Storia e attualità del diritto d'autore

di Sebastiano Miccoli

La legge sul diritto d'autore attualmente vigente in Italia è la legge 22 aprile 1941, n. 633. I passaggi principali del suo articolato, le indicazioni in materia di fotocopie (reprografia), diritto di prestito, oggetto e durata dei diritti dell'autore, così come la lunga serie di modifiche che nel corso dell'ultimo cinquantennio ne hanno adeguato il dettato al mutato contesto tecnologico (dalla televisione a Internet) ed economico-politico (dalla Comunità europea alla globalizzazione), tanto che ora la sua struttura è costellata di articoli bis, ter, quater e a seguire1, sono dati sufficientemente noti alla comunità professionale dei bibliotecari. Meno conosciuti, tuttavia, sono la complessa vicenda storica, a volte costellata di eventi persino rocamboleschi, e il plurisecolare dibattito teorico sottintesi ai suoi principi ispiratori e incarnati dal legislatore italiano nelle sue prescrizioni con quello che infine risulta essere stato un abile esercizio di sintesi.
Cosa si debba intendere per "autore", quali requisiti debba avere "un'opera" per godere della protezione della legge, per quali motivi sia necessario conservare i diritti d'autore anche dopo la morte dell'autore stesso, perché per un certa durata e non per un'altra, come debba essere quindi pensata la sua "proprietà" sull'opera, quali siano infine (se ce ne sono) i diritti del "pubblico", del lettore, in questo scenario, sono queste tutte realtà giuridiche che permeano quotidianamente l'attività delle biblioteche ma a proposito delle quali non sembra ancora sviluppata una sufficiente consapevolezza teorica in ambito professionale, con il risultato che, ferma restando la necessità di applicare la norma (azione per altro nient'affatto semplice, vista la selva di decreti e circolari), ci si trova sospesi tra un'accettazione acritica delle sue indicazioni e un rifiuto in blocco delle sue motivazioni, spesso sostenuto da una confusione ideologica tra ciò che è possibile e ciò che è lecito fare.
Del resto, il riconoscimento della complessità di questi problemi risale molto in là nel tempo, se è vero che già Seneca si interrogava sui confini e le caratteristiche della proprietà di un libro: «per una stessa cosa ci sono due padroni. Come? Perché uno ha la proprietà di quella cosa, l'altro l'uso. Diciamo "i libri di Cicerone"; quegli stessi libri il libraio Doro li definisce suoi ed è vera sia l'una che l'altra affermazione: il primo se li attribuisce come autore, il secondo come compratore; e ben a ragione si dice che sono di tutti e due, perché effettivamente sono di tutti e due, ma in diverso modo. E così Tito Livio può ricevere o comprare dal libraio Doro i suoi propri libri»2. Nel campo dei prodotti della creatività umana, resta a tutt'oggi assai difficile stabilire i confini del mio e del tuo, applicare ai risultati del pensiero i canoni abituali del concetto di proprietà.
Il volume di Chiara De Vecchis e Paolo Traniello3 viene a fornire un valido strumento per colmare questa che in fondo è una lacuna culturale nel mondo delle biblioteche, dove troppo spesso si è costretti a ricorrere a fonti di informazione di stampo esclusivamente giuridico. Le due parti in cui è articolato, la prima curata da Paolo Traniello, dedicata a La prospettiva storica, e la seconda, curata da Chiara De Vecchis e dedicata alla trattazione de Le prospettive della contemporaneità, forniscono un quadro esaustivo della storia del diritto d'autore fino al più recente profilarsi di modelli alternativi di tutela della proprietà intellettuale e ai movimenti per l'accesso aperto, con uno stile piano e un periodare chiaramente articolato che fanno del libro un ottimo manuale di riferimento per chi voglia impadronirsi dei concetti chiave della disciplina.

La vicenda prende avvio con l'invenzione della stampa, anche se in una forma del tutto embrionale4. Già a partire dalla seconda metà del XV secolo, infatti, a fronte delle possibilità offerte dalla nuova tecnica inizia a porsi il problema di identificare, remunerare e garantire da possibili abusi i titolari del diritto di riprodurre e porre in commercio opere scritte. Lo strumento inizialmente adottato fu quello più consono all'assetto politico e produttivo dell'epoca: gli stampatori e gli autori potevano vedere tutelati i propri investimenti in denaro e in energia creativa tramite un "privilegio", di stampa concesso dal sovrano. Tale concessione rispondeva per altro a una necessità di controllo dell'attività editoriale da parte del potere politico ed ecclesiastico. Accanto a questa forma di autorizzazione, le corporazioni degli stampatori e dei librai sempre per il fine di tutela da eventuali abusi e protezione dei forti investimenti sostenuti per la stampa, introdussero progressivamente lo strumento del "registro" delle opere: in Inghilterra, per esempio, soltanto le edizioni iscritte nel registro conservato a Stationers' Hall5 a nome di un certo stampatore potevano considerarsi legittime. Per una sorta di implicita estensione, delle edizioni così autorizzate e formalmente registrate lo stampatore poteva considerarsi proprietario, anche se (nelle prime pagine del volume Traniello è particolarmente attento a sottolinearlo) ancora non è possibile definire questo diritto esclusivo una vera e propria proprietà sull'opera né, tanto meno, riconoscerne una sua titolarità essenziale in capo all'autore.
La svolta verso un sistema più moderno e verso la definizione del concetto di "proprietà letteraria" all'interno del più vasto campo della proprietà intellettuale avviene nell'Inghilterra del '700, «con l'Act promulgato nel 1710 dalla Regina Anna, comunemente noto come legge sul copyright»6. Con questo documento la Corona britannica cercava di porre fine a vari decenni di controversie legali tra stampatori, librai e autori, vicende che per altro si erano strettamente intrecciate con gli eventi drammatici della guerra civile inglese e della Gloriosa rivoluzione del 1688 nell'ambito dei quali era spesso risultato cruciale il ruolo degli editori nella formazione di una pubblica opinione.
Il Copyright act attribuiva per quattordici anni all'autore e ai legittimi possessori di un documento che non fosse stato prima ceduto ad altri il diritto di farlo stampare; assieme a questa attribuzione, sanciva ulteriormente che chi avesse detenuto già prima dell'entrata in vigore dell'Atto una forma di proprietà sull'opera, poteva goderne per i ventuno anni successivi. All'autore ancora in vita al termine del primo lasso di quattordici anni ne spettavano altrettanti per godere i frutti della sua opera. Al di là delle soluzioni tecniche adottate che per altro di lì a poco dimostrarono in maniera eclatante la loro labilità, lo Statuto della Regina Anna contribuì a far tramontare l'idea che la proprietà sull'opera fosse analoga alla titolarità di un "diritto naturale" dell'autore su di essa e contribuì a fondare nell'Europa moderna il concetto di proprietà letteraria come un bene definito dal diritto positivo, funzionale allo sfruttamento economico del lavoro intellettuale in un'economia di mercato. Non furono tuttavia di questo avviso i librai e gli stampatori londinesi che nel 1731, allo scadere della tutela garantita dall'Act, rivendicarono con spirito monopolistico il possesso perpetuo sulle opere registrate a loro nome sullo Stationers' Register, dando luogo a una lunga contesa giuridica contro i librai e stampatori scozzesi, viceversa sostenitori della libertà di ristampare le opere ormai fuori dalla tutela del copyright. La causa Donaldson vs Becket, conclusasi soltanto nel 1774 con la vittoria dell'editore scozzese7, ribadì l'inesistenza della proprietà letteraria come un diritto naturale, il carattere "artificiale" della protezione accordata dal copyright e di conseguenza «il carattere illegale del diritto di stampa illimitato stabilito per via contrattuale»8.

La soluzione di queste vicende giudiziarie in senso favorevole a un sistema liberale e a una economia di mercato sollecitò fortemente lo sviluppo di un regime di concorrenza nell'ambito dell'editoria britannica, che vide presto il sorgere di numerose imprese. Non si può non concordare con Traniello quando collega strettamente la nascita della proprietà letteraria e del conseguente diritto d'autore su di essa alla nascita di un'industria editoriale, tanto che la prima non potrebbe darsi senza la seconda. Si deve convenire con questa sua posizione interpretativa soprattutto quando riassume i fattori che tra la fine del Settecento e la metà del secolo successivo favorirono l'affermarsi del libro come bene di largo consumo e della figura dell'autore come professione autonoma all'interno di questo contesto: innanzitutto, «la politica dei prezzi che gli editori sapranno praticare, anche individuando i formati e la presentazione esteriore dei volumi più adatti ai vari ceti sociali»; e poi, l'organizzazione di un «circuito di vendite capillare», un «uso accorto delle recensioni», l'utilizzo di «strumenti di pubblicità» e il «ricorso al mercato finanziario» per sostenere l'impresa editoriale9. A ben vedere, senza questi fattori strutturali appare difficile ancora oggi parlare di qualcosa come la proprietà letteraria o di un diritto d'autore in qualche modo tutelabile. Da questo punto di vista, la periodizzazione della storia del diritto d'autore suggerita dal sottotitolo del volume appare ampiamente giustificata.
La questione della proprietà del pensiero, tuttavia, non poteva essere risolta interamente nel binomio industria editoriale nascente-proprietà letteraria: soluzioni e strumenti di appropriazione dei prodotti della creatività umana entrarono ben presto fatalmente in conflitto con i diritti fondamentali di libertà di pensiero, parola e discussione che si fecero largo tra i ceti intellettuali (il pubblico dei lettori, fondamentalmente) nella seconda metà del secolo: la questione della contraddizione tra «proprietà privata dell'autore sull'opera del suo ingegno e il diritto di tutti al libero accesso alla conoscenza anche se già proposta e sviluppata da altri»10 si pose con la massima evidenza nella riflessione dell'Illuminismo, con domande che non si fatica a riconoscere tuttora attuali. Di che tipo è la proprietà dell'autore sulla propria opera? Quanto può essere considerata analoga alla proprietà su un bene materiale e quanto, di conseguenza, può essere considerata trasmissibile ad altri? In che senso può essere alienata in favore di un editore, considerato che l'attività creativa del pensiero è il bene più personale dell'individuo? Che diritto ha la società, il pubblico dei lettori, di limitarla in qualche modo, facendo propri i contenuti dell'opera per ampliarli, trasformarli o contraddirli?
Il volume ripercorre qui l'articolato dibattito culturale che impegnò tra la fine del Settecento e i primi dell'Ottocento i più importanti intellettuali europei, da Diderot a Fichte, nella risoluzione dei problemi legati alla legittimità delle imprese editoriali. Dalle loro riflessioni nacquero i riferimenti teorici necessari all'intero apparato culturale e normativo contemporaneo sul diritto d'autore.
A Parigi, nella seconda metà del secolo, si pone per esempio il problema di chiarire definitivamente i rapporti tra privilegi di stampa, spesso detenuti in forma monopolistica da pochi editori e librai, e proprietà letteraria, che molte voci autorevoli dichiaravano appannaggio esclusivo dell'autore, il solo a poterla cedere a terzi. L'incarico di redigere un testo chiarificatore venne affidato a Diderot che nella sua Lettre sur le commerce de la librairie del 176311, pur non escludendo la permanenza di un regime di privilegi, esprime una «difesa sostanziale della proprietà piena, esclusiva e perpetua dell'autore sulla propria opera», contribuendo a «fondare la figura dell'autore nell'Europa moderna continentale»12. Dal canto suo, nei Fragments sur la liberté de la presse del 177613, Condorcet precisa che la proprietà di un qualunque bene materiale non è analoga alla proprietà di un autore sull'opera: «mentre la prima deriva direttamente dall'ordine naturale ed è difesa come tale dall'apparato sociale, la seconda è fondata dalla stessa società e non può di conseguenza costituire un diritto ma un semplice privilegio»14. Un privilegio a questo punto non più concesso dal sovrano ma condiviso dall'autore con il suo pubblico: con Condorcet e con la successiva legislazione rivoluzionaria francese sul diritto d'autore in buona parte da lui ispirata fanno il loro ingresso sulla scena gli interessi, le prerogative dei lettori sull'opera letteraria.
In ambito tedesco, restano fondamentali le posizioni espresse da Kant e da Ficht­e in due scritti dedicati alla dimostrazione dell'illegittimità dell'editoria pirata15. Il volume sintetizza molto efficacemente le complesse argomentazioni dei due filosofi, mettendo in evidenza come da esse emergano altri fondamentali concetti per la composizione del quadro del diritto d'autore. In Kant troviamo, per esempio, le basi per la definizione di quello che sarà detto "diritto morale dell'autore". Per lui la figura dell'autore viene «ormai chiaramente delineata su un terreno giuridico ben distinto da quello dell'editore, viene considerata in una prospettiva che va oltre l'affermazione di una proprietà sull'opera per porsi invece sul terreno della comunicazione. […] L'autore in quanto tale si definisce, di conseguenza, in primo luogo in funzione del pubblico a cui rivolge il proprio discorso e solo in maniera mediata in relazione all'editore»16.
Il primo e inalienabile diritto che l'autore possiede sulla propria opera è quindi quello di farne partecipe il pubblico dei lettori, di esercitare nei confronti di questo pubblico il proprio "diritto di parola"17. Traniello spiega molto chiaramente che da ciò «consegue che il dominio dell'autore sulla propria opera, appartenendo alla sfera della sua personalità, resta invariato anche se per avventura l'opera non venga data alle stampe. […] Possiamo trovare qui la fonte del cosiddetto "diritto morale d'autore" noto alla legislazione contemporanea» (p. 51).
Fichte, dal canto suo, pone l'accento sulla inappropriabilità della "forma" in cui sono espressi i pensieri, trovando in essa il fondamento di quella proprietà che deve essere tutelata dal diritto d'autore. Su questa convinzione fonda poi il rapporto con l'editore, che non può essere se non la concessione di un "usufrutto" sulla proprietà esclusiva dell'autore. Dice Fichte: «il contenuto […] cessa con la pubblicazione del libro ovviamente di essere proprietà del suo primo padrone […] e diventa una proprietà comune a molti. Ciò che però nessuno può far proprio, essendo fisicamente impossibile, è la forma di questi pensieri, la connessione di idee e segni con i quali esse sono state esposte» (Dimostrazione dell'illegittimità dell'editoria pirata)18. Corollario della posizione fichtiana è un altro tassello fondamentale del diritto d'autore: posto che il contenuto può (e forse deve) essere condiviso, al fine di una possibile tutela dell'opera e, soprattutto, al fine dell'individuazione del detentore della proprietà letteraria di quell'opera, ossia del suo autore, rileva principalmente l'"originalità" della sua forma espressiva. Emergono qui questioni che a noi sembrano ormai consuete ma che al tempo attendevano ancora una codifica chiara, come quelle relative al plagio ma anche al diritto di citazione, ai suoi limiti e alle sue convenzioni.
Una costante accompagna le conclusioni di Kant e di Fichte, un fattore destinato ad assumere crescente importanza nelle riflessioni innescate dalla rivoluzione francese, riattualizzate dal socialismo ottocentesco e infine riproposte dai contemporanei movimenti per l'accesso aperto e la riforma del copyright. Il tema è quello del "diritto del pubblico", inteso come una posizione etica o anche etico-giuridica che, pur non essendo formalmente sancita da un apparato normativo, emerge da un dato di fatto incontestabile, ben ricordato da Fichte: chi legge ha il diritto di appropriarsi delle idee contenute nello scritto, non fosse altro se non perché la lettura in se stessa è un atto di appropriazione, di assimilazione delle idee dell'autore nel proprio contesto interpretativo. Dice Fichte: «l'acquisto del libro deve darci anche un diritto: acquistiamo anche la possibilità di far nostri i pensieri dell'autore; per innalzare a realtà questa possibilità, tuttavia, occorre il nostro proprio lavoro»19.
Il capitolo terzo, dedicato a Editoria e proprietà intellettuale nell'Italia pre-unitaria, prosegue l'analisi spostando l'attenzione sulla situazione nostrana e parallelamente sviluppando il tema del ruolo dell'editoria nel secolo dell'affermazione del modo di produzione industriale. La legislazione degli Stati preunitari appare ampiamente frammentaria e improntata all'antico sistema dei privilegi, situazione che faceva sì che la tutela della produzione e circolazione delle opere scritte fosse limitata al singolo territorio coperto dal privilegio. La Convezione austro-sarda del 1840, che aveva tentato di porre rimedio a questa frammentazione e che fornirà il quadro normativo di riferimento per la successiva legislazione unitaria sul diritto d'autore, non riesce tuttavia a superare alcune ambiguità di fondo che la rendono sostanzialmente poco efficace.
In questa fase si definiscono in Italia gli attori principali di un più maturo sistema di comunicazione culturale: in primo luogo gli "editori", di cui le pagine centrali ripercorrono la storia pionieristica e spesso avventurosa, come quelle di Giuseppe Pomba a Torino o di Giovan Pietro Vieusseux, editore dell'«Antologia» e fondatore del noto Gabinetto scientifico-letterario nel 1820 a Firenze. In secondo luogo, gli "autori": Traniello è particolarmente attento a sottolineare come in questa prima metà dell'Ottocento la figura dell'autore vada sempre più chiaramente definendosi in stretta correlazione alla figura di un editore, quasi sempre supporto indispensabile per l'emancipazione dalle tutele del potere politico ancien régime. Questo apparentamento tra autore ed editore appare cruciale per la tesi interpretativa proposta dal volume: la figura dell'autore si definisce principalmente in funzione del suo rapporto con un editore, che lo sostiene economicamente col garantirgli un pubblico. Da questo punto di vista, appare chiaro come il tema del diritto d'autore non possa essere sviluppato se non in riferimento alla contestuale esistenza di diritti di sfruttamento economico della sua opera; persino il concetto di proprietà letteraria può apparire come un artificio retorico per indicare metaforicamente l'oggetto di un contratto di edizione, quel bene, quella titolarità di diritto che a ben vedere non hanno sussistenza propria al di fuori di questo rapporto contrattuale con un editore. La norma giuridica segue qui la realtà economica come una sorta di conseguenza sovrastrutturale: «La legislazione sul diritto d'autore presuppone insomma la nascita dell'industria editoriale che, come fatto sociale di rilevanza economica, precede la sua regolamentazione giuridica; conseguentemente, la storia dell'istituto giuridico non può che essere collocata nel quadro della storia editoriale»20.
Il terzo elemento del mercato culturale che si sviluppa in questo periodo in Italia è il "pubblico", il destinatario ultimo dell'attività creativa dell'autore e dell'attività produttiva dell'editore. Sul rapporto da intrattenere con il pubblico si interrogano i principali letterati italiani, da Foscolo a Leopardi, risolvendo la questione da punti di vista opposti (più attento l'uno a seguirne i gusti, più sensibile a un'ideale di letteratura elitario l'altro) che però non possono fare a meno di riconoscere l'emergere di un mercato della lettura anche in Italia, anche se con caratteristiche e numeri ancora molto lontani da quelli della reading nation britannica.
All'interno di questo mercato si sviluppano rapporti non sempre idilliaci tra autori ed editori: la lunga causa legale che vide opporsi Alessandro Manzoni e l'editore Le Monnier, accusato di aver pubblicato un'edizione non autorizzata dei Promessi sposi, non solo è emblematica di un contesto giuridico dai contorni ancora non sufficientemente definiti, ma per lo spessore delle argomentazioni messe in campo dalle parti rappresenta anche «una pagina di grande interesse nella storia culturale italiana, in particolare di quella relativa alla produzione libraria dell'Ottocento»21. Il volume ripercorre efficacemente la vicenda, avviata dalla decisione di Le Monnier di pubblicare senza l'autorizzazione dell'autore nel 1845 una riedizione dei Promessi sposi condotta sull'edizione di Passigli del 1832, in forza dell'art. 14 della Convenzione austro-sarda che prevedeva questa possibilità per le opere edite prima della sua entrata in vigore, nel 1840, di fatto considerandole ormai disponibili in pubblico dominio. La causa, che vide infine prevalere le ragioni di Manzoni, contribuì a precisare meglio i contorni dei concetti di proprietà letteraria, di pubblico dominio e di diritto morale dell'autore nella cultura giuridica italiana. Memorabile e opportunamente citata nel volume fu l'autodifesa sostenuta da Manzoni nella Lettera al signor professore Girolamo Boccardo intorno a una questione di così detta proprietà letteraria22, di cui credo necessario riportare almeno questa parte:

L'autore che dice: mi hanno ristampata una mia opera, dice una cosa non falsa in un senso; e è facile il trasportare quel mia a un senso di vera proprietà. Ma quanto di più ci vuole per fare di quell'opera una cosa di pubblico dominio! S'intende benissimo che appartengano al pubblico dominio, i fiumi, per esempio; e che gli possano appartenere, per una legge, i terreni lasciati incolti per un dato spazio di tempo. Sono gli uni e gli altri materia di proprietà; e non c'è nessuno che possa dire: gli ho fatti io. Ma, s'intende ben più difficilmente che chi ha fatta l'opera si trovi a fronte un rigoroso proprietario, cioè il Pubblico, che gli dica: quest'opera è mia. Padrone però anche voi, di ripubblicarla; non perché ne siete l'autore: questo non ci ha che fare; ma in quanto siete anche voi una parte di me, padrone universale23.

Pochi anni dopo, a unità d'Italia ormai raggiunta, viene emanata la prima legge organica sul diritto d'autore, la legge n. 2337/1865, preceduta da una nota relazione del senatore Scialoja. In essa, accanto al riconoscimento del diritto morale dell'autore sulla scorta della riflessione illuministica tedesca, viene posto l'accento sulla regolamentazione degli usi economici dell'opera, nella convinzione ormai ampiamente acquisita, che l'espressione del pensiero possa diffondersi e divenire patrimonio culturale di un'intera società soltanto attraverso la mediazione di un'attività industriale che faccia, della forma espressiva di quel pensiero, un manufatto da porre sul mercato. Vengono qui alla luce i cosiddetti "diritti esclusivi" dell'autore, consistenti nel diritto di pubblicare, riprodurre, distribuire e spacciare i prodotti del proprio lavoro. Si stabilisce anche la durata del diritto d'autore, che inizia dalla prima pubblicazione e dura tutta la vita dell'autore o, se questi muore prima di 40 anni dalla prima pubblicazione, passa ai suoi eredi fino a questo termine; trascorso questo periodo di legge, l'opera diviene di dominio pubblico, con il pagamento di una percentuale del 5% sulle vendite agli eredi (cosiddetto dominio pubblico "pagante"). Sempre in riferimento al contesto dell'utilizzazione economica, la legge non fa derivare il diritto dell'autore dalla semplice pubblicazione dell'opera, ma lo subordina all'espletamento di una serie di formalità: il deposito in Prefettura di tre copie e la dichiarazione esplicita della riserva dei diritti. Vengono stabiliti anche strumenti di tutela e sanzioni in caso di pubblicazione abusiva o di contraffazione. La legge viene poi estesa agli altri territori acquisiti dallo Stato dopo il 1865 e confluisce nel Testo unico di cui al r.d. n. 1012/1882.
Malgrado dall'inchiesta sulla produzione industriale italiana del 1872 emerga un quadro di sostanziale insoddisfazione degli editori italiani rispetto ai risultati della legge del 1865, la crescente attenzione posta dagli organi legislativi nazionali alla questione del diritto d'autore e della protezione delle attività editoriali, unitamente all'apertura di un mercato più ampio a seguito dell'unificazione e al progressivo utilizzo da parte degli editori di modalità capitalistiche nella gestione dell'attività imprenditoriale, favorirono nell'ultimo quarto del secolo un forte sviluppo dell'industria editoriale italiana. Ricordi, Sonzogno, Treves, Utet, Hoepli, Vallardi sono soltanto alcuni dei protagonisti di questo sviluppo, in un quadro che vide prevalere le attività nel settentrione d'Italia e che fu caratterizzato, come capita ancor oggi, dalla presenza di molte imprese spesso di modeste dimensioni.
L'avvento del fascismo, con l'accentuarsi delle pretese di controllo sulla produzione intellettuale24, mutò ben presto questo scenario, a favore della concentrazione delle attività di stampa nelle mani di pochi grandi editori. La nuova legge sul diritto d'autore, il r.d.l. 7 novembre 1925, n. 1950, resasi necessaria non solo per regolamentare la materia nel mutato contesto culturale e politico ma anche per adeguare l'apparato normativo italiano al sistema internazionale, introduce nuovi principi nell'ordinamento nazionale, essenziali alla costituzione di un quadro giuridico dalle fattezze compiute. Innanzitutto, viene riconosciuta la "natura dualistica" del diritto d'autore, «nel senso che nell'istituto convergono due posizioni soggettive, entrambe tutelabili, una di carattere patrimoniale […] l'altra consistente in diritti non disponibili (detti "morali")»25 che riguardano la personalità dell'autore, la paternità e l'integrità dell'opera. La legge del 1925 è tra le prime in Europa a riconoscere questo diritto morale dell'autore. Uno dei "successi" giuridici del regime fascista fu l'organizzazione di lì a poco, nel 1928, a Roma della Conferenza Diplomatica per l'aggiornamento della Convenzione di Berna all'interno della quale fu inserito tra l'altro proprio il riconoscimento del diritto morale dell'autore.
Per quanto riguarda i diritti patrimoniali, la legge stabilisce che oggetto del diritto d'autore è la protezione di «tutte le opere dell'ingegno, scientifiche, letterarie, artistiche e didattiche», specificando che «Sono considerate opere artistiche le opere drammatiche, musicali, cinematografiche, coreografiche e pantomimiche, le opere di pittura, scultura e architettura; i lavori d'arte grafici e plastici, i lavori d'arte applicata all'industria, i disegni, le fotografie, e i lavori eseguiti con procedimenti analoghi alla fotografia» (art. 1, c. 2). Non si fa esplicita menzione del requisito dell'"originalità", anche se esso può essere desunto dal contenuto degli altri articoli. Vengono protette anche le elaborazioni ulteriori dell'opera, come le traduzioni, e anche il titolo dell'opera stessa. La durata del diritto d'autore viene fissata a tutta la vita dell'autore e fino a cinquanta anni dopo la sua morte, a favore degli eredi. L'art. 58 regola il cosiddetto "deposito legale", non presso le biblioteche ma ancora presso altri uffici dello Stato come in questo caso l'ufficio della proprietà intellettuale presso il Ministero dell'economia nazionale. Infine, anche se ne fa cenno, il limite più evidente della legge secondo Traniello è quello di non aver provveduto alla definizione di un contratto di edizione tipico, con la conseguenza che i rapporti tra autore ed editore resteranno sbilanciati a favore di quest'ultimo.

L'affermazione del cinema e della radio, con il conseguente emergere di figure che a buon diritto potevano vantare pretese nei confronti delle opere adattate, interpretate, modificate e diffuse con il proprio lavoro intellettuale e, parallelamente, l'esigenza di inquadrare la materia nell'ormai affermato sistema corporativistico, resero rapidamente obsoleta la legge del 1925, tanto che già nel 1936 fu istituita una commissione di studio per la revisione della normativa sul diritto d'autore. Il lavoro di questa commissione fornì la base per la redazione del testo della nuova legge; si giunse così all'approvazione della l. 22 aprile 1941, n. 633, intitolata alla Protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio.
Tra le novità introdotte sono senza dubbio da ricordare l'affermazione del requisito della creatività dell'opera per l'acquisto della titolarità di un diritto di autore su di essa, l'ampliamento della tutela a una più vasta serie di opere e di figure, con la valorizzazione dei "diritti connessi" al diritto d'autore in senso stretto, la definizione della funzione degli enti intermediari per l'esercizio del diritto di autore, ovvero la SIAE, che nel 1927 era stata elevata a ente di diritto pubblico, e la creazione di organi amministrativi, come il Comitato consultivo permanente per il diritto di autore (Titolo VII), tuttora attivo come organo di consulenza del Ministro per i beni e le attività culturali26. Nei sette titoli della legge, articolati in capi e sezioni, vengono ribaditi i "diritti morali" o della personalità dell'autore (art. 20-24), inalienabili e indipendenti dai diritti di "utilizzazione economica" dell'opera che possono essere ceduti a terzi e consistenti nel diritto di «rivendicare la paternità dell'opera e di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione od altra modificazione dell'opera stessa, che possa essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione». Viene poi fissato il limite dei diritti di utilizzazione economica a cinquant'anni dopo la morte dell'autore (limite ora esteso a settanta anni), dopo i quali l'opera cade nel pubblico dominio. Di particolare interesse per le biblioteche è il Capo V del Titolo I, intitolato originariamente a Utilizzazioni libere e ora riformulato nel più restrittivo Eccezioni e limitazioni con la proliferazione dell'articolato fino all'art. 71-decies: qui vengono stabilite le norme per la riproduzione e comunicazione al pubblico di opere coperte dal diritto d'autore, sulla riproduzione per uso personale, sul diritto di prestito al pubblico27 eseguito dalle biblioteche e discoteche dello Stato e degli enti pubblici, sul diritto di riassunto, citazione o riproduzione di brani o parti dell'opera per scopi di critica e discussione.
Il Titolo II introduce il trattamento dei "diritti connessi" dei produttori di fonogrammi, dei diritti relativi alla trasmissione radiofonica, di quelli degli attori, interpreti e degli artisti esecutori, a testimonianza dell'ampliamento della serie dei soggetti degni di tutela e, se si vuole, della progressiva riduzione del ruolo principe dell'autore. Il Titolo III, al Capo II, si preoccupa di sopperire alla mancanza più evidente della legge del 1925 fissando le norme per la "trasmissione dei diritti di utilizzazione" economica dell'opera e dedicando una lunga serie di articoli, dall'art. 118 all'art.135, alla definizione del "contratto di edizione", per il quale quale vengono individuate le due tipologie del contratto "per edizione" e del contratto "a termine"28. Il Titolo III, al Capo III, contiene anche le norme per la "difesa del diritto d'autore": per le violazioni vengono stabilite severe sanzioni civili e penali per chi «riproduce, trascrive, recita in pubblico, diffonde, vende o mette in vendita o pone altrimenti in commercio un'opera altrui o ne rivela il contenuto prima che sia reso pubblico, o introduce e mette in circolazione nel regno esemplari prodotti all'estero contrariamente alla legge italiana», fino alla reclusione per un anno se i reati di cui sopra sono commessi in violazioni dei diritti morali dell'autore. I successivi titoli della legge si preoccupano di regolamentare il "diritto demaniale", gli enti pubblici a difesa del diritto d'autore (la SIAE), di fissare la sfera di applicazione della legge e il suo rapporto con le altre norme internazionali.
La legge italiana per molti aspetti porta il segno dell'intersecarsi delle principali tradizioni giuridiche europee in materia: «quella derivante dall'istituzione britannica del copyright; quella derivante dall'uso del privilegio nel quadro dell'assolutismo francese, con i correttivi dell'Illuminismo, fino alla Rivoluzione; quella sviluppata dal pensiero filosofico e poi dalla dottrina giuridica tedesca, che pone il diritto d'autore nell'ambito dei diritti della persona, legandolo alla facoltà stessa del comunicare» (p. 146). Malgrado i limiti legati al contesto politico del regime fascista e i frequenti richiami all'assetto corporativista delle professioni, che mettono in tensione nel testo elementi di diritto commerciale, di diritto industriale e di diritto del lavoro, la legge 633 fu un risultato molto apprezzabile dal punto di vista della definizione degli elementi di base del diritto d'autore. Secondo Chiara De Vecchis, il suo valore «consiste nell'aver precocemente individuato, pur entro il quadro storico di una legislazione sulla "proprietà letteraria" di matrice francese, i tratti distintivi di due diversi tipi di facoltà che da esso derivano: in primo luogo, quella volta a ottenere il riconoscimento dell'originale funzione creatrice dell'autore, che gli conferisce una posizione soggettiva - indisponibile e inalienabile - a far valere come sua, in ogni sede e prescindendo dagli aspetti economici, l'opera frutto del proprio ingegno; in secondo luogo, quella di avvalersi in esclusiva di diversi modi di utilizzazione economica attraverso la procedura preliminarmente necessaria della pubblicazione» (p. 146). Più che nelle soluzioni tecniche adottate, è da ravvisare nella robustezza di questo impianto teorico il motivo della longevità della legge 633.

La situazione geopolitica del Novecento, già a partire dalla fine del secolo precedente caratterizzata dall'accentuarsi delle relazioni giuridiche e commerciali tra gli Stati, lascia una traccia evidente nel dibattito e nella produzione normativa internazionale in tema di diritto d'autore. L'analisi condotta nel volume prosegue nella seconda parte, dedicata a Le prospettive della contemporaneità, con la descrizione del contesto internazionale in cui è ora obbligata a collocarsi ogni riflessione sul diritto d'autore, nella convinzione non secondaria che non si può «scindere la storia del diritto d'autore da quella, per certi aspetti parallela e per altri inclusiva, della storia della proprietà intellettuale»29. Convinzione non secondaria, soprattutto perché nelle questioni di proprietà intellettuale sono in gioco elementi di carattere economico, finanziario e commerciale dal peso preponderante, che possono spostare l'ago della bilancia della tutela della proprietà del pensiero sul lato della semplice difesa del profitto, a detrimento di ogni altra considerazione di carattere culturale o persino umanitario. Basti pensare qui alle contese che spesso oppongono governi di Paesi emergenti a multinazionali del farmaco o di sementi agricole geneticamente modificate.
In base a questa considerazione di contesto, viene illustrato il quadro internazionale delle norme sul diritto d'autore, a partire dalla Convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie e artistiche del 1886, che per la prima volta stabilisce un quadro normativo comune per la circolazione e la tutela della opere in paesi di differente tradizione giuridica, dalla Gran Bretagna all'Italia; proseguendo poi con la Convenzione universale sul diritto d'autore del 1952, con la quale si estendeva a tutti gli Stati contraenti il simbolo © in uso negli Stati Uniti, «a certificazione dell'adempimento delle formalità di registrazione dell'opera da tutelare»30; fino all'istituzione dell'Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale (OMPI-WIPO), dal 1974 agenzia specializzata dell'ONU, all'accordo TRIPs (Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights) stipulato a Marrakech nell'ambito dei più ampi accordi del GATT che nel 1994 portarono alla nascita della World Trade Organization, e al Wipo Copyright Treaty del 1996 che ribadisce e precisa i principi della Convenzione di Berna. I tratti distintivi di questa complessa serie di fonti normative possono essere riassunti in un triplice intento: in primo luogo, uniformare quanto più possibile il trattamento dei diritti di proprietà intellettuale nei vari paesi, al fine di rendere possibile un controllo globale di eventuali violazioni da parte di organismi internazionali, sovraordinati a quelli dei singoli Stati; in secondo luogo, sottoporre a un rinnovato apparato normativo le novità tecnologiche emergenti, che per molti aspetti rivoluzionano il modo di produrre, distribuire e anche piratare le opere dell'ingegno: in questo ambito, fanno la loro comparsa nella storia del diritto d'autore i dispositivi di protezione tecnologica delle opere, i ben noti sistemi di DRM, la filigrana digitale e l'UPC (Universal Product Code) utilizzato dall'industria discografica; in terzo luogo, definire un apparato sanzionatorio condiviso per le sempre frequenti violazioni dei diritti di proprietà intellettuale. In buona sostanza, si origina da qui quella che è stata chiamata la "deriva iperprotezionistica" del diritto d'autore, elemento che l'autrice di questa seconda parte non manca di rilevare: «tra le novità introdotte dal TRIPs si segnala significativamente il generale inasprimento delle misure repressive nei confronti della commercializzazione illecita di opere protette, per cui si accentua il ricorso al diritto penale, anche laddove le diverse tradizioni dei paesi in ambito OCSE prevedevano, contro questo tipo di violazioni, misure di natura civilistica»31. Da un certo punto di vista, se si pensa alla difficoltà di approvvigionamento di prodotti coperti da diritti di proprietà intellettuale nei paesi in via di sviluppo, in alcuni casi la situazione appare quella del divieto di sosta piazzato davanti all'unica farmacia del paese, con un regolamento di polizia urbana che preveda per i contravventori l'arresto al posto della semplice multa: con certe premesse, è quasi impossibile non incorrere in un illecito32.
La produzione dell'Unione Europea risulta nell'ultimo trentennio altrettanto intensa e articolata, a partire dal Libro verde Il diritto d'autore e le sfide tecnologiche del 1988, fino alla recente Comunicazione su Un'agenda digitale europea. A questo livello, molti ricorderanno la polemica suscitata dall'applicazione in Italia della Direttiva 92/100/CE, concernente il diritto di noleggio, il diritto di prestito e taluni diritti connessi al diritto di autore in materia di proprietà intellettuale. Dopo un lungo e accidentato percorso, culminato con la condanna dell'Italia da parte della Corte di Giustizia europea nell'ottobre del 2006, la legge 24 novembre 2006, n. 286 ha dovuto provvedere all'istituzione di un fondo per il diritto di prestito pubblico presso il Ministero per i beni e le attività culturali per la remunerazione dei prestiti effettuati presso le biblioteche pubbliche, con l'esclusione delle scolastiche e delle universitarie.
Altro snodo cruciale della trattazione è quello che affronta la trasformazione del diritto d'autore a seguito dell'introduzione delle nuove tecnologie. Oltre al progressivo sfumare dei contorni del concetto stesso di autore, a vantaggio dei numerosi altri attori sempre più presenti nella filiera culturale e all'emersione quindi dei diritti connessi di esecutori, distributori, produttori e interpreti, il volume mette in luce come il sistema tradizionale di protezione del diritto d'autore «abbia in effetti iniziato a vacillare sin dallo sviluppo delle telecomunicazioni, gradualmente acutizzandosi ad ogni innovazione (la radio, la televisione, le trasmissioni satellitari) fino a conflagrare nel fenomeno di internet»33. Se fino alla prima metà del XX secolo le fattezze della proprietà letteraria e del diritto d'autore volto a proteggerla erano state determinate prevalentemente dai fattori economici in gioco nel mercato dell'editoria industriale, ora dobbiamo riconoscere «il peso intrinseco delle novità tecnologiche sulle decisioni giuridiche»34, pur non essendo ovviamente svanite le determinanti economiche.
Questo mutamento radicale di scenario che De Vecchis collega al fenomeno della "convergenza" tecnologica e che, alla grossa, potremmo dire parallelo alla "quarta rivoluzione" nel mondo del libro, con l'emergere di figure inedite come quella dell'autorialità collettiva presente in rete, rende possibile o, secondo alcuni, obbligatorio, pensare a modelli alternativi al diritto d'autore, così come, d'altro canto, rende possibile o, secondo alcuni, obbligatorio progettare e mettere in opera sistemi di tutela su base non più solo giuridica ma, per l'appunto, tecnologica. Il panorama si apre qui sulle nuove forme di definizione dei diritti d'autore (il plurale diventa necessario), quali quelle promosse dalla Free Software Foundation di Richard Stallmann, con l'introduzione della licenza GNU-GPL per la distribuzione in modalità "libera" di numerosi programmi, o come quelle sostenute dal movimento per l'open source e attentamente codificate dalle licenze Creative Commons35. Dall'altro lato, il peso intrinseco delle novità tecnologiche si evidenza nella diffusione dei sistemi di protezione digitali sopra ricordati.

Il ruolo delle biblioteche in questo contesto di profondo mutamento appare destinato ad assumere un rilievo particolare e del tutto in linea con la fondamentale vocazione di mediazione culturale che esse da sempre assolvono. La prospettiva nella quale Traniello e De Vecchis collocano la questione è chiara e, c'è da aggiungere, del tutto condivisibile: «In quanto agenzie culturali che da sempre pongono in relazione le creazioni degli autori e il lavoro degli editori col destinatario comune ad entrambi, il pubblico dei lettori, le biblioteche si trovano in una posizione strategica per intercettare le esigenze di tutti gli attori di un processo comunicativo allargato come quello editoriale» (p. 215). Il ruolo che le biblioteche concretamente svolgono e in futuro sempre più saranno chiamate a svolgere è duplice: da una parte, la prosecuzione di attività tradizionali, come il supporto all'espletamento degli obblighi di deposito legale, tuttora fondamentali per la costituzione di un diritto d'autore sull'opera, o come la messa a disposizione del pubblico di opere coperte da diritti nell'ambito delle eccezioni e limitazioni del diritto d'autore (prestito, reprografia, ecc.); inoltre, anche se contrasta evidentemente i principi di gratuità e libera accessibilità dei prodotti culturali che esse incarnano, c'è da ricordare che le biblioteche forniscono un indispensabile supporto informativo alla SIAE per la riscossione dei diritti e quindi partecipano, seppure indirettamente, alla funzione esattoriale prevista dalle norme sul diritto d'autore. Altra funzione che le biblioteche svolgono sta nel fornire garanzia di tutela dei diritti d'autore in caso di eccezioni e limitazioni ai fini di accesso alle opere da parte di soggetti svantaggiati.
Da un altro punto di vista, accanto a questi ruoli tradizionali le biblioteche sono fortemente sollecitate ad assumerne di nuovi, non fosse per altro se non perché esse si trovano al centro di quella convergenza tecnologica sopra ricordata e sono in un certo senso costrette più di altre istituzioni culturali a individuare soluzioni ai problemi che si pongono in questa terra di frontiera. Così, nel breve lasso dell'ultimo decennio, le biblioteche accademiche e di ricerca hanno dovuto organizzarsi in consorzi per negoziare con gli editori i diritti d'accesso a opere in versione elettronica, cercando di contrastare gli effetti distorsivi del fenomeno delle concentrazioni editoriali e del Big deal in termini di libertà di fruizione delle opere dell'ingegno e ultimamente le biblioteche di pubblica lettura hanno dovuto affrontare addirittura il rifiuto da parte di alcuni editori di vendere loro i propri e-book proprio in base all'ingiustificabile certezza di una sicura violazione dei diritti d'autore all'interno delle loro reti36. In questo ambito, un altro ruolo fondamentale che le biblioteche sono chiamate a svolgere sta nell'istruzione agli utenti sulle ragioni e sui limiti del diritto d'autore, con un'adeguata informazione sia sul fair use dei contenuti protetti che sull'utilità dei modelli alternativi di ispirazione copyleft e open access. Inoltre, accanto al forzato ruolo di supporto "esattoriale", le biblioteche si trovano nella condizione migliore per monitorare gli effetti alle volte perversi dei nuovi sistemi tecnologici di protezione dei diritti che possono per esempio causare seri problemi in ordine alla privacy del lettore37. Infine, le biblioteche per il tramite delle loro associazioni possono esercitare una fondamentale azione di advocacy presso i decisori politici, anche di livello internazionale: tra gli ultimi atti di questa lunga e ancora non esaurita storia del diritto d'autore c'è la recente Proposta di trattato WIPO sulle eccezioni e limitazioni al diritto d'autore a favore di biblioteche e archivi presentata nel dicembre 2012 dall'AIB e da altre associazioni al governo italiano38. Segno inequivocabile della dinamicità di una materia che pur affondando le radici in un passato lontano non manca di essere un indicatore efficace delle rivoluzioni del tempo presente.


NOTE

Ultima consultazione siti web: 25 giugno 2013.

[1] Un ampio e dettagliato commento alla normativa italiana sul diritto d'autore, svolto a partire dall'analisi degli articoli 2575-2583 del Codice civile, dedicati alla materia, si trova in Alberto Musso, Del diritto di autore sulle opere dell'ingegno letterarie e artistiche, Bologna: Zanichelli, Roma: il Foro italiano, 2008.

[2] Lucius Annaeus Seneca, I benefici, VII, 6, testo latino, introduzione, versione e note di Salvatore Guglielmino, Bologna: Zanichelli, 1983, p. 433.

[3] Chiara De Vecchis - Paolo Traniello, La proprietà del pensiero. Il diritto d'autore dal Settecento a oggi, Roma: Carocci, 2012.

[4] Una periodizzazione della storia del diritto d'autore in quattro fasi, a cominciare dall'invenzione della stampa, è proposta da Michele Bertani, Diritto d'autore europeo, Torino: Giappichelli, 2011. Un utile riferimento per le fonti documentali è l'archivio digitale Primary sources on copyright (1450-1900), curato dall'Arts & humanities reserch council, disponibile all'URL http://copy.law.cam.ac.uk/cam/index.php.

[5] Per una ricostruzione delle origini e della funzione del registro si veda Adrian Johns, Pirateria: storia della proprietà intellettuale da Gutenberg a Google, Torino: Bollati Boringhieri, 2011, p. 31-32. La Stationers' Company, fondata nel 1403, è attiva ancora oggi: vedi http://www.stationers.org.

[6] Chiara De Vecchis - Paolo Traniello, La proprietà del pensiero cit, p. 18..

[7] Per una ricostruzione della vicenda, effettuata con avvincente tenore giornalistico, si veda Adrian Johns, Pirateria cit., p. 163-192.

[8] Chiara De Vecchis - Paolo Traniello, La proprietà del pensiero cit, p. 22.

[9] Ivi, p. 30-31.

[10] Ivi, p. 35..

[11] Il testo può essere letto su Gallica, all'URL http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k6443411c

[12] Chiara De Vecchis - Paolo Traniello, La proprietà del pensiero cit, p. 44.

[13] Testo disponibile su Gallica, all'URL http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k5804698z.

[14] Chiara De Vecchis - Paolo Traniello, La proprietà del pensiero cit, p. 49..

[15] Immanuel Kant - Johann Albert Heinrich Reimarus - Johann Gottlieb Fichte, L'autore e i suoi diritti: scritti polemici sulla proprietà intellettuale, a cura di Riccardo Pozzo, Milano: Biblioteca di via Senato, 2005.

[16] Chiara De Vecchis - Paolo Traniello, La proprietà del pensiero cit, p. 51.

[17] Per una lucida sintesi dell'argomentazione kantiana si veda Maria Chiara Pievatolo, L'argomento di Kant, in: Id., I padroni del discorso: Platone e la libertà della conoscenza, disponibile all'URL http://btfp.sp.unipi.it/ebooks/mcpla/index.html

[18] Citato da Traniello a p. 53 del volume in esame.

[19] Cit. ivi, p. 52.

[20] Chiara De Vecchis - Paolo Traniello, La proprietà del pensiero cit, p. 107.

[21] Ivi, p. 85.

[22] Il testo, databile intorno al 1860, è disponibile all'URL http://www.classicitaliani.it/manzoni/ boccardo.html

[23] Citato da Traniello a p. 90 del volume in esame.

[24] Sull'argomento si veda Vanessa Roghi, Il dibattito sul diritto d'autore e la proprietà intellettuale nell'Italia fascista, «Studi storici», 2007, n. 1, p. 203-240.

[25] Chiara De Vecchis - Paolo Traniello, La proprietà del pensiero cit, p. 124..

[26] Per una sintesi efficace della legge 633 e per un quadro riassuntivo della vicenda del diritto d'autore in Italia si possono consultare la voce Diritto d'autore, in: Digesto delle discipline privatistiche. Sezione commerciale, vol. IV, Torino: Utet, 1989 (divisa in tre parti: Luigi Carlo Ubertazzi, Diritto d'autore: introduzione, p. 366-372; Maurizio Ammendola, Diritto d'autore: diritto materiale, p. 372-450; Luigi Carlo Ubertazzi, Diritto d'autore internazionale e comunitario, p. 450-461), e le voci di Valerio De Sanctis, Autore (diritto di) e Autore (diritti connessi), in: Enciclopedia del diritto, vol. IV, Milano: Giuffrè, 1959, p. 378-442. Si veda anche l'aggiornamento, dello stesso De Sanctis, Autore (diritto di), in: Enciclopedia del diritto. Aggiornamento II, Milano: Giuffrè, 1998, p. 104-132.

[27] La formulazione originaria dell'articolo 69 che semplicemente recitava: «è libero il prestito al pubblico, per uso personale, di esemplare di opere protette», sottolineando il requisito dell'assenza di scopo di lucro, ora indica in maniera più restrittiva che «Il prestito eseguito dalle biblioteche e discoteche dello Stato e degli enti pubblici, ai fini esclusivi di promozione culturale e studio personale, non è soggetto ad autorizzazione da parte del titolare del relativo diritto [fino al 2006 qui era aggiunto: «al quale non è dovuta alcuna remunerazione», n.d.r.] e ha ad oggetto esclusivamente:
a) gli esemplari a stampa delle opere, eccettuati gli spartiti e le partiture musicali;
b) i fonogrammi ed i videogrammi contenenti opere cinematografiche o audiovisive o sequenze d'immagini in movimento, siano esse sonore o meno, decorsi almeno diciotto mesi dal primo atto di esercizio del diritto di distribuzione, ovvero, non essendo stato esercitato il diritto di distribuzione, decorsi almeno ventiquattro mesi dalla realizzazione delle dette opere e sequenze di immagini».

[28] Per una disamina del contratto di edizione si veda: Giorgio Jarach - Alberto Pojaghi, Manuale del diritto d'autore, Milano: Mursia, 2011, p. 251-280.

[29] Chiara De Vecchis - Paolo Traniello, La proprietà del pensiero cit, p. 150.

[30] Ivi, p. 149.

[31] Ivi, p. 153.

[32] A partire da questo punto di vista, si è sviluppata negli ultimi anni un'ampia pubblicistica fortemente contraria ai sistemi di tutela del diritto d'autore e alla proprietà intellettuale in genere. Tra i vari titoli, si veda Florent Latrive, Sul buon uso della pirateria. Proprietà intellettuale e libero accesso nell'ecosistema della conoscenza, Roma: Derive Approdi, 2005.

[33] Chiara De Vecchis - Paolo Traniello, La proprietà del pensiero cit, p. 174.

[34] Ibidem.

[35] Sulle licenze Creative Commons, oltre alle informazioni disponibili sul sito web italiano http://www.creativecommons.it, si veda: Lawrence Lessig, Remix: il futuro del copyright (e delle nuove generazioni), Milano: ETAS, 2009..

[36] Vedi IFLA Principles for Library eLending, versione rilasciata il 1° aprile 2013, http://www.ifla.org/ node/7418

[37] Al proposito, si veda per esempio il rapporto della Electronic Frontier Foundation, Digital books and your rights: a checklist for readers, 2010, disponibile all'URL https://www.eff.org/wp/digital-books-and-your-rights.

[38] Il testo della proposta di trattato IFLA è disponibile all'URL http://www.ifla.org/files/assets/hq/topics/ exceptions-limitations/documents/TLIB_v4.1.pdf.