno di accedere all'universo delle proprie remote origini familiari. Nonostante l'intrinseca complessità del tema, il volume, scritto in maniera chiara e corredato da un buon apparato critico, conduce progressivamente alla riscoperta di quante più sfumature storiche, genealogiche e filologiche sia possibile indagare. A tale proposito, sarebbe stata molto utile una iniziale nota metodologica con lo scopo di illustrare le caratteristiche scientifiche della ricerca portata a compimento, e i metodi di comparazione delle fonti archivistiche e bibliografiche; così come altrettanto auspicabili sarebbero stati una bibliografia di riferimento e un indice dei nomi per raccordare tutto il materiale citato all'interno delle singole schede (carte, registri, volumi, epigrafi ecc.), proprio per sottolineare l'accuratezza del lavoro e avvicinare anche il lettore meno esperto al repertorio delle fonti.

Maria Senatore Polisetti
Baronissi (Salerno)


Giuseppe Finocchiaro. Vallicelliana segreta e pubblica: Fabio Giustiniani e l'origine di una biblioteca universale. Firenze: Olschki, 2011. XVI, 196 p. (Monografie sulle Biblioteche d'Italia; 11). ISBN 978 88 222 6125 0. EUR 25,00.

La celebre collana sulla storia delle Biblioteche d'Italia, edita dalla Olschki e diretta da Piero Innocenti, può vantare un'altra monografia di notevole interesse: Vallicelliana segreta e pubblica, scritta dallo studioso e bibliotecario Giuseppe Finocchiaro, che da tempo rivolge la propria attenzione alla storia dell'editoria e delle istituzioni legate alla Riforma cattolica. Già autore di diverse opere, quali Il Museo di curiosità di Virgilio Spada. Una raccolta romana del Seicento, (Roma, 1999); Cesare Baronio e la Tipografia dell'Oratorio. Impresa e ideologia (Firenze, 2005); I libri di Cesare Baronio in Vallicelliana (Roma, 2008), Finocchiaro affronta in questo suo ultimo e scrupoloso lavoro, frutto di una ricostruzione attenta e analitica, le vicende legate alla storia di un'importante istituzione culturale, quale la Vallicelliana, fondata nella Roma del XVI secolo.
Lo studio inizia con le origini della biblioteca, istituita in seguito al lascito di Achille Stazio nel 1581, ricostruendo il contesto storico-culturale in cui questa si sviluppa: contestualizzazione resa possibile attraverso l'analisi dei regolamenti e delle costituzioni, riportati integralmente in appendice. L'autore approfondisce, grazie ad alcuni documenti recentemente recuperati, la figura di Cesare Baronio, bibliotecario succeduto ad Arturo Talpa; dal 1584 al 1587, Baronio svolge un ruolo significativo per la biblioteca e la sua organizzazione iniziale. In questo frangente è sicuramente da citare anche la Tipografia dell'Oratorio: impiantata sul modello di uno scriptorium monastico, quale luogo di produzione e conservazione, la Congregazione dell'Oratorio fonda, nel 1592, una propria stamperia: la Typographia Congregationis Oratorij apud S. Mariam in Vallicella.

Il secondo capitolo si apre con un paragrafo dedicato a Fabio Giustiniani e alla reinvenzione delle scansie murali, poiché, come riportato, «con lui la Vallicelliana ricevette finalmente un primo ordine generale e l'assetto di una biblioteca moderna». A questi, infatti, si deve l'Index Universalis alphabeticus del 1612, un catalogo per soggetti di una biblioteca con privilegio di stampa. Al continuo accrescimento del patrimonio bibliografico dovuto ai diversi lasciti, è attribuita la trasformazione, nel 1614, di un ambiente già adibito a deposito in sala di lettura, questa in seguito affiancata dalla nascita di una speciale sala giuridica, sorta dopo l'acquisizione del fondo appartenuto all'avvocato Francesco Rossi. Chiude il capitolo un excursus sulle acquisizioni librarie tra la fine del Cinquecento e l'inizio del secolo successivo, come, ad esempio, un cospicuo nucleo di codici databili tra il X e l'XI secolo.

Con il terzo capitolo, attraverso la descrizione di personaggi come Francesco Borromini e Virgilio Spada, si entra nella fase "barocca" della Biblioteca (1644-1665): al primo, promettente giovane architetto, e al secondo, coadiutore bibliotecario, si deve la realizzazione di una moderna libreria dall'aspetto monumentale, creata seguendo i più aggiornati criteri biblioteconomici. L'autore si sofferma su un'esaustiva descrizione delle decorazioni artistiche realizzate in questo periodo: dalla Sapienza filippina, dipinta e donata da Giovan Francesco Romanelli, alle centottanta incisioni raffiguranti "uomini illustri".
Nel quarto capitolo l'attenzione è posta sulla Libraria Seconda, sull'Archivio della Congregazione e sul Museo di Curiosità. Quest'ultimo, voluto da Spada, rappresenta uno dei primi gabinetti scientifici dell'Europa moderna e custodisce reperti classificabili nelle categoria degli antiquaria, dei naturalia, degli instrumenta e, infine, dei curiosa (riferibili alla vecchia classe dei mirabilia).

Nel capitolo dedicato alla biblioteca durante la post-riforma Cattolica, Finocchiaro illustra i nuovi lavori architettonici dovuti ai problemi statici della Vallicelliana, che determinarono il suo stravolgimento spaziale e la definitiva conformazione del "vaso" librario, fortunatamente conservatosi integro fino ad oggi. I riferimenti sono anche per le opere a carattere artistico, come la tela di Lazzaro Baldi raffigurante la Mediocritas e quella di Giulio Romano sulla Lapidazione di S. Stefano.
Nel sesto e ultimo capitolo, si sottolinea come la funzione di questa biblioteca non fosse legata solo a quella della conservazione, come nel caso della Medicea-Laurenziana di Firenze o della Marciana di Venezia: essa fu, piuttosto, una libreria destinata "ad uso dei lettori-autori". La libreria filippina, infatti, da "fucina" della riforma cattolica e luogo di eccellenza di elaborazione anti-protestante, subì un processo di trasformazione, passando da una incerta fisionomia organizzativa di stampo medievale a biblioteca di carattere "universale", in particolar modo grazie alla sua struttura concettuale e a un'estensione del campo culturale, che comprendeva le "singole specialità". L'importanza dell'istituzione, inoltre, è legata anche alla sua fruibilità, essendo stata questa la prima realtà di carattere pubblico aperta a Roma.

A chiusura del volume l'autore ha predisposto una ricca appendice, suddivisa in sette parti, che fornisce elementi di approfondimento sui personaggi chiave della storia della biblioteca, in particolare bibliotecari e archivisti. Un'attenta analisi, corredata dello studio delle note di possesso e di provenienza presenti all'interno di manoscritti, incunaboli e libri a stampa, aiuta a ricostruire la storia di ciascun esemplare, permettendo di individuare i volumi donati da ciascun "benefattore".
Fanno da corollario una completa bibliografia, gli indici e l'elenco delle illustrazioni. Un ricco apparato iconografico fornisce indicazioni sui materiali utilizzati dall'autore per la ricerca: sono citati frontespizi, incisioni, ritratti e fotografie.
In conclusione, si tratta di un'opera che, per la vastità del materiale raccolto e analizzato, oltre che per l'accuratezza con cui è illustrato, contestualizza storicamente uno dei più importanti centri culturali della controriforma cattolica, fornendo fondamentali elementi per la conoscenza della sua evoluzione nel tempo.

Rosa Parlavecchia
Salerno


Conservare il Novecento: carte e libri in vetrina: convegno. Ferrara, Salone internazionale dell'arte, del restauro e della conservazione dei beni culturali e ambientali, 1 aprile 2011. Atti a cura di Giuliana Zagra. Roma: AIB, 2012. 64 p. ISBN 978-88-7812-213-0. EUR 10,50.

Il volume, curato da Giuliana Zagra, da sempre anima, insieme a Rosaria Campioni, degli stimolanti incontri ferraresi di Conservare il Novecento, ormai al suo dodicesimo appuntamento nell'ambito del Salone internazionale dell'arte del restauro e della conservazione dei beni culturali e ambientali, raccoglie gli atti del convegno omonimo, dedicato a un aspetto di grande interesse, strettamente legato al tema della valorizzazione del patrimonio culturale: il tema delle mostre a carattere prevalentemente bibliografico e documentario (le carte e i libri in vetrina evocati dal titolo).
Fin dalla premessa, Giuliana Zagra sottolinea opportunamente la difficoltà di «mettere in scena» i libri e le carte, in un percorso che sia coinvolgente non solo per gli addetti ai lavori ma anche e soprattutto per il grande pubblico, destinatario ultimo del lavoro dei curatori teso a far riappropriare i cittadini del patrimonio culturale del loro paese. La mostra bibliografica dovrà essere quindi intesa, secondo le parole di Rosaria Campioni, «come uno dei mezzi, nel più vasto ambito delle strategie comunicative, per far fruire il patrimonio culturale» e stimolare la curiosità del visitatore.

Questo concetto è ampiamente discusso nell'intervento di Anna Manfron In studium non in spectaculum. Perchè fare mostre in biblioteca. Proseguendo infatti il ragionamento iniziato nel 1994 con la pubblicazione del documento Esibire libri: perché, come e dove del Gruppo di lavoro Conservazione e libro antico dell'AIB, l'autrice ribadisce come le mostre «sono occasioni positive per favorire una sorta di conservazione attiva e di fruizione sociale del patrimonio delle biblioteche da parte di categorie di persone che, altrimenti, rimarrebbero sempre escluse dall'esercizio di un diritto, quello cioè di usufruire di un servizio pubblico quale è, appunto, la biblioteca». È quindi tanto più necessario che ogni esposizione si fondi su un progetto scientifico serio, trasmesso con efficacia comunicativa tale da stimolare nei visitatori «partecipazione e desiderio di conoscenza» e che, accanto alla coerenza e alla pertinenza nella scelta dei documenti, sappia predisporre didascalie chiare, pannelli esplicativi ben curati e facilmente comprensibili che compongano una narrazione con uno svolgimento bene articolato e coinvolgente. Nell'enucleare tre tipologie fondamentali di esposizioni (mostre documentarie che diano conto dei risultati di riordino o catalogazione dei fondi, mostre centrate sulla storia della biblioteca e delle sue collezioni e, infine, mostre tematiche che utilizzino prevalentemente i materiali della biblioteca) Anna Manfron cita le parole di Luigi Crocetti, sempre riferimento d'obbligo per ogni riflessione sul mondo delle biblioteche: «se la biblioteca ricca con un'esposizione si prefigge di documentare qualcosa, inevitabilmente documenterà anche se stessa».

Anche Maria Gregorio, che già in Esporre la letteratura: percorsi, pratiche, prospettive, (a cura di Axel Kahrs e Maria Gregorio, Bologna: Clueb, 2009) aveva raccolto interessanti saggi sull'argomento, nel suo intervento dedicato alle esposizioni permanenti, dopo aver sottolineato come esporre sia asse portante del conservare e nello stesso tempo «servizio dovuto alla comunità», si sofferma sul ruolo fondamentale che l'allestimento ricopre nel determinare un'interazione positiva fra visitatore e mostra, «nell'infrangere l'antica diffidenza nei confronti di quella "cosa" tanto elitaria e distante quale è sempre apparso il testo nella tradizione letteraria» per «consentire a tutti di riappropriarsi del patrimonio letterario» in generale e di quello novecentesco in particolare. Ma perché ciò avvenga efficacemente è necessario usare un linguaggio ad hoc, quel nuovo linguaggio museale ed espositivo che si fonda sulle molteplici relazioni possibili fra i diversi materiali, fra il curatore e il suo "discorso" espositivo e il visitatore e le sue aspettative, le sue nozioni, il suo vissuto: la mostra diventa così atto teatrale, mise en scène di una narrazione che si rinnova. Le case museo degli scrittori dovranno perciò condurre il visitatore nel mondo dello scrittore, con i suoi oggetti di uso quotidiano insieme alle suggestioni nate dalle sue opere: un esempio per tutti, secondo Maria Gregorio, la Casa Buddenbrook di Lubecca.

Accanto alle esposizioni permanenti e alle mostre temporanee, assumono un ruolo sempre più importante le mostre virtuali on line, a cui è dedicato il contributo di Maria Teresa Natale e Giuliana Zagra, che presentano il prezioso Mostre virtuali online: linee guida per la realizzazione (2011), da loro stesse curato, nato con l'intento di fare il punto su una pratica diffusissima all'estero ma che vanta ormai molte realizzazioni anche in Italia. Fondamentale è capire l'importanza di un tale tipo di esposizioni dal punto di vista strategico della valorizzazione e della promozione del patrimonio: la diffusione nel mondo virtuale offre infatti garanzie di diffusione infinitamente più capillari e durature della mostra reale, anche quando sia corredata da un catalogo. L'intervento ripercorre la riflessione del gruppo di lavoro che ha lavorato all'elaborazione delle linee guida e analizza alcune realizzazioni, come la trasposizione in formato digitale di due mostre su scrittori italiani contemporanei, Elsa Morante e Mario Soldati, per soffermarsi sulla fondamentale definizione di mostra virtuale «si considera mostra virtuale online una raccolta ipermediale fruibile sul web composta di oggetti digitali che siano legati tra loro da un tema, un evento commemorativo, un autore». Ogni mostra virtuale, sia che nasca come tale ex novo, sia che si tratti della riproposizione di una "mostra reale", dovrà poggiare su una precisa architettura che sappia strutturare semanticamente informazioni, contenuti, processi e funzionalità del progetto e avrà, come valore aggiunto, la possibilità di arricchirsi e di aggiornarsi nel tempo con contenuti sempre nuovi.

L'intervento di Marco Carassi è dedicato ai problemi legati alla tutela fisica dei documenti destinati ad essere esposti: dall'opportunità di servirsi di ditte specializzate per il trasporto e dalle necessarie cautele nel manipolarli durante il montaggio, alla durata dell'esposizione, che non dovrebbe superare i tre mesi per non sottoporre gli oggetti a condizioni ambientali non ottimali per un periodo troppo lungo, alla necessità di confrontarsi sempre con la materialità del documento e quindi sia con la necessità di restauri mirati, sia con la possibilità di rinunciare ad esporre documenti troppo fragili. I numerosi esempi, nati dall'esperienza viva del relatore, sono utili suggestioni per chi si cimenta nel compito di accostare materiali diversi in un percorso unico. Ad Eugenio Veca il compito di elencare gli Obblighi conservativi per le esposizioni temporanee, fornendo utili indicazioni per la redazione del Condition report, a partire dai parametri microclimatici per gli ambienti di conservazione dei documenti cartacei e membranacei e dal conseguente necessario monitoraggio costante delle vetrine espositive, alla qualità e quantità della luce impiegata per l'illuminazione, fino alla natura dei materiali usati per i supporti su cui poggiano i documenti esposti.
Infine Enrico Spinelli porta alla nostra riflessione la particolare situazione del Fare mostre bibliografiche in una città d'arte, rifacendosi alla sua esperienza all'interno del Servizio biblioteche e archivi del Comune di Ferrara.

Silvia Alessandri
Biblioteca nazionale centrale di Firenze


Melvil Dewey. Dewey Decimal Classification and relative index. 200 religion class; edited by Joan S. Mitchell ... [et al.]. Dublin, OH: OCLC, 2012. X, 289 p. ISBN 978-0-910608-00-8.

Dal mese di maggio 2012 è disponibile il volumetto 200 Religion class, dedicato alla Religione, estratto, aggiornato, dall'Edizione 23 della Dewey Decimal Classification uscita l'anno prima.
In essa erano state riviste le disposizioni per la Chiesa ortodossa, avviati gli aggiornamenti per la sezione 297 dedicata all'Islamismo e introdotti diversi cambiamenti in altre parti della classe 200.
200 Religion class contiene tutte le modifiche, oltre ad alcuni aggiornamenti supplementari per l'Islamismo e altri minori che non erano pronti per la pubblicazione nella versione integrale a stampa del 2011.
Alla sezione 281.5, dedicata alle Chiese d'Oriente, è stata aggiunta l'espansione: 281.52 Chiese cattoliche di rito orientale in comunione con Roma, 281.54 Chiese cristiane di San Tommaso; le intestazioni delle sezioni 281.6, 281,63, 281.8 sono state cambiate, rispettivamente, da Chiese monofisite a Chiese ortodosse orientali, da Chiesa giacobita a Chiesa sira, da Chiese nestoriane a Chiese assire d'Oriente. La vedetta delle suddivisioni dedicate alle chiese ortodosse di specifici continenti, paesi, località (281.94-99) ne descrive ora la natura: chiese autocefale, arbitrariamente autocefale, autonome, indipendenti.
L'aggiornamento più significativo riguarda la sezione 297 Islamismo.
Il comitato editoriale ha lavorato con il team della traduzione in arabo della DDC che ha sede presso la Bibliotheca Alexandrina sulla revisione dei periodi storici rendendoli più specifici, in modo molto simile a quanto era già stato fatto in DDC22 per la storia dell'Ebraismo 296.09.
L'obiettivo è stato quello di individuare periodi storici importanti della storia religiosa. In questa ottica non sono stati utilizzati califfati di primaria importanza per la storia politica.

Questa l'espansione inserita:
297.0902: 610-1499
297.09021: 610-1204
297.090211: periodo della Rivelazione, 610-632
297.090212: periodo dei 4 califfi ben guidati, 632-661
297.090213: periodo della nascita, 661-718
297.090214: periodo della registrazione e nascita di scuole
islamiche di pensiero, 718-912
297.090215: periodo delle opere d'insieme, 912-1204
297.09022: 1204-1499
297.0903-297.0905: 16.-21. secolo.

La decisione presa che la storia islamica non può esistere prima dell'anno 610 (la data della Rivelazione), è stata considerata del tutto pertinente.
La modifica inserita alla classe 297.09, corrispondente al periodo precedente al 499 dell'era cristiana, permette che il vero periodo delle origini dell'Islam possa essere delimitato, tanto più che la parola "Islam" non è comparsa nella terminologia dell'epoca fino a dopo l'emigrazione del profeta Maometto a Medina nel 622.
È stata modificata e ampliata la suddivisione dedicata all'interpretazione del Corano: lo sviluppo della classe, come proposto, rispecchia perfettamente le realtà teologiche del Corano: la maggior parte dei nuovi numeri saranno utilizzati principalmente da biblioteche con grandi collezioni sull'Islam:

297.122 12 Rivelazione
297.122 3 Fada'il al-Qur'an e preghiere nel Corano
297.122 32 Fada'il al-Qur'an (Virtù del Corano)
297.122 34 Preghiere nel Corano
297.122404 52 Dieci letture (Al-qira'at al-'ashr)
297.122404 522 Sette letture (Al-qira'at al-sab?)
297.122 404 59 Recitazione

Molte nuove suddivisioni sono state dedicate a sure o a gruppi di sure:

297.122 421 Sure 1-4
297.122 422 Sure 5-9
297.122 423 Sure 10-16
297.122 424 Sure 17-25
297.122 425 Sure 26-36
297.122 426 Sure 37-49
297.122 427 Sure 50-114

E a specifici tipi di esegesi o commento:
297.122 612 Al-Nasikh wa-al-mansukh (abrogazione)
297.122 71 Specifici tipi di commenti
297.122 711 Tafsir al-ma'thur (commento basato sulla tradizione)
297.122 712 Tafsir bi-al-ra'y (commento basato sull' opinione, sul ragionamento)
297.122 712 2 Commento sufi
297.122 712 4 Commento giurisprudenziale
297.122 712 6 Commento filosofico
297.122 713 Tafsir hadith (commento moderno)
297.122 713 4 Tafsir al-mawdu'i (commento attuale)
297.122 72 Commenti su parti del Corano
297.122 73-297.122 76 Commenti di sette o movimenti di riforma
297.122 73 Commenti di Sunniti
297.122 74 Commenti di Motaziliti
297.122 75 Commenti di Sciiti
297.122 753 Commenti di Duodecimani (Ithna Asharites)
297.122 754 Commenti di Settimani (Ismailiti)
297.122 755 Commenti di Zayditi
297.122 77 Commenti di Ibaditi.

La suddivisione dedicata agli Hadith (Tradizioni) è stata dislocata da 297.124 a 297.125 e ha subito una notevole espansione:
297.125 012 Classificazione
297.125 09 Storia, trattamento geografico, biografia
297.125 1 Temi generali
297.125 12 Rifacimenti di Hadith
297.125 16 Interpretazione
297.125 160 1 Filosofia e teoria
297.125 161 Introduzioni generali
297.125 162 Asbab wurud al-Hadith (cause e circostanze degli Hadith)
297.125 163 Al-Nasikh wa-al-mansukh (abrogazione)
297.125 18 Soggetti non religiosi negli Hadith
297.125 2 Dirayah (scienza dell'autenticità degli Hadith)
297.125 21 Al-sahih (Hadith autentici) e al-hasan (Hadith accettabili)
297.125 22 Al-da'if (Hadith deboli)
297.125 222 Al-mursal (Hadith in cui il narratore trasmettitore tra successore e profeta è omesso da una data catena di trasmissione)
297.125 225 Al-mawdu' (Hadith fabbricati)
297.125 23 Al-mutawatir (Hadith con un grande numero di trasmettitori narratori ad ogni livello della catena di trasmissione)
297.125 24 Al-ahad (Hadith con uno o pochi narratori trasmettitori)
297.125 26 Al-jarh wa al-ta'dil (Principi di discredito e di accreditamento dei narratori trasmettitori)
297.125 261 Tabaqat al-ruwah (Classifiche di trasmettitori)
297.125 262 Al-thiqat (Trasmettitori affidabili)
297.125 263 Al-du'afa' (Trasmettitori inaffidabili)
297.125 264 Asma' al-ruwah (Nomi dei trasmettitori)
297.125 264 2 Al-Mu'talif wa-al-mukhtalif (Nomi diversi, scritti allo stesso modo, ma pronunciati diversamente)
297.125 4-297.125 9 Testi di Hadith
297.125 4 - 297.125 8 Testi di Hadith di Sunniti
297.125 4 Jawami' (raccolte complete), sihah (raccolte autentiche), mustadrakat
297.125 41 Al-Bukhari, Muhammad ibn Isma'il
297.125 42 Muslim ibn al-Hajjaj al-Qushayri
297.125 43 Al-Tirmidhi,Muhammad ibn 'Isa
297.125 45 Mustadrakat (raccolte di Hadith che soddisfano le condizioni di altri compilatori, ma non trovate nei loro libri)
297.125 5 Sunna (raccolte secondo la gerarchia della legge islamica), musannafat, muwatta'at
297.125 51 Abu Da'ud Sulayman ibn al-Ash'ath al-Sijistani
297.125 52 Ibn Majah, Muhammad ibn Yazid
297.125 53 Al-Nasa'i, Ahmad ibn Shu'ayb
297.125 54 Al-Darimi, 'Abd Allah ibn 'Abd al-Rahman
297.125 56 Musannafat (raccolte per temi)
297.125 58 Muwatta'at (Il sentiero ben tracciato di Hadith)
297.125 6 Masanid, atraf, ma'ajim, zawa'id
297.125 61 Masanid (Raccolte organizzate dal primo trasmettitore nella catena della trasmissione)
297.125 612 Ibn Hanbal, Ahmad ibn Muhammad
297.125 613 Al-Mawsili, Abu Ya'lá Ahmad ibn 'Ali
297.125 62 Atraf (Raccolte dell'inizio, o le parole più conosciute di un Hadith specifico)
297.125 63 Ma'ajim (Raccolte ordinate alfabeticamente secondo i nomi dei compilatori anziani)
297.125 64 Zawa'id (Raccolte di Hadith trovati in una raccolta, ma non in un'altra)
297.125 7 Mustakhrajat (Raccolte che contengono Hadith di compilatori diversi con diverse catene di trasmissione) e takhrijat (Raccolte che definiscono il grado di controllo di un'altra raccolta)
297.125 8 Al-Ahadith al-Qudsiyah (Hadith sacri)
297.125 9 Testi di hadith di sette diverse dai Sunniti
297.125 92 Hadith di Sciiti
297.125 921 Duodecimani (Ithna Asharites)
297.125 921 1 Kulayni, Muhammad ibn Ya'qub
297.125 921 2 Ibn Babawayh al-Qummi, Muhammad ibn 'Ali
297.125 921 3 Tusi, Muhammad ibn al-Hasan (Abu Ja'far)
297.125 922 Settimani (Ismailiti)
297.125 924 Zayditi
297.125 93 Hadith di altre sette
297.125 933 Ibaditi.

È stata introdotta un'espansione anche per la suddivisione 297.14 Leggi e decreti concernenti la religione e i riti.
297.14 01 Filosofia e teoria
297.140 18 Scuole di diritto
297.140 181 Scuole di Sunniti
297.140 181 1Scuole di Hanafiti
297.140 181 2 Scuole di Shafiiti
297.140 181 3 Scuole di Malichiti
297.140 181 4 Scuole di Hanbaliti
297.140 181 5 Scuole di Zahiriti
297.140 182 Scuole di Sciiti
297.140 182 1 Scuole di Jafariti
297.140 182 2 Scuole di Ismailiti
297.140 182 4 Scuole di Zayditi
297.140 183 Altre scuole
297.140 183 3 Scuole di Ibaditi
297.140 184 Scuole miste e di trattamento comparativo.

Altre inserzioni sono da segnalare a
297.286 Islamismo e altre relgioni
297.352 4 Hajj (pellegrinaggio alla Mecca)
297.352 5 Umrah (pellegrinaggio alla Mecca, in un periodo dell'anno diverso da quello dell'Hajj)
297.430 1 - 297.430 7 Sette specifiche del Sufismo
297.431-297.438 Suddivisioni del culto sufico
297.825 'Alawi e Aleviti (sette di Zaiditi)
297.825 1 Alawi
297.825 2 Aleviti.

Un'altra caratteristica interessante di 200 Religion class è l'Appendice A che contiene una nuova disposizione opzionale per la Bibbia e le specifiche religioni diverse dal cristianesimo, basata sull'uso delle stesse notazioni 220-290, secondo un ordine che rispetti però il loro sviluppo storico in determinate aree geografiche:
Religioni preistoriche 201.42
Religioni originarie dell'Asia orientale e sudorientale 299.5
Religioni di origine cinese 299.51
Taoismo 299.514
Confucianesimo 299.512
Religioni di origine tibetana 299.54
Religioni di origine giapponese e ryukyuana 299.56
Scintoismo 299.561
Religioni di origine coreana 299.57
Religioni di origine birmana 299.58
Religioni di varia origine dell'Asia sudorientale 299.59
Religioni di origine indiana 294
Induismo 294.5
Giainismo 294.4
Buddismo 294.3
Sikhismo 294.6
Religioni dell'antichità 200.93
Religione celtica 299.16
Religione classica (Religione greca e romana) 292
Religione germanica 293
Religioni iraniche e persiane 299.15
Zoroastrismo 295
Religioni slave 299.17-299.18
Religioni baltiche e altre religioni indoeuropee 299.19
Religioni semitiche 299.2
Religione degli antichi egizi 299.31
Religione basca 299.9292
Religioni elamite 299.9293
Religione etrusca 299.9294
Religioni sumeriche 299.9295
Religioni caucasiche 299.9296
Gnosticismo 299.932
Religioni originate tra gli africani neri 299.6
Religioni di origine indigena nord e sudamericana 299.7-299.8
Religioni di origine indigena nordamericana 299.7
Religioni di origine indigena sudamericana 299.8
Religioni di origine papuana, australiana, maleopolinesiana e di origine correlata 299.92
Religioni papuane 299.9212
Religioni aborigene australiane 299.9215
Religioni maleopolinesiane e connesse 299.922
Religioni malgascie 299.923
Religioni polinesiane 299.924
Religioni melanesiane 299.925
Bibbia 220
Ebraismo 296
Cristianesimo 230-280
Islamismo 297
Babismo e fede Bahai 297.9
Movimenti spirituali moderni 299.93
Subud 299.933
Teosofia 299.934
Antroposofia 299.935
Scientologia 299.936
Paganesimo moderno, neopaganesimo, wicca 299.94

Silvia Delfitto
Biblioteca della Facoltà teologica dell'Italia centrale


Maria Cassella. Open Access e comunicazione scientifica: verso un nuovo modello di comunicazione della conoscenza. Milano: Editrice Bibliografica, 2012. 192 p. (Bibliografia e Biblioteconomia; 101). ISBN 978-88-7075-705-7. EUR 24,00.

Ormai da anni biblioteconomia e scienza dell'informazione si interrogano sul ruolo che biblioteche e sistemi di biblioteche possono avere nella società dell'informazione. Sono stati presi in considerazione fenomeni quali la crescente disponibilità di informazioni, le domande degli utenti, l'impatto delle nuove tecnologie. Sono anche stati evidenziati gli squilibri, a volte profondi, nell'accesso all'informazione che hanno concorso a generare nuove diseguaglianze di opportunità e vere e proprie nuove povertà. Rispetto ad uno scenario così complesso ci si è più volte interrogati sull'attività che biblioteche e competenze dei bibliotecari potevano mettere in campo ma anche, realisticamente, sulle loro inadeguatezze. Sulla base dell'osservazione empirica è stato notato come le biblioteche, lungi dal rappresentare realtà residuali, potessero assumere un ruolo sempre più importante nella diffusione dell'informazione.
Su altri versanti le caratteristiche della società dell'informazione sono state analizzate da scientists, da economisti, da giuristi, da sociologi e da osservatori del cambiamento sociale, con particolare attenzione alle problematiche dell'accesso all'informazione e alle conoscenze e alla circolazione delle stesse. Nella trasformazione continua che contraddistingue la contemporaneità si è fatto strada, negli ultimi anni, il fenomeno dell'Open Access (OA) che, come è noto, esprime la possibilità per gli utenti di accedere liberamente a documenti e dati digitali e/o di pubblicare i propri lavori. Partito dal mondo scientifico, in particolare da quello della fisica, l'Open Access è diventata una pratica corrente di tutte le discipline, scientifiche e umanistiche. Di più, tematiche analoghe all'OA si stanno estendendo vigorosamente ad ambiti, diversi da quelli dello studio e della ricerca ma centrali nella vita quotidiana di ognuno: pensiamo alle pubbliche amministrazioni produttrici dei cosiddetti Open Data o "dati aperti", prodotti cioè delle loro attività che possono e devono essere resi disponibili.

Nel libro di Maria Cassella Open Access e comunicazione scientifica le due prospettive, quella biblioteconomica/information science e quella "generalista", sono opportunamente ricongiunte. L'autrice, che negli ultimi anni ha già pubblicato alcuni significativi contributi sul tema, costruisce un'agile ed esauriente sintesi dello stato dell'arte dell'OA, prendendo in considerazione tutte le componenti che hanno determinato e ne stanno determinando lo sviluppo. Pensiamo in particolare a:

Cassella individua chiaramente i nessi logici tra questi elementi, evidenzia come molti progressi compiuti nell'Open Access siano stati raggiunti grazie ad un approccio positivamente multidisciplinare e come le competenze specifiche di bibliotecari e specialisti dell'informazione abbiamo contribuito e stiano contribuendo, con grande efficacia, al miglioramento continuo del modello. Opportunamente, infatti, nella ricostruzione delle tappe fondamentali del movimento OA, dalla Budapest Open Access Initiative (2001) al Bethesda Statement e alla Berlin Declaration (2003) vengono affiancati gli indirizzi e le prese di posizione di associazioni e di organismi bibliotecari internazionali e italiani.
Al tempo stesso vengono individuate le criticità non superate, in particolare nella situazione italiana in cui, «manca a tutt'oggi, a sette anni dalla Dichiarazione di Messina, il documento italiano a sostegno della Dichiarazione di Berlino, una vera e propria strategia nazionale sull'OA» (p.148). Ciò nondimeno, attraverso esperienze significative per qualità e quantità, condotte da sistemi di ateneo pubblici e privati, da enti di ricerca, da strutture di servizio, le pratiche dell'accesso aperto si stanno ampliando e consolidando anche in Italia.
Questo significa considerare un elemento di forte positività, potenzialmente in grado di assicurare ritorni e vantaggi, diretti e indiretti, assolutamente non sottovalutabili in uno scenario-Paese segnato da grandi aree di crisi.
Questo significa aiutare a garantire una tendenza "democratica" per l'accesso all'informazione più equo per il maggior numero di persone possibili. E ciò anche grazie alle capacità di bibliotecari e di specialisti dell'informazione.

Ferruccio Diozzi
CIRA - Centro italiano ricerche aerospaziali


Laura Ballestra. Information literacy in biblioteca: teoria e pratica. Milano: Editrice Bibliografica, 2011. 271 p. (Bibliografia e Biblioteconomia; 99). ISBN 978-88-7075-701-9. EUR 26,00.

L'opera di Laura Ballestra arricchisce un dibattito sull'information literacy (cosa sia effettivamente, come si possa applicare, quanto sia utilizzata, il suo impatto sull'evoluzione della professione bibliotecaria), che in Italia non ha avuto uno sviluppo paragonabile a quanto successo in paesi di diversa tradizione biblioteconomica. Importante fu certamente il convegno L'apprendimento nella biblioteca universitaria, tenutosi a Firenze nel 1998, nel quale l'inglese Pat Dixon dimostrò brillantemente come il bibliotecario possa avere un ruolo decisivo nei processi di apprendimento e nel quale furono presentate le prime esperienze italiane strutturate, divenute poi prassi comune e patrimonio organizzativo di molte istituzioni. In seguito agli stimoli suscitati da tale evento, che furono molti e fruttuosi, si sviluppò all'interno delle università una forte attività di formazione, destinata a colmare lacune professionali determinate in larga parte da una tradizione culturale poco orientata all'utente. Continuava tuttavia a mio parere a mancare un vero "manuale" italiano dell'information literacy, che fosse in grado di presentare tutte le componenti di quello che è stato definito un vero e proprio movimento e di organizzarne gli aspetti sia dottrinari che empirici, magari in una forma certamente impegnativa, ma anche chiara agli interessati e utile ad approfondire il tema.

Laura Ballestra spacchetta il tema in nove densi capitoli, finalizzati a chiarirne i vari aspetti: l'evoluzione del concetto di information literacy da mera definizione a fattore di crescita culturale; l'interpretazione del modello informativo come processo cognitivo in evoluzione e soggetto a diverse interpretazioni, ma con una scelta precisa di campo, che consideri il carattere relazionale delle conoscenze; la ricerca documentale al centro di una organizzazione razionale del processo stesso; la biblioteca come luogo privilegiato dell'apprendimento e le sue strategie di gestione del reference e dell'istruzione; l'information literacy nel contesto italiano dagli anni Ottanta ad oggi tra poche luci e molte ombre; la visione d'insieme dei modelli e degli standard in uso con un'attenzione particolare al modello Sconul; il ruolo e le specifiche competenze dei bibliotecari; l'esemplificazione di un caso di eccellenza come quello dell'Università di Bergen; il disegno di un corso ideale da applicare concretamente in situazioni reali.

Come afferma Piero Cavaleri nell'Introduzione, «questo libro vuole affrontare, sul piano teorico e anche con proposte pratiche, la necessità di attuare un cambiamento nel rapporto tra biblioteca, educazione e produzione culturale [...], [io] penso che questo lavoro possa consentire di collocare il dibattito attorno all'information literacy nella sua giusta importanza rispetto al futuro delle biblioteche». Cavaleri coglie perfettamente l'essenza del lavoro di Laura Ballestra, che riesce nell'intento di dare una base teorica all'insieme di buone pratiche utilizzate (sia pure in modo disomogeneo e scoordinato) nelle biblioteche italiane, certamente sintomatiche di un bisogno profondo nei nostri bibliotecari di dare un senso alla propria quotidiana esperienza "pedagogica", sempre che il termine non implichi uno sconfinamento nel dominio professionale degli insegnanti, per tanti versi così simile negli obiettivi e nello stile. Pensiamo, per esempio, al sistema IBSE, utilizzato nelle scuole e anche nei musei scientifici più attrezzati in Italia e in Europa, un sistema che prevede una educazione scientifica basata sull'investigazione piuttosto che sulla teoria: i risultati ottenuti dagli insegnanti sembrano essere incoraggianti, soprattutto in un paese come l'Italia, privo di una cultura scientifica diffusa. È evidente, però, che gli insegnanti stessi hanno bisogno di una formazione specifica e di uno sguardo diverso, nonché di una attitudine al duro lavoro quotidiano con gli studenti. Di ciò hanno bisogno anche i bibliotecari italiani, perché l'information literacy non si improvvisa, ma necessita di conoscenze e di competenze, di consapevolezza e di modelli da capire e da seguire, anche al fine di divenire bibliotecari-docenti e non solo bibliotecari di reference, ruolo importante e ormai codificato, ma non più sufficiente. Laura Ballestra presenta l'esempio dell'Università di Bergen come caso di studio, e la scelta è pienamente condivisibile: in molti abbiamo avuto la fortuna di visitare questa realtà molto avanzata tecnologicamente, ma soprattutto innovativa nei modi e negli obiettivi, e ne abbiamo apprezzato, per non dire invidiato, l'enorme rilevanza data al ruolo formativo delle biblioteche per gli studenti e per il personale universitario all'interno di un piano strategico globale e condiviso. L'esempio riassume con chiarezza un modello teorico e pratico che emerge chiaramente dal libro come paradigma ottimale per i nuovi professionisti che operano o vogliano operare in biblioteca.

Sonia Cavirani
Università di Camerino


Graziano Ruffini. La chasse aux livres: bibliografia e collezionismo nel viaggio in Italia di Étienne-Charles de Loménie de Brienne e François-Xavier Laire (1789-1790). Firenze: Firenze University Press, 2012. 160p.: ill. (Fonti storiche e letterarie; 32). ISBN 978-88-6655-111-9. EUR 14,90.

Un ulteriore e rilevante tassello per la ricostruzione della storia del commercio librario antiquario in Italia alla fine del Settecento, e dei suoi strumenti bibliografici, è stato recentemente fornito da Graziano Ruffini - docente della Facoltà di Lettere e Filosofia della Università di Firenze e autore di apprezzati contributi sulla storia del libro e delle biblioteche - con La chasse aux livres. Il volume s'inserisce nell'ambito di un filone di ricerca di ancora limitata fortuna, meritevole, invece, di considerazione anche al di fuori degli studi strettamente di settore, in virtù sia delle molteplici connessioni che la bibliofilia stabilisce con la cultura dell'epoca, contribuendo a illuminare aspetti più reconditi della sua fisionomia, sia dell'entità, non certo trascurabile, del fenomeno che si sviluppa coinvolgendo una pluralità di attori.

Infatti, fin dal diciassettesimo secolo, l'immenso patrimonio custodito nella trama di librerie ecclesiastiche, pubbliche e private richiama, in Italia, una schiera di atipici viaggiatori che alle bellezze paesaggistiche, alle collezioni d'arte, ai caratteristici monumenti, alle vestigia delle antiche città antepongono, o almeno affiancano, più raffinate sollecitazioni culturali programmando mirate perlustrazioni bibliografiche. Tra questi si ricordano: Emery Bigot, il maggior bizantinista dei suoi tempi, Gottfried Wilhelm von Leibniz, filosofo, scienziato, dotto bibliotecario del duca di Brunswick, e gli abati maurini Jean Mabillon e Bernard de Montfaucon che consegnano alla curiosità dei lettori opere fondamentali come il Museum Italicum (1687-1689) e il Diarium Italicum (1702). Nel corso del Settecento, e per i primi anni dell'Ottocento, un'ancor più nutrita compagine di savants, proveniente da tutta Europa, attraversa le contrade della penisola per consultare, nei polverosi archivi e nelle silenti biblioteche, papiri, pergamene, codici miniati, incunaboli e preziose tirature.

La consolidata tradizione del Grand Tour - irrinunciabile percorso formativo dell'uomo nella età dei Lumi - prevede la visita a prestigiose istituzioni bibliotecarie di grandi città e piccoli centri: l'Ambrosiana e la Braidense a Milano, le Capitolari a Novara, Vercelli e Verona, la Libreria di San Marco a Venezia, la libreria dei padri Benedettini a Padova, la biblioteca dell'Istituto delle Scienze a Bologna, quella dei Domenicani a Ferrara, la Laurenziana e la Magliabechiana a Firenze, quella del marchese Giacomo Durazzo a Genova, le Universitarie a Pavia, Pisa e Siena, la Vaticana, la Casanatense, la Vallicelliana e l'Angelica a Roma, la Reale di Torino e Napoli e, meraviglia delle meraviglie, l'Officina per lo svolgimento dei rotoli di papiro carbonizzati dislocata nella reggia di Portici, dove Carlo di Borbone aveva accumulato i reperti di antichità del "suo" Museo Ercolanese. Commenti, testimonianze e osservazioni ci pervengono dalla letteratura odeporica, oltre che dalle corrispondenze familiari e da relazioni redatte da: Jacob Jonas Björnsthael, professore di filosofia ad Upsala che indirizza le sue missive a Carl Christophersson Gjörwell regio bibliotecario a Stoccolma. (Lettere ne' suoi viaggi stranieri, Poschiavo 1784); Juan Andrés, abate gesuita spagnolo che, negli anni francesi, sarà nominato prefetto della Reale Biblioteca di Napoli (Cartas familiares, Madrid 1786); Joseph Jérôme le François de Lalande, illustre responsabile dell'Osservatorio astronomico di Parigi (Voyage en Italie, Genève 1790); Jean-Jacques Barthélemy, socio dell'Académie des Inscriptions et belles-lettres e direttore del reale gabinetto numismatico (Voyage en Italie, Paris 1801), August Fridrich Ferdinand Kotzebue, fecondo drammaturgo e pubblicista tedesco (Souvenirs d'un voyage, Paris 1816), Johann Joachim Winckelmann, antiquario e storico dell'arte (Opere, vol. VII, art. IX, Prato 1831), Charles de Brosses, presidente del Parlamento di Borgogna (Lettres familières ècrites d'Italie en 1739 et 1740, Paris 1869) per citare soltanto i più famosi.

Questa particolare categoria di viaggiatori include anche i veri collezionisti che, pur esponendosi a spese, disagi e pericoli, varcano i confini delle Alpi per localizzare fornite librerie, contattare bibliotecari, setacciare banchi di librai, incettare freschi di stampa, acquistare pezzi rari da mercanti e bibliofili nella prospettiva di colmare le lacune e d'incrementare le proprie raccolte. Un segmento della più ampia storia del collezionismo librario - che, a tutt'oggi, manca di organici studi - di cui, in questa sede, possiamo ricordare in estrema sintesi solo qualche più noto protagonista.
Cedendo alle premurose insistenze del suo principe, il bibliotecario Gotthold Ephraim Lessing indossa i panni di cicerone per accompagnare Maximilian Julius Leopold von Braunschweig-Lüneburg nel tour italiano che, dall'aprile al dicembre del 1775, lo conduce da Vienna fino a Roma e Napoli: un viaggio diviso tra salotti letterari, musei e gallerie, chiese e palazzi nobiliari, teatri e sale da concerti. A Torino, con Carlo Denina, che legherà il suo nome alla Bibliopea o sia l'arte di compor libri, discute di commesse librarie, pubblico dei lettori, rapporti con editori e tipografi, efficacia degli avvisi. Accede alle biblioteche di Torino e di Parma, alla Vaticana - cortesemente ricevuto dal Marini "signore" del Museum Inscriptionum - alle raccolte pubbliche e private di Venezia, Milano, Firenze e Napoli, in un itinerario culturale, prima che geografico, pressoché sconosciuto ai molti cantori delle italiche bellezze. Ma è anche l'imperdibile occasione per aggiornare la libreria ducale: il colonnello Karl Bogislaus von Warnstedt, con l'intestazione «per la biblioteca ma anche per il bibliotecario e per i suoi progetti di studio sull'Italia», ne dettaglia la spesa per un ammontare di novanta zecchini. L'intollerabile calura delle torride e afose giornate estive non tiene lontano il bibliotecario dai mercati librari: a Roma rovista la bottega di Gregorio Settari a San Marcello e, a Napoli, quella di Domenico Terres, a Sant'Angelo a Nido. Oltre 260 i volumi complessivamente acquistati da Lessing, tutti siglati con il suo monogramma sul margine inferiore della seconda di copertina, comprendenti opere di teatro, arte e antiquaria, ma non è scarsa l'attenzione agli autori classici, alla filosofia e alla teologia, ai saggi di storia naturale, di matematica e di medicina, così come pure alle traduzioni letterarie di autori francesi, spagnoli e tedeschi. La loro stessa selezione delinea i tratti di un singolare intenditore e di un collezionista di edizioni antiche e pregiate, ma restituisce al tempo stesso la libertà di pensiero dell'illuminato uomo di cultura e la curiosità intellettuale verso le più recenti novità. Anche per quest'ultime si conferma la qualità delle tirature impresse dai torchi delle migliori officine italiane: i Remondini (Bassano); Lelio della Volpe (Bologna); Giuseppe Allegroni e la Stamperia Moückiana (Firenze); la Società Tipografica (Modena); Donato Campo, Vincenzo Flauto, i fratelli Simone, Domenico Terres (Napoli); Giuseppe Galeazzi (Milano); Giuseppe Comino e Giovani Manfrè (Padova); Marco Paglierini, la Stamperia del Komarek alla Torre del Grillo, Giovanni Zempel (Roma); Giuseppe Bettinelli, Simone Occhi, Giambattista Pasquali e Antonio Zatta (Venezia), oltre alle Reali Stamperie di Firenze, Milano, Napoli e Parma. Con impazienza, Lessing attende le casse dei libri che giungeranno solo nel dicembre del 1776: il bibliotecario di Wolfenbüttel, però, non vedrà mai realizzato il desiderio di stampare il catalogo della sua biblioteca. Così scriveva, in proposito, il 22 ottobre del 1762: «E dopo la mia morte [...] il mondo vedrà un grosso libro con il mio nome, cioè Bibliothecam Lessingianam seu Catalogum librorum».

Fortemente orientati gli acquisti di libri italiani dell'architetto Pierre-Adrien Pâris, uno dei celebri interpreti dell'architettura neoclassica, che, ottenuta la piazza di pensionario dell'Accademia di Francia a Roma, tra il 1772 e il 1774, studia e disegna i grandiosi resti della civiltà romana spingendosi fino a Ercolano, Pompei e Paestum, per eseguire schizzi e rilievi. Rientra in patria toccando Bologna, Venezia, Verona, Milano e Torino per ammirarvi i migliori esempi dell'architettura classicista, che tanto influenzerà la sua attività, senza trascurare gli acquisti librari. Nel 1778 ottiene l'ambita nomina di disegnatore della Camera e del Gabinetto del re progettando gli allestimenti per le feste, le cerimonie, i balli e i funerali della corte francese. Ritorna ancora a Roma nel 1783 trattenendosi da marzo fino a maggio; nel 1791 diviene primo architetto dell'Assemblea nazionale, ma l'inasprimento della Rivoluzione lo induce a rifugiarsi, per un lungo periodo, in Normandia. Nell'ultimo periodo della sua esistenza, Pâris vive una felice stagione professionale inaugurata dal terzo soggiorno a Roma - dove assume, ad interim, la direzione dell'Accademia di Francia venendo ascritto tra i soci dell'Accademia di San Luca - cogliendo l'opportunità per tornare a visitare le città sepolte dall'eruzione vesuviana riemerse dall'interro lavico. Tra il 1808 e il 1809 organizza il trasporto, in Francia, delle antichità di Villa Borghese per conto di Napoleone e collabora agli scavi del Colosseo. A Besançon, sua città natale, detta nel 1817 il testamento, donando alla Biblioteca Municipale, con munifica liberalità, la collezione di antichità, la straordinaria raccolta di disegni e la cospicua libreria per «offrir à sa ville natale la possibilité d'enrichir ses institutions publiques et éduquer les jeunes bisontins à l'art antique et moderne».

Nel Catalogue de la Bibliothèque de M. Paris, architecte et dessinateur de la Chambre du Roi; chevalier de son ordre; suivi la description de son cabinet, impresso nel 1821 su istanza del Consiglio Municipale e affidato alle cure bibliografiche di Charles Weiss, si ritrovano i titoli, numerosissimi, di edizione italiana - meticolosamente annotati già nei taccuini di viaggio con la specifica dei prezzi - ordinati nelle varie classificazioni. La gran parte di questi figurano nelle classi di Scienze ed Arti, Scienze Naturali, Arti e Mestieri, Belle Lettere, Storia, ma soprattutto in quella di Architettura, dove vengono catalogati i trattati di Vitruvio (Venezia 1566 e 1568, Napoli 1758), Sebastiano Serlio (Venezia 1559), Andrea Palladio (Venezia 1616), Vincenzo Scamozzi (Venezia 1615), Leon Battista Alberti (Venezia 1646), Giovanni Antonio Rusconi (Venezia 1669), Giovanni Branca (Roma 1772); e ancora i più recenti Elementi di architettura lodoliana (Roma 1786) e i Principi di Architettura civile di Francesco Milizia (Bassano 1804). Non mancano opere del Piranesi (Roma 1769) e del Sanmicheli (Milano 1815), guide e splendide edizioni tra le quali: Delle magnificenze di Roma antica e moderna di Giuseppe Vasi (Roma 1747), la Descrizione del Palazzo Apostolico Vaticano (Roma 1750), le Antichità di Ercolano (Napoli 1752), la Dichiarazione dei disegni del Real Palazzo di Caserta di Luigi Vanvitelli (Napoli 1756), le Antichità di Verona (Verona 1764), la Guida ragionata per le antichità e per le curiosità naturali di Pozzuoli di Gaetano d'Ancora (Napoli 1792). Volumi antichi e moderni, rari e pregiati, molti dei quali di grande formato e quasi sempre corredati da splendide tavole calcografiche, che rappresentano il "cuore" della biblioteca professionale, amorevolmente implementata, sia pure a costo di notevoli esborsi economici.

Anche la piazza napoletana, nei primi del diciannovesimo secolo, costituisce un'ambita meta di collezionisti stranieri attratti dalla vivacità di una piazza antiquaria animata da facoltosi acquirenti. L'antica e nobile famiglia Serra di origine genovese, fin dalla seconda metà del Settecento, vanta una grande biblioteca che Giuseppe Maria allestisce nell'imponente palazzo sanfeliciano a Pizzofalcone. Il figlio Luigi eredita la paterna passione per i libri antichi: setaccia i cataloghi di vendita di mezza Europa procurati dai librai di sua fiducia; interviene nelle aste di librerie messe all'incanto, raggiunge più volte Firenze per incettare, anche a «prezzi esorbitanti», incunaboli e prime edizioni; esplora le disponibilità del mercato veneziano grazie al collezionista e mercante Matteo Luigi Canonici; acquista pezzi introvabili e scambia i doppi e gli esemplari mutili, imperfetti, o mal legati con, e tramite, Angelo Maria Pannocchieschi marchese d'Elci - in una fitta corrispondenza in corso di studio da parte di chi scrive - che, a sua insaputa, rifornisce pure Francesco Taccone marchese di Sitizzano, suo rivale e concorrente, accanito accaparratore di impressioni aldine.
Per aver aderito alla causa repubblicana, i Serra pagano un altissimo tributo di sangue alla repressione borbonica: donna Giulia Carafa della Roccella, moglie di Luigi, viene condannata all'esilio; pena inflitta pure al figlio Giuseppe scampato alla morte perché a Genova quale inviato del governo giacobino; il suo secondogenito, Gennaro, denunciato da un «maledetto librario» che aveva procurato rari volumi alla libreria paterna, sale al patibolo in piazza del Mercato, il 20 agosto 1799, godendo del privilegio di morire di lama e non di laccio per i suoi natali aristocratici. Pochi anni dopo, nonostante la «malagevolezza de' tempi», il duca pubblicizza la sua doviziosa raccolta «de' più belli e rari monumenti tipografici di quel secolo» commissionando al libraio Gabriele Stasi la stesura del Catalogo dell'edizioni del Sec. XV esistenti nella biblioteca del Duca Cassano Serra che, stampato in ottavo nel 1807, enumera poco più di quattrocento incunaboli oltre gli altri ottantatre inseriti nel paragrafo riservato alle Edizioni Napolitane del Sec. XV.

Ma nel mutato clima politico e col declinare delle sue fortune economiche - scrive Gino Doria - il Serra «bisognoso di risanare il bilancio familiare, decise, col cuore stretto, di alienare la sua biblioteca». La vendita viene propiziata dall'arrivo nella capitale del Regno delle Due Sicilie, tra la fine del 1819 e i primi del 1820, di George John Earl secondo conte Spencer, in compagnia del bibliografo Thomas Frognall Dibdin. Autorevole esponente di quella folta schiera di bibliofili britannici sbarcati nella città partenopea per assicurarsi manoscritti, incunaboli e cinquecentine - e qui basti ricordare Thomas Brand, Henry Swinburne, Richard Colt Hoare, Thomas Stewart - lo Spencer acquista, per circa trentamila ducati, la porzione più significativa della libreria del Serra, tra cui la famosa edizione dell'Orazio del 1474 «da lui lungamente desiderata e ricercata», poi minuziosamente repertoriata dallo stesso Dibdin nel settimo tomo della Bibliotheca Spenceriana (A descriptive catalogue of the books printed in the fifteenth century, lately forming part of the library of the Duke di Cassano Serra and now the proprety of George John Earl Spencer, K.G. with a general index of authors and editions contained in the present volume, and in the Bibliotheca Spenceriana and Aedes Althorpianae by the reverend Thomas Frognall Dibdin, F.R.S. S.A. Librarian to his Lordship. Vol. VII. Supplement; containg the books from the Cassano Library. London: printed for the author by William Nicol, Shakspeare Press, and sold by Payne and Foss, and R.H. Evans, Pall-Mall, 1823, p. 3-126). Il catalogo descrive centottantancinque incunaboli tirati da famosi prototipografi italiani e stranieri, come Erhardt Ratdolt, Wendelin von Speyer, Mattia Moravo, Ulrich Han, Sisto Riessinger, Arnold Pannartz, Johann Schöffer, Günther Zainer, Conrad Sweynheym, Arnaldo da Bruxelles, Nicolò Girardengo, Martino da Amsterdam, Bartolomeo da Cremona, Bonino de' Bonini, Cristoforo de' Pensi.
Accanto a questi esempi, in parte già noti e qui sommariamente riepilogati, Ruffini, ne La chasse aux livres, ripercorre l'itinerario italiano del famoso bibliofilo transalpino sulla scorta d'inediti materiali reperiti mediante una paziente e accurata investigazione nell'Archivio di Stato (Riformatori dello Studio di Padova) e nella Biblioteca Nazionale Marciana (Archivio Morelli) di Venezia, nell'Archivio di Stato e nella Biblioteca Universitaria di Pisa, nella Palatina di Parma (Carteggio Paciaudi), nella Marucelliana di Firenze (Carteggio Bandini), nella Médiathèque di Dole e, soprattutto, nella Bibliothèque d'ètude et de conservation di Besançon, dove si custodisce, come ricordato, il fondo dell'architetto Pâris.

Dimissionario dalla carica di ministro delle finanze di Luigi XVI, Étienne-Charles de Loménie de Brienne, arcivescovo di Sens, poi di Tolone, nell'autunno del 1788 organizza un viaggio in Italia allo scopo di sottrarsi alle feroci critiche del Parlamento e della pubblica opinione francese, ristorandosi con una sistematica "caccia" di libri antichi. L'amateur, anche in questo caso, conduce con sé il proprio bibliotecario, quel François-Xavier Laire che aveva soggiornato, per un intero lustro, in terra italica ispezionando le biblioteche di Roma, Venezia, Firenze e Napoli, commerciando manoscritti e stampando i frutti delle sue ricerche bibliografiche. Dopo Genova e Livorno, la folta comitiva raggiunge Pisa e qui l'alto prelato conosce Angelo Fabroni, direttore del locale «Giornale de' Letterati» e titolare di un'avviata stamperia.
Nella capitale granducale, Loménie de Brienne stringe personali rapporti con Angelo Maria Bandini, prezioso intermediario con i librai fiorentini, che era stato preavvisato dal Fabroni, suo fido corrispondente, dell'imminente arrivo, a Firenze, del «generoso compratore di libri del Quattrocento». E nell'ambito di questa frequentazione diviene ora possibile inquadrare la vicenda, già segnalata dallo scrivente, della richiesta formulata dal cardinale al Bandini: il «Card.le de Brienne quando si trattenne quà alcuni mesi, mi misse su a pubblicare li Annali Tipografici della Toscana che nei miei primi anni avevo osservato, rivoltando tutte le Biblioteche Fiorentine»: l'impresa, abbandonata per altre occupazioni, viene successivamente ripresa «per far cosa assai grata a quel Sig.re ch'era anche nelle buone grazie della Corte», sebbene limitata alla sola produzione de «la celebre tipografia de' Giunti, esibendomi di far la spesa, ed accettandone la dedica». Ma, per «la revoluzione in Francia, e le peripezie del Cardinale», confiderà poi lo stesso Bandini nella lettera del 19 gennaio 1792 a Giovanni Attavanti, «a me non convenne più mettere in fronte il di lui nome» nella stampa avviata, a Lucca, con i torchi del Buonsignori, «onde ò dovuto soggiacere a 150 scudi di spesa, senza speranza di rivalermi con tutto che abbia messo il libro al tenuissimo prezzo di paoli cinque».
Il Laire, dopo la sosta fiorentina, precede de Brienne a Venezia con una lettera di presentazione dello stesso Bandini per Jacopo Morelli, erudito bibliotecario di San Marco, con il quale il cardinale intratterrà un carteggio anche dopo il suo ritorno in Francia. Nella città lagunare, gli ospiti francesi sono testimoni oculari di un furto clamoroso avvenuto nella libreria del monastero domenicano dei Santi Giovanni e Paolo: in seguito, si scoprirà che alcuni frati avevano venduto non pochi volumi al Canonici, loro diretto mandante e istigatore, che, a sua volta, li aveva in parte ceduti all'illustre visitatore. Dunque non solo librai, mercanti e bibliotecari, tra loro in competizione nell'offrire in vendita pezzi più o meno rari, ma anche i religiosi - oltrepassando i limiti della legalità - risultano le fonti di approvvigionamento del collezionismo europeo. In questo specifico caso, però, determinante risulta l'autorità esercitata da un alto porporato munito di uno speciale permesso papale che consente di far uscire, dalle biblioteche monastiche e conventuali, opere rare e di pregio. Si registrano, ancora, acquisti di edizioni giuntine a Padova, mentre «poco» si recupera a Vicenza. Il viaggio "bibliografico", peraltro, suscita un'accesa rivalità tra i vari collezionisti di quel tempo - «il secolo d'oro della bibliofilia europea» - con una naturale lievitazione dei prezzi a beneficio dei più scaltriti venditori. Espatriano, secondo la Series librorum in Italia emptorum anno 1789 compilata dal Laire, ben 368 incunaboli corrispondenti a circa il trenta per cento del totale delle edizioni del XV secolo possedute dall'ecclesiastico francese.

Il Laire lascia il cardinale in Italia e rientra in patria dove attende l'arrivo delle casse di libri imbarcate nel porto di Livorno verso Marsiglia; fino al marzo del 1790 carteggia con Loménie de Brienne su nuove acquisizioni, questioni bibliografiche e, in particolare, sulla catalogazione della raccolta aldina, operazione oltremodo necessaria per evitare il rischio d'incamerare più copie della stessa edizione con inutili costi aggiuntivi; e completa, in un lavoro solitario, anche il catalogo delle edizioni del Quattrocento. Di notevole interesse il terzo capitolo che Ruffini dedica alla stampa, in dodicesimo, de La Serie dell'edizioni aldine per ordine cronologico ed alfabetico - impressa a Pisa, a fine febbraio del 1790, da Luigi Raffaelli, valente proto della stamperia del Fabroni - di cui il cardinale omaggia letterati e collezionisti incontrati sulla via del ritorno, e Bodoni tra questi. Fondati gl'interrogativi sul ruolo svolto sia dal cardinale (e sulle sue effettive competenze bibliografiche), sia dal Laire, il cui nome non compare nel frontespizio negli annali tipografici degli Aldi; l'Avviso editoriale, al contrario, invita «tutti gli amanti della storia letteraria» a segnalare correzioni e integrazioni a tal Cesare Burgassi di Firenze, probabilmente incaricato dallo stesso proprietario della tipografia di assistere il cardinale nell'iter della stampa che, riconoscente di averlo alleviato dalla «nojosa fatica», gli avrebbe richiesto di curare la seconda edizione de La Serie da introdurre con la vita della famiglia dei Manuzio. La riedizione, invece, appare già alla fine del 1790, stampata a spese di Pietro Bandolese, con le note, aggiunte e rettifiche dell'abate Morelli - «persona intelligente, a cui è piaciuto di restare anonima, e la quale ingenuamente dichiara, che altre correzioni e giunte restano ancora da farsi» - conoscendo successive riedizioni in virtù del successo decretato da collezionisti, librai e bibliografi.
Ma, contemporaneamente, si diffonde la voce del rovescio economico del cardinale, che si vede sopprimere le rendite ecclesiastiche dall'Assemblea Nazionale, con esultanza dei concorrenti, afflizione degli uomini di lettere, e sincero rammarico dei tanti negozianti per la "perdita" di un così danaroso cliente. Nel 1791, comunque, vede la luce l'Index librorum ad inventa typographia ad annunm 1500; Chronologicè dispositus cum notis historiam typographico-litterariam illustrantibus. Hunc disposuit Franc.-Xav. Laire, Seguano-Dolanus, variam per Europea Academiarum socius, Prima Pars, Senonis, Apud viduam et filium P. Harduini Tarbè, règis Typographos. L'opera, introdotta da un Avertissement préliminaire, oltre all'indice alfabetico degli autori, delle opere e degli stampatori, comprende anche un indice per materie e uno dei luoghi di stampa che non erano stati previsti nella fase preparatoria, illuminata dalle numerose lettere scambiate tra il bibliotecario in Francia e il cardinale ancora in Italia. A Guillame II Debure, uno dei più quotati librai di Parigi, si rivolge Loménie de Brienne per la cessione di una porzione dei suoi volumi e per la redazione del relativo catalogo da distribuire agli addetti ai lavori. La maggioranza degli esemplari, 619 pezzi ripartiti nelle cinque classi secondo il metodo tassonomico allora generalmente utilizzato, con un breve Supplement, riguardano edizioni del diciottesimo secolo, mentre si enumerano sporadici gli esemplari delle aldine, accortamente selezionati al fine di preservare l'integrità della raccolta di maggior valore bibliografico ed economico. Palese l'intento di realizzare un ricavo commisurato a fronteggiare le più impellenti necessità finanziarie cedendo solo la parte meno pregiata della biblioteca. I libri, in assenza di un unico acquirente, vengono venduti "a pezzi", dal 12 marzo al 21 aprile 1792, all'Hotel de Bullion a Parigi. La morte del cardinale segna l'irrimediabile dispersione del ricco patrimonio librario che aveva accumulato, anche grazie al viaggio italiano; mentre il Laire, scomparso pochi anni dopo, non potrà vedere l'uscita degli annali aldini di Antoine-Augustin Renouard che, pur avendo beneficiato del suo generoso e competente aiuto, non riterrà opportuno neanche citare il suo nome.

A corredo di questa storia bibliografica, Ruffini pubblica le lettere spedite al Laire, dal 10 marzo 1789 al 20 maggio 1791, da mittenti italiani. Il nutrito elenco - Ireneo Affò (Parma), Giuseppe Reggi (Roma), Carlo Scapin (Padova), Giuseppe Pace (Padova), Domenico Bardella (Vicenza), Jacopo Morelli (Venezia), Carlo Pace (Roma), Matteo Luigi Canonici (Venezia e Valdagno), Fortunato Mandelli (Venezia), Giovanni Roschi (Civitavecchia), Juan Andrés (Mantova), Luigi Serra (Napoli), Angelo Maria Bandini (Firenze) - attesta la vasta eco suscitata dal sistematico rastrellamento operato dai viaggiatori francesi. Lodevole, poi, la trascrizione della inedita Series Librorum (p. 101-136) con informazioni editoriali, notizie su autori e stampatori, e un indice dei nomi di autori, editori, tipografi o librai che figurano nelle registrazioni degli incunaboli redatte dal Laire (p. 137-144). Il volume si conclude con l'indice dei nomi e una puntuale bibliografia delle fonti documentarie consultate.
        Ruffini, con una scrittura piana e piacevole, ci restituisce l'intreccio di tenaci e complesse investigazioni che focalizzano non solo una pagina emblematica della storia della bibliografia, del commercio e del collezionismo librario, ma anche il suo riflesso nell'affollato scenario della Repubblica delle Lettere nel quale si muovono i suoi protagonisti. Un mondo erudito in cui, contraddittoriamente, si soprappongono sincere amicizie e franche collaborazioni, opportunistiche accondiscendenze e compiacenti complicità, come pure sorde gelosie e irriducibili rivalità: in fondo, una vivida icona degli intellettuali italiani al tramontare del secolo dei Lumi.

Vincenzo Trombetta
Università di Salerno


Mauro Guerrini. I principi internazionali di catalogazione (ICP): universo bibliografico e teoria catalografica all'inizio del 21. secolo; con Giuliano Genetasio; postfazione di Attilio Mauro Caproni. Milano: Editrice bibliografica, 2012. 343 p. (Bibliografia e biblioteconomia; 100). ISBN 978-88-7075-713-2. EUR 30,00.

Un altro tassello si aggiunge alla poliedrica produzione editoriale di Mauro Guerrini che, avvalendosi della competenza di Giuliano Genetasio, riprende il fil rouge degli studi catalografici proponendo un volume che si potrebbe considerare definitivo sui Principi internazionali di catalogazione.
Guerrini, protagonista in prima persona dei diversi incontri che hanno portato alla realizzazione dei Principi, offre alla comunità bibliotecaria italiana un testo ricco di informazioni e spunti interessanti per una riflessione sulle funzioni della catalogazione nel XXI secolo.
I Principi internazionali di catalogazione (ICP) ripercorrono la storia degli IFLA Meetings of Experts on an International Cataloguing Code (IME ICC) avvenuti fra il 2003 e il 2009, riallacciandosi alla Conferenza di Parigi del 1961 e ai Principi definiti in tale occasione.
Il volume, ideato da Mauro Guerrini che è stato coadiuvato da Giuliano Genetasio per la stesura iniziale e per la revisione del testo e delle traduzioni, presenta una miniera di dati relativi agli incontri, i gruppi di lavoro, le persone, le proposte che si sono succeduti fino al testo Statement of International Cataloguing Principles del 2009. Il lavoro, per una ricostruzione «storicamente e filologicamente» attendibile, si basa anche su «centinaia di email e decine di testi informali» a disposizione di Mauro Guerrini che, dal 2003 al 2009, ha partecipato ai lavori del Planning Committee incaricato della redazione del testo degli ICP. Quest'opera costituisce anche un tributo al lavoro svolto nell'IFLA, una ricostruzione che vuole ricordare, attraverso date e nomi dei presenti, una esperienza professionale e personale di incontri e di confronto.

Per ogni documento proposto viene svolta un'attenta analisi di comparazione, sia per i temi trattati, che nel merito delle scelte. Senza dare nulla per scontato, gli autori dedicano parte della riflessione anche ad argomenti ritenuti una imprescindibile base per la comprensione degli International Cataloguing Principles: alcuni esempi possono essere considerati i paragrafi dedicati a FRBR e al suo rapporto con ISBD e al Virtual International Authority File.
Gli ICP pubblicati nel 2009 sono la più recente tappa di un percorso iniziato nel 2001 a seguito dell'osservazione della russa Kasparova che ricordava alla Cataloguing Section il quarantennale della Conferenza di Parigi. La Cataloguing Section, insieme con la National Libraries Section e con la Deutsche Bibliothek, decise allora di organizzare un convegno per valutare la validità, a distanza di quattro decadi e in un mutato contesto catalografico, di quanto affermato a Parigi, al fine anche di avvicinare le tradizioni catalografiche in uso nei diversi paesi, anche in vista della creazione di un International Cataloguing Code (ICC). Caduta l'ipotesi della realizzazione di un ICC, rimane valida l'ipotesi di una revisione dei principi di catalogazione; un parziale lavoro in questo senso era stato avviato dagli studi di Barbara Tillett ed Elaine Svenonious, soprattutto per quanto riguarda le mutate funzioni del catalogo, inevitabilmente condizionate dall'evoluzione tecnologica avvenuta dalla fine degli anni Sessanta.

Il volume analizza i diversi incontri del gruppo di lavoro e i testi che sono stati elaborati fino al 2009. Per permettere al lettore di comprendere appieno le novità, il secondo capitolo del volume presenta i Principi di Parigi, commentandone la struttura e le scelte. Si tratta di una scelta particolarmente azzeccata, poiché in questo modo è più facile per il lettore avere in un unico volume tutta la documentazione relativa alla teorizzazione catalografica internazionale del XX e XXI secolo.
Dopo un salto più che quarantennale, nel 2003, la discussione del IME ICC viene riavviata a partire da un documento, i Principles for library catalogues and other bibliographic files (PLC), influenzato da FRBR e dalle potenzialità dei cataloghi online. La revisione di questo testo porterà al primo ICP, quello del 2003.
Prima del testo finale del 2009, oggi pubblicato in numerose lingue, il cui elenco è costantemente aggiornato nel sito web dell'IFLA, le attività del gruppo di esperti hanno prodotto un glossario (2004) e un documento Recommendations from the IME ICC2 for the International Cataloguing Code Rules and Glossary. Quest'ultimo «confuso ed eterogeneo nei contenuti» avrebbe dovuto raccogliere i suggerimenti di carattere normativo rinvenuti durante le discussioni e costituirsi come la base per un codice internazionale di catalogazione.
Gli ultimi due capitoli sono dedicati alla versione del 2009 dello Statement e alle prospettive future, con l'ammissione, che potrebbe sembrare un controsenso, della storicità dei principi, legati alle esigenze di un'utenza in mutamento. Il medesimo tema percorre la postfazione di Attilio Mauro Caproni: citando Diego Maltese, «il catalogo è legato [...] al mutare delle esigenze di chi lo usa», i Principi, afferma Caproni, hanno un eminente valore strumentale.

Lucia Sardo
Biblioteche Fondazione Giorgio Cini