Biblioteche giuridiche in evoluzione
tra nuovi modelli e tradizione

di Sonia Cavirani

Nel novembre del 2008 Richard A. Danner, S. Blair Kauffmann e John G. Palfrey si incontravano nella Law Library della Duke University per discutere pubblicamente di come sarebbe divenuta la Biblioteca giuridica del 21° secolo; l'occasione era stata data dal restauro e dall'ampliamento degli spazi della biblioteca stessa ed i protagonisti venivano dalle Università di Yale e di Harvard, realtà sempre molto attente alle proprie strutture bibliotecarie e consapevoli della loro importanza nell'economia dell'educazione e del ruolo guida assunto nel corso degli anni1.
Dalla discussione a più voci sviluppatasi in questo evento, che ha avuto larga eco nel mondo universitario di oltreoceano, emergono già in forma organica e compiuta gli elementi che costituiscono la sostanza del dibattito contemporaneo e che possono essere utili ad iniziare una riflessione comune a tutte le realtà bibliotecarie simili: tra tutti si evidenziano il peso determinato dai costi salienti delle risorse elettroniche, la crescente disaffezione degli studenti all'utilizzo del materiale cartaceo, la necessità di maggior sviluppo dell'Open Access, l'utilizzo degli spazi in un contesto di nuove tecnologie, l'importanza dell'information literacy e la capacità di selezione delle fonti e, non ultimo per importanza, il rapporto fra bibliotecari e docenti. Tutto questo, e molto di più, ha una sua ulteriore declinazione se viene applicato alle biblioteche giuridiche, la cui natura sembra essere più complessa per le caratteristiche peculiari del materiale che possiede e per la sua tipologia particolare di utenti: considerazione condivisa totalmente dai colleghi americani citati, le riflessioni dei quali si vanno ad aggiungere a quelle di molti altri bibliotecari attivi in un mondo singolarmente produttivo nell'elaborazione critica e nell'analisi di positività e criticità della professione2.

È del tutto evidente che le risorse elettroniche si stanno sostituendo velocemente a quelle tradizionali, ma è molto probabile che la biblioteca giuridica del futuro sarà ibrida, poiché il formato cartaceo continuerà ad essere usato dagli utenti tradizionali in varie versioni: la stampa di materiali dalla versione on line per un uso pratico, la fotocopiatura di materiali non ancora digitalizzati, l'accesso a collezioni rare, poco conosciute e con un costo eccessivo per la trasformazione in altri formati. Usi che avvengono ogni giorno in qualsiasi biblioteca giuridica nel mondo, dove la consultazione delle fonti normative si incrocia con l'utilizzo di manuali, monografie e riviste non sempre disponibili in formato digitale. La sfida sta proprio nel progettare e realizzare piani di digitalizzazione che permettano l'accesso a tutti materiali, a partire da quelli più antichi e rari, anche per consentirne la preservazione: tutto questo ha un costo elevato, così come aumentano costantemente i costi delle risorse elettroniche commerciali, contrariamente a quanto si era ipotizzato e sperato all'inizio della rivoluzione informativa che ha coinvolto le nostre biblioteche. Non è tuttavia ragionevole pensare di potervi rinunciare, dato che ormai tutto nasce in versione digitale; sarà dunque fondamentale insistere sulla cooperazione e perfezionare le tecniche consortili di contrattazione con gli editori internazionali e nazionali tra cui, paradossalmente, questi ultimi sono i più restii ad accettare politiche diverse: da sempre infatti gli editori italiani di ambito giuridico stentano a riconoscere un mercato diverso da quello degli avvocati, ovviamente limitato e limitante, per cui offrono soluzioni digitali insufficienti ai bisogni degli utenti universitari, sia dal punto di vista prettamente tecnologico che da quello informativo3. Al contrario i grandi editori internazionali offrono vasti pacchetti informativi e sembrano accettare o quantomeno essere disponibili a discutere proposte contrattuali innovative, ma il tutto a prezzi sempre molto alti e difficili da sostenere in momenti di crisi diffusa e di revisione della spesa in risorse informative. Vi sono inoltre nuovi documenti digitali, sia pure grezzi e non organizzati in forme strutturate, ma gratuiti, che costituiscono materia viva per la ricerca giuridica e per la pratica forense, come blog tematici, files audio, registrazioni video di processi e di eventi, siti web, e-mail e messaggi twitter di giuristi eminenti: il tutto dovrebbe essere conservato e catalogato in una ideale biblioteca giuridica digitale che offra ai suoi utenti diverse chiavi di lettura e di interpretazione della giurisprudenza. Questo andrebbe sicuramente incontro ai bisogni degli studenti universitari, che tendenzialmente rifuggono dai materiali cartacei e preferiscono le risorse digitali, tra le quali riscuotono grande favore le risorse non strutturate e liberamente disponibili nella rete; tale consuetudine generazionale implica naturalmente che i bibliotecari riflettano seriamente su come organizzare opac, siti web, search engines, blog e quanto di altro si ritenga utile, in un contesto cambiato, ma non impermeabile a errori di interpretazione e sostanzialmente tendente alla superficialità informativa.

La tendenza all'utilizzo esteso di Internet come fonte privilegiata naturalmente non basta per garantire una preparazione finalizzata a sostenere gli esami universitari previsti dall'ordinamento degli studi giuridici, ma deve integrare con intelligenza i programmi ufficiali, che normalmente prevedono ponderosi manuali dedicati ad ogni branca del diritto, di cui vengono pubblicate ogni anno nuove e costose edizioni, spesso poco più che ristampe dotate di una nuova introduzione, ma che tuttavia devono essere acquistate dalle Biblioteche e messe a disposizione degli utenti. Alcune Università straniere hanno deciso di fornire ai propri studenti la versione on line di tutti i testi adottati nei corsi, affrontando le problematiche relative a diritto d'autore e copyright e superando le difficoltà di gestione dell'ormai antiquato processo di fotocopiatura, ancora così usuale nelle nostre realtà, ma pur sempre soggetto ad abusi: l'esperienza è stata seguita da pochi audaci anche in Italia, tra i quali ha particolare rilievo l'Università Bocconi con il suo progetto "Course Reader", ed ha permesso di testare le problematiche legate al riconoscimento degli utenti ed al loro accreditamento ai servizi, risolvendo anche la questione del prestito tradizionale e della necessità di molte copie cartacee dei documenti, fenomeno particolarmente presente nelle biblioteche giuridiche, dove i manuali costituiscono lo zoccolo duro delle collezioni ed i materiali cartacei continuano a giocare un ruolo importante. Questo però è un trend che tende a decrescere rapidamente perché è sempre più difficile e costoso alimentare quelle collezioni nazionali ed internazionali che costituivano il vanto di molte biblioteche giuridiche nel mondo, in particolare quelle nord-americane, che rispondevano al bisogno tutto politico di capire i meccanismi di governo dei paesi stranieri a partire dalle loro articolazioni costituzionali e legali. Ogni anno si pubblicano nel mondo da 40.000 a 50.000 libri giuridici, a quanto si legge nell'edizione 2010 dell'Annuario statistico dell'UNESCO, fenomeno dunque in espansione continua che rende impossibile concretizzare il vecchio sogno di ogni bibliotecario specializzato nel settore: creare la biblioteca perfetta, in cui sia possibile trovare materiali appartenenti a tutti i sistemi normativi presenti nel mondo. Questa impossibile missione rende diverso il mestiere del bibliotecario che lavora in una biblioteca giuridica, dovendosi infatti egli confrontare con alcune ragioni fondamentali: il diritto è essenzialmente nazionale, anche se sempre più sovrastato da quello comunitario, e si esprime nella lingua di riferimento; i formati delle risorse e la terminologia giuridica sono diversi in ogni ordinamento; non esistono regole uniche per la citazione delle norme e delle fonti; gli editori ed i librai specializzati in diritto differiscono da paese a paese e sfuggono spesso ad un mercato librario globalizzato. A tutto questo si aggiunge la complessità del diritto internazionale, che si occupa dei trattati fra i diversi paesi, e del diritto comparato, che mette a confronto i vari sistemi giuridici: in tale quadro il bibliotecario esperto deve scegliere e garantire l'accesso ai suoi utenti, che non saranno solo studenti e ricercatori, ma anche avvocati, funzionari, operatori del diritto a tutti i livelli. Sarà dunque necessario un bibliotecario che conosca le basi del diritto, sia pure in forma non approfondita, dovendo rispondere correttamente al suo ruolo di mediatore attraverso la conoscenza dei meccanismi che regolano il diritto nazionale ed internazionale e mediante la padronanza del linguaggio giuridico, in cui costituzioni, codici, leggi, dispositivi, commi, decreti, direttive, sentenze, regolamenti sono termini che devono far parte del suo patrimonio culturale, pena l'impossibilità di svolgere adeguatamente il proprio lavoro4.

La consapevolezza che il diritto appartiene a tutti e che un suo uso libero sia una risorsa democratica è uno dei fattori che sta spingendo verso l'accesso aperto, aggiungendosi alla necessità di contenere i costi crescenti dell'on line e alle innovazioni introdotte nell'erogazione della didattica. Nel contesto dinamico che sta interessando il fenomeno Open Access, sembra rimanere stabile in Italia una particolare diffidenza da parte delle discipline giuridiche, a causa di molteplici fattori ed atteggiamenti culturali: la letteratura giuridica è legata all'Accademia ed ha una circolazione condizionata dalle procedure concorsuali; pubblicare in riviste cartacee sembra dare maggior garanzia di qualità rispetto alla presunta volatilità del web; i giuristi italiani non utilizzano il meccanismo della peer review, anche se ora le cose stanno cambiando a causa dei nuovi meccanismi di valutazione introdotti dall'ANVUR, e non attribuiscono alle pubblicazioni on line e ad accesso aperto una dignità equivalente; non vi è in Italia una abitudine consolidata all'utilizzo gratuito delle fonti giuridiche; manca infine una valutazione corretta dei costi effettivi dell'informazione nel circuito produttivo che coinvolge ricercatori, istituzioni, editori, biblioteche. Il mercato editoriale italiano che si occupa di diritto vede pochi attori, impegnati soprattutto nella pubblicazione di monografie e riviste, ma anche nell'elettronico, offrendo infatti banche dati di grande respiro5, che comprendono legislazione italiana e comunitaria, giurisprudenza e dottrina: il tutto in un'offerta abbastanza simile, ma che chiaramente si presenta in una fase evolutiva soprattutto dal punto di vista dei contenuti6. Questa offerta ha sempre goduto di un grande successo commerciale negli ambienti giuridici, non essendo stato possibile accedere in modalità free a tutta la legislazione italiana vigente fino al recente completamento del progetto pubblico Normattiva, che è finalmente quasi giunto alla sua fase conclusiva, tendendo così a risolvere il problema del diritto all'informazione normativa gratuita come principio democratico. Non ancora risolto è invece il problema dell'accesso libero al portale Italgiureweb, comprendente banche dati di giurisprudenza, dottrina e legislazione della Corte di Cassazione accessibili gratuitamente solo per giudici e avvocati e a pagamento secondo fasce diverse per privati ed enti pubblici: risorsa estremamente utile per gli utenti delle biblioteche giuridiche e palestra per i bibliotecari di area, che devono destreggiarsi fra sentenze e dispositivi vari. Il contesto si è arricchito da qualche anno di una risorsa dichiaratamente no profit come Infoleges, supportato dalla maggior parte delle Università italiane e definibile come un progetto di ricerca scientifica avente come obiettivi dichiarati la pubblicazione gratuita di articoli, contributi e commenti dottrinali collegati ai documenti normativi e la digitalizzazione della normativa vigente nonché di collezioni di riviste giuridiche. Il ruolo di queste ultime è particolare, essendo spesso legate all'ambiente accademico e rappresentando il prodotto della ricerca giuridica italiana, dove è consuetudine la valutazione dei soli contributi pubblicati in forma cartacea7 e dove non si utilizza il meccanismo dell'impact factor, anche per la mancanza di titoli italiani nel repertorio ISI. Assenza determinata da vari fattori, tra cui non è secondaria l'assenza del meccanismo della peer review, ma gioca un ruolo importante la mancanza di indici e di abstract in lingua inglese, che con un sicuro valore aggiunto permetterebbero una importante circolazione internazionale. È fuor di dubbio tuttavia che, peculiarità cui si è già accennato, gli ordinamenti giuridici siano di per sé nazionali e diversi fra loro, per cui diventa molto difficile applicare meccanismi di verifica dei prodotti della ricerca utilizzando strumenti efficaci in campi scientifici che hanno diffusione e linguaggi internazionali e trasversali. Il sito DOAJ8 restituisce solo quattro titoli italiani classificati come Law Subject Titles e altre riviste sono disponibili gratuitamente in rete, ma non possiedono i necessari requisiti di controllo della qualità delle informazioni, confermando dunque l'assenza di rilevanti progetti Open Access cui i ricercatori del nostro paese possano fare riferimento con interesse e speranza di buoni esiti. Diverso è il mondo anglo-americano, dove sono presenti esperienze di rilievo: brilla per risultati e successo il portale SSRN-elibrary (Social Science Research Network), in cui pubblicano anche molti ricercatori italiani; il Durham Statement on Open Access to legal Scholarship promosso dalla Duke University si sta evolvendo attraverso nuove adesioni e critiche costruttive; l'Università di Harvard potenzia la sua attività di adesione alla filosofia dell'accesso aperto stilando le sue "Good practices for university Open-Access policies", sotto l'egida di Peter Suber, direttore dell'Harvard Open Access Project e grande sostenitore del movimento, che offre grande spazio alla sezione giuridica9. In questo contesto fluido e dinamico l'Università di Harvard ha avviato da poco una diversa politica degli acquisti: la biblioteca giuridica acquisterà in formato cartaceo solo le pubblicazioni della Harvard Law School non disponibili in formato elettronico diventando così anche l'Archivio deputato alla conservazione; le riviste giuridiche saranno acquistate solo in versione online e le eventuali riviste disponibili solo in formato cartaceo saranno acquisite ma conservate per un periodo non superiore a cinque anni. Ciò presuppone una costante politica di digitalizzazione delle collezioni e garantisce una gestione oculata dello spazio dedicato ai materiali cartacei. In questa ottica infatti il Durham Statement on Open Access to legal Scholarship invitava già nel 2008 tutte le Facoltà giuridiche degli Stati Uniti a pubblicare le loro riviste in formato elettronico, con l'impegno a garantire formati stabili e aperti. Il numero di tali riviste è piuttosto elevato, dato che tradizionalmente ogni Facoltà di Giurisprudenza pubblica un suo periodico, con una redazione composta da studenti, responsabili di tutto il processo editoriale, compresa la scelta degli articoli, che di solito sono il frutto della ricerca giuridica dell'Ateneo stesso. Questa è una prassi per noi inconsueta e risale alla seconda metà dell'800, quando una riforma degli studi universitari individuò tale innovazione come un mezzo fecondo e fruttuoso per una buona didattica del diritto e per una selezione degli studenti migliori e più motivati, che non avrebbero ricavato vantaggi oggettivi nella loro carriera di studi, ma sicuramente avrebbero imparato un metodo di lavoro fondamentale per il loro futuro. Molte di queste riviste acquistarono prestigio e autorevolezza anche oltreoceano10, ma a distanza di un secolo il bilancio economico è in perdita, per la riduzione dei budget delle Facoltà e per gli aumentati costi editoriali non abbastanza coperti dagli abbonamenti con relative royalties. Inevitabile dunque è il passaggio all'elettronico, come ormai accettato da tutti gli attori in gioco.

Il problema dello spazio non è affatto secondario anche nelle nostre istituzioni, che non abbondano affatto di quelle tanto amate sale studio sempre molto utilizzate dagli studenti nonostante abbiano la possibilità di accedere alle risorse bibliografiche da qualsiasi luogo mediante proxy o VPN; mancano poi in assoluto sezioni delle biblioteche dedicate allo studio di gruppo o alla discussione di casi ed esperienze processuali, che nel mondo giuridico assumono grande importanza e possono essere molto utili per una didattica innovativa e più stimolante11. Nella letteratura biblioteconomica anglosassone e americana oggi si discute molto degli spazi destinati agli utenti, in quanto sembrano essere poco utilizzati allo scopo di fare ricerca, ma sono ancora ambiti per lo studio individuale: questa è la spia della necessità di un ripensamento delle funzioni delle biblioteche e dei bibliotecari, che non può non coinvolgere anche il resto del mondo bibliotecario. Non meno assenti nella nostra tradizione, e tanto più in tempi di ristrettezze economiche, sono i depositi più o meno vicini dove poter collocare con criteri scientificamente corretti i materiali meno utilizzati, ma comunque degni di essere conservati: il tutto va a scapito dello spazio che potrebbe essere utilmente destinato a migliorare o aumentare i servizi agli utenti e che invece spesso è destinato a contenere scaffalature non sempre aperte al pubblico e contenenti vecchi codici non più vigenti, commentari ormai disponibili in versione digitale, repertori e raccolte di sentenze oggi pubblicate in toto nei database degli editori commerciali. La tradizione giuridica civilistica si basa storicamente sulla codificazione, ma ormai si sta contaminando con quella del Common Law, per cui l'utilizzo sempre più consueto della giurisprudenza precedente da parte dei giudici impone ancor di più una consultazione massiccia dei repertori di sentenze12: da qui deriva l'assoluta utilità di poter accedere a data base sostitutivi dei vecchi e vastissimi massimari e repertori storici, oggi difficili da usare velocemente e in qualche caso anche da capire in tutti i loro meandri, esperienza che era una vera palestra di ricerca e di information literacy dei bibliotecari appartenenti alle vecchie generazioni. Oggi i bibliotecari devono avere un ruolo importante nel processo della digitalizzazione e della conservazione dei materiali; il libro bianco Preserving legal materials in digital formats13 già nel 2005 individuava alcune criticità di cui tenere conto: l'obsolescenza delle attrezzature necessarie per l'archiviazione dei dati, l'invecchiamento dei software, i cambiamenti organizzativi che potrebbero spingere i produttori a cancellare dati ritenuti superati, la mancanza di attenzione al problema della conservazione. Sarà dunque competenza dei bibliotecari occuparsi di ciò, individuando anche l'utilizzo di linguaggi standard, come XML, e curando l'analisi delle problematiche legate alle azioni di searching e di linking per garantire il massimo dell'accessibilità. Nell'ambito universitario sarà strategica una collaborazione stretta tra bibliotecari e docenti per trovare le soluzioni più adatte, pur nella consapevolezza che la conservazione del digitale sia ancora tutta da testare in modo definitivo, ricordando che pur nelle difficoltà anche psicologiche e nella stratificazione di rapporti non risolti fra tecnici e ricercatori la collaborazione tra i diversi ruoli può essere un ottimo strumento. Arma vincente dei bibliotecari è l'information literacy e questo è tanto più vero per i bibliotecari giuridici, che da sempre hanno dovuto spiegare agli utenti, ad esempio, la differenza fra norma e sentenza o tra la giurisprudenza di origine romanistica e la jurisprudence di matrice anglosassone, affiancandosi con autorevolezza ai docenti, che tendono a considerare scontate alcune conoscenze di base. La positiva conseguenza è che tali bibliotecari hanno messo al centro del proprio ruolo la capacità di organizzare corsi d'istruzione e guide utili a tutti gli aspetti della ricerca giuridica e degli skills necessari per ottenere i migliori risultati. Vi sono alcune definizioni dell'information literacy nell'ambito giuridico ormai consolidate14, che si possono riassumere in almeno quattro punti:

  1. individuare le fonti giuridiche primarie e secondarie, con l'implicita conoscenza degli strumenti di information retrieval;
  2. valutare la rilevanza, l'applicabilità ed il valore dei materiali trovati;
  3. gestire l'informazione ordinandola e classificandola;
  4. usare l'informazione per formulare ragionamenti giuridico-politici.

Da queste definizioni di base l'American Association of Law Libraries ha preso l'avvio per un ulteriore sviluppo degli standard da adottare, segnalando alcuni esempi di competenze che devono essere potenziate negli utenti, quali la necessità di riconoscere l'autenticità delle fonti in Internet, la consapevolezza delle grandi differenze negli strumenti di ricerca e l'importanza di porre il giusto quesito nel giusto modo, capire cosa si sta cercando distinguendo fra digesti, enciclopedie, casi, opinioni, sentenze costituzionali. Da questa analisi approfondita sono derivati nel marzo del 2011 alcuni principi basilari che sono un primo passo verso standard ancora più specifici15. Il primo asserisce che un ricercatore di successo deve possedere le abilità fondamentali ed in particolare uno studente di diritto dovrebbe conoscere le complessità dei sistemi giuridici, dovrebbe sapere usare le fonti secondarie, dovrebbe avere consapevolezza dei costi della ricerca. Il secondo principio afferma che un buon ricercatore dovrebbe implementare strategie di ricerca efficaci ed efficienti ed in particolare uno studente di diritto deve saper scegliere risorse appropriate per ottenere l'informazione richiesta, deve saper validare i risultati della ricerca con adeguati prodotti e relative competenze ed infine deve saper documentare le strategie di ricerca adottate. Il terzo principio recita che un ricercatore di valore dovrebbe saper valutare criticamente l'informazione giuridica e quella non giuridica nonché le fonti di informazione; in particolare uno studente di diritto deve saper valutare la validità e la credibilità delle fonti informative, deve saper valutare criticamente l'informazione recuperata, deve infine saper sintetizzare i risultati della sua ricerca per costruire nuovi concetti applicabili alla risoluzione dei problemi posti. Il quarto principio sostiene che un buon ricercatore deve utilizzare l'informazione per l'effettiva risoluzione di un problema specifico o di una necessità ed in particolare gli studenti di diritto devono capire il contesto ove si trova la questione giuridica analizzata, devono saper modificare l'iniziale strategia di ricerca suggerita dai risultati iniziali, devono saper capire quando la ricerca sia giunta ad un punto sufficiente per giungere ad una conclusione, ed infine devono saper usare il risultato delle loro ricerche per formulare una propria analisi giuridica ed un elaborato sostenibile da un punto di vista dialettico e normativo. Il quinto principio infine prevede che un buon ricercatore sia abile nel distinguere tra uso etico ed uso non etico dell'informazione e capisca quali argomenti giuridici sono originati da ricerca, uso ed utilizzazione dell'informazione trovata: di conseguenza gli studenti di diritto dovrebbero conoscere l'etica dell'informazione e dovrebbero essere abili nell'articolare i fattori che determinano se l'uso dell'informazione sia etico, con l'aggiunta di dover applicare leggi, regolamenti e altre norme che controllano l'uso giuridico dell'informazione nell'attività pratica. Il tutto può essere applicato anche alla realtà italiana, ma questa articolata base teorica non esclude tuttavia che si possano commettere errori nella pratica quotidiana dei bibliotecari, che nella loro attività di information literacy avranno bisogno di punti fermi come corsi di istruzione, guide, test di verifica, strumenti di social networking e tutto quanto sia utile per aprire percorsi di apprendimento delle strategie di ricerca e della costruzione di prodotti finali. Le competenze necessarie per attuare obiettivi così impegnativi non sono semplici da conquistare e richiedono grande consapevolezza; fino a tempi recenti non si richiedeva infatti ai bibliotecari di avere la capacità di insegnare, essendo altro per tradizione il nocciolo duro della professione: curare e gestire le collezioni, catalogarle e metterle a disposizione degli utenti. Ora si richiedono anche quelle azioni che possano essere funzionali a sviluppare abilità nel trarre vantaggio dalle strategie di ricerca e per fare ciò sono necessarie adeguate conoscenze delle tecnologie più innovative e delle risorse del web 2.0, dalla frequenza delle app più utili fino all'uso di mash-up per rielaborare i materiali di lavoro, senza trascurare inoltre l'impatto profondo che possono avere i social network nella vita quotidiana degli studenti e degli utenti tutti della biblioteca.

In un contesto così fluido e cangiante, i bibliotecari accademici dovranno prendere l'iniziativa e usare le proprie competenze per influenzare le Facoltà e coinvolgere i docenti per un ottimale utilizzo delle strategie di ricerca e di informazione, con lo scopo principale di trasmettere agli studenti le migliori pratiche possibili. In questo i bibliotecari giuridici hanno sempre avuto un ruolo privilegiato, ma i cambiamenti continui della società, delle normative nazionali ed internazionali e dei contesti politici dimostrano che sarà sempre più importante lavorare con tutte le componenti di utenti, dagli studi legali agli studenti di giurisprudenza, dai colleghi delle altre biblioteche ai docenti tutti, collaborando così al possibile uso corretto della conoscenza giuridica e consolidando una credibilità professionale conquistata sul campo e tuttavia fragile se non sostenuta da una potente capacità di miglioramento.

NOTE

Ultima consultazione siti web: 6 giugno 2013.

[1] Richard A. Danner - S. Blair Kauffman - John G. Palfrey, The Twenty-First Century Law Library, «Law Library Journal», 101 (2009), n. 2, p. 143-156. Versione edita dell'incontro tenutosi il 6 novembre 2008 nella rinnovata J. Michael Goodson Law Library della Duke University. I temi sono stati trattati di recente anche da David Attis nel suo documento Redefining the Academic Library: managing the migration to digital information services, consultabile alla pagina digitalcommons.mcmaster.ca/lookingforward

[2] Sono presenti in molti paesi organizzazioni professionali di bibliotecari giuridici, particolarmente nel mondo anglosassone e americano, dove le prime biblioteche pubbliche si formarono intorno a nuclei di letteratura legale. Negli Stati Uniti è attiva la American Association of Law Libraries, che raccoglie migliaia di bibliotecari e pubblica alcune riviste di grande prestigio, tra cui si ricordano «Law Library Journal», «AALL Spectrum», «Index to Foreign Legal Periodicals».

[3] Il mercato internazionale è dominato da grandi aggregatori di contenuti come Lexis-Nexis, WestLaw, Jstor, HeinOnline che offrono materiali giuridici di varia natura, ma soprattutto collezioni di riviste; in Italia Utet, Cedam e Giuffrè sono gli editori più rappresentativi della letteratura giuridica nazionale, e stanno cercando di allinearsi alle esigenze degli utenti, ma per il momento offrono soluzioni di accesso on line complicate e poco amichevoli. La recente piattaforma Ius Explorer di Giuffrè permette di effettuare ricerche integrate su tutti i contenuti online della casa editrice e quindi costituisce un significativo progresso rispetto alle versioni precedenti.

[4] In Italia non è richiesta una specializzazione in diritto per chi opera in una biblioteca giuridica e fino a tempi recenti non erano necessari titoli accademici specifici per essere bibliotecari, problematica sempre molto dibattuta e oggetto di varie valutazioni; nel mondo del Common Law sono invece necessari una laurea in Library Science e una successiva specializzazione giuridica, che permettono di assumere ruoli superiori a quello di assistente bibliotecario.

[5] Tra i prodotti più importanti si ricordano DeJure di Giuffrè, Pluris di Cedam/Utet, Leggi d'Italia/Studio legale di Wolters Kluwer.

[6] Da qualche tempo sono disponibili a testo pieno nei rispettivi portali delle Case editrici citate le riviste pubblicate fino al numero corrente; non è possibile tuttavia utilizzarle attraverso sistemi di link resolving e questo limite diminuisce l'efficacia delle biblioteche giuridiche.

[7] Il pregiudizio vale soprattutto per le pubblicazioni che hanno solo un formato digitale, mancando apparentemente dei requisiti che rendono tipici i prodotti giuridici.

[8] DOAJ http://www.doaj.org è la più importante directory di periodici scientifici Open Access ed ha come obiettivo la crescita della visibilità, dell'uso e dell'impatto delle riviste ad accesso aperto; le riviste giuridiche di area italiana sono: «Italian Labour Law e-journal», «Bocconi Student-Edited Legal Papers», «Rivista di diritto dell'economia, dei trasporti e dell'ambiente», «Diritto penale contemporaneo», «Stato, Chiese e pluralismo confessionale».

[9] Nel suo ultimo importante intervento divulgativo, Peter Suber spiega cosa l'Open Access sia e cosa non sia, come esso porti benefici agli autori e ai lettori, come risolva i problemi di copyright, come sia partito dalla periferia della ricerca fino ad arrivarne al cuore, ed infine quale futuro sia alle porte. L'intervento è consultabile alla pagina web cyber.law.harvard.edu/interactive/events/2012/09/suber ed include domande e risposte di altri esponenti dell'Università di Harvard: Stuart Shieber (School of Engineering and Applied Sciences), Robert Darnton (Harvard University Library), June Casey (Harvard Law School Library), David Weinberger (Berkman Center/Harvard Library Innovation Lab.).

[10] Tra le più importanti si ricordano la «Harvard Law Review», la «California Law Review», la «Albany Law School-Journal».

[11] Le procedure europee di valutazione e accreditamento di Facoltà ad accesso controllato prevedono che le Biblioteche rispettino determinati parametri nelle dotazioni e nei servizi, tra cui risalta la presenza o meno di spazi dedicati allo studio di gruppo. In particolare si vedano le prescrizioni indicate dall'European Association of Establishments for Veterinary Education (EAEVE). Per quanto riguarda una didattica innovativa, la LIUC (Università Cattaneo di Castellanza) ha deciso "di creare uno spazio allestito come un'aula di tribunale per consentire agli studenti di Giurisprudenza di mettersi alla prova con simulazioni di processi in una cornice realistica, grazie anche alla presenza, accanto a docenti, assistenti e tutor, di alcuni magistrati" (vedi supplemento «Affari e Finanza» de «la Repubblica», 10 giugno 2013, n. 21, p. 40).

[12] Nel Common Law si utilizza comunemente il termine "precedent"; il Black's Law Dictionary definisce il "precedent" come una norma giuridica stabilita per la prima volta da una Corte di Giustizia per un caso particolare e punto di riferimento per decisioni in casi simili, secondo la regola dello "stare decisis". Nei paesi con tradizione civilistica le Corti utilizzano in primis la codificazione scritta per decidere in ambito processuale, ma sta entrando sempre più in uso il ricorso a sentenze precedenti, di cui i giuristi italiani utilizzano in particolare le massime, notoriamente stilate da un apposito ufficio della Corte di Cassazione; dal punto di vista delle fonti bibliografiche i giuristi italiani hanno avuto a disposizione sin dall'Unità d'Italia il Repertorio di giurisprudenza civile, commerciale, penale ed amministrativa, edito dalla Unione Tipografica Editrice di Torino, poi UTET, e pubblicato annualmente fino ai giorni nostri con il titolo Repertorio della giurisprudenza italiana.

[13] Il libro bianco è disponibile alla pagina web: http://www.aallnet.org/lipa/LIPA_White_ Paper_Final.pdf.

[14] Si vedano le AALL Guidelines for Graduate Programs in Law Librarianship del 1988, disponibili alla pagina web: http://www.aallnet.org/Archived/Advocacy/AALL-Recommended-Guidelines/graduate -guidelines.html.

[15] Il set di principi approvati dal board dell'AALL è conosciuto come "Law Students Research Competency and Information Literacy Principles". Dennis Kim-Prieto, della Rutgers Law Library, in un suo articolo commenta i Principi, sostenendo che l'educazione alla ricerca legale è stata lenta nell'adottare l'Information Literacy come strumento nonostante la sua comprovata utilità all'interno delle biblioteche e cita i Principi come modello da adottare. Si veda l'articolo The road not yet taken: how Law Student Information Literacy Standards address identified issues in Legal Research Education and Training, in «Law Library Journal», 103 (2011), n. 4, p. 605-630.