di Chiara Faggiolani
Nel 1959 Charles Percy Snow (1905-1980), fisico e romanziere inglese, tenne la sua famosa Rede Lecture all'Università di Cambridge1, sul tema de "Le due culture": una riflessione sull'accademia basata sul presupposto che esistono due culture, appunto, le scienze naturali da una parte e le discipline umanistiche dall'altra, assolutamente contrapposte, dove le seconde venivano liquidate come prive di rigore scientifico e incapaci di rispondere al proprio obiettivo: migliorare la vita delle persone [1].
Da pochi mesi è uscito in Italia il volume dello psicologo cognitivo Jerome Kagan, Le tre culture. Scienze naturali, scienze sociali e discipline umanistiche nel XXI secolo, che da quello di Snow prende le mosse, e che descrive gli assunti, il vocabolario, i contributi delle due culture, scienze naturali e umane, cui aggiunge anche la terza, le scienze sociali, che comprende discipline come la sociologia, l'antropologia, la scienza politica, l'economia e la psicologia [2]. L'autore si cimenta nell'arduo compito di definire le principali caratteristiche di ciascuna, mettendone in evidenza le specificità: dal tipo di dati e metodi utilizzati al lessico specifico, dalla sensibilità rispetto al contesto sociale al contributo apportato al benessere delle persone2.
Nella parte finale del volume Kagan ipotizza di colmare il gap che separa i tre ambiti facendo riferimento alla crescente necessità di collaborazioni, sia all'interno che all'esterno dell'accademia, al forte bisogno di incontri e di insegnamenti condivisi: «È tempo che i membri delle tre culture adottino un atteggiamento di maggiore umiltà perché, come le tigri, gli squali e i falchi, ogni gruppo è potente nel suo territorio ma impotente nel territorio dell'altro»3. In sintesi, Kagan auspica l'interdisciplinarità e raccomanda la convergenza di tecniche diverse, elaborate in campi del sapere diversi, al momento di affrontare un qualsiasi oggetto di studio, lasciando intendere che questa sia l'unica strada per superare la crisi del nostro tempo.
È vero che le occasioni d'incontro e di confronto tra specialisti di discipline diverse non sono frequenti, fatto che spiega la difficoltà di diffusione degli studi di tipo transdisciplinare4, poiché spesso è la diffidenza a prevalere; diffidenza che in alcuni casi sembra esistere anche all'interno della medesima disciplina, tra quelle che vengono definite "scuole" diverse. Così l'interdisciplinarità sembra essere l'ultimo anello di una catena che porta alla buona ricerca (e alla buona didattica), ma che suppone prima l'ottima salute delle singole discipline e l'attenzione alla qualità delle ricerche degli studiosi che le professano.
È esattamente questo il significato che ha avuto, a mio avviso, il "1. Seminario nazionale di biblioteconomia: didattica e ricerca nell'università italiana e confronti internazionali"5 che si è tenuto lo scorso 30 e 31 maggio a Roma, organizzato da Alberto Petrucciani e Giovanni Solimine, nell'ambito delle attività del Dipartimento di scienze documentarie, linguistico-filologiche e geografiche dell'Università di Roma La Sapienza, con il patrocinio della Facoltà di lettere dello stesso ateneo, dell'AIB e della Sisbb (Società italiana di scienze bibliografiche e biblioteconomiche).
Si è trattato di un'occasione unica di confronto e partecipazione: due giorni in cui la disciplina si è presa cura di se stessa, in cui tutti i presenti - credo - si sono portati a casa la sensazione di aver partecipato ad un dialogo (non un dibattito) denso e costruttivo, che ha aiutato a definire i confini (non i limiti) di una disciplina sfaccettata e composita, non senza problemi da risolvere ma con molte potenzialità da sviluppare e fondamentali contributi da dare.
Nelle intenzioni degli ideatori, il seminario doveva rispondere a tre principali obiettivi.
Il primo, strettamente relazionato a quanto si diceva in apertura rispetto alla buona salute delle discipline, era rappresentare uno spazio di riflessione e libera discussione sul ruolo - anzi, sui ruoli - che le discipline biblioteconomiche hanno nelle nostre università, sulle relazioni più fruttuose che possono intrecciare con ambiti affini o di reciproco interesse, sia tradizionali che innovativi, e sul contributo che le stesse possono offrire non solo rispetto alle istituzioni bibliotecarie, ma più in generale, rispetto alle istituzioni culturali e al mondo del libro e dell'informazione.
Il secondo obiettivo del seminario era favorire il confronto con le esperienze della formazione e della didattica in altri paesi avvicinabili al nostro sul piano culturale, all'interno dei quali, nonostante la diversità di approccio all'istituto bibliotecario, esistono tradizioni biblioteconomiche che hanno vissuto momenti di confronto e scambio: Francia, Spagna e Stati Uniti [4, 5]. La situazione delle discipline biblioteconomiche nelle università di altri paesi, infatti, è spesso nota in maniera parziale e il più delle volte viene idealizzata. Il seminario voleva essere un'occasione per esplicitare i punti di debolezza e le problematiche con franchezza e sincerità e per ragionare sulle soluzioni possibili in una prospettiva globale.
Il terzo obiettivo era creare per i giovani studiosi un'occasione concreta per presentare le proprie ricerche e tracciare, quindi, una mappa utile a descrivere, se pure in modo non esaustivo, dove (e come) si sta muovendo la ricerca biblioteconomica nel nostro paese6.
Non si annovera quello che può essere considerato un quarto obiettivo, ovvero il confronto con la professione bibliotecaria, perché è un tratto caratterizzante delle nostre discipline. È fin troppo evidente quanto la forza della professione bibliotecaria nella società e la didattica e la ricerca biblioteconomica nelle università siano strettamente legate: «questo è particolarmente evidente nel nostro paese - ricordano Solimine e Petrucciani - in cui alle difficoltà di riconoscimento del lavoro del bibliotecario come professione intellettuale, che richiede una formazione superiore specifica, fa riscontro la difficoltà di radicamento delle discipline biblioteconomiche e bibliografiche negli atenei»7.
Il programma delle due giornate è stato ricco e articolato, pensato soprattutto nell'ottica di privilegiare il confronto e il dialogo, da cui ? si sa ? scaturisce la possibilità di una circolarità e di uno scambio che permettono l'arricchimento reciproco e che favoriscono l'emergere di spunti di riflessione non previsti e sollecitazioni fruttuose.
Dopo i saluti istituzionali del presidente dell'AIB Stefano Parise, del preside della Facoltà di lettere dell'Università La Sapienza Roberto Nicolai e del direttore del Dipartimento di scienze documentarie, linguistico-filologiche e geografiche Paolo Di Giovine, Alberto Petrucciani ha aperto i lavori della prima giornata presentando la genesi concettuale del seminario, sottolineando il desiderio di dare vita a un'occasione di discussione collettiva sulle condizioni e le prospettive della biblioteconomia nelle università italiane, sia sul piano della didattica che su quello della ricerca.
Petrucciani ha presentato un excursus sulla didattica in biblioteconomia, ricordando come l'insegnamento della nostra disciplina nelle università italiane abbia avuto una storia tutt'altro che semplice: dalle pionieristiche Letture di bibliologia tenute da Tommaso Gar nel 1865 nella Regia università degli studi di Napoli all'attivazione delle prime scuole post lauream (di Padova, Firenze, Bologna, Pisa, Roma ecc.) che aiutarono a diffondere una formazione di livello superiore in campo biblioteconomico e bibliografico, contribuendo alla formazione di due o tre generazioni di bibliotecari; dal primo concorso per cattedre di ruolo di bibliografia e biblioteconomia degli anni Settanta del secolo scorso alla diffusione, circa vent'anni dopo, del corso di laurea in conservazione dei beni culturali con indirizzo archivistico-librario, fino ad arrivare ai tagli e ai ridimensionamenti dell'offerta formativa che sta travolgendo gli atenei italiani, con le inevitabili conseguenze sulla formazione universitaria anche nelle nostre discipline8.
È seguito l'intervento di Wayne Wiegand, uno dei massimi esperti sulla cultura e sulla storia del libro nell'America moderna, che ha introdotto il tema della propria relazione, What's missing in teaching and research in library sciences in the United States9, presentando un'indagine sulla storia delle biblioteche pubbliche americane raccontata attraverso l'analisi "delle voci" di coloro che le hanno usate nell'ultimo secolo e mezzo, conservate in autobiografie e biografie di persone famose, in fondi manoscritti e archivi di biblioteche pubbliche in tutto il paese.
«Mentre analizzavo questi dati - ha raccontato Wiegand - sono rimasto sorpreso di quanto velocemente gli elementi si venissero a organizzare in tre categorie principali: la gente ama le biblioteche pubbliche per le informazioni utili che rendono accessibili, per lo spazio pubblico che offrono, e per le storie che mettono in circolazione e che aiutano gli utenti a dare un senso al mondo che li circonda. Questa scoperta ha dettato anche il mio approccio e mi ha portato a impiegare tre diverse "letterature" per evidenziare i miei risultati; due di esse sono in larga misura al di fuori degli studi sulle biblioteche e l'informazione»10.
Rispetto alla ricaduta che la ricerca ha sulla disciplina, Wiegand ha messo in evidenza come il discorso professionale sia troppo spesso confinato in spazi limitati (quelli dell'informazione), e quanto l'insegnamento e la ricerca in library and information studies reclamino una maggiore cooperazione interdisciplinare e multidisciplinare con gli studiosi della lettura e della sfera pubblica in ambito umanistico.
Il secondo intervento è stato di Paolo Traniello, cui si devono gli studi sulla storia delle biblioteche italiane e sulla natura della biblioteca pubblica, i suoi aspetti legislativi e il suo ruolo sociale, che con l'intervento La formazione in biblioteconomia tra conservazione, scienze sociali e ricerca ha tracciato lo sviluppo della disciplina di pari passo con l'evoluzione storica del ruolo culturale della biblioteca e con la trasformazione delle sue funzioni, ripercorrendo alcuni passaggi di una storia non sempre lineare.
Traniello ha approfondito tre questioni: la storia delle discipline bibliografiche e biblioteconomiche nell'università italiana a partire dall'Unità; il rapporto tra la didattica della biblioteconomia e la professione bibliotecaria; le funzioni della disciplina nella didattica universitaria a prescindere dalla ricaduta strettamente legata alla professione. Traniello ha concluso il suo intervento mettendo in evidenza l'apporto profondamente innovativo che le nostre discipline possono dare a tutta la didattica nell'università italiana.
Inka Tappenbeck, docente dell'Istituto di scienze dell'informazione dell'Università di Colonia (Institut für Informationswissenschaft der Fachhochschule Köln), che non ha potuto prendere parte al seminario, avrebbe ulteriormente arricchito la panoramica internazionale con il suo intervento La formazione bibliotecaria in Germania: strutture, qualificazioni, profili lavorativi, finalizzato a illustrare le diverse modalità con cui è possibile conseguire una formazione bibliotecaria in Germania.
Nel pomeriggio si è svolta la prima delle tre tavole rotonde: "Biblioteconomia, discipline del libro e del documento, discipline storiche e filologiche, scienze sociali, tecnologie: relazioni e spazi per un contributo attivo della biblioteconomia nel contesto accademico" coordinata da Giovanni Solimine, a cui hanno partecipato alcuni tra i docenti italiani che negli ultimi anni hanno contribuito a strutturare la disciplina, fornendo riferimenti durevoli in termini teorico-sperimentali e che, esplicitando il proprio personale approccio alla ricerca e alla didattica, hanno messo in evidenza le sue diverse anime.
Paola Castellucci (Università di Roma La Sapienza) ha sottolineato il contributo della documentazione con uno sguardo trasversale che ha messo in evidenza non solo da dove la biblioteconomia attinge, ma soprattutto cosa può dare agli altri saperi in una dimensione "meta".
Angela Nuovo (Università di Udine) ha considerato la cultura del libro e della parola scritta come elemento identitario e fondamento della ricerca e della professione, mettendo in guardia rispetto all'inevitabile impoverimento che si avrebbe, tanto nell'una quanto nell'altra, se questo aspetto non venisse opportunamente valorizzato nei percorsi formativi.
Riccardo Ridi (Università di Venezia) ha approfondito la difficile collocazione scientifica della biblioteconomia - tra gli studi sociologici, storici, cognitivi, semiotici - partendo dall'analisi delle sue dimensioni, per arrivare a definirla né una scienza né una disciplina ma un "ambito di studi multidisciplinare", il cui oggetto principale rimangono i documenti e le modalità in cui vengono trasmessi.
Gino Roncaglia (Università della Tuscia) ha, infine, rappresentato i più recenti filoni relativi all'e-book e al contributo dell'informatica umanistica, delineando un percorso di studi ricco di novità e dalle interessanti prospettive future.
Si è decisamente avvertita l'assenza di Giovanni Di Domenico (Università di Salerno), che non ha potuto prendere parte al seminario e rappresentare il versante della biblioteconomia gestionale, intesa come l'insieme delle conoscenze scientifiche e delle competenze tecniche necessarie a progettare, gestire e valutare le biblioteche e i servizi documentari, che si arricchisce soprattutto grazie al confronto critico con le scienze sociali e le discipline organizzative.
Protagonista della tavola rotonda è stata la sfaccettata identità disciplinare della biblioteconomia, legata in qualche modo ad una certa ambiguità che connota la parola biblioteca, intesa come entità bibliografica e come realtà biblioteconomica, in cui convivono - a volte più dialetticamente che dialogicamente - cultura umanistica, cultura tecnico-scientifica e cultura sociologica.
Nel corso degli ultimi anni, il mondo delle biblioteche è stato investito da trasformazioni profonde che hanno determinato nel lessico scientifico e professionale corrente la necessità di integrare il sostantivo biblioteca, con diversi aggettivi (tradizionale, digitale, ibrida ecc.)11 volti a qualificarne la natura e la funzione, a metterne in evidenza di volta in volta la molteplicità di supporti, di linguaggi e codici. Questi temi sono stati affrontati attraverso un salutare confronto scientifico, che ha riguardato anche l'apertura della biblioteconomia verso una più sincera multidisciplinarità, e che si è rivelato strumento prezioso e utile al superamento delle ambiguità, una solida base su cui costruire l'evoluzione della disciplina in futuro.
La seconda giornata è stata aperta da Ernest Abadal Falgueras dell'Università di Barcellona, che con la relazione La situación de la Biblioteconomía y Documentación en la universidad española, ha rappresentato lo stato dell'arte della professione e della ricerca in Spagna, mettendo in evidenza problematiche abbastanza simili a quelle italiane. Già da qualche anno in Spagna e all'estero sono sempre più frequenti dibattiti sul profilo professionale e sulla direzione verso la quale vanno i servizi bibliotecari e informativi. Siamo immersi in un cambiamento continuo con molte possibilità di scelta che, se da una parte generano insicurezza, dall'altra possono essere sfruttate come nuove opportunità. Questa necessità di posizionamento e di realizzare nuove prospettive riguarda i professionisti di tutto il mondo, poiché il problema sembra appartenere a tutti: l'informazione è molto importante, tuttavia - ha sottolineato Abadal - la Library and Information Science ha poca visibilità professionale, accademica e istituzionale. Dopo aver descritto il percorso di studi in Spagna, Abadal ha fornito una panoramica completa su come si sta muovendo la ricerca nelle nostre discipline nel suo paese: una ricerca che si concentra soprattutto sul filone della comunicazione scientifica, sulla valutazione della ricerca attraverso gli studi bibliometrici, sulla valutazione della qualità delle biblioteche, gli studi sugli utenti ecc.
Abadal ha concluso il suo intervento fornendo qualche dato quantitativo e qualitativo sugli sbocchi occupazionali dopo le scuole di specializzazione e i corsi di laurea, master e dottorato. Le strategie da perseguire in futuro sono, secondo Abadal, centrate sull'internazionalizzazione soprattutto delle scuole di master e dottorato e sulla maggiore cooperazione con altre discipline (come le scienze della comunicazione e l'editoria).
È seguita la seconda tavola rotonda "Il contributo della ricerca universitaria alla biblioteconomia e alle biblioteche: rassegna delle ricerche presentate al seminario, confronti e prospettive" coordinata da Mario Infelise dell'Università di Venezia e membro del Gruppo di esperti della valutazione dell'area CUN 11 (Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche)12, che ha introdotto la rassegna facendo riferimento al secondo esercizio di valutazione nazionale della ricerca (VQR 2004-2010)13 attualmente in corso, mettendo in evidenza come l'attività di valutazione abbia inevitabilmente una ricaduta sulle strategie e sulle abitudini di ricerca.
Circa quaranta sono state le ricerche di giovani studiosi (esito di percorsi universitari di laurea, master e dottorato) esaminate e presentate nell'ambito del seminario da Lorenzo Baldacchini (Università di Bologna), Maria Teresa Biagetti (Università di Roma La Sapienza), Alberto Salarelli (Università di Parma), Maurizio Vivarelli (Università di Torino) e Paul Gabriele Weston (Università di Pavia). Anche questa tavola rotonda, come la precedente, ha riscosso un grande successo in termini di partecipazione di pubblico, dando vita ad un acceso dibattito.
Sebbene il tempo a disposizione per la presentazione di ogni ricerca non consentisse un approfondimento e una disamina delle questioni metodologiche (ma non era evidentemente neanche l'obiettivo del seminario), i relatori sono riusciti nell'arduo compito di individuare alcune linee di tendenza sia in relazione alle tematiche trattate che rispetto agli strumenti utilizzati. Ne è emerso un quadro composito e ricco in cui convivono diversi filoni - alcuni dall'anima più storico-umanistica, altri più scientifico-tecnologica e altri ancora più sociologica, per tornare al tema delle tre culture di Kagan - che, se supportati da un confronto costruttivo, potranno dare vita a percorsi interdisciplinari che lasciano ben sperare rispetto agli sviluppi futuri.
Per quanto riguarda gli oggetti d'indagine, le ricerche spaziano dalla bibliometria all'architettura della biblioteca, dalla valutazione degli utenti dei servizi bibliotecari agli sviluppi degli OPAC e degli strumenti di indicizzazione, dalle nuove funzioni che le biblioteche e i bibliotecari possono assumere nella gestione dei dati della ricerca scientifica all'information literacy, dal recupero di fondi antichi alle politiche dell'informazione scientifica, solo per citare alcuni filoni.
Per quanto riguarda metodi e tecniche, la cassetta degli attrezzi si rivela molto composita e articolata: analisi di fonti secondarie, metodo storiografico, analisi di testi, ricerche d'archivio, osservazioni, analisi sul campo, studi di casi, rilevazioni statistiche, etc.
L'ultima sessione del seminario è stata occupata dalla terza tavola rotonda "Formazione universitaria, scuole di biblioteconomia e documentazione e professione bibliotecaria" coordinata da Edoardo Barbieri dell'Università cattolica del Sacro Cuore, che ha avuto il compito di delineare in modo più nitido il rapporto tra ricerca, accademia e professione sia in Italia che all'estero. Barbieri nella sua introduzione ha messo in evidenza come la professione del bibliotecario (così come quella del ricercatore/docente) debba essere caratterizzata da "5 i": identità, innovazione, internazionalizzazione, interazione, ironia. "Identità" della professione nel contesto sociale in cui viviamo; "innovazione" intesa come apertura al mondo circostante; "internazionalizzazione" come sguardo attento verso ciò che accade nelle altre realtà; "interazione" con le altre discipline più o meno affini; "ironia" ovvero consapevolezza del proprio specifico professionale e disciplinare, come risposta alla scarsa considerazione che a volte caratterizza le nostre discipline.
Alla tavola rotonda è intervenuto Raphaele Mouren (ENSSIB, École nationale supérieure des sciences de l'information et des bibliothèques, Villeurbanne), che con la sua relazione Formazione universitaria e professione bibliotecaria: il panorama francese ha descritto la situazione in Francia, mettendo in evidenza come la formazione del bibliotecario si sia arricchita nel tempo di nuovi contenuti: le politiche pubbliche, la gestione d'impresa, la tecnologia e in generale di tutti quegli insegnamenti che riguardano il posizionamento strategico delle biblioteche14.
A seguire Anna Maria Tammaro (Università di Parma) ha introdotto il tema dell'internazionalizzazione, con la sua relazione IFLA, Internazionalizzazione della formazione in biblioteconomia: uno studio comparativo di concetti, metodi e teorie.
Ha concluso la tavola rotonda Enrica Manenti, vice presidente AIB, che con il suo intervento Valutazioni e proposte dell'AIB sull'aggiornamento continuo della professione ha messo in evidenza quanto sia stretto il rapporto tra professione bibliotecaria, didattica e ricerca in biblioteconomia nelle università, sottolineando la necessità di rinnovare l'equipaggiamento della disciplina per fronteggiare la sfida del cambiamento, arrivando a ipotizzare per l'aggiornamento professionale progetti comuni tra i corsi universitari e la formazione AIB.
Dal seminario è emersa l'immagine di una disciplina aperta al rinnovamento, coerentemente con il cambiamento delle professioni che serve, ma desiderosa di rimanere fedele alla propria vocazione originaria, una disciplina capace di relativizzare il proprio contributo rispetto alle altre con le quali è pronta a intessere un dialogo fatto di "avere" ma anche di "dare". E proprio quest'ultimo aspetto è, a mio avviso, il punto all'ordine del giorno sul quale è necessario concentrarsi in futuro: esplicitare anche all'esterno le potenzialità della disciplina e il ruolo cardine che può svolgere in diversi settori, primo tra tutti, ad esempio, quello della valutazione della ricerca (soprattutto delle discipline umanistiche) [6].
Come si relazionano tra loro le varie specializzazioni interne alla disciplina? Che rapporto può esistere tra il sapere tecnico e quello umanistico, tra la conservazione, la creatività e l'organizzazione, tra il sapere e il saper-fare?
A queste e ad altre domande ha risposto il seminario, che ci piacerebbe fosse il primo di una serie di appuntamenti che, attraverso questa stessa formula del dialogo, possano prevedere in futuro - in una seconda edizione, chissà - anche la presenza di ricercatori di altre discipline più o meno vicine e affini con cui condividere obiettivi, mezzi e intenti per rendere ancora più solida la "catena" della ricerca nel nostro settore.
[1] Charles Percy Snow. Le due culture. Milano: Feltrinelli, 1964.
[2] Jerome Kagan. Le tre culture. Scienze naturali, scienze sociali e discipline umanistiche nel XXI secolo. Milano: Feltrinelli, 2013.
[3] Edgar Morin. Il metodo: ordine, disordine, organizzazione. Milano: Feltrinelli, 1983.
[4] Periam J. Danton. The Dimension of Comparative Librarianship. Chicago: American Library Association, 1973.
[5] John F. Harvey. Comparative and International Library Science. Metuchen (NJ): Scarecrow Press, 1977.
[6] Chiara Faggiolani - Giovanni Solimine. La valutazione della ricerca, la bibliometria e l'albero di Bertoldo, «AIB studi», 52 (2012), n. 1, p. 57-63
[1] Cfr. Charles Percy Snow, The Rede Lecture, Cambridge University Press, 1959 http://s-f-walker. org.uk/pubsebooks/2cultures/Rede-lecture-2-cultures.pdf.
[2] Jerome Kagan, Le tre culture. Scienze naturali, scienze sociali e discipline umanistiche nel XXI secolo, Milano: Feltrinelli, 2013, p. 46-47.
[3] Jerome Kagan, Le tre culture. Scienze naturali, scienze sociali e discipline umanistiche nel XXI secolo cit., p. 300.
[4] Con l'espressione transdisciplinarità si evidenzia la necessità di un collegamento tra le varie discipline e l'opportunità di trovare linee comuni di riflessione: si tratta di individuare una dimensione "meta", l'architettura soggiacente che unisce differenti saperi [3].
[5] Si veda il sito web del seminario alla pagina: http://w3.uniroma1.it/seminario-biblioteconomia.
[6] I contributi presentati dai relatori sono disponibili sul sito web del seminariohttp://w3.uniroma1.it /seminario-biblioteconomia/?page_id=341. Gli atti sono in corso di pubblicazione.
[7] Si veda la presentazione a cura di Alberto Petrucciani e Giovanni Solimine contenuta nel Book of abstracts del seminario diffuso durante l'evento, p. 8.
[8] Si veda ancora la presentazione nel Book of abstracts, p. 7.
[9] Wayne A. Wiegand, Cosa manca nella didattica e nella ricerca in library and information studies, in: Book of Abstracts, p. 10-21, traduzione a cura di Alberto Petrucciani. .
[10] Si veda ancora la presentazione nel Book of abstracts, p. 11.
[11] Cfr. Maurizio Vivarelli, Alcune osservazioni a proposito della formazione del bibliotecario, «AIB Studi», 53 (2013), n. 1, p. 101-108.
[12] L'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR) ha avviato il progetto di valutazione della qualità della ricerca VQR 2004-2010, che si articola in 14 aree disciplinari identificate dal Comitato Universitario Nazionale (CUN). Per ogni area, è costituito un gruppo di esperti con il compito di valutare i prodotti della ricerca. Le valutazioni sono basate sul metodo della valutazione tra pari e, per gli articoli indicizzati nelle banche dati ISI e Scopus, sull'analisi bibliometrica. L'esercizio è rivolto alla valutazione dei risultati della ricerca scientifica effettuata nel periodo 2004-2010 da università, enti di ricerca pubblici vigilati dal MIUR e altri soggetti pubblici e privati, su richiesta esplicita con partecipazione ai costi dell'esercizio di valutazione.
[13] Per informazioni dettagliate sul progetto VQR 2004-2010 si veda il sito http://www.anvur.org/ index.php?option=com_content&view=article&id=28&Itemid=119&lang=it.
[14] Per una panoramica sulla situazione francese si veda il rapporto del Ministère de l'enseignement supérieur et de la recherche. Inspection générale des bibliothèques, Quels emplois dans les bibliothèques? État des lieux et perspectives, Rapport n° 2012-020, 2013, http://cache.media.enseignementsup-recherche.gouv.fr/file/2013/20/3/Quels_emplois_dans_les_bibliotheques_Etat_des_lieux_et_perspectives_247203.pdf.