Recensioni e segnalazioni

a cura di Silvana de Capua


Maurizio Vivarelli. Le dimensioni della bibliografia: scrivere di libri al tempo della rete, con testi di Giovanna Balbi, Maria Cassella, Bianca Gai, Diego Arduino. Roma: Carocci, 2013. 311 p. (Beni culturali; 40). ISBN 978-88-430-6908-8. EUR 29,00.

Come tutte le discipline che, storicamente, hanno individuato quale scopo del loro essere la funzione di preservazione della memoria collettiva e l'allestimento di strumenti atti a servirsene con la massima efficacia possibile, la bibliografia vive oggi una fase di profonda crisi. Tale crisi è determinata da due fattori: mentre il primo è contingente, l'altro si rivela consustanziale alla sua stessa esistenza. Il fattore contingente consiste - è sotto gli occhi di tutti - nel portato dalla rivoluzione digitale sul piano delle attività di trattamento dell'informazione e su quello strettamente correlato della concettualizzazione, che ambisce trascorrere dalla tecnica al più ampio senso del suo utilizzo per il progresso della conoscenza. Il fattore consustanziale, invece, si ricava dalla vicenda diacronica della bibliografia segnata da una ricorrente ansia da prestazione nei confronti del compito auto-assegnatosi e da una relativa e susseguente instabilità epistemologica nei confronti dei propri metodi, delle proprie acquisizioni e nel rapporto con le discipline contermini.
In quest'ottica il libro di Maurizio Vivarelli, come tutti i libri che in questo frangente storico si propongono di delineare la mappa del territorio presidiato da una delle diverse scienze del documento, si rivela essere uno sforzo al contempo necessario e irrisolto. Questa endiadi, allo stato attuale, è inscindibile. Infatti, il bisogno di definire le caratteristiche ontologiche di una disciplina come la bibliografia si avverte più spiccato proprio nel momento in cui tali caratteristiche sembrano maggiormente sfuggirci di mano e, d'altra parte, la coperta che ci s'ingegna a stendere per perimetrarne i temi e i problemi si rivela sempre corta rispetto alle attese. Eppure l'eredità che queste pagine ci consegnano è che tra l'irriducibilità di determinati fenomeni a lasciarsi inquadrare e la volontà a voler comunque provare a gettare una luce interpretativa su di essi, è la seconda istanza che deve sempre prevalere se si vuole evitare di assumere posture volta per volta misoneiste o modaiole: le prime, si sa, sono spesso prerogativa di chi si richiude nei confini angusti delle pratiche sclerotizzate della proprio settore scientifico; le seconde, invece, appartengono a quel giacobinismo d'accatto che confonde il mutare delle tecniche e dei materiali in uso con la definizione dei fini del proprio operare.

Ecco: mi pare che la lettura del libro di Vivarelli rappresenti un potente antidoto contro queste due derive, entrambe pericolose. E questo perché la riflessione dell'autore si dipana in modo critico grazie a una precisa coscienza a) della complessità della posta in gioco; b) della necessità di limitare la propria indagine ai confini della disciplina senza per questo impedire il suo confronto con il resto del mondo; c) della coscienza dell'esperienza storica come punto di riferimento per una contemporaneità consapevole. Quest'ultimo punto, come rivela lo stesso autore nella sua introduzione, è quello strutturale nell'economia della trattazione; egli scrive: «il tema centrale del volume è dunque rappresentato dal tentativo di individuare alcune invarianti concettuali che hanno connotato le dinamiche, prevalentemente ma non esclusivamente teoriche, verificate nell'ambito che si è ritenuto di poter disciplinare con i principi e i metodi della bibliografia» (p. 15). Tali invarianti, che si sono succedute lungo i secoli di vita della disciplina, possono essere compendiate in un obiettivo che la bibliografia ha posto a proprio fondamento: la creazione di una dimensione di ordine nell'ambito di un rapporto - polisemico e caotico - tra testi, documenti e lettori. Nel tempo, certo, si sono modificati i materiali e le attività operative della pratica bibliografica, ma la funzione - secondo l'autore - è rimasta inalterata e, proprio per questo, ancora oggi ha senso non mutare nome alla disciplina ma rinnovarne l'azione sulla base della propria tradizione. Come noterà il lettore, tale posizione coincide esattamente con quella di Luigi Balsamo che, al termine del proprio volume La bibliografia: storia di una tradizione, giungeva alla medesima conclusione. Ciò che distingue il lavoro di Vivarelli da quello del maestro appena citato, è il taglio dato al proprio lavoro che, a differenza di quello "balsamiano", solo in parte ripercorre cronologicamente la storia della disciplina, preferendo invece concentrarsi su quegli specifici nuclei tematici che hanno caratterizzato la riflessione dei bibliografi nel corso del tempo. Vediamo quindi com'è articolata la trattazione. Il capitolo 1 (Luoghi della memoria) è dedicato alla riflessione sul ruolo assunto dalle pratiche di conservazione dei documenti e sul senso, personale e collettivo, del depositare informazioni in luoghi deputati a questo scopo. Il capitolo 2 (Teoria e pratiche della bibliografia) s'incentra sulle diverse accezioni assunte dalla disciplina; esso include anche un breve profilo storico della medesima e una serie di esemplificazioni delle forme che possono assumere le elencazioni di libri.

Nel capitolo 3 (Librarietà) l'autore affronta un ragionamento attorno al concetto di "libro" in quanto oggetto polisemico e, come tale, suscitatore di affascinanti metafore di interpretazione del mondo. Il capitolo 4 (Tra oggetti e informazioni) affronta il concetto di informazione collegandolo allo sviluppo della scienza dell'informazione da un lato e della semiotica dall'altro. Il capitolo 5 (Discipline del documento) getta uno sguardo sulle altre discipline che, rispetto alla bibliografia, hanno posto al centro della loro riflessione il concetto di documento. Il capitolo 6 (Libro, lettura, comunicazione scientifica) ritorna sulla complessità dell'oggetto "libro" già affrontata nel cap. 3, per verificarne le metamorfosi (dell'oggetto, del testo, della lettura) in rapporto allo sviluppo dei sistemi digitali. Il capitolo 7 (La bibliografia tra passato e futuro), infine, punta dritto al nocciolo epistemologico della disciplina individuando nella dialettica tra ordine e disordine la scintilla mai sopita che ha dato origine alla bibliografia e che ancora oggi la rende vitale. Ne esce un volume complesso e, mi verrebbe da dire, stratificato. In altre parole il lettore si trova di fronte ad un'opera che può essere percorsa in modi differenti: a un livello più alto si situa la densa elaborazione teorica dell'autore che privilegia, come accennavamo, un confronto tra le diverse anime della disciplina con le prospettive e le suggestioni provenienti da altri campi del sapere quali - a puro titolo di esempio - la psicologia, la filosofia e la semiotica. Ad un livello intermedio si collocano quelle sezioni di matrice enciclopedica che forniscono i lineamenti della bibliografia sotto il profilo storico e sotto le diverse tipologie e pratiche da essa perseguite. Infine - grazie ai contributi di Giovanna Balbi, Maria Cassella, Bianca Gai e Diego Arduino - si può apprezzare una rassegna di problematiche, tecniche e strumenti concernenti la bibliografia contemporanea, con particolari riferimenti alla sua dimensione digitale. Questo libro mi parrebbe, quindi, ideale per essere tradotto in un e-book nel senso più elevato che questo oggetto può assumere ovvero quando, per rifarmi a Robert Darnton, esso diventa nuovo veicolo di conoscenza, ricco di collegamenti documentali e percorribile in diversi livelli di approfondimento secondo gli interessi del lettore. Non so se questa versione digitale è prevista, in futuro, nelle intenzioni dell'autore o dell'editore, tuttavia, mettendomi nei panni dell'autore, comprendo il desiderio di vedere materializzata la sua riflessione sulla carta che rappresenta, nella sua tangibilità immediata, un modo per trattenere - per quanto possibile - «un pensiero bibliografico consapevole della sua fragilità, e che ostinatamente proprio su di essa vuol costruire il proprio lieve e dinamico equilibrio» (p. 292).

Come si sarà capito questo libro non è (e non vuol essere) un manuale che insegna a redigere bibliografie, siano esse enumerative, analitiche o di qualsiasi altra tipologia. Si tratta piuttosto di un trattato di filosofia della bibliografia e, quindi, in conclusione di queste brevi note, mi sia concesso soffermarmi brevemente su un tema di natura teoretica che riveste un ruolo centrale nel discorso di Vivarelli. Mi riferisco al cosiddetto "nuovo realismo", il movimento filosofico che vede Maurizio Ferraris tra i capifila e che punta - sulla scorta della lezione di Jacques Derrida e John Searle - al riconoscimento ontologico degli oggetti sociali contrapponendosi ad un'interpretazione liquida ed evanescente del mondo dei fenomeni informazionali. Vivarelli aderisce ai principi fondativi di questo movimento che gli fornisce più di un punto d'appoggio per svincolarsi dalla stretta mortale «dell'abbraccio tra culture postmoderne, prospettivismo interpretativo, affermazione dell'ipertesto e della "rete" del Web, il tutto all'insegna della fiducia mistica in qualcosa che fosse da preferire all'evidenza di ciò che c'è» (p. 142-143). Considerare i libri, e le scritture di libri cioè le bibliografie, come oggetti sociali significa uscire dalla gabbia del "testualismo forte" che caratterizza la riflessione postmoderna secondo cui nulla esiste al di fuori del testo, per collocarsi in una dimensione nella quale tali scritture risultano oggettivate nel mondo, e questo in virtù delle loro implicazioni da un lato con le realtà fisiche dei supporti materiali su cui sono registrate e dall'altro con le realtà mentali delle comunità umane che riconoscono in esse la natura di opere dell'ingegno. Tale assunto, peraltro, è strettamente collegato alla teoria dei tre mondi di Karl Popper secondo la quale esiste il mondo della realtà fisica (Mondo 1), quello della realtà mentale e psicologica (Mondo 2) e quello dei contenuti oggettivi di pensiero (Mondo 3). Gli oggetti sociali sono assimilabili ai prodotti del Mondo 3 alla stregua dei linguaggi, dei racconti, delle storie e dei miti, e cioè di tutte quelle tessere che compongono il mosaico culturale di una società. Quindi lo sforzo della bibliografia alla ricerca di un ordine nell'universo dei documenti - sempre limitato dalle capacità umane e dalle caratteristiche degli strumenti utilizzati, sempre discutibile attorno ai criteri che sono stati eletti come fondamento dell'impresa, al di là di ogni velleità universalistica che, a fasi ricorrenti, riemerge lungo la storia della disciplina - è comunque necessario per evitare di annegare in un indistinto mare magnum di dati ove ogni interpretazione è possibile ma nessuna è, di fatto, utile. E come non rammentare, a tal proposito, le bislacche classificazioni borgesiane basate su principi forse chiari e logici per chi le ha formulate ma del tutto inconsistenti a livello sociale? Eppure, se la bibliografia vuol rivelarsi utile a qualcosa, è proprio su questo livello di condivisione tra una più o meno ampia comunità di fruitori che essa deve giocare la propria partita.

Certo, come avverte Foucault, il rischio che un ordinamento condivisibile sia influenzato, quando non imposto, dalle logiche di potere che insistono su un raggruppamento umano è un dato di fatto. Tuttavia la risposta a questo stato delle cose non può essere il rifiuto di qualsiasi ordine condiviso, ma semmai la comprensione degli obiettivi e dei modi con cui tale ordine è stato realizzato per poterlo quindi utilizzare in modo critico e consapevole. Qui si aprirebbe un discorso sotteso a tutto il libro, un discorso che Vivarelli ha affrontato esplicitamente in altre occasioni. Mi riferisco alla didattica della bibliografia e, più in generale, alla didattica delle discipline del documento che, alla luce del nuovo mondo costituitosi dopo quella che l'autore denomina come "faglia digitale", richiede una profonda revisione metodologica. Il che, sia chiaro, significa altra cosa rispetto a un mero appiattimento attorno a questioni "di tecnologia" ma semmai affrontare un ragionamento "attorno alla tecnologia". Il grosso impedimento nei confronti di questa prospettiva è rappresentato da quegli steccati resi sempre più solidi dal tempo trascorso che dividono in modo spesso francamente incomprensibile le aree disciplinari che pongono queste problematiche al centro della loro riflessione. Per questo è più che condivisibile la posizione di Vivarelli quando afferma che è invece «indispensabile, almeno, provare a esplicitare le relazioni che legano tra loro le diverse "province disciplinari", e ciò è tanto più necessario quanto maggiori sono le trasformazioni documentarie in atto» (p. 91). Ma non ci illudiamo: sappiamo bene che, a livello strutturale, l'attività universitaria in Italia scoraggia qualsiasi tentativo in questa direzione presentando essa un'ingessatura organizzativa degna di una tassonomia ottocentesca di stampo positivistico dove tutte le scienze e gli scienziati occupano un posto ben preciso nella mappa ufficiale del sapere (e del potere) ed è bene che lì rimangano per i benefici del sistema tutto e delle loro carriere in particolare (salvo poi istituire classi di abilitazione concorsuale dove i polli vengono messi insieme alle pere). Ciò detto, almeno a livello della ricerca individuale, libri come questo ci offrono una testimonianza di libertà intellettuale, di piacevole apertura mentale, di curiositas umanistica: un percorso, quello di Vivarelli, che auspichiamo possa trovare adeguata sponda per un ampliamento del dibattito sulla documentalità al di là della comunità italiana dei bibliografi e dei biblioteconomi.
Completano il volume un ampio apparato bibliografico e un indice dei nomi curato da Arianna Ascenzi.

Alberto Salarelli
Università di Parma


L'archivio storico dell'Istituto nazionale di studi sul Rinascimento: inventario, a cura di Roberto Baglioni e Laura Fedi; premessa di Michele Ciliberto; presentazione di Emilio Capannelli. Roma: Edizioni di storia e letteratura; Firenze: Istituto nazionale di studi sul Rinascimento, 2013. LIX, 224 p.: ill. (Sussidi eruditi; 89). ISBN 978-88-6372-395-3. EUR 42,00.

Fondato in epoca fascista nel 1937, l'Istituto ha iniziato nel 2008 un programma di valorizzazione e studio della propria storia, il cui primo esito è stato un volume che ha ripercorso la variegata e importante attività editoriale dell'ente (Istituto nazionale di studi sul Rinascimento: settanta anni di editoria (1938-2008), a cura di Valentina Lepri e Fabrizio Meroi, Firenze: Olschki, 2009). A cinque anni di distanza, con questo volume si è voluto invece illustrare il patrimonio archivistico conservato presso l'Istituto (circa 400 buste), testimonianza ritenuta dai compilatori di grande interesse per la cultura italiana del Dopoguerra (p. XII).
La responsabilità dei due autori è esplicitata a p. LIX, dove si specifica che Roberto Baglioni è autore delle p. XLIX-LIX (Nota Archivistica), 3-114 (Serie A-E) e Laura Fedi del saggio alle p. XI-XLVIII e delle p. 115-190 [i.e. 192] (Serie F-H), 195-196 (Appendice I, Indice delle carte Garin) e «si è assunta la cura redazionale».
Il saggio di Laura Fedi si concentra solo sui primi anni di vita dell'Istituto e ha per titolo L'Istituto nazionale di studi sul Rinascimento attraverso le carte dell'Archivio storico (1937-1949): oggetto della ricerca è stata principalmente l'attività dell'Istituto sotto la presidenza di Giovanni Papini, grazie al cui impegno nel 1937 venne fondato il Centro nazionale di studi sul Rinascimento, che mantenne questa denominazione fino al 1942. Caduto il fascismo, Papini si adopererà molto per cercare di mantenere in vita il Centro (p. XXXVIII-XLIII), puntando soprattutto sul riconoscimento internazionale che esso si era già guadagnato, anche in virtù di alcuni suoi prestigiosi collaboratori, valga su tutti il nome di Eugenio Garin - che ne diventerà presidente tra il 1978-1988, dopo Mario Salmi (1949-1978) - sugli studi e sulle attività portate a compimento e sull'idea per cui il Rinascimento, inteso come epoca storica tipicamente italiana e caratterizzante per il mondo occidentale, meritava in Italia un istituto di ricerca dedicato.

La realizzazione dell'inventario è stata resa complicata dalla cattiva gestione in cui l'archivio è stato mantenuto fino al 1965, anno dell'entrata in vigore di un nuovo titolario. La documentazione descritta nel volume è compresa tra il 1937 e il 1965 e il suo riordinamento è stato condotto a partire dal titolario in uso fino a quest'ultima data. In appendice, oltre all'indice delle carte Garin, le quali hanno goduto di una particolare attenzione tanto da essere digitalizzate e che andranno a costituire in futuro un corpus unico insieme a quelle conservate presso la Scuola normale superiore di Pisa, sono presenti la trascrizione del prototitolario del 1938 (Appendice II), la riproduzione del primo (Appendice III) e del secondo titolario (Appendice IV), rispettivamente in uso dal secondo dopoguerra e dal 1966 (ma concepito nel 1965).
Molto interessanti le carte della Serie H, Miscellanea, contenenti, fra l'altro, i verbali di una serie di commissioni, attive grosso modo tra il 1939 e il 1943 (p. XXXVII), create in vista di due congressi - uno nazionale del 1941 e uno internazionale del 1942 (che non avranno mai luogo) - al fine di organizzarne al meglio i lavori, ma che ben presto diventeranno un luogo di discussione per indirizzare le ricerche e i progetti futuri dell'Istituto. Fra queste vi fu anche una commissione di "Bibliografia e Archivistica", i cui componenti vale la pena elencare (fra parentesi si riporta l'incarico detenuto in quegli anni): Antonio Panella (presidente della commissione; soprintendente agli archivi toscani dal 1939); Sergio Camerani (segretario della commissione; archivista presso l'Archivio di Stato [da ora A. S.] di Firenze); Carlo Angeleri (dal 1952 direttore della Biblioteca Marucelliana), Giuseppe Bernetti (editore di Enea Silvio Piccolomini), Carlo Battisti (direttore della Scuola per bibliotecari e archivisti paleografi dell'Università di Firenze), Antonio Boselli (direttore della Biblioteca nazionale centrale di Firenze), Domenico Fava (direttore della Biblioteca universitaria di Bologna e docente di Bibliografia a Firenze e Bologna), Luigi Ferrari (direttore della Biblioteca Marciana di Venezia), Albano Sorbelli (direttore della Biblioteca comunale dell'Archiginnasio di Bologna), Eugenio Lazzareschi (direttore dell'A. S. di Lucca 1931-1949), Giovanni Cecchini (direttore della Biblioteca Augusta di Perugia e dell'A. S. di Perugia).

L'attività di questa commissione, composta da alcuni dei bibliotecari e archivisti più noti dell'epoca (anche se di ambito quasi esclusivamente toscano), è documentata nei fascicoli 825 (istituzione e nomina dei membri), 828 (verbali e corrispondenza 1939), 845 (verbali, nomine, corrispondenza anni 1939-1940). Fra i lavori della commissione Laura Fedi ricorda la creazione di uno schedario bibliografico «da mettere a disposizione degli studiosi», per il quale si stavano approntando «i primi elenchi del materiale da spogliare, in collaborazione con la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze» (progetto approvato il 23 novembre 1939). Quest'iniziativa di bibliografia specialistica doveva probabilmente ampliare lo Spoglio di periodici italiani e stranieri curato da Carlo Angeleri e pubblicato nella rivista dell'Istituto, «La Rinascita», nelle annate 1939-1941 (dal 1985 fino al 1996 si ricominciò a pubblicare una Bibliografia italiana di studi sull'Umanesimo e il Rinascimento come supplemento alla rivista, che dal 1950 cambiò il nome in «Rinascimento», ancora oggi attiva con una versione digitale). Il lavoro della componente "bibliotecaria" della commissione andava di pari passo con la creazione di uno schedario bio-bibliografico da realizzarsi invece con la collaborazione degli archivi di Stato: questo strumento doveva andare a costituire la base per le ricerche necessarie alla pubblicazione di un corpus di scrittori umanistici (p. XXXIII). L'attività della commissione di "Archivistica e Bibliografia" fu inoltre quella seguita più da vicino dal presidente Papini, che invitò anche a collaborare dall'America l'amico Giuseppe Prezzolini, cui chiese di iniziare a raccogliere «la bibliografia americana intorno al Rinascimento» (p. XXXIII-XXXIV).
Il lavoro dei due autori risulta esemplare dal punto di vista della prassi archivistica, seppure in tutto il volume non siano state indicate le modalità di accesso alla documentazione. In realtà si è successivamente appurato che la documentazione non è ancora disponibile alla consultazione (agosto 2013). Il saggio introduttivo di Laura Fedi mostra comunque come dalle carte conservate presso l'Istituto possano trarsi interessanti spunti di ricerca legati a personaggi di primo piano del panorama culturale e accademico italiano e toscano in particolare.

Lorenzo Mancini
Roma


Chiara Faggiolani. Posizionamento e missione della biblioteca: un'indagine su quattro biblioteche del Sistema bibliotecario comunale di Perugia, presentazione di Alberto Petrucciani. Roma: Associazione italiana biblioteche, 2013. 255 p., ill. ISBN 978-88-7812-224-6. EUR 17,50.

Il volume di Chiara Faggiolani nasce dalla tesi discussa nell'ambito del XXIII ciclo del dottorato in Scienze librarie e documentarie della Sapienza Università di Roma, con cui l'autrice ha vinto nel 2011 il Premio Giorgio De Gregori «voluto e sostenuto da Francesco e Luigi De Gregori per promuovere studi e ricerche di giovani su temi biblioteconomici in ricordo di un uomo e di un bibliotecario che ha unito in tutta la sua vita un generoso e tenace impegno personale e l'attenzione sempre pronta e curiosa verso l'innovazione» (dalla Presentazione di Alberto Petrucciani, p. 7).
Il libro è il resoconto puntuale dell'indagine condotta su quattro biblioteche del Sistema bibliotecario comunale di Perugia, in particolare la Biblioteca Augusta, la Biblioteca Villa Urbani, la Biblioteca Sandro Penna di San Sisto e la Biblioteca Biblionet di Ponte San Giovanni, indagine che è stata ideata nel 2007 e la cui raccolta dei dati si è conclusa nel 2010.
Obiettivo di tale ricerca era quello di interrogarsi sul posizionamento e la missione di queste biblioteche attraverso le opinioni e le percezioni degli utenti reali e potenziali.
Nel capitolo finale i risultati della ricerca vengono interpretati in funzione delle prospettive future di sviluppo del sistema e si traducono in raccomandazioni e proposte operative, a dimostrazione che l'attività di ricerca non può e non deve essere mai fine a se stessa, bensì rappresenta uno strumento indispensabile per prendere delle decisioni.
L'aspetto però più interessante e sempre attuale del volume è la rigorosa ricostruzione della metodologia della ricerca, che viene descritta in tutte le sue fasi (rispetto alle quali l'autrice tiene a sottolineare l'impossibilità di tracciare dei confini netti), da quella di progettazione del disegno della ricerca nel capitolo 3 (Progettare un'indagine sull'utenza), a quella dell'utilizzo degli strumenti di raccolta dei dati nel capitolo 4 (L'immersione nel campo di indagine), infine a quella dell'analisi dei risultati nel capitolo 5 (Profilo d'utenza e percezione).
L'indagine adotta un disegno di ricerca emergente di tipo qualitativo che affonda le proprie radici teoriche nei principi della Grounded Theory, da cui mutua il carattere di ricorsività, e si avvale di strumenti di raccolta dati sia di tipo qualitativo (le interviste con gli opinion leaders e i focus groups) sia di tipo quantitativo (i questionari strutturati).
L'intento è quello di creare le condizioni per far emergere il punto di vista degli utenti e dei non utenti delle biblioteche perugine, offrendo ascolto in tutti i modi metodologicamente fondati che il ricercatore ha a disposizione, evitando qualunque ipotesi iniziale e idea preconcetta e lasciando che siano questi punti di vista a plasmare l'indagine stessa e a suggerire percorsi di approfondimento.

Chiara Faggiolani ci rivela tutte le complessità di questo tipo di ricerca, i possibili punti deboli e le opzioni a disposizione del ricercatore, consentendoci di seguire insieme a lei ogni fase, ogni riflessione e ogni decisione presa. Talvolta, per giustificare alcune scelte e motivare alcune interpretazioni, l'autrice entra anche in dettagli tecnici non certo semplici, che però vengono riportati in maniera piana e comprensibile.
Il tutto è ampiamente sostenuto dal punto di vista teorico, non solo grazie al capitolo introduttivo (Indagini sugli utenti e posizionamento della biblioteca) che inquadra l'indagine in un orizzonte più vasto che attinge non solo agli studi biblioteconomici, ma anche e soprattutto alle scienze sociali in cui affondano le radici ricerche di questo tipo. Il richiamo alle basi teoriche che stanno dietro le scelte di metodo puntella l'intero volume, offrendo al lettore un percorso bibliografico di grande utilità e completezza.
Come sottolinea Alberto Petrucciani nella presentazione, «la lezione metodologica del libro [...] è quella di coniugare la partecipazione e diciamo pure la passione [...] con il vigile rigoroso controllo, sia nel processo d'indagine sia nell'analisi dei dati raccolti, che gli elementi che emergono non siano addomesticati, silenziati irreggimentati, costretti a forza in schemi precostituiti o, all'occorrenza, scopati sotto il tappeto. [...] Uno sguardo lucido e obiettivo, magari impietoso, su utenza e non utenza delle biblioteche pubbliche italiane» (p. 7-8).
Da questo sguardo viene fuori l'immagine di un'utenza reale e potenziale la cui domanda nei confronti delle biblioteche è sostanzialmente di basso profilo, vittima da un lato di una visione profondamente stereotipata delle biblioteche che stenta a modificarsi persino nella mente di coloro che le biblioteche le usano e sperimentano realtà molto diverse dallo stereotipo, dall'altro di un contesto sociale che - ad eccezione di un'élite molto ristretta - non è esigente sul piano culturale e ne fa un uso di fatto molto superficiale.
Da qui l'attenzione costante dell'autrice a mantenere un difficile equilibrio tra l'ascolto degli utenti e l'esplicitazione delle loro percezioni per definire posizionamento e sviluppi futuri delle biblioteche, ma anche l'esplorazione di tutte le possibilità che le biblioteche hanno - e forse non hanno ancora sperimentato - per intervenire sulla domanda per ampliarla e renderla più qualificata.

La lettura di questo prezioso volume insegna due cose molto importanti ai bibliotecari: innanzitutto che la ricerca qualitativa richiede rigore metodologico e capacità di padroneggiare tecniche complesse se si vuole sperare di produrre risultati significativi; in secondo luogo che uscire da una logica puramente autoreferenziale come è quella che i bibliotecari hanno adottato fin qui nel parlare di biblioteche mette purtroppo in evidenza l'irrilevanza delle biblioteche nella percezione diffusa e la difficoltà di intaccare un'immagine fortemente superficiale anche nei contesti in cui si adottino servizi innovativi.
In conclusione, il lavoro di Chiara Faggiolani - pur offrendoci un quadro che nei suoi esiti in parte già conosciamo - ci costringe ad abbandonare i nostri alibi, a rivedere i nostri punti di vista, a mettere in discussione le nostre più intime convinzioni per confrontarci con la dura realtà dei fatti, quella che forse ha almeno in parte contribuito a condannare fin qui alla marginalità biblioteche e bibliotecari. Se le biblioteche si affannano dietro le più innovative prospettive che la letteratura professionale suggerisce, ma i loro utenti si accontentano di spazi confortevoli e di orari prolungati, non sarà forse arrivato il momento di fermarsi e chiedersi dove stiamo sbagliando?

Anna Galluzzi
Biblioteca del Senato "Giovanni Spadolini"


La Biblioteca diocesana pubblica R. Ferrigno di Ostuni e il suo fondo antico, a cura di Maria Grazia Barnaba e Elena Gallo. Ostuni: Biblioteca diocesana pubblica R. Ferrigno, 2013. 2 volumi (814 p.).

Se «fondare biblioteche è un po' come costruire ancora granai pubblici: ammassare riserve contro l'inverno dello spirito», come scrive Marguerite Yourcenar nel famoso Memorie di Adriano, descrivere i loro contenuti è come aprire uno scrigno di perle di inestimabile valore.
Questo è stato lo scopo principale di due studiose pugliesi, Maria Grazia Barnaba ed Elena Gallo, autrici de La Biblioteca diocesana pubblica R. Ferrigno di Ostuni e il suo fondo antico, con introduzione di Giuseppe Satriano, vicario generale della diocesi di Brindisi-Ostuni.
Le ricercatrici, entrambe laureate tra il 2004 e il 2005 in Beni culturali, presso l'Università del Salento a Lecce, indirizzo Beni archivistici e librari, hanno portato a termine indagini già oggetto di precedenti esperienze condotte presso lo stesso istituto in qualità di catalogatrici specializzate per il libro antico.
Il lavoro, dopo aver ripercorso brevemente la storia della diocesi di Ostuni, risalente al IX-X secolo e dopo aver narrato le vicende della Biblioteca diocesana, mette in luce 954 opere edite tra il XVI e il XVIII secolo (escludendo i testi editi tra il 1800 e il 1830): 24 cinquecentine, 64 secentine e 866 settecentine.
L'istituzione, sebbene esistente come supporto liturgico e didattico alla Curia diocesana ostunese già dal XVI secolo, risulta essere stata fondata e provvista di un proprio fabbrico, dall'arcivescovo mons. Raffaele Ferrigno (1856-1875), nel 1867, quando il Capitolo nomina una cinquina di deputati allo scopo di formare la Commissione libraria. In seguito ad alterne vicende, nel 1878, la Biblioteca da vescovile diviene capitolare e, passati alcuni anni di chiusura, riapre al pubblico nel 2001.
La catalogazione è stata effettuata secondo le norme REICAT. Per gli esemplari mutili di frontespizio, gli elementi identificativi dell'unità bibliografica sono stati ricavati dal corrispondente esemplare completo presente nello stesso fondo, da noti repertori bibliografici o dai cataloghi più accreditati, sia cartacei sia online, servendosi anche della preziosa e puntuale collaborazione dell'Istituto centrale per il catalogo unico. Ogni tomo è arricchito da un'appendice con le più belle pagine illustrate a colori; il secondo si chiude con l'indice onomastico analitico, l'indice degli editori, dei tipografi e dei luoghi di stampa e l'indice dei possessori.

Al termine del censimento ci si è trovati di fronte a un canone tipicamente religioso, considerata la consistente presenza di testi di liturgia, Sacra Scrittura, diritto canonico, teologia, storia ecclesiastica, agiografia, spiritualità, pur non mancando opere enciclopediche, di letteratura, storia, geografia, matematica, geometria, architettura e ingegneria. Il testo più antico è l'Opus aureum super quatuor euangelia, di san Tommaso d'Aquino, edito a Venezia dagli eredi di Ottavio Scoto nel 1521. Tra le curiosità, il trattato Gli ornamenti delle donne del medico modenese Giovanni Marinelli del 1562 e La critica della morte, overo L'apologia della vita di Federico Gualdi, il misterioso alchimista veneziano, pubblicata nel 1699. Il fondo è arricchito anche dalla presenza di volumi con le preziose incisioni di suor Isabella Piccinni (1644-1732). Diversi sono i prodotti di officine tipografiche europee, mentre tra le italiane primeggiano quelle di Venezia e Napoli. Tra i possessori un rilievo importante riveste la famiglia dell'abate Carmelo Ayroldi.
Un ottimo lavoro, che fa conoscere la biblioteca non solo quale strumento di erudizione e di studio per i futuri sacerdoti, come voleva il fondatore, ma quale chiara testimonianza della storia culturale di quella diocesi.

Dino Levante
Università del Salento


Consegnare al futuro archivi e biblioteche: materiali per l'aggiornamento di operatori di archivi diocesani e biblioteche ecclesiastiche, a cura di Ugo Dovere. Noventa Padovana: Mediagraf, 2012. 258 p. ISBN 978-88-88484-15-0. EUR 25,00.

Il volume, nell'offrire utili approfondimenti tecnici per archivisti e bibliotecari, testimonia l'interesse del mondo ecclesiastico verso i temi della conservazione e della valorizzazione: proprio in questa direzione si sviluppa l'impegno dell'Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana che, costituto fin dal 1996, organizza corsi di aggiornamento per gli operatori diocesani tenuti da accreditati professionisti riconosciuti per competenze ed esperienze. Lo scopo non è solo quello di custodire il patrimonio ereditato dal passato, prevenendo rischi ambientali e cause di degrado, ma di attuare una politica di valorizzazione imperniata su una convinta promozione culturale. Consentire agli enti ecclesiastici di "aprirsi" al pubblico, garantire, oltre a orari prolungati, la disposizione del materiale a scaffale aperto, così come la periodica riconfigurazione dei siti web, e la stessa "educazione" degli utenti, ne rappresentano le modalità e gli strumenti più significativi.
La miscellanea, opportunamente articolata in I Luoghi e Le Idee, raccoglie ben diciassette contributi, con la presentazione di Stefano Russo, e la premessa di Ugo Dovere, ben noto studioso di storia della Chiesa e autorevole consulente dell'Ufficio nazionale per i beni ecclesiastici della CEI, da sempre attento alle tematiche della tutela e della conservazione come attestano le sue precedenti monografie su I beni culturali ecclesiastici: principi e prassi e su La manutenzione programmata dei beni storico-artistici, entrambe edite nel 2011.
A riprova dello spirito di ascolto delle esigenze del pubblico sono state selezionate alcune istituzioni di grande tradizione storica: la Biblioteca Apostolica Vaticana, istituita da Niccolò V, nel 1451, pro communi doctorum virorum commodo; le Biblioteche della Camera e del Senato coinvolte nel progetto del Polo Bibliotecario Parlamentare che costituisce, senza dubbio, una rilevante novità nell'ambito nazionale e internazionale; la Biblioteca dell'École Française de Rome impiantata nel 1875 nel prestigioso Palazzo Farnese; e l'Archivio Storico Diocesano di Roma. I saggi sulla storia della loro fondazione, sulla stratificazione del patrimonio bibliografico, sulla "specialità" dei propri lettori e sull'adozione di nuove tecnologie informatiche sono rispettivamente a firma di: Raffaele Farina, La missione della Biblioteca Vaticana tra conservazione, fruizione e nuove tecnologie (p. 17-35); Antonio Casu, Le biblioteche parlamentari: funzione politica e politiche culturali (p. 37-52); Sandro Bulgarelli, Uguali, ma diverse: la formazione delle due biblioteche parlamentari (p. 53-61); Maria Silvia Boari, La biblioteca dell'École Française de Rome (p. 63-78). In questo quadro tematico Maria Cristina Misiti si occupa de Le origini del concetto moderno di restauro librario: Alfonso Gallo e la nascita dell'Istituto di Patologia del libro ricordando la figura del coraggioso fondatore dell'Istituto Centrale, primo a introdurre il moderno concetto di patologia del libro (p. 79-86); con L'archivio Storico Diocesano di Roma: cenni storici, funzioni e competenze (p. 87-96) - destinato a custodire la memoria storica della più importante comunità del mondo cattolico - Domenico Rocciolo chiude la prima parte de I Luoghi.

I successivi contributi di Michele Pennisi, Archivi e Biblioteche per la vita della Chiesa e a servizio dell'uomo (p. 99-115), e di Gaetano Zito, Biblioteche e archivi: dal passato il futuro della Chiesa: tradizione e provocazione (p. 117-128) s'incentrano sul ruolo della Chiesa, sulla sua diretta responsabilità in materia di conservazione e di salvaguardia del materiale archivistico e librario. Non sono da trascurare le risorse umane che, operando all'interno delle biblioteche e degli archivi ecclesiastici, abbisognano di accrescere le competenze professionali, maturando - sul piano personale - attitudine, passione, dedizione, doti imprescindibili per svolgere un lavoro efficiente ed efficace così da assicurare all'utenza un servizio ottimale.
Una sezione della seconda parte del volume viene dedicata alle disposizioni legislative che regolamentano i beni culturali. Pierpaolo Forte, nei Profili di legislazione italiana dei beni culturali, con attenzione per archivi e biblioteche (p. 129-144) espone un sintetico excursus sulle diverse normative del settore, ponendo l'accento sulle funzioni di tutela e valorizzazione che interessano tanto i soggetti pubblici che privati. Focalizzato sulla normativa canonica e, in particolare, sulla ramificata rete degli archivi ecclesiastici, diocesani e parrocchiali, il contributo di Adolfo Zambon, Gli archivi e le biblioteche della Chiesa: prospettiva canonistica (p. 145-165). Più tecnico l'argomento - assai delicato - affrontato da Paolo Iannelli ne La sicurezza in archivi e biblioteche (p. 167-180), che sottolinea il carattere storico dei numerosi edifici che ospitano archivi e biblioteche, non solo di proprietà ecclesiastica, determinando specifiche tecniche d'intervento. L'autore, al termine del saggio, appronta un'appendice con gli otto articoli delle Disposizioni legislative inerenti la sicurezza in caso d'incendio. Nel contributo di Ángela Núñez Gaitán intitolato Temi e questioni di conservazione (p. 181-188) vengono esaminate le tipologie di danni chimici, biologici e meccanici, che causano il deterioramento del libro, processo naturalmente spontaneo e inarrestabile. Sui processi degenerativi del materiale librario si sofferma Flavia Pinzari, con Il biodeterioramento dei materiali librari e archivistici: meccanismi e organismi responsabili del danno (p. 201-214) fornendo, oltre alla spiegazione dei danni causati da attacchi di microrganismi e macrorganismi, una serie di tabelle con le differenti tipologie di insetti, funghi, ecc. I due contributi concordano nella tesi che l'unica azione capace di rallentare l'inarrestabile degrado dei materiali cartacei si radica nella conservazione preventiva, ritenendo il restauro l'estrema ratio, a cui ricorrere per scongiurare la sua imminente dispersione fisica. Ancora sulla conservazione preventiva, in riferimento all'art. 29 della Sezione II del Codice dei beni culturali e del paesaggio, si articolano i saggi di Donatella Matè, Conservazione preventiva dei manufatti archivistici e librari (p. 189-200), e di Cecilia Prosperi, La conservazione preventiva (p. 215-220). Entrambe le due autrici insistono sulla necessità di realizzare un articolato piano programmatico che intreccia attività ispettive, cicliche azioni di monitoraggio, diagnostica, manutenzione e restauro, misure essenziali per preservare l'integrità del patrimonio bibliografico e documentario. Anche Eugenio Veca, ne La gestione delle emergenze (p. 221-227), ritorna sulla questione della prevenzione al fine di fronteggiare eventi eccezionali e catastrofi naturali: in tali sciagurate congiunture il pronto intervento viene assicurato dal Laboratorio di conservazione preventiva dell'Istituto Centrale per il Restauro e la conservazione del Patrimonio Archivistico e Librario, sul quale ricade la responsabilità di recuperare e porre in sicurezza il materiale danneggiato. Si cita, ad esempio di pronto intervento, il caso dell'Archivio Storico Comunale di Aulla, colpito dall'alluvione nell'ottobre del 2011.

Il contributo di Paul Gabriele Weston su L'informatica in archivio e in biblioteca (p. 229-247) analizza il ruolo dell'informatica con l'introduzione e l'utilizzo di servizi e strumenti per l'utenza, il trattamento e la conservazione delle risorse in formato digitale. Particolare attenzione è riservata all'interoperabilità connessa ai metadati con riferimento al Dublin Core, ma anche sulla digitalizzazione intesa come progetto e non come prodotto. Sulle componenti organizzative e progettuali e sulla conservazione delle risorse digitali e digitalizzate - tema di grande attualità - verte il saggio di Salvatore Vassallo dal titolo La digitalizzazione come workflow (p. 249-258). Tutti i contributi sono corredati, utilmente, da una ricca e puntuale bibliografia.
La lettura di questo volume - apprezzabilmente volto a sensibilizzare una più ampia platea di lettori - conferma che nessuna attività di conservazione può essere intrapresa senza una pertinente e corretta prevenzione: solo seguendo questo percorso si può valorizzare il patrimonio documentario ereditato dal passato, permettendone la conoscenza e la fruizione pubblica alle future generazioni.

Gelsomina Palermo
Montesano sulla Marcellana (SA)


Peter F. Tschudin. La carta: storia, materiali, tecniche, a cura di Federica Peccol; prefazione di Ezio Ornato. Roma: Edizioni di storia e letteratura, 2012. XLVII, 375 p. ISBN 978-8863723113. EUR 48,00.

La traduzione italiana dell'opera di Peter Tschudin, Grundzüge der Papiergeschichte, consente al pubblico italiano di apprezzare in maniera più completa e, sicuramente, più agevole i contenuti del testo originale tedesco. L'iniziativa, promossa dal Centro regionale di catalogazione e restauro dei beni culturali di Villa Manin di Passariano (UD), riveste un notevole interesse per la diffusione di una bibliografia sulla storia, i materiali e le tecniche di produzione della carta.
In un panorama piuttosto frammentario di contributi di stampo monografico focalizzati su singoli aspetti della carta, quest'opera ha infatti l'indubbio merito di porre tale manufatto al centro di una trattazione di tipo manualistico e complessivo, dagli orizzonti ampi: la traduzione assicura ora ad essa un bacino di fruizione meritatamente più ampio.
La carta - supporto di testi e di documenti, oggetto di scambio, materiale commerciale a tutti gli effetti su cui si sono costruite le alterne sorti imprenditoriali delle innumerevoli cartiere che ne hanno fatto la storia - ha avuto, nel corso dei secoli e nelle varie civiltà, un'evoluzione che l'ha portata ad essere oggi una cosa molto diversa da ciò che era secoli fa: per citare solo l'esempio del passaggio dalla fabbricazione manuale a quella industriale, le componenti chimiche, le tecniche di realizzazione, i mezzi di commercializzazione sono profondamente cambiati. Ripercorrere una storia così lunga, ramificata e strettamente intrecciata con i percorsi sociali delle civiltà che hanno utilizzato questo materiale è sicuramente un compito arduo ed esposto alle insidie delle semplificazioni.
Questo ha in qualche modo favorito, nel bene e nel male, la parcellizzazione degli studi che avevano come oggetto la carta: in un percorso storico così lungo gli studi si sono concentrati su singoli tratti di quel cammino - la filigrana, la cartiera, le materie prime - piuttosto che sugli approcci complessivi. Un altro problema negli approcci metodologici è la posizione ancillare, ricordata al lettore da Ezio Ornato nell'introduzione, cui sono stati spesso relegati gli studi sulla carta: utile per datare un manufatto più complesso che la contiene, la carta è stata spesso presa in esame in quanto elemento in grado di fornire dati utili per la collocazione spazio-temporale di un manufatto altro, di cui essa non è che una componente (l'esempio princeps è appunto il libro).

Nel caso del testo di Tschudin è importante sottolineare il fatto che sia l'opera tedesca, sia la traduzione italiana traggano la loro origine dall'ambito didattico: dalla necessità, cioè, di avere a disposizione un trattato complessivo sulla carta, la sua storia e le tecniche di fabbricazione. Se l'opera tedesca deriva dalle lezioni che Tschudin tenne dal 1987 al 2002 all'Università Politecnica di Darmstadt, presso l'Istituto per la Fabbricazione della Carta, la traduzione italiana nasce nell'ambito del Corso per restauratori di beni culturali (materiale librario e archivistico) di Villa Manin di Passariano, presso il quale Tschudin è stato docente. Ambiti molto specifici entrambi - uno focalizzato sulla tecnologia del materiale, l'altro sul restauro del medesimo - che però devono avvalersi di approcci di ampie vedute su materiali e tecniche ancor prima che di studi molto settoriali su singoli aspetti. Approfondimenti che sono demandati a una bibliografia più specifica, peraltro ricchissima, consolidata e incrementata da sempre nuovi contributi: si pensi a tutti gli studi dedicati alle filigrane, alla produzione delle singole cartiere, agli specifici tipi di carta, differenziati a loro volta in senso cronologico o geografico-culturale (la carta orientale, occidentale, la carta fatta a mano e quella di produzione industriale).
Ambito didattico e approccio manualistico non significano però che l'opera sia destinata al solo uso degli studenti: al contrario, proprio l'ampio respiro che caratterizza il testo lo rende perfettamente fruibile da tutti coloro che, a vario titolo e con varie professionalità, si occupano di manufatti cartacei e desiderano avere un panorama d'insieme, un quadro storico oculatamente sintetico e attentamente rappresentato, dove la sintesi è il frutto di studi approfonditi e non il fertile terreno delle semplificazioni.

L'opera si articola in otto capitoli; la storia della carta occupa la parte di maggior rilievo: vengono evidenziati gli apporti delle diverse civiltà (asiatica, araba ed europea) e viene ripercorso il cammino che, in Europa, ha portato dalla produzione a mano a quella industriale, con una disamina delle varie macchine che intervengono nelle diverse fasi della produzione. La sezione storica è preceduta da capitoli dedicati all'approccio della disciplina, alla carta come materiale (definizioni, applicazioni della carta), alla metodologia di storia della carta. L'aspetto tecnico e tipologico è affrontato anche nei capitoli finali, laddove viene proposta una disamina delle varie tipologie di carte decorate e degli usi speciali della carta; il corpo centrale del volume si chiude con un excursus sul restauro. Il volume presenta infine utili testi d'apparato: la prima appendice è dedicata alle denominazioni storiche di varietà, misura e quantità; le altre due appendici contengono due testi dell'IPH (International Association of Paper Historians): la proposta di norma per la descrizione delle carte e le raccomandazioni per le banche dati di filigrane. La versione italiana aggiunge all'opera originale un'introduzione di Ezio Ornato, che fornisce un quadro particolareggiato degli studi sulla storia della carta ed è utile al lettore per dare al volume un inquadramento storico-metodologico più approfondito.

Maria Luisa Russo
Università degli Studi di Torino


Agnese Galeffi - Lucia Sardo. FRBR. Roma: Associazione italiana biblioteche, 2013. 77 p. (ET. Enciclopedia tascabile; 31). ISBN 978-88-7812-220-8. EUR 12,00.

L'ultimo nato dell'agile collana ET dell'Associazione italiana biblioteche - FRBR di Agnese Galeffi e Lucia Sardo - è dedicato ai Functional Requirements for Bibliographic Records, una tematica che definire semplicemente catalografica sarebbe riduttivo. Come ricordano le autrici in chiusura, «a FRBR hanno cercato di adattarsi o avvicinarsi, con esiti e modalità diversi, regole di catalogazione, formati elettronici, prodotti software, andando sicuramente oltre quelli che erano gli obiettivi originari» (p. 61). La pubblicazione del modello FRBR nel 1998 ha portato, infatti, una "ventata" di aria nuova non solo, come inevitabile, nel settore della catalogazione, ma anche negli studi della "Library and Information Science" interessati dalle implicazioni dell'applicazione del modello entità-relazioni (si pensi, appunto, agli sviluppi degli ILS-integrated library system, all'organizzazione dell'informazione nei servizi di reference e nella gestione degli strumenti tesaurali, fino ad arrivare agli studi testuali).
Il volume è organizzato in dieci capitoli che, gradualmente, introducono il lettore al "mondo FRBR"; scopo delle due autrici è, infatti, quello di mettere a disposizione una guida pronta all'uso per quanti, purché in possesso almeno dei fondamenti catalografici, necessitino di un quadro sul tema. Nei primi tre capitoli vengono fornite informazioni generali sullo studio (FRBR in sintesi), sui passi che hanno reso possibile la sua uscita (FRBR: la storia) e sui motivi della sua nascita (Perché FRBR). Si passa, quindi, all'esposizione del modello concettuale entità-relazioni (Il modello E/R), alla presentazione degli altri due modelli del "filone" FRBR (La famiglia FRBR: FRAD e FRSAD) - queste ultime due parti sono quelle maggiormente sviluppate del lavoro - e all'introduzione dello studio FRBR object-oriented (FRBRoo). Gli ultimi tre capitoli sono, invece, dedicati al rapporto tra FRBR e il "resto del mondo"; vengono, infatti, esaminati il ruolo dello studio nello sviluppo dei due codici catalografici rilevanti, rispettivamente, nel contesto nazionale (REICAT) e in ambito internazionale, RDA (FRBR e le regole di catalogazione), le relazioni tra il modello e i formati di scambio MARC (FRBR e i formati MARC), la difficile e ancora parziale applicazione di FRBR nei cataloghi attuali (FRBR, cataloghi e sistemi di ricerca).

A chiudere il volume, una riflessione sull'influenza esercitata da FRBR, sulle critiche mosse al modello durante l'ultimo decennio e, da ultimo, sui suoi limiti che le autrici sembrano voler sintetizzare nell'assenza di una politica certa di sviluppo (Il dibattito e prospettive future).
Il lavoro di Galeffi e Sardo, oltre ad essere, come già rilevato, un primo approccio utile ai Functional Requirements for Bibliographic Records, costituisce nello stesso tempo anche uno stimolo, per chi già conosca la tematica, ad approfondire aspetti di vario tipo, da quelli più teorici relativi al modello entità/relazioni, a quelli applicativi legati al processo di "FRBRizzazione" dei nostri cataloghi. E questa spinta non può che essere positiva, specie nella fase attuale caratterizzata da un vivace dibattito a livello internazionale che, partendo dal catalogo "classicamente" inteso - punto di partenza per qualsiasi "viaggio" - approda ai next generation catalogs for libraries pienamente inseriti, e, quindi, fruibili, nel variegato spazio del web.

Simona Turbanti
Sistema bibliotecario di ateneo, Università di Pisa


Stephen J. Miller. Metadata for digital collections: A how-to-do-it manual. London: Facet, 2011. XXIII, 343 p. ISBN 978-1-85604-771-5. £ 54,95.

Il volume Metadata for digital collections: A how-to-do-it manual si inserisce in una tradizione di pubblicazioni diffusa e consolidata in ambito anglo-americano: quella di realizzare manualistica di buon livello che accompagni chi, per motivi di lavoro o di studio, debba addentrarsi in un ambito che non conosce. L'autore, infatti, presume che il lettore della pubblicazione sia un assoluto principiante e non abbia alcuna esperienza di catalogazione e lo guida, in maniera semplice ed efficace, in un percorso di apprendimento mirato.
Pur se destinato a dei principianti, la trattazione non è superficiale. L'equilibrio, quindi, è raggiunto limitando la trattazione a tre degli schemi di metadati più utilizzati (Dublin Core, MODS. Metadata Object Description Schema e VRA. Visual Resources Association), che riesce quindi a trattare in maniera pratica ma approfondita. Il sito web di accompagnamento (http://www.alastore.ala.org/nealschuman/companionwebsite/metadata-digital-collections/) contiene domande di approfondimento, esercitazioni e ulteriori riferimenti ai singoli capitoli.
Il libro è strutturato come un manuale, con capitoli che vanno da informazioni introduttive su fondamenti di metadati, all'uso di vocabolari controllati, fino a XML. Il fulcro della trattazione sono delle linee guida "passo-passo" su come progettare e documentare un sistema di metadati. I lettori possono cominciare dall'inizio coprendo le basi, o possono passare direttamente alla fase di pianificazione per la creazione di propri progetti e flussi di lavoro. Ogni capitolo si conclude con una sintesi e comprende un elenco di riferimenti, utili al lettore che vuole saperne di più su un argomento particolare.
Il libro è diviso in 11 capitoli: Introduzione ai Metadati per le collezioni digitali; Introduzione alla descrizione delle risorse e Dublin Core; Identificazione delle risorse e la responsabilità Elements; Resource Contenuto e Relazione Elemento; Vocabolari controllati per Migliorata Resource Discovery; Metadati codificati in XML; MODS: Metadata Object Descrizione dello schema; VRA Nucleo: I visivi Resources Association Nucleo Categorie; Metadati interoperabilità, Condividi Capacità e qualità; Progettare e documentare un sistema di metadati, e Metadati, Linked Data e Web Semantico. Questi capitoli sono seguiti da una bibliografia molto consistente approfondita e completa e da un indice. Ogni capitolo è strutturato con una introduzione e panoramica con ottime spiegazioni ed esempi e, infine, una sintesi e i riferimenti appropriati.

Nel capitolo, molto appropriato, sulla interoperabilità dei metadati, condivisibilità, e qualità, Miller incoraggia i lettori a pensare, al di là del progetto digitale locale, in che modo i metadati possano essere utilizzati in futuro, o al di fuori del concetto di sistema chiuso. Questo capitolo contiene anche una sezione utile per migliorare la qualità dei metadati e la loro interoperabilità, fornendo consigli sulla "prova di resistenza al futuro" (future proofing) di schemi attuali.
Anche il formato e l'impaginato rendono questo libro adatto agli scopi che si prefigge. Il libro, infatti, è presentato molto bene con una buona dimensione del carattere e un'impaginazione assai piacevole. La suddivisione del testo in colonne e la presenza di molto spazio bianco, che alcuni lettori potrebbero voler usare per le proprie annotazioni, facilita la lettura, impedendo alla pagina di diventare troppo piena di spiegazioni tecniche e complesse, scoraggiante per il principiante di questo argomento. Il libro è pieno di illustrazioni (tutte in bianco e nero), immagini digitali, schermate e tabelle, lo stile della scrittura è piano, piacevole e scorrevole.
Insomma, un libro da consigliare, soprattutto a chi inizia: potrebbe essere utile anche in molti corsi universitari.
Unica pecca, che contraddice un po' la destinazione "per tutti" della pubblicazione, è il costo. Pur se sicuramente ben fatto, il costo decisamente alto ($ 80) di certo sarà un freno all'acquisto, soprattutto per i singoli e per gli studenti, coloro ai quali il libro è principalmente destinato. Ma per fortuna, anche per questo, esistono le biblioteche.

Andrea Marchitelli
CINECA - Consorzio interuniversitario, Roma


Anna Giulia Cavagna. La biblioteca di Alfonso II Del Carretto marchese di Finale: libri tra Vienna e la Liguria nel XVI secolo. Finale Ligure: Centro Storico del Finale, 2012. 429 p., ill. (Fonti, memorie e studi del Centro Storico del Finale; 2). ISBN 978-88-901669-2-1. EUR 20,00.

Inserito in uno dei filoni di studio di certo tra i più indagati e frequentati dagli storici delle biblioteche e del collezionismo librario (la recente e nostrana bibliografia sulle biblioteche private è tanto vasta da scoraggiare in questa sede una pur sommaria rassegna), il volume si caratterizza in primis per la presenza di alcuni elementi di assoluta originalità e novità, non solo da un punto di vista metodologico e contenutistico ma, in particolare, interpretativo. Prevalentemente diretto ad un pubblico di specialisti - in realtà mai forzatamente tecnicistico, bensì scritto con penna appassionata, appassionante e "posata" -, il libro ha come obiettivo la ricostruzione, in chiave bibliografica, della raccolta libraria allestita dall'affascinante figura di Alfonso II Del Carretto (1525-1583), governatore dell'allora marchesato di Finale Ligure e vissuto a Vienna negli ultimi sedici anni circa di vita.
L'autrice torna quindi a parlare in modo approfondito (ma non definitivo, come viene esplicitato, nonostante le più di 400 pagine di cui si compone il volume) di una ricerca apparsa qualche anno fa nella nota miscellanea Le biblioteche private come paradigma biblio­grafico: atti del Convegno internazionale, Roma, Tempio di Adriano, 10-12 ottobre 2007, a cura di Fiammetta Sabba, Roma: Bulzoni, 2008 (La biblioteca cinquecentesca di un feudatario imperiale, p. 425-444) e che, molto probabilmente, già allora aveva richiamato l'attenzione e la curiosità di molti.
Prima di presentare e illustrare l'architettura complessiva del volume, converrà precisare che gran parte dello "sforzo" intellettuale profuso dall'autrice verte sullo studio interpretativo di un documento intitolato Nota de varij libri della libreria de Marchesi di Finale. Manoscritta, oggi conservato presso l'Archivio Doria Pamphilj di Roma. La straordinaria importanza di questo manoscritto - vergato non dal Carretto in persona ma da diversi redattori a lui legati - sta anzitutto nella struttura stessa, ibrida e non immediatamente ascrivibile ad una precisa tipologia documentaria o bibliografica: «è un po' catalogo, un po' rendiconto di operazioni di logistica libraria; un po' inventario di beni un po' elenco; è testimonianza di altrui possessi librari e prova di consuetudini commerciali e organizzative inerenti i libri; è diario, dispaccio di ordini impartiti; riscontro di atti di lettura svolti dal proprietario e, persino, enunciazione di espliciti usi da lui fatti del libro e di motivazioni che lo spinsero a servirsene» (p. 13). La Nota infatti non descrive una biblioteca logisticamente compiuta e fisicamente accessibile al proprietario, ma piuttosto racconta di un "progetto bibliografico", vale a dire di libri (anche se non mancano accenni ad oggetti di diversa natura come dipinti, armi o disegni) acquistati, fatti acquistare o ricevuti in dono e poi spediti presso la dimora di appartenenza in attesa di un rimpatrio del proprietario (che in realtà non si concretizzò mai). La successiva scomparsa del marchesato come entità politica e giuridica, poi, ha inevitabilmente prodotto la dispersione totale della raccolta libraria (o stellare, come scrive l'autrice, ricordando la celebre definizione di Piero Innocenti), i cui esemplari ad oggi non sono stati ancora identificati.

L'articolata struttura del volume, dopo una breve Presentazione (p. 7-8) di Maura Firpo, Rettore del Centro Storico del Finale, si apre con una densissima e acuta Introduzione (p. 9-16) in cui l'autrice contestualizza il campo di ricerca, anticipa la struttura complessiva del lavoro e ne "difende" la metodologia avanzata. Il primo capitolo (La Nota de varij libri: struttura, caratteristiche, attori, p. 16-64), offre quindi una vasta e approfondita analisi formale del manoscritto che, oltre a chiarirne la gestazione e i differenti livelli delle informazioni presenti (in un processo di scomposizione e ricomposizione dei dati), arriva a ricostruire l'orizzonte spaziale - quasi una ragnatela - in cui i libri si muovevano e viaggiavano (spedizione, soste, consegna). Nel secondo capitolo (Il proprietario della Nota: libri, immagini e diplomazia, p. 65-121) viene invece affrescata, specie grazie ad una notevole mole di inedita documentazione e comunque desumendo notizie da fonti di diversa natura, la figura di Carretto: se ne ripercorrono così le vicende biografiche complessive, gli orientamenti culturali, gli obiettivi politici e le pulsioni intellettuali (punto di partenza concettuale, naturalmente, è che la storia di una biblioteca privata «è, con i dovuti riserbi, anche riflesso intellettuale, educativo, emozionale del proprietario» (p. 67). Nel terzo capitolo (La descrizione bibliografica della Nota, p. 123-171) si analizzano le singole aree descrittive delle voci contenute nella Nota (più di mille le registrazioni identificate), facendone emergere l'altissimo grado di esaustività e affidabilità bibliografica (molto interessante la comparazione con i modelli descrittivi dei moderni cataloghi informatici) sia in relazione all'edizione (dediche, privilegi, indici) che all'esemplare (legature). Il quarto e ultimo capitolo ospita infine la trascrizione integrale della Nota (p. 173-385), dove alle singole registrazioni vengono affiancate le identificazioni delle edizioni, naturalmente rintracciate attraverso l'ausilio di numerosi repertori catalografici (italiani, tedeschi, inglesi, americani e così via). Le notizie bibliografiche, poi, sono spesso arricchite, ad esempio in casi di dubbia identificazione, da sapienti commenti posti a piè di pagina. Sorprende quindi la dedizione e la precisione riscontrabili nella trascrizione, laddove la sensazione è che davvero nulla viene lasciato al caso o comunque affrontato in superficie (cosa che, naturalmente, non per negligenza ma per scelta consapevole, spesso capita).
Infine, dopo le stimolanti Conclusioni (p. 387-394) - la lettura del volume potrebbe pure iniziare da qui -, è presente un fitto e curatissimo apparato di indici: Indice degli archivi, delle biblioteche, base dati e sigle (p. 395-397); Indice dei nomi e dei luoghi (p. 398-409); Indice dei nomi di autori, dedicatari, tipografi, luoghi, città di stampa e opere anonime (p. 410-427); Indice delle illustrazioni (p. 428).

A mo' di conclusione, piace sottolineare la saggia e significativa proposta di metodo (almeno così la intende chi scrive) avanzata nelle pagine conclusive del volume e che, probabilmente, ne racchiude in qualche modo il senso complessivo: «Forse anche altri documenti oggi noti, che di solito non reputiamo complessi, richiederebbero una esegesi più critica, uno sguardo cauto nell'applicare un processo di astrazione, un approccio prudente nel ritenerli asettici tramiti per arrivare a conoscere quel contenuto che descrivono e con cui si ritiene non interagiscano» (p. 394).

Enrico Pio Ardolino
Roma


Francesca Pongetti. La biblioteca dello storico Enzo Santarelli (1922-2004): i testi sul fascismo: rilevanza dell'autore, come intellettuale e come studioso, sul piano della cultura nazionale del Novecento, oltre l'orizzonte ideologico marxista e comunista. Ancona: Assemblea legislativa delle Marche, 2012. 283 p. (Quaderni del Consiglio regionale delle Marche; 119). ISSN 1721-5269.

Nel 2001 la Biblioteca del Consiglio regionale delle Marche ha ricevuto in dono una consistente parte della collezione personale di Enzo Santarelli, storico di origini anconetane, con la raccomandazione esplicita che i libri «siano consultabili da tutti e a disposizione di iniziative per le giovani generazioni». L'intera biblioteca personale, esaurita la propria funzione originaria in casa Santarelli, non ha avuto una destinazione unitaria ma è stata suddivisa e affidata anche ad altri istituti: la Biblioteca di storia moderna e contemporanea di Roma, l'Emeroteca umanistica dell'Università di Urbino, la Biblioteca Giorgio Aprea dell'Università di Cassino, insieme a un piccolo nucleo donato alla Biblioteca Franco Serantini di Pisa.
Il lascito di oltre cinquemila volumi destinato alla regione Marche, catalogati e organizzati per la fruizione pubblica, viene analizzato in questo primo studio - «indagine esplorativa» lo definisce con i giusti termini l'autrice Francesca Pongetti - circoscritto ai testi sul fascismo che, da soli, rappresentano circa la metà dell'intera raccolta. Il lavoro viene ospitato dai Quaderni del Consiglio regionale delle Marche, che già nel 2005 avevano riservato allo storico marchigiano un numero monografico di "studi in onore", Per Enzo Santarelli, dedicatogli da colleghi e amici.
Se è pacifico consentire con la prima parte dell'elaborato sottotitolo, in cui viene affermata la «rilevanza dell'autore, come intellettuale e studioso, sul piano della cultura nazionale del Novecento», meno lo è sulla seconda in cui si prospetta un Santarelli «oltre l'orizzonte ideologico marxista e comunista». Non tanto perché non ci siano spunti di tal superamento nella sua opera, quanto perché la prospettiva assunta nel volume sembra voler marcare una distanza da parole che la presunta fine della storia ha reso oggi impronunciabili, ovvero l'evocazione di quell'orizzonte i cui disastri reali sono indiscussi, ma che ha rappresentato una speranza di cambiamento per intere generazioni e al quale Santarelli, uomo del secolo breve, pur non mancando di ampiezza di vedute è rimasto ancorato fino alla fine: «un militante della sinistra su posizioni comuniste», si definiva.

Le sue modalità di scrittura e lo stile espositivo, come rileva Pongetti, sono di gradevole lettura e non manifestano «il peso dell'impianto ideologico marxista, con il suo bagaglio di concetti precostituiti e di rigidità interpretative» (p. 85), ma Santarelli è senz'altro storico militante. Lo è nel senso più genuino dell'espressione, che non implica affatto la rinuncia alla rigorosa scientificità dell'approccio storiografico, quanto uno sguardo sul passato che renda servizio alla contemporaneità e serva sia a comprendere il presente, sia a prendere parte attiva entro le tensioni civili e politiche che lo attraversano.
Il volume è strutturato in due parti, con frequenti richiami da l'una all'altra: la prima contiene una cronologia ragionata della vita e delle opere di Santarelli, seguita da un'accurata analisi del suo impegno politico e culturale; la seconda si concentra sulla biblioteca d'autore, presentando le schede di una selezione di settanta volumi. In chiusura, indici (autori, editori, luoghi) e bibliografia.
La prima parte dà quindi conto delle tappe fondamentali del suo percorso biografico e culturale: gli inizi dell'attività politica su posizioni liberali "di sinistra" e le prime, ancora acerbe, pubblicazioni; l'adesione al partico comunista dopo la sconfitta elettorale del 1948; la nomina a segretario della federazione anconetana in quel 1956 che segna l'avvio del processo di destalinizzazione; l'elezione alla Camera dei deputati nel 1958, dove resterà fino al 1963 ricoprendo diversi incarichi istituzionali; la carriera politica tra i quadri dirigenti del PCI; i molteplici viaggi anche fuori dal continente europeo, sempre condotti all'insegna dell'interesse intellettuale per la storia globale; il legame con l'Università di Urbino, dove regge la cattedra di storia contemporanea per oltre un trentennio.

Ne emergono posizioni politiche mai dogmatiche. Si pensi al rifiuto del culto staliniano (ma non della disciplina di partito), quando è proprio Santarelli ad avviare nel 1961 sulle colonne della «Rivista storica del socialismo» quello che poi diventerà noto come il "dibattito sullo stalinismo", alla pubblicazione nel 1964 del saggio La revisione del marxismo in Italia o, ancora, agli avvenimenti del Sessantotto in cui, con un piede nell'accademia e l'altro appena tirato fuori dall'apparato di partito, si schiera dalla parte degli studenti.
Viene inoltre inquadrato il suo modo d'intendere il mestiere di storico, premessa indispensabile per poter analizzare adeguatamente la biblioteca "di studio", con le sue stratificazioni e caratteristiche, che di quel lavoro storiografico è testimonianza e, in un certo senso, ne riflette le peculiarità. Santarelli guarda alla storia dell'età contemporanea attraverso la lente marxista e la lezione gramsciana, ma i suoi riferimenti intellettuali non sono a senso unico. D'altra parte, aveva già dato prova di eclettismo culturale quando, in largo anticipo sui tempi, nel 1950 e in un universo politico tradizionalmente declinato al maschile, dà alle stampe La rivoluzione femminile, sollevando la donna dal ruolo di appendice della storia umana. In quegli stessi anni collabora a «Movimento operaio» di Gianni Bosio, che rappresentava un crocevia per intellettuali legati a una storia di classe ma non allineati al partito. Soprattutto, non si sottrae allo studio del movimento anarchico, così determinante, specie nelle sue Marche, per lo sviluppo originario del movimento operaio, rimarcandone senza sconti né indulgenza i limiti ma restituendo allo stesso tempo dignità e concretezza storica a quell'internazionalismo antiautoritario altrove semplicisticamente relegato al parto di menti immature e, pertanto, ritenuto non storicizzabile.
In particolare, Pongetti si sofferma sulla lettura del fenomeno fascista, argomento cruciale della produzione santarelliana e oggetto dello specifico nucleo estrapolato dal suo lascito librario. Per Santarelli il fascismo va, nell'ordine, studiato, compreso, interpretato e giudicato. Ed è quanto egli stesso fa, raccogliendone i risultati prima in Origini del fascismo (Argalia, 1963), poi in quella Storia del movimento e del regime fascista (Editori Riuniti, 1967) più volte ristampata e che diventerà nota come "il Santarelli", con la quale l'autore intendeva imprimere una svolta alla riflessione storiografica sul ventennio superando le secche determinate dalla preponderante influenza dello storicismo idealistico crociano. Nessuno spazio, quindi, a interpretazioni del fascismo come parentesi estranea alla storia nazionale, né alcuna concessione al supposto afflato "rivoluzionario" delle origini, ma analisi rigorosa del fascismo come fenomeno di classe e come "regime reazionario di massa", delle diverse componenti che si muovevano al suo interno, dei rapporti tra movimento, partito e regime, delle relazioni con il grande capitale, della politica estera e della dimensione internazionale.

La seconda parte del volume, si è detto, ha per tema i documenti sul fascismo del Fondo Santarelli, una selezione dei quali viene presentata analiticamente, corredata anche da riproduzioni a colori di copertine e altre pagine significative e da abstract delle opere. Sono inoltre descritte le metodologie adottate sia per la loro collocazione fisica, predisposta con l'ausilio di una griglia classificatoria redatta dallo stesso Santarelli, sia per il trattamento catalografico, che ha prestato particolare attenzione alle diverse tipologie di segni d'uso e alle caratteristiche specifiche di ogni esemplare (sottolineature, postille, dediche, ex libris, note manoscritte, ritagli di giornale, fascette editoriali ecc.). Sono infatti proprio quelle pagine che Santarelli ha letto, manipolato e sulle quali ha lasciato tracce di un utilizzo non superficiale fissandovi i suoi appunti. I segni di questo passaggio, ben visibili in alcune riproduzioni pubblicate nel volume di Pongetti, ci restituiscono l'impressione di poter per un attimo afferrare quel rapporto intercorso tra l'oggetto libro, il testo contenuto e il suo lettore e, se studiati più a fondo, potrebbero consentire di correlare le pratiche di lettura a quelle della successiva scrittura.
Tra gli esemplari selezionati risulta di grande pregio per le sue caratteristiche uniche di testimonianza storico-culturale la prima edizione di Storia del movimento e del regime fascista, nei due volumi di Editori Riuniti, il cui testo presenta numerosi interventi successivi dello stesso autore, sia a livello formale, nella correzione di alcuni refusi e riferimenti bibliografici, sia soprattutto a livello sostanziale, nella revisione di diversi passaggi. Quest'ultime messe a punto non sono state accolte per ragioni tipografiche nelle due successive edizioni (1973 e 1981), che pertanto si configurano come semplici ristampe, mentre una vera e propria nuova edizione "riveduta e corretta" è rimasta in nuce nell'esemplare conservato nel fondo, conferendogli un tangibile valore di unicità.
Riprendendo le parole di Stefano Pivato poste in prefazione al volume: «la sua lezione non è rivolta solo a ricercatori e specialisti, ma a quanti, nella società civile, sanno cogliere l'importanza della storiografia come conoscenza tesa a dilucidare in maniera non retorica ed estrinseca, le radici del nostro presente, per una società più giusta e più rispettosa dei valori umani» (p. 13). Ecco, questa è la lezione storiografica di Santarelli e ci pare di poter affermare che la stessa finalità promani ora dalla sua biblioteca personale, messa a disposizione del pubblico.

Luigi Balsamini
Urbino


Gaspar van Wittel: i disegni: la collezione della Biblioteca Nazionale di Roma: Biblioteca nazionale centrale, Roma, 17 aprile-13 luglio 2013, a cura di Margherita Maria Breccia Fratadocchi e Paola Puglisi. Roma: Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, 2013. 232 p., ill. ISBN 978-88-907996-2-4. EUR 50,00.

Nato nei Paesi Bassi ma con un percorso artistico svoltosi pressoché interamente in Italia (dove si stabilisce ventunenne nel 1674), Gaspar van Wittel è sicuramente una figura cardine del vedutismo seicentesco, anticipatore della grande stagione successiva dei Canaletto, Bellotto, Pannini che si dipanerà con enorme fortuna nel secolo successivo presso corti e privati di tutta Europa. La bellissima e fortunata mostra allestita dalla Biblioteca nazionale centrale di Roma (17 aprile-13 luglio 2013), incentrata sulla preziosa raccolta di 55 disegni posseduti dalla Biblioteca, ha contribuito certamente a dare nuovo impulso agli studi su questo straordinario artista spesso più citato e noto come padre di quel Luigi Vanvitelli, celebre architetto cui si deve il capolavoro assoluto della Reggia di Caserta.
Frutto della intensa collaborazione tra studiosi italiani e olandesi, il catalogo della mostra ripercorre, attraverso numerosi saggi tematici, alcune tappe fondamentali della vita dell'artista, delineandone con precisione e rigore filologico il percorso artistico e la fortuna critica che la sua opera ha avuto presso i contemporanei e fino ai giorni nostri.
Poco si sa del suo periodo di apprendistato: dalla natia Amersfoort, dove si forma alla scuola di Matthias Withoos, un pittore di genere, lo ritroviamo poco più che ventenne a Roma, attivo nella cerchia di quello stuolo di artisti olandesi specializzati in nature morte e scene di vita quotidiana noti con l'appellativo di "bamboccianti".
Il primo incarico importante, come riferisce Leone Pascoli, uno dei più importanti biografi del Settecento, lo ricevette dal connazionale Cornelis Meyer che, nel 1676, stava realizzando un progetto per rendere navigabile il Tevere tra Roma e Perugia, per il quale Van Wittel probabilmente realizzò una serie di disegni conservati in tre manoscritti della biblioteca nazionale di Roma, della Staatsbibliothek di Monaco e della Biblioteca Corsiniana. Gli interessanti saggi di Arthur Weststeijn e Arnold Witte ricostruiscono con precisione il percorso storico e critico dei tre documenti, il cui apparato grafico è solo parzialmente attribuibile al nostro artista.

Tra la fine degli anni Settanta e gli inizi del decennio successivo Van Wittel indirizza la sua attenzione verso un nuovo genere, che traendo spunto dalle vedute di fantasia o collegate con avvenimenti storici che caratterizzavano le opere di molti artisti contemporanei, si può definire "veduta di città". Riallacciandosi all'opera di incisore del fiammingo Lievin Cruyl e poi degli italiani De Rossi e Giovanni Battista Falda, la cui importanza nel documentare l'aspetto della nuova città barocca è ben delineata nell'interessante saggio di Barbara Jatta, l'artista olandese trasporta in pittura il metodo della pittura oggettiva legata al paesaggio, iniziando a dipingere le prime vedute romane.
Queste opere attirano l'attenzione di uno dei più importanti mecenati e collezionisti del tempo, il marchese Giovanni Battista Sacchetti che, sempre secondo quanto riporta il Pascoli, per ben sei anni dal 1682 al 1688, lo prende sotto la sua ala protettiva ospitandolo nel suo palazzo gentilizio e per il quale Van Wittel realizza una serie di oltre 70 dipinti. Il mecenatismo della famiglia e la successiva acquisizione nel Settecento della collezione Sacchetti da parte dei Musei Capitolini vengono illustrati in dettaglio da Sergio Guarino, che rileva anche come questa raccolta costituisca uno dei nuclei più importanti e omogenei di opere dell'artista, sia in termini quantitativi che qualitativi.
Le due sezioni affidate a Laura Laureati ci portano poi nel vivo dell'analisi storico-critica dell'opera vanvitelliana. Nella prima parte la studiosa rivendica la primogenitura di Van Wittel nell'invenzione della veduta di città, analizzando il rapporto che lega l'artista con il successivo vedutismo veneziano a partire da Carlevarijs fino al riconosciuto protagonista assoluto del genere, Antonio Canal/Canaletto. Cronologicamente l'opera dell'olandese è naturalmente antecedente a quella dei veneziani (le prime vedute romane sono del 1680), ma molti possono essere stati i potenziali scambi culturali tra l'ambiente romano e quello della città lagunare: Van Wittel è a Venezia nel 1695 e continua a dipingere vedute di soggetto veneziano fino al 1722, così come Canaletto è a Roma nel 1719 e sicuramente ha modo di entrare in contatto con l'opera dell'olandese e di risultarne influenzato nell'elaborazione della sua "idea della veduta". Nel secondo saggio, completato da un ulteriore contributo di Beatrice Pulcinelli sull'argomento, viene analizzata la fondamentale opera critica di Giuliano Briganti, grande storico dell'arte e certamente il maggiore esperto di Van Wittel, che ha contribuito con i suoi studi in misura decisiva alla scoperta e valorizzazione dell'artista.

Ma veniamo alla parte più strettamente bibliotecaria che costituisce ai nostri occhi forse l'aspetto più interessante del catalogo, nonché la ragion d'essere stessa della mostra. Nel saggio che apre il catalogo Margherita Breccia Fratadocchi ricostruisce la storia dell'acquisizione dei disegni vanvitelliani da parte della Biblioteca nazionale centrale di Roma. Personaggio cardine della vicenda è Domenico Gnoli, storico direttore (la carica ufficiale recita Prefetto) della Biblioteca dal 1882 al 1909 e creatore nel 1891 della cosiddetta sezione delle "stampe" nella quale dovevano confluire non solo le incisioni ma anche materiali diversi quali disegni, fotografie, carte geografiche. È per arricchire questa sezione che Gnoli decide nel 1893 di comprare per poco meno di 500 lire i 55 disegni di Vedute di varie città d'Italia e particolarmente di Roma. Vi è in questo acquisto un elemento decisamente strano, in quanto i disegni vengono comprati non sul mercato antiquariale ma direttamente da Francesco Gentiletti, un equivoco personaggio che ebbe rapporti di affari anche con d'Annunzio e del quale la Breccia ricostruisce con cura le poche notizie storiche rinvenute sul suo conto. Viene poi analizzato il percorso della fortuna espositiva dei disegni della raccolta, a partire dalla grande Mostra di Topografia Romana del 1903 (con 20 tavole esposte), fino ad arrivare ai giorni nostri, a sottolineare l'importanza che il fondo vanvitelliano ha rivestito tra quanti costituiscono il patrimonio grafico della Biblioteca nazionale.

Il contributo di Paola Puglisi è invece incentrato su un altro aspetto particolarmente interessante dei fondi della BNCR, quello relativo all'immagine di Roma ricostruita a partire dalle numerose piante della città che ne hanno delineato l'evoluzione urbanistica nel corso dei secoli e che costituiscono tuttora una fonte preziosissima per gli studi di carattere storico-urbanistico. Legando idealmente l'evento attuale con la prima grande Mostra di topografia Romana del 1903 voluta dallo Gnoli (e nella quale venne presentato, come detto, per la prima volta un consistente nucleo di disegni vanvitelliani), nel saggio viene messo in risalto il percorso evolutivo che caratterizza questo particolare tipo di rappresentazione della città. Dalla prima celebre pianta del Bufalini (1551) il percorso si snoda poi attraverso le seicentesche rappresentazioni del Maggi-Maupin, di Matteo Greuter, Di Matteo Gregorio De Rossi e Lievin Cruyl nelle quali si può verificare il passaggio ad una concezione barocca della resa grafica con «apparati iconografici complessi, in cui intorno alla mappa vera e propria appaiono iscrizioni, stemmi, vedute di singoli monumenti».
Oltre metà del catalogo è costituito dall'illustrazione del percorso introduttivo all'esposizione curato ancora dalle due bibliotecarie della Nazionale (Breccia Fratadocchi e Puglisi) e dalle dettagliatissime e filologicamente impeccabili schede dei disegni dovute a Laura Laureati. Suddivise tipologicamente (vedute di Roma, vedute dei dintorni, vedute diverse), esse ricostruiscono per ciascun disegno il percorso storico-critico, indicando dove possibile il probabile periodo di esecuzione, la tecnica di realizzazione, l'eventuale carattere di studio preparatorio per un dipinto. Il tutto corredato da un esaustivo apparato bibliografico e da eccellenti riproduzioni che arricchiscono anche da un punto di vista grafico la pubblicazione.
Un elenco delle fonti repertoriali e una ricca bibliografia completano il catalogo di questo che, con certezza, deve essere considerato uno degli eventi espositivi più interessanti e importanti dell'anno, non solo limitatamente all'ambito strettamente bibliotecario ma in assoluto nel panorama delle mostre a livello nazionale.

Franco Toni
Biblioteca dell'Istituto Superiore di Sanità