Il riconoscimento delle professioni non regolate
e la legge n. 4 del 14 gennaio 2013

di Raffaele De Magistris

Il 14 gennaio 2013 il Presidente della Repubblica ha promulgato la legge n. 4 recante Disposizioni in materia di professioni non organizzate1. Il provvedimento ha una valenza che qualcuno, sia pure con un po' di enfasi, ha definito epocale per le professioni non regolate2 e, nello specifico, per la professione del bibliotecario, i cui effetti facciamo forse fatica a percepire oggi per intero, ma che si manifesteranno in tutta la loro portata nel giro dei prossimi anni.
La legge n. 4/2013 può essere considerata una tappa decisiva verso la nascita, anche in Italia, di un moderno sistema duale, dove, in accordo con il modello prefigurato a livello comunitario, le professioni libere e le loro associazioni coesistono con un numero ben definito di professioni che continuano a essere strettamente regolate dalla legge, perché ritenute di particolare interesse pubblico o attinenti a interessi costituzionalmente garantiti. Fino alla emanazione della legge n. 4/2013, lo status di professionista intellettuale era limitato, nel nostro paese, soltanto a questa seconda categoria e comprovato dall'iscrizione a un albo, ordine o collegio.

La regolamentazione delle professioni intellettuali

Il sistema politico e legislativo dell'Unione europea dedica da anni notevole attenzione al tema della qualificazione delle professioni, soprattutto da quando, in conseguenza dello sviluppo delle attività economiche e della mobilità dei professionisti all'interno del mercato unico, si è posto con urgenza, tra i paesi aderenti, il problema del reciproco riconoscimento e insieme, e forse ancor prima, quello della riconoscibilità delle professioni, sia dal punto di vista puramente terminologico, delle denominazioni, sia soprattutto in termini di conoscenze e competenze caratterizzanti (valutazione univoca dei titoli di studi, dei curricula formativi, delle esperienze professionali ecc.).
La legge 4/2013 va letta alla luce di un siffatto contesto. Ma anche alla luce dell'annosa incapacità del Parlamento italiano di procedere a un riordino delle professioni che avesse come baricentro l'innalzamento della qualità dei servizi e la regolamentazione del mercato, invece degli interessi corporativi degli ordini.
Le analisi di autorevoli organismi internazionali, quali l'OECD (Organisation for Economic Co-operation and Development), attestano come l'Italia sia uno dei paesi dove gli elevati livelli di regolamentazione determinano maggiori restrizioni nell'accesso e ostacolano l'esercizio delle professioni3.
In proposito va detto che, all'interno della western legal tradition, l'Italia è stata considerata un esempio emblematico della cosiddetta impostazione latina del sistema degli ordini professionali. Tra i paesi anglosassoni e quelli dell'Europa continentale si nota, infatti, una sensibile differenza: nei primi, caratterizzati da sistemi di common law, non esistono meccanismi di iscrizione obbligatoria, ma protagoniste sono le associazioni professionali, che «operano in regime concorrenziale e fungono da organi di certificazione in ordine alle competenze proprie del professionista, come di controllo e tutela della condotta del singolo»4.
Al contrario, nei paesi dell'Europa continentale, in primis in Italia, dove vige un regime di configurazione pubblicistica (civil law), «non esiste concorrenza [...], bensì soltanto un ente di diritto pubblico (l'ordine o il collegio, appunto) a iscrizione obbligatoria, con funzioni amministrative e poteri di vigilanza circa la deontologia professionale»5.
Tra l'altro, il nostro paese detiene, a livello mondiale, il poco invidiabile primato del maggior numero di ordini e collegi professionali: secondo le più recenti indagini sono ben 27 le organizzazioni professionali caratterizzate dal diritto esclusivo dei propri appartenenti a esercitare determinate professioni, regolamentate da leggi dello Stato o regolamenti ministeriali che ne fissano i criteri di accesso6. Molto distanziati i paesi che la seguono immediatamente in classifica, dove si contano appena una decina di ordini, mentre in non pochi altri casi questo regime è totalmente assente, senza che ciò, a giudizio dei sostenitori dell'ordinamento common law, pregiudichi gli interessi "protetti" dei cittadini7.
Risale al 1913 l'emanazione del più antico provvedimento legislativo, ancora oggi in vigore, di istituzione di un ordine (l'ordine dei notai, cui seguì, nel 1923, quello degli architetti). Tuttavia il riconoscimento e la regolamentazione delle libere professioni, così come li abbiamo conosciuti fino alla legge 4/2013, iniziano a prendere forma già nel decennio seguente l'Unità, a partire dalle leggi istitutive dell'ordine degli avvocati e del notariato (rispettivamente r. d. n. 2012 del 1874 e r. d. n. 2786 del 1875)8.

La ratio alla base di quest'orientamento è evidente9. Si era in una società e in un periodo storico in cui i professionisti intellettuali rappresentavano una percentuale quasi irrisoria della popolazione, oltre a coprire una quota molto marginale del sistema economico. D'altro canto i clienti (o consumatori) non erano quasi mai in grado (considerato il livello di scolarizzazione) di effettuare scelte consapevoli in merito alla preparazione e al valore di un professionista. Lo Stato, quindi, si assumeva il compito di approntare a priori un sistema di accesso alla professione e di controllo che tutelasse l'intera collettività, garantendo che qualsiasi professionista fosse in possesso di requisiti tecnici e deontologici tali da consentirgli prestazioni qualitativamente valide. Da qui una visione dove il peso della pubblica amministrazione e degli enti pubblici diventava assolutamente predominante e si esplicava mediante il ricorso a una serie di misure di natura monopolistica, quali la necessità, per esercitare, dell'esame di stato e dell'iscrizione all'ordine.
Questo impianto, per quanto mostrasse elementi di criticità talora vistosi specialmente sotto il profilo della trasparenza e del controllo (organi di governo e procedure spesso autoreferenziali, debolezza dei codici deontologici, assenza di reali momenti di verifica in itinere della qualità e dell'aggiornamento ecc.), ha retto, senza essere di fatto messo in discussione, per circa settant'anni, durante i quali ha sì consentito, come noto, il rafforzamento di posizioni politiche e sociali dominanti da parte del ceto dei professionisti (per i quali poi non a caso si è parlato di casta), ma - va aggiunto con onestà - ha anche contribuito al consolidamento di una buona preparazione di base e di competenze diffuse, almeno finché si è rimasti nell'alveo delle classiche professioni generaliste: ingegnere, architetto, avvocato, notaio, ragioniere ecc.
A partire però dalla metà degli anni Ottanta l'esplosione di fenomeni ormai a tutti noti, come economia della conoscenza e capitalismo intellettuale, hanno rapidamente messo in crisi l'intero sistema, minando dalle fondamenta le strutture logiche su cui si reggeva. La nascita tumultuosa di professioni talvolta del tutto nuove, talaltra scaturite da una costola di professioni tradizionali, i principi di libera circolazione dei professionisti sanciti dall'Unione europea, l'affacciarsi sulla scena del nostro paese di soggetti giuridici e sociali nuovi come le associazioni, hanno evidenziato i punti di incompatibilità tra le moderne dinamiche di una economia tendenzialmente a perimetro planetario e la rigida impalcatura legislativa italiana, primo fra tutti la paralizzante staticità insita nella «necessità di riconoscere una qualsiasi professione attraverso una legge speciale del Parlamento, fotografandone in un determinato momento storico competenze, titolo di studio e, soprattutto, le attività (riservate e non) che la compongono»10.

Anche l'Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM, meglio nota come Antitrust) ha espresso a più riprese11 giudizi fortemente negativi (fin dalla Relazione conclusiva dell'indagine conoscitiva sugli ordini e i collegi professionali dell'ottobre 1997, confermata dalla Relazione annuale del maggio 199812) circa il perdurare nel nostro paese di una situazione ormai anacronistica, in base alla quale si affida a un registro professionale il diritto di qualificare, in via esclusiva, alcuni soggetti abilitati all'esercizio di una professione.
Le pressioni per mettere mano a un'ineludibile opera di ammodernamento del sistema non sono venute, però, solo dal fronte interno. Nella stessa direzione vanno le ripetute e sempre più stringenti sollecitazioni che l'Unione europea ha fatto pervenire allo Stato italiano affinché provvedesse ad abbassare il livello di regolamentazione delle professioni, in ultimo il 29 maggio 2013, in occasione delle raccomandazioni rivolte all'atto di chiudere la procedura per eccessivo deficit nei nostri confronti13.
Nel contempo, nell'ambito della riforma legata alla liberalizzazione dei servizi e alla circolazione di merci e persone, la Comunità europea ha avviato, fin dagli anni Ottanta/Novanta, una complessa attività legislativa con l'intento di dare maggiore dinamicità al sistema e porre un freno agli ostruzionismi corporativi locali, grazie a due direttive - la prima del 1989 (89/48/CEE14), la seconda del 1992 (92/51/CEE15) - che miravano a regolamentare le professioni non riconosciute e a consentire la libera circolazione lavorativa dei cittadini dell'Unione16. Inoltre con la direttiva 2005/36/CE17, sulla quale avremo modo di ritornare, la Comunità ha intrapreso il processo di riforma del regime di riconoscimento delle qualifiche professionali, rendendolo più uniforme, trasparente e flessibile.
Sulla via dell'adeguamento alle direttive europee, in Parlamento fin dalla XIV legislatura si sono susseguiti e sovrapposti gli uni agli altri più d'una decina di disegni e proposte di legge, a volte miranti a una riforma globale delle professioni, a volte col solo obiettivo del riconoscimento delle professioni non regolate18. Tra i più autorevoli ricordiamo esclusivamente il Disegno di legge sulle professioni non regolamentate presentato dal CNEL nel 2003, incentrato sui due poli canonici: riordino delle professioni in base al doppio binario del sistema duale e riconoscimento delle associazioni con l'iscrizione in un apposito registro19. Si è giunti così alla XVI legislatura, quando si son ritrovate contemporaneamente all'esame delle Commissioni II giustizia e X attività produttive della Camera dei deputati ben sette proposte20.
La situazione di stallo, determinata soprattutto dai veti delle rappresentanze degli ordini, si è sbloccata soltanto quando alla Camera, constatata la difficoltà di emanare un provvedimento unico sulle professioni, il 9 giugno 2010 si è deciso di scorporare la riforma in due tronconi, affidando alla Commissione giustizia quella degli ordini e alla Commissione attività produttive quella delle associazioni21, che così poteva procedere molto più speditamente e completare, come abbiamo visto, il suo iter prima della chiusura della legislatura.

I bibliotecari nell'universo delle professioni non regolamentate

A partire dalla seconda metà degli anni Ottanta il dibattito interno all'AIB e le iniziative dell'Associazione tese al riconoscimento della professione e alla sua stessa trasformazione in associazione di natura spiccatamente professionale sono maturati sotto l'influsso del contesto che si è cercato di descrivere e dei cambiamenti che man mano avvenivano o sembravano prefigurarsi.
E nemmeno per l'AIB (a onta dei vari segnali che potrebbero far pensare il contrario, come i congressi periodicamente dedicati alla professione) il cammino può dirsi sia stato sempre spedito e privo di tensioni. Anzi, osservata col senno di poi, più d'una delle misure adottate in questo periodo si mostra viziata da eccessiva circospezione o dalla necessità di mediare tra concezioni differenti. Ciò nonostante la strada percorsa è stata tanta22, solo si pensi che, ancora nel 1989, al XXXV Congresso nazionale di Cefalù, Giuseppe Colombo poteva domandarsi in modo non retorico se quella del bibliotecario fosse «un'autentica professione di particolare rilevanza pubblica, tale per cui sia indispensabile il riconoscimento giuridico [...] sopratutto trattandosi di professionisti-impiegati [...] che sono comunque già tutelati dalle leggi e dai contratti di lavoro», mentre l'apposito Gruppo di studio AIB lavorava a una proposta di legge per l'esercizio della professione che richiedeva il conseguimento dell'abilitazione mediante esame di stato e l'istituzione di un albo professionale23.
Volendo sintetizzare all'estremo quanto avvenuto nell'ultimo ventennio, a giudizio di chi scrive, tre sono le milestone che contrassegnano e qualificano l'azione dell'AIB per la tutela e il riconoscimento della professione. Le prime due afferiscono all'organizzazione interna e traggono origine dal Congresso di Genova del 1998, dove forte fu la spinta a caratterizzare maggiormente l'associazione sul fronte della rappresentanza professionale. A Genova l'assemblea dei soci riunita il 29 aprile approvò all'unanimità l'istituzione dell'Albo professionale italiano dei bibliotecari, rimasto in vigore fino al 4 novembre 2010, quando è stato abrogato a seguito dell'approvazione del nuovo Statuto24. Nel settembre successivo il CEN costituì l'Osservatorio lavoro, divenuto operativo nel 1999, che nel 2007 si è trasformato in Osservatorio lavoro e professione, fondendosi con il Gruppo di lavoro sul lavoro discontinuo.
Il terzo momento fondamentale è rappresentato dall'adesione al Colap nel 2001. Quest'adesione, la cui importanza, all'epoca, è probabilmente sfuggita ai più, determinerà, col passar del tempo, una trasformazione sostanziale delle strategie e degli indirizzi dell'AIB in materia di professione, incanalandoli in orizzonti assai più ampi di quelli entro i quali si era mossa fino ad allora, e dando una spallata decisiva alla concezione dell'AIB quale associazione culturale.

L'iscrizione al Colap e la partecipazione ai suoi organismi e alle sue attività conta, tra gli effetti più positivi, quello di aver innestato, almeno negli organi di governo dell'associazione, un processo che, per quanto non sempre lineare e privo di divergenze interne, ha portato alla presa di coscienza, tutta "politica", che i bibliotecari non sono soli nell'universo. Pur non perdendo mai di vista la ricchezza dell'entroterra scientifico, culturale e valoriale da cui proveniamo, non dobbiamo commettere l'errore di isolarci nella classica torre d'avorio. Le nostre vicende vanno inserite e lette in un contesto molto più ampio. Altre decine di professioni (il Colap conta oltre 230 associazioni) vivono le nostre medesime problematiche e, spesso, le medesime frustrazioni; e come la nostra (e talune molto più della nostra) si scontrano con gli ostacoli frapposti dagli apparati delle tradizionali professioni ordinistiche25.
Alleati agli altri abbiamo potuto - e potremo - rappresentare una forza d'opinione, come pure, prosaicamente, un bacino di riferimento nelle interlocuzioni politiche. Da soli, ci ha insegnato l'esperienza di cocenti disillusioni patite in due/tre decenni, non si va da nessuna parte.
Prima di procedere a un'analisi della legge 4/2013, diamo quindi uno sguardo alla composizione del mondo delle professioni intellettuali. Con l'avvertenza, d'obbligo, che l'esplorazione non è semplice perché si tratta di un mondo a tratti semisconosciuto e le indagini presentano dati anche non di poco divergenti.
Il totale degli iscritti a ordini e collegi oscilla, stando alle varie fonti, tra il milione e settecentomila e i 2 milioni di professionisti, tenendo presente che possono essere iscritti agli ordini anche professionisti non attivi nel mercato del lavoro26. Il maggior numero di iscritti si registra per gli ordini attinenti alle professionalità sanitarie che, comprendendovi anche professioni affini come assistenti sociali e psicologi, sfiorano quasi la metà del totale. Altri sei ordini (ingegneri, avvocati, architetti, geometri, giornalisti e commercialisti) presentano una consistenza superiore o vicina ai 100 mila iscritti; i rimanenti hanno dimensioni più contenute.

A fronte di questi è cresciuto in maniera esponenziale, nel corso degli ultimi decenni, un esercito di professionisti - e di professioni - "non regolamentati" di cui non è agevole neppure il censimento.
Data l'ampiezza che andava assumendo il fenomeno, il CNEL nei primi anni del nuovo millennio ha incominciato a monitorarlo con maggiore attenzione, istituendo dapprima la Commissione per le nuove rappresentanze, e successivamente la Consulta e l'Osservatorio sulle nuove professioni. La banca dati sulle associazioni professionali del CNEL, al 31 dicembre 2004, riportava una lista di una novantina scarsa di nuove professionalità, classificate in 7 categorie, che comprendevano tra il milione e cinquecentomila e il milione e settecentomila professionisti circa.
Indagini svolte dal 2005 al 2007 hanno stimato un numero molto superiore di professionisti non regolamentati: stando ai dati formulati dal Censis e dal Colap, staremmo sopra i 3 milioni di soggetti (ripartiti in oltre 90 attività professionali afferenti a 5 categorie), che contribuiscono alla produzione di un 4%-7% del Pil nazionale, fino a toccare il 21% con le imprese collegate. Il dato è abbastanza credibile; anzi, esso si pone non in contraddizione, ma in linea con quello del CNEL se si considera che il CNEL ha indagato coloro che svolgono prevalentemente l'attività professionale mentre Censis e Colap hanno indagato tutto l'universo dei professionisti, di cui circa i due terzi lavorano come dipendenti27.
L'indagine Censis consente di tracciare un primo identikit di questi professionisti: abbastanza giovani, almeno rispetto agli standard attuali (età media intorno ai 42 anni; fascia di età più consistente: 35-40 anni), possiedono un titolo di studio medio-alto (quasi il 52% la laurea), per lo più a indirizzo umanistico (si apprezza circa un 40% di laureati in materie letterarie, linguistiche e pedagogiche); la gran maggioranza, più dell'80%, svolge il proprio lavoro come lavoratore dipendente, di cui i due terzi esclusivamente in questa forma, mentre il restante beneficia anche di contratti di collaborazione o lavori occasionali presso altre società ecc. Un dato suffragato dal fatto che tra la stessa minoranza di liberi professionisti sono in molti a soffrire una condizione di lavoro subordinato mascherato: per esempio ben il 40% delle partite IVA si affida a un committente unico e la percentuale va più che a raddoppiare se si sommano i pluri-committenti a mono-committenza prevalente28.

Anche se il campione degli intervistati è più circoscritto, una recente ricerca svolta dal Colap tra le associazioni a esso aderenti e i professionisti che rappresentano fornisce risultanze più precise e, sotto diversi aspetti, più illuminanti29. In primo luogo, sotto il profilo anagrafico, si evidenzia una cospicua presenza di donne nelle fasce più giovanili: il 68% di esse è nato dopo il 1960 (contro il 46% degli uomini), di cui il 25% dopo il 1970. Ma a colpire favorevolmente è il dato relativo ai titoli di studio, secondo cui il 73% dei professionisti Colap detiene la laurea o anche (per il 23%) un dottorato di ricerca e/o una specializzazione post-laurea. Nel comparto delle discipline culturali, in cui rientrano i bibliotecari, addirittura si raggiunge un incredibile 96%, 23 punti circa sopra la media.
Il lavoro dipendente permane la tipologia di inquadramento maggiormente diffusa, in linea con i risultati delle precedenti indagini. A essere inquadrato con contratto di lavoro dipendente è il 76% degli intervistati e questo costituisce la formula di lavoro esclusiva per un considerevole 56,8%. Nonostante, però, soltanto il 15% degli intervistati svolga il proprio lavoro esclusivamente da libero professionista, è sintomatico come il 58% degli uomini e il 52% delle donne percepisca la propria come una libera professione, evidentemente perché il concetto di professione è legato non tanto alla tipologia del contratto di lavoro, quanto piuttosto al tipo di lavoro che si svolge e al fatto di essere legati spesso (25% circa dei casi) a realtà di piccola o piccolissima dimensione, dove collaborano dalle due alle nove persone. Dall'indagine emerge, in ultimo, un dato inquietante: per quanto tutti i cinque macrosettori in cui il Colap suddivide i professionisti associativi risultino colpiti violentemente dalla ormai quadriennale crisi economica, sono tuttavia le discipline amministrativo-contabili (90%) e le discipline culturali (85%) ad aver subito l'impatto più duro, a onta, come visto, dell'altissima percentuale di laureati30.

I bibliotecari si collocano all'interno di questo universo di professionisti. Su di essi non sussistono molti dati, né molto omogenei e affidabili. A incominciare dal loro numero, che stime diverse indicano nell'ordine delle 15-19 mila unità31. Qui interessa soprattutto mettere a fuoco come, all'interno della platea dei nostri colleghi, tutte le indagini, pur eterogenee e frammentarie, siano concordi nel registrare il progressivo aumento della percentuale di operatori privati, rispetto a coloro che beneficiano dell'impiego fisso nella pubblica amministrazione. Il comparto dove il ricorso all'esternalizzazione sembra più esteso è quello degli enti locali, non solo sotto l'aspetto quantitativo, ma anche in riferimento alla tipologia di attività e servizi esternalizzati. Significativo anche il quadro degli associati AIB, il 25% dei quali, ormai, non è stabilizzato; uno scenario a cui rimanda anche il trend, costantemente in crescita, delle posizioni lavorative instabili nell'ambito degli organi dell'associazione, in primo luogo dei CER, dove, in qualche caso, come nell'attuale CER Campania, nessuno dei membri appartiene alla categoria degli impiegati con contratto a tempo indeterminato.
Ma il risvolto peggiore è che, come risposta alla crisi, le pubbliche amministrazioni negli ultimi tempi hanno moltiplicato oltre le dimensioni fisiologiche, e anche in dubbia osservanza delle leggi, due insidiosi espedienti: il ricorso massiccio al volontariato e l'affidamento in outsourcing dei servizi secondo il criterio del prezzo più basso32.
È sperabile che la legge 4/2013 e la conseguente definizione dei contenuti della professione e dei profili professionali, riescano ad arginare, in tutto o in parte, tali fenomeni degenerativi che rischiano di inquinare il lavoro in biblioteca, penalizzando in definitiva la qualità di quei servizi che a parole si dichiara di voler implementare.

Legge n. 4/2013: un difficile equilibrio tra pressioni di lobby e visioni contrastanti

La legge 4/2013, come era naturale che accadesse, è stata in questi mesi tra gli argomenti centrali di un numero cospicuo di incontri, convegni, corsi; cosicché i suoi contenuti possono dirsi ormai familiari, quanto meno nella loro generalità, al mondo delle biblioteche e dei bibliotecari, primi fra tutti gli associati AIB.
In questa sede è pertanto sufficiente richiamare alcune delle caratteristiche più significative e cercare di enucleare particolari elementi di riflessione o di problematicità. La legge fa riferimento a tre tipologie di soggetti, creando tra loro una fitta trama di interrelazioni: i singoli professionisti non organizzati, il mondo delle associazioni (nelle due varianti delle associazioni professionali e delle forme aggregative, quali il Colap), l'UNI e il mondo della certificazione (Accredia, l'organismo unico nazionale di accreditamento, e gli organismi di certificazione da esso accreditati). Quest'impianto piuttosto articolato (anzi, verrebbe da aggiungere, in qualche passaggio un po' farraginoso) è in buona parte dovuto alla preoccupazione del legislatore di conciliare posizioni tra loro anche alternative.
Innanzitutto occorreva, come si è detto, superare lo scoglio degli ordini e rassicurare le loro rappresentanze (CUP, Comitato unitario permanente degli ordini e dei collegi professionali): una preoccupazione da cui pare scaturire, per esempio, l'articolo 1 comma 3, non presente nella versione licenziata in prima lettura alla Camera e aggiunto tra gli emendamenti al Senato. La prescrizione, formalistica quanto draconiana, contempla per chiunque svolga una delle professioni riconducibili alla legge, l'obbligo di riportare in ogni documento e rapporto scritto con il cliente la precisazione di essere un professionista disciplinato ai sensi della legge 4/2013; l'inadempimento rientra tra le pratiche commerciali scorrette tra professionisti e consumatori, ai sensi del d. leg. 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del consumo)33, e può comportare sanzioni amministrative pecuniarie di importo anche rilevante: da 5 mila a 500 mila euro secondo la gravità e la durata della violazione.

Se gli ordini hanno costituito, storicamente, l'antagonista più ostico sul cammino della legge, nondimeno lo stesso fronte delle professioni non regolamentate si è mostrato, in questi anni, poco compatto. Schematizzando, si può dire che al suo interno si sono contrapposte due filosofie, tradottesi in due approcci normativi che hanno dato luogo a disegni di legge parecchio distanti tra loro.
La prima, patrocinata all'inizio in modo più convinto da Assoprofessioni (ora CNA professioni34) e in seguito anche dall'UNI, appare maggiormente influenzata dalla tradizione italiana di matrice pubblicistica e ordinistica. Essa infatti si fonda sul riconoscimento della professione come centro di gravitazione delle conoscenze e capacità teorico-pratiche e ritiene fondamentale che quest'ambito sia di pertinenza di una normazione di parte terza, allo scopo di salvaguardare la qualità delle prestazioni e favorire la dinamicità del mercato. Secondo l'articolazione definitiva di questa impostazione35, la definizione delle caratteristiche professionali peculiari (competenze ecc.) veniva affidata all'UNI, in quanto ente di normazione nazionale, mentre le associazioni ricoprivano un ruolo piuttosto marginale.
Di vario ordine le ragioni a sostegno di questo approccio. In primo luogo è stata addotta la sua aderenza ad alcune delle direttive e dei regolamenti che delineano il nuovo inquadramento comunitario in materia di libera circolazione di beni e servizi, come la direttiva n. 123/2006 (Servizi), nella quale si pone l'accento sul tema della certificazione di qualità su base volontaria, a opera di organismi indipendenti o accreditati36, o come il regolamento n. 765/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, che tratta la materia della vigilanza del mercato per garantire la protezione dell'interesse pubblico37. Inoltre i soggetti favorevoli a questa soluzione non hanno mancato di sottolineare che, parallelamente all'evoluzione del quadro legislativo europeo, «negli ultimi anni a livello ISO, CEN e UNI sono nate numerose iniziative di qualificazione di attività professionali [... anche] relative a professioni per nuovi bisogni»38; un'attività nella quale hanno iniziato una proficua collaborazione con l'UNI anche Assoprofessioni e la Federazione delle associazioni per la certificazione (FAC39).

Soprattutto si è messo in luce come l'esperienza metodologica acquisita nel nostro paese abbia consentito, a fine 2006, la costituzione in CEN, su impulso e sotto il coordinamento di UNI, di un tavolo di indirizzo sulla qualificazione delle professioni e del personale da cui è scaturita la pubblicazione, nell'aprile 2010, della CEN Guide 14, un documento di basilare importanza, che riguarda sì la conduzione di attività europee di normazione in materia di professioni, ma costituisce al contempo un punto di riferimento anche per l'elaborazione di progetti di norma a livello nazionale40.
In una visione diversa, ispirata a scenari più innovativi, tipici della common law, si sono invece riconosciuti il Colap e le associazioni a esso aderenti. Questi hanno puntato, fin dalle loro prime elaborazioni teoriche e iniziative di lobbying, a un sistema che prevedesse in prima battuta il riconoscimento delle associazioni rappresentative piuttosto che delle professioni sottostanti; l'obiettivo consisteva nel superare il classico modello del riconoscimento preventivo dei singoli profili professionali, retaggio di quella visione ordinistica che ha permeato la storia della nostra società e della nostra legislazione. Nell'epoca, si asseriva, dell'economia della conoscenza, contrassegnata dalla velocità dei processi evolutivi, non è possibile cristallizzare a un momento preciso i requisiti di una data professione, né tanto meno regolamentare in maniera omogenea tutte le professioni. Ogni professione ha un'evoluzione diversa dalle altre, anche coeve; basti riflettere a quanto è accaduto a partire dagli anni Ottanta: alcune professioni restano ancora vitali sul mercato, ma le specifiche attività di cui si compongono sono radicalmente cambiate (quella del bibliotecario è un caso esemplare); alcune si sono diversificate in più professioni specializzate; altre si sono estinte; altre ancora sono sul viale del tramonto in termini di domanda; altre infine sono del tutto nuove e in forte espansione.
L'unico modo per governare un sistema così composito è il riconoscimento delle associazioni rappresentative, gli unici soggetti in grado di definire dinamicamente gli ambiti tecnici, scientifici, deontologici delle rispettive professioni, di tracciare le opportune norme di trasparenza per il reclutamento e la valutazione dei percorsi formativi, oltreché di svolgere funzioni di garanzia nei confronti dei clienti/utenti/consumatori. Tale forma di accreditamento, si sosteneva, costituisce il nucleo della regolamentazione professionale nei sistemi del Regno Unito e degli USA, nei modelli a regime misto ordinistico/associativo dell'Europa continentale e in special modo nel modello costruito dalla Comunità europea a partire dalle ricordate direttive 89/48/CEE e 92/51/CEE e giunto a compimento con la direttiva n. 35/2006 (Qualifiche).

Il riconoscimento delle associazioni invece delle professioni sottostanti si porta dietro un corollario determinante, relativo ai meccanismi di selezione dei professionisti. Al posto delle certificazioni a monte, valide una volta per sempre, e di parte terza previste da un sistema ordinistico di tipo autorizzario vanno infatti introdotte le attestazioni di competenza, tipiche di un sistema accreditatorio di parte seconda, rilasciate ai propri iscritti dalle associazioni a seguito di periodiche verifiche (elemento discriminante!) e osservando le regole di trasparenza consone a un regime di concorrenza leale: sono queste a rendere esplicito per l'utente, finale o intermedio, il rapporto tra le diverse componenti professionali (curriculum, competenze, capacità) e il prezzo pagato per la prestazione. Ciò è possibile perché le associazioni, composte come sono da professionisti del settore, detengono la cosiddetta informazione rilevante sulla professione e pertanto possono non solo esprimere con cognizione di causa una valutazione del professionista, ma anche assicurare una maggiore diffusione complessiva delle informazioni per la collettività, che tenda a compensare il divario di asimmetria informativa nel quale si trovano di solito i clienti/utenti, rendendoli mediamente più consapevoli nelle scelte.
Evitare eventuali conflitti di interesse toccherebbe a soggetti di certificazione di parte terza, nella loro veste di enti indipendenti, in grado di certificare la qualità dei singoli processi o prodotti messi in opera dalle associazioni, quali per esempio, i procedimenti di attestazione delle competenze, quelli di sanzione di abusi e irregolarità, o la congruità dell'organizzazione associativa.

Le differenti posizioni, come si è accennato, sono state accolte, variamente graduate, nella miriade di proposte di legge in questi anni accavallatesi in Parlamento, dove le ritroviamo illustrate anche nei documenti presentati nel corso delle audizioni tenute alla Camera a partire dal 200941. Sono state, altresì, portate all'attenzione degli stakeholder e dell'opinione pubblica durante svariate iniziative, anche organizzate con questo scopo specifico, di cui si ricordano il ciclo di tre seminari su "Una riflessione verso una riforma duale delle professioni" organizzati dal Colap nel 200942, e il Convegno del 2010 su "Professioni qualificate e libero mercato", a cura di UNI, Assoprofessioni e Accredia43.
La legge 4/2013 attua una mediazione tra entrambe le posizioni. Essa infatti lega tra loro, in un equilibrio complesso (e in alcuni passaggi forse macchinoso e di non immediata evidenza) i diversi attori (associazioni, forme aggregative di associazioni, UNI, Accredia) che in questi anni si sono impegnati nella costruzione di un percorso normativo per le professioni non regolamentate. In particolare:

Come si vede, per quanto manchi nei loro confronti un riconoscimento formale, la presenza delle realtà associative assume particolare rilievo: grazie all'iscrizione del professionista a una di esse, i clienti/utenti potranno essere rassicurati sull'esistenza di numerosi aspetti di professionalità della prestazione; si potrebbe parlare, insomma, di una sorta di "bollino blu" per i professionisti facenti parte di un'associazione.
All'interno di questo schema, basilare è la convivenza tra i due regimi della certificazione e dell'attestazione. Questi, anzi, in qualche modo si sovrappongono qualora il professionista sia in possesso sia del certificato di conformità che dell'attestato associativo, quasi come se l'uno possa considerarsi di base e l'altro di specializzazione, quantunque qualche parte in causa, in momenti di accesa polemica, abbia derubricato l'attestato associativo al rango di mero attestato di iscrizione44.
In realtà, il dettato sembra prestarsi a potenziali ambiguità; per smussarne alcune si è argomentato che il sistema disegnato dalla legge è aperto a due scenari. «Il primo tende a esaurire con l'attestato rilasciato dall'associazione tutto il procedimento di riconoscibilità della professione. Tale ipotesi può valere per alcune professioni, che lavorano prevalentemente per l'impresa, le cui associazioni sono parte di organismi o network internazionali (per esempio buyer, logistica, manager). [...] Il secondo scenario realizza pienamente il valore sistemico della legge perché si adatta a tutte quelle professioni che nel settore giuridico, tecnico e del benessere svolgono attività specialistiche anche in concorrenza con gli ordini professionali. In questo caso la necessità di una normazione attraverso la procedura dell'UNI [...] costituirebbe il riconoscimento di un processo già in corso da tempo»45. Un'interpretazione che, a nostro avviso, lascia margini a più d'una perplessità.
Né, da un'altra prospettiva, si può escludere l'evenienza di situazioni di conflitto nel caso una o più associazioni spingessero per attivare un processo di approvazione di norma UNI relativa alla professione di afferenza e l'UNI, al contrario, non ritenesse di doverlo fare.
Infine c'è chi si esprime sulla legge 4/2013 in modo essenzialmente negativo perché teme che essa abbia messo in piedi, alla fin fine, un sistema paraordinistico costoso tanto per i professionisti quanto per le associazioni, e tuttavia meno controllato e più autoreferenziale46.

Legge n. 4/2013: lo sportello per il cittadino

Un elemento di grossa novità introdotto dalla legge 4/2013 e del tutto assente nel decreto 206/2007 è l'obbligo, in capo alle associazioni, di attivare, tra le altre forme di garanzia, uno sportello per il cittadino consumatore, al fine di informarlo, assisterlo e tutelarlo contro le pratiche commerciali scorrette47.
La legge, in questa sua prescrizione, ha evidentemente di vista soprattutto i rapporti tra professionisti privati e utenti finali. Come si è già notato, una fascia molto consistente di professionisti, dal 60% all'80% circa, svolge invece la propria attività con contratti da lavoratore dipendente; e questa quota è di certo ancora più alta tra gli operatori dei beni culturali, ivi compresi i bibliotecari.
Poiché ai registri degli associati possono essere iscritti sia professionisti dipendenti sia professionisti in proprio (con o senza partita IVA), le associazioni professionali attestano la professionalità per entrambe le tipologie, sulla base di predeterminati criteri fissati in statuto e attuati con specifici regolamenti.
È fuor di dubbio che per la figura professionale autonoma il ricorso dell'utente dovrà essere rivolto allo sportello dell'associazione che lo ha certificato.
A chi deve invece rivolgersi il consumatore che intende contestare la fruizione di un servizio ritenuto scadente o lacunoso, qualora questo sia stato erogato da un professionista dipendente, pubblico o privato (poniamo: da un bibliotecario dipendente di un Comune o di una cooperativa)?
In questo caso l'azione dell'utente non potrà che rivolgersi, necessariamente, a chi detiene la titolarità del servizio; vale a dire, sempre riferendoci ai bibliotecari, il più delle volte agli enti pubblici che li hanno istituzionalmente in carico.
Va ricordato, al riguardo, che gli enti titolari della gestione del servizio hanno l'obbligo della predisposizione della carta dei servizi, che rappresenta lo strumento di difesa degli utenti e deve indicare in modo preciso le modalità e i tempi di presentazione, nonché di verifica, delle rimostranze dei cittadini che si reputano danneggiati.
Ovvio poi che il titolare della gestione del servizio, nella sua azione di difesa, o di risposta all'utente danneggiato, potrà a sua volta rivolgersi all'associazione professionale a cui il suo dipendente fa riferimento, ma ciò solo nel caso ci sia una normativa che prevede, tra i requisiti di assunzione (pubblica o privata), l'obbligo dell'attestazione professionale.
E sempre che, quando si tratta di affidamento di servizi in outsourcing, il capitolato del bando di gara sia stato compilato in modo corretto, così che si evidenzi una effettiva difformità tra la qualità della prestazione erogata e quella della prestazione pattuita e il disservizio sia addebitabile a una manchevolezza del professionista e non alla necessità di osservare ritmi lavorativi o livelli di produttività assolutamente incongrui (esempio tipico per i bibliotecari: la qualità del reference48).
L'istituzione di uno sportello per i cittadini va a inserirsi, come si nota, in un contesto molto complicato, dove interagiscono un groviglio di soggetti e di norme. Da qui l'opportunità di fruire di servizi più articolati, offerti per esempio dalle forme aggregative. Il Colap, al riguardo, ha già promosso uno sportello di riferimento per il cittadino consumatore che consente di ottenere informazioni sulle associazioni che hanno lo sportello presso lo stesso Coordinamento, sui loro soci, le loro attività e i loro standard, e inoltre di gestire anche i reclami e i contenziosi che dovessero sorgere tra le medesime associazioni e gli utenti-consumatori49. Alla gestione di reclami e contenziosi collaborerà anche Adiconsum, Associazione difesa consumatori e ambiente, con cui il Colap ha sottoscritto, il 5 settembre 2013, un importante protocollo d'intesa, dando vita a un ente bilaterale finalizzato a mettere in campo strumenti a tutela dell'utenza e di qualificazione professionale per i professionisti delle associazioni aderenti al Coordinamento50.

Legge n. 4/2013 e decreto legislativo n. 206/2007

Mentre le proposte di legge in materia di disciplina delle professioni continuavano a finire su binari morti, il Governo emanava il d. leg. n. 206 del 9 novembre 200751.
Si tratta di un decreto di rilevanza strategica, che segna uno spartiacque nella disciplina delle associazioni e delle professioni non riconosciute, poiché non solo ha messo in moto importanti meccanismi di riconoscimento, ma ha anche stabilito dei principi generali dai quali in futuro sarà impossibile derogare.
Il decreto recepisce, come detto, la direttiva 2005/36/CE sulle qualifiche professionali del Parlamento europeo e del Consiglio. In sintesi si può affermare che il decreto 206/2007 ha dato una prima applicazione a un insieme di principi considerati tra i cardini della politica europea, primi fra tutti i principi di libertà di prestazione dei servizi e di libertà di stabilimento, entrambi articolazione del principio più generale della libera circolazione52.
Pertanto il decreto, aprendo il mercato delle professioni alle attività fino ad allora non riconosciute e non regolamentate, non solo consente ai nostri professionisti di non partire svantaggiati nei confronti della concorrenza proveniente dagli altri paesi europei, ma, per quanto attiene al nostro specifico campo d'interesse, in virtù dell'articolo 26, introduce per la prima volta in Italia un soggetto in precedenza del tutto assente in questo tipo di legislazione: le associazioni delle professioni non regolamentate.
Esso infatti - facendo propria un'impostazione basata sul sistema di tipo aperto e non ordinistico - in primo luogo designa anche le associazioni professionali rappresentative tra i soggetti ammessi a partecipare all'elaborazione di proposte in materia di piattaforme comuni; in secondo luogo dispone concretamente quali siano i criteri e le procedure in base a cui determinare il riconoscimento delle associazioni medesime.

Per alcuni anni l'articolo 26, in assenza di una legge organica sulle professioni non regolate, ha rappresentato per queste ultime l'unica possibile, benché parziale, forma di riconoscimento, con la conseguenza di trasformarsi in un terreno di scontro tra interessi contrastanti53. Questa è stata la causa principale dell'inaccettabile lentezza con cui il Ministero della giustizia e il CNEL hanno proceduto all'esame delle domande di riconoscimento presentate dalle associazioni.
Al 5 settembre 2013 erano appena 29 le associazioni per le quali il Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro per le politiche europee e il Ministro competente del settore, ha emanato il decreto che consente l'annotazione nell'elenco tenuto dallo stesso Ministero della giustizia54. Tra esse l'AIB, che ha ottenuto l'iscrizione il 7 gennaio del 2013 ed è a tutt'oggi la sola associazione riconosciuta tra quelle afferenti al comparto dei beni culturali: un traguardo di cui andar fieri.
Con l'emanazione della legge 4/2013, al di là degli aspetti positivi di ciascuno dei due provvedimenti, si sono tuttavia create, a parere di chi scrive, alcune aree di sovrapposizione tra questa e l'articolo 26 del decreto 206/2007, che, se non si interviene tempestivamente, in futuro potrebbero essere fonte di uno dei tipici grovigli legislativi e burocratici "all'italiana".
In primo luogo, sia la legge 4/2013 che l'articolo 26 del decreto 206/2007 prevedono la costituzione di un elenco delle associazioni. Man mano che avranno corso i relativi procedimenti, si formeranno, pertanto, due elenchi distinti, presso due Ministeri diversi, l'uno tenuto, ai sensi del decreto 206/2007, dal Ministero della giustizia, l'altro, ai sensi della legge 4/2013, dal Ministero dello sviluppo economico. Per giunta, i provvedimenti prevedono, da parte delle associazioni, il possesso di un numero di requisiti e il rispetto di prescrizioni solo in parte coincidenti55. Soprattutto siamo dinanzi, ai fini dell'iscrizione negli elenchi, a procedure di accertamento, controllo e validazione svolte sia con modalità che con finalità assolutamente differenti. Nello specifico, mentre, come si è visto, l'iscrizione a norma del decreto 206/2007 origina da una puntuale istruttoria, con valutazione finale, e avviene solo previo formale decreto interministeriale, per quanto attiene alla legge 4/2013, fanno testo unicamente le autodichiarazioni del legale rappresentante dell'associazione, rilasciate in appositi modelli. Anzi, il Ministero tiene a ribadire che «l'elenco ha una finalità esclusivamente informativa e non un valore di graduatoria o di rilascio di giudizi di affidabilità da parte del Ministero dello sviluppo economico»56. Per cui si potrebbero registrare casi scabrosi di associazioni che si trovano iscritte nell'elenco previsto dalla legge 4/2013, ma, di contro, sono state bocciate secondo il decreto 206/2007.

C'è infine un ultimo aspetto su cui occorrerà fare chiarezza: la legge 4/2013 prevede che a definire i caratteri salienti di una professione sia una normativa UNI, mentre il decreto 206/2007 affida l'elaborazione di proposte di piattaforme comuni alle autorità competenti, che allo scopo consultano soggetti rappresentativi delle professioni, come le associazioni. Ma, viene da chiedersi, elaborare una proposta in materia di piattaforma comune, non implica, di fatto, la necessità di definire i requisiti tipici di una professione, al di fuori di una norma UNI (qualora questa non sia ancora redatta, per esempio), se non in alternativa a essa? Quindi anche mediante un processo di analisi e sistematizzazione che esula dai suoi protocolli?
Se tutto ciò è vero, i rischi di "invasioni di campo" tra i due provvedimenti, la legge 4/20013 e l'articolo 26 del decreto 206/2007, risultano molto alti. Per evitarli, al momento il Governo potrebbe ricorrere alla soluzione, che forse è malizioso congetturare, di vanificare gli effetti dell'articolo 26 del decreto 206/2007, rallentando la firma dei decreti da parte del Ministro della giustizia e soprattutto non dando a essa alcun seguito pratico.

Quale ruolo per l'AIB dopo la legge n. 4/2013?

Senz'altro notevole, e anche foriero di risultati positivi, l'impegno che l'AIB sta profondendo nelle interlocuzioni politiche e istituzionali a vari livelli, col duplice fine di arrivare, sul piano istituzionale, alla definizione della professione e al riconoscimento della figura del bibliotecario, ma anche di veicolare una sua precisa immagine presso l'opinione pubblica e gli stessi professionisti.
A questo riguardo ricordiamo il LVIII Congresso nazionale57, dedicato al tema del lavoro in biblioteca; ma soprattutto va sottolineata la partecipazione dell'associazione all'elaborazione del profilo professionale del bibliotecario da parte della Commissione documentazione, informazione automatica e multimediale dell'UNI (progetto U30000730)58.
A prescindere da ciò, l'entrata in vigore della legge 4/2013 impone tuttavia un ulteriore salto di qualità: la necessità, per l'associazione, di mutar pelle, di accelerare con più determinazione quel processo di trasformazione in associazione professionale che ha già parzialmente attuato durante questi anni, ma in modo forse troppo lento rispetto a quanto il momento storico esigeva, e, a volte, anche con un eccesso non si sa se di timidezza o di calcolato attendismo.
È pur vero che fino al fatidico gennaio 2013 un atteggiamento di questo genere poteva essere giustificato, per un verso, dal fatto che il riconoscimento a norma del decreto 206/2007 tardava a venire, impantanato com'era tra le pastoie del CNEL e del Ministero della giustizia, e per l'altro la legge sul riconoscimento delle professioni non regolamentate, all'apparenza sempre imminente, di fatto continuava a restare in alto mare. Ma vi sono circostanze in cui occorre il coraggio di buttare il cuore oltre l'ostacolo e anticipare il cambiamento, interpretando i segni dei tempi. La crisi ha prodotto una cesura generazionale tra la figura, le aspettative, gli interessi dei bibliotecari di oggi e quelli dei bibliotecari di ieri; cosa ci chiedono oggi, cosa ci stanno già chiedendo da qualche tempo, magari confusamente, i "nuovi" bibliotecari, quei giovani che si affacciano alla professione e che da qui a qualche anno costituiranno - ci si augura - il nerbo, lo zoccolo duro dei nostri associati? A sintetizzarlo in due parole: tutela professionale e aggiornamento; aggiornamento non però generico, fine a sé stesso, ma aggiornamento spendibile sul mercato, funzionale a intercettare la domanda proveniente da enti e cooperative, un aggiornamento che è esso stesso parte integrante dell'azione di tutela.

Provo a lanciare un'ipotesi di lavoro che so essere una provocazione. L'AIB deve completare la sua metamorfosi in associazione professionale; accantonando non solo la fisionomia di associazione culturale (che si (pre)occupa di organizzare eventi, per esempio), ma anche quella di associazione tecnico-scientifica (organismo "di studio" come l'ICCU o la Nazionale di Firenze, per esempio), tranne laddove queste connotazioni servano a supportare le sue finalità di rappresentanza professionale.
A tale scopo non basta, probabilmente, la pur benemerita attività, ora in corso, di riordinamento di tutti i regolamenti e direttive, ridotti a un regolamento generale unico che ottempera a tutte le clausole richieste dalla legge 4/2013, ma occorre incidere in profondità, mettendo in agenda innanzitutto una riforma radicale dello statuto. Gli interventi di revisione susseguitisi fino a oggi hanno operato, per così dire, per addizione, aggiungendo nuove sfere di competenze e assunzioni di responsabilità a quelle preesistenti, per rinnovare l'associazione senza che smarrisse l'identità passata. Col risultato di creare, nel tempo, una pletora poco gestibile di organismi interni e di stressare l'intera struttura operativa, non sempre capace di seguire adeguatamente tutte le linee di attività. La legge 4/2013 potrebbe invece rappresentare il punto d'aggancio per sfrondare i rami di attività e le strutture poco aderenti alla mission dell'associazione e potenziare, viceversa, tutti i modelli e le forme di organizzazione e gestione che permettano di perseguirla efficacemente.
Sottopongo alla discussione un abbozzo di proposta. Immagino, sostanzialmente, una configurazione piramidale dell'associazione, con la tutela e la valorizzazione della professione che ne costituiscono la mission e a cui dedicano prioritariamente il loro impegno sia il CEN che i CER (questi ultimi con ruoli e poteri debitamente modificati). L'organo tecnico di supporto potrebbe essere un Osservatorio lavoro e professione in gran parte ripensato (in termini di compiti e funzioni) e potenziato (nell'articolazione strutturale) rispetto all'attuale, che assorbisse anche le mansioni di organi quali l'Osservatorio legislativo.

A sostenere questa azione tre grandi aree di attività.
La prima è quella dell'advocacy: difendere, diffondere, promuovere il valore delle biblioteche significa difendere, diffondere e promuovere le competenze e la professionalità dei bibliotecari, allargando il potenziale bacino di occupazione.
La seconda area è quella dei servizi agli associati, all'interno della quale mettere a punto un ricco pacchetto di servizi e di sussidi, riservati esclusivamente agli associati o di sicuro vantaggio economico per essi. In quest'ambito potrebbe rientrare anche il segmento della produzione editoriale. Un posto di assoluto rilievo spetterebbe, è ovvio, alla formazione. Questa, gestita in maniera integrata tra modalità FaD (a oggi ancora molto debole) e in presenza, dovrebbe far capo a una struttura scientifica e tecnica in grado di determinare la qualità dei contenuti e della loro erogazione, l'uniformità sull'intero territorio nazionale e la conformità alle prescrizioni della legge 4/2013.
La terza area è relativa alla comunicazione, da progettare e realizzare in maniera coerente in tutte le sue modalità e strumenti, dall'ufficio stampa alle comunicazioni a norma della legge 4/2013, dalla presenza sui social network al sito web. In merito a quest'ultimo, in una civiltà dell'immagine qual è la nostra, forse il confronto tra il sito AIB e quelli di altre associazioni, come l'Associazione nazionale consulenti tributari (Ancot), esemplifica plasticamente, più di tante parole, la fatica che ancora fa l'AIB a trasmettere un messaggio univoco e immediatamente percepibile circa la sua natura e i suoi obiettivi59.
Infine, un capitolo a sé meriterebbero le disposizioni per gli aderenti in qualità di "amici", tutt'altro che secondarie. Si pensi per esempio a come delle forme di selezione più incisive, anche nei loro confronti, potrebbero influire su uno dei temi oggi più scottanti, quello delle esternalizzazioni dei servizi. È un terreno sul quale l'AIB si sta molto attivando; ed è indubbio che tutte le prese di posizione (interventi diretti verso singoli soggetti, campagne di sensibilizzazione, produzione di linee guida ecc.), se suffragate dal riconoscimento dell'associazione, potranno godere di un'autorevolezza significativamente maggiore. Ma l'AIB può assolvere un ruolo importante anche a monte, laddove adottasse strumenti per accettare come amici solo biblioteche, enti, istituti, cooperative e società di servizi che si attengono a pratiche corrette in materia di affidamenti in outsourcing o di trattamento di lavoro. Si tratterebbe, come si vede, di un "attestato di buone pratiche" rilasciato indirettamente anche a coloro che non possono far parte dei professionisti associati, ma rientrano tra gli attori che maggiormente condizionano la qualità della professione.
Da anni ogni ragionamento di questo tipo si accompagna alla classica domanda da un milione di dollari: se l'AIB opererà scelte così intransigenti perderà o guadagnerà soci?
A parere di chi scrive, se saprà attrezzarsi per il cambiamento, l'AIB diventerà più forte, perché stiamo entrando in una fase in cui l'offerta di concretezza e professionalità risulterà l'arma vincente. Ma se anche ciò dovesse segnarne l'estinzione, meglio "esplodere" rapidamente perseguendo una linea politica chiara e decisa piuttosto che, come dimostra la costante erosione del numero di associati, essere condannata dall'evoluzione dei tempi a una agonia più o meno lunga, accompagnata magari da ricorrenti polemiche in uno spazio improprio come AIB-Cur.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Dove non diversamente specificato, l'ultima consultazione dei siti web risale al 20 agosto 2013.

[1] La legge, pubblicata sulla «Gazzetta ufficiale» n. 22 del 26 gennaio ed entrata in vigore il 10 febbraio, ha visto la luce dopo una vera e propria corsa contro il tempo. Approvato alla Camera il 17 aprile 2012, il disegno di legge atto Senato n. 3270 veniva licenziato con emendamenti dal Senato il 15 novembre 2012, ritornando alla Camera, dove era approvato definitivamente il 19 dicembre 2012 dalla X Commissione attività produttive in sede legislativa. Una sintesi delle complesse vicende che hanno contrassegnato l'attività legislativa sulle professioni in Raffaele De Magistris, AIB e riconoscimento professionale nella curva a gomito del gennaio 2013, «AIB notizie» 25 (2013), n. 2, p. 4-6.

[2] Non è superfluo forse ricordare che nel nostro ordinamento vengono individuate diverse modalità di lavoro che consentono di svolgere un'attività professionale. Una ripartizione tipica è la seguente: professioni regolate, per le quali «è prescritta l'appartenenza obbligatoria alle organizzazioni professionali, che esercitano sia un vaglio sull'ingresso nella categoria, sia un controllo successivo circa la permanenza dei requisiti deontologici»; professioni riconosciute, per le quali, «oltre alle norme di diritto comune, vigono alcune norme speciali, in parte inerenti all'attività, in sé e per sé considerata, in parte inerenti ai soggetti che la espletano, vuoi perché differenziati, vuoi perché sottoposti anche ad altri regimi giuridici o ad apposite deroghe»; professioni non regolate in modo specifico, nella società odierna in continua espansione, per le quali «valgono le norme dettate dal codice civile» (XVI legislatura, Servizio studi del Senato, Ufficio ricerche nel settore delle attività produttive e in quello dell'agricoltura, Disegno di legge a. S. n. 3270 Disposizioni in materia di professioni non organizzate in ordini o collegi, a cura di Giampiero Buonomo, [Dossier] n. 361, maggio 2012, p. 20-21, http://leg16.senato.it/application/xmanager/projects/leg16/attachments/dossier/file_internets/000/006/119/Dossier_361.pdf).

[3] Si veda Dall'Italia all'Europa, dall'Europa all'Italia: giovani professionisti in movimento, a cura di Antonio Forte e Laura Giacomello; in collaborazione con il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, [Roma: CNEL, Forum nazionale dei giovani, 2012], p. 44, http://www.forumnazionalegiovani.it/media/13724/ricerca_forum_cnel_31_05_web.pdf.

[4] Claudia Golino, Gli ordini e i collegi professionali: tensioni tra disciplina corporativa e disciplina concorrenziale, [2011], p. 14, http://www.side-isle.it/ocs/viewpaper.php?id=257&cf=2. Si veda anche Claudia Golino, Gli ordini e i collegi professionali del mercato: riflessione sul modello dell'ente pubblico professionale, Padova: CEDAM, 2011.

[5] Ivi, p. 15.

[6] Dall'Italia all'Europa, dall'Europa all'Italia cit. p. 42-43.

[7] Si veda la relazione presentata, in data 6 febbraio 2002, da Giuseppe Lupoi, coordinatore nazionale del CoLAP, in occasione dell'audizione alla Commissione attività produttive della Camera dei deputati per la proposta di legge Istituzione del certificato professionale controllato e delega al Governo per la disciplina delle professioni non regolamentate, primo firmatario on. Ruzzante (a. C. 1048), http://www.colap.it/files/AudizioneCamera_060202.htm

[8] Dall'Italia all'Europa, dall'Europa all'Italia cit., p. 42.

[9] Sugli aspetti che seguono si veda in particolare Coordinamento libere associazioni professionali, Il ruolo delle associazioni professionali e i confini tra ordini e associazioni: ciclo di seminari Una riflessione verso una riforma duale delle professioni: III seminario, Roma, 27 novembre 2009, [Roma: Colap], 2010. Molto utile per un inquadramento generale Angelo Deiana - Stefano Paneforte, Il futuro delle associazioni professionali: orizzonti strategici, strumenti, best pratices, prefazione di Pierluigi Mantini, presentazione di Giuseppe Lupoi, introduzione di Stefano Cordero di Montezemolo, Milano: Gruppo 24 ore, 2010.

[10] Angelo Deiana, Relazione di base, in Coordinamento libere associazioni professionali, Il ruolo delle associazioni professionali e i confini tra ordini e associazioni cit., p. 8. Sulla incapacità di attuare una reale riforma si veda anche Luigi Tivelli, Ordini professionali: la liberalizzazione può attendere, «Il mulino», 56 (2007), n. 3, p. 431-441.

[11] Va ricordato, tra i più recenti interventi, Autorità garante della concorrenza e del mercato, Il settore degli ordini professionali (IC 34), [Cava de' Tirreni]: Ediguida, 2009.

[12] Autorità garante della concorrenza e del mercato, Provvedimento n. 5400 (IC 15): settore degli ordini e collegi professionali, [chiusura indagine conoscitiva 9 ottobre 1997], specialmente i punti 35-37, http://riformalavoro.diritto.it/rubriche/rel_antitrust.html. Sulla Relazione si vedano le considerazioni di Eliana Romano - Elisabetta Gadda, Regolazione e giustizia nelle attività professionali, «Impresa e Stato: rivista della Camera di commercio di Milano» n. 46 (luglio/agosto 1998), http://impresa-stato.mi.camcom.it/im_46/romano.htm

[13] Il monito non ha mancato di suscitare le reazioni risentite del Comitato unitario professioni (CUP), la cui presidente, Marina Calderone, ha rilasciato commenti molto polemici, specie quando dall'Europa si chiede di più all'Italia in tema di liberalizzazione dei servizi e si afferma che è necessario «difendere i principi della riforma da eventuali battute d'arresto, risultanti in particolare dalla riforma delle professioni legali». Si vedano, tra le altre, le dichiarazioni riportate in LabItalia sul portale del Gruppo Adnkronos: Cup, su liberalizzazioni già intervenuta riforma professioni, http://www.adnkronos.com/IGN/Lavoro/Professioni/Cup-su-liberalizzazioni-gia-intervenuta-riforma-professioni_32241884353.html

[14] Direttiva 89/48/CEE del Consiglio del 21 dicembre 1988 relativa a un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni.

[15] Direttiva 92/51/CEE del Consiglio del 18 giugno 1992 relativa a un secondo sistema generale di riconoscimento della formazione professionale, che integra la direttiva 89/48/CEE. Di questa si veda in particolare l'articolo 1, lettera f, comma 2 per il riconoscimento delle attestazioni e dei conferimenti di titoli rilasciati dalle associazioni professionali.

[16] Per un puntuale resoconto degli avvenimenti di quegli anni: Piera Colarusso, Professione bibliotecario: un percorso in salita, «AIB Notizie» 15 (2003), n. 1, p. 11-12, http://www.aib.it/aib/editoria/n15/03-01colarusso.htm

[17] Direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 settembre 2005, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali.

[18] Come primi della serie si possono annoverare la citata proposta di legge n. 1048 Istituzione del certificato professionale controllato e delega al Governo per la disciplina delle professioni non regolamentate, primo firmatario on. Ruzzante, presentata il 26 giugno 2001 alla Camera dei deputati, e il disegno di legge n. 691 Disciplina delle professioni intellettuali, primo firmatario on. Nania, presentato il 27 settembre 2001 al Senato.

[19] Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, Disegno di legge sulle professioni non regolamentate: assemblea 15 gennaio 2003, http://www.cnel.it/53?shadow_documenti=10954.

[20] Per un quadro delle tante proposte e disegni di legge presentati in questi anni si vedano Piera Colarusso, Professione bibliotecario cit.; la tabella Quali sono le proposte di legge in discussione sulle professioni non regolamentate? all'indirizzo http://www.asscouns.it/StatoArteRiconoscimento.htm; Coordinamento libere associazioni professionali, Indagine conoscitiva promossa dalle Commissione II giustizia e Commissione X attività produttive della Camera dei deputati in relazione all'esame delle proposte di legge sulla riforma delle professioni intellettuali: documento consegnato a conclusione dei lavori dell'indagine conoscitiva, [Roma: Colap], aprile 2010, p. 19-22.

[21] Commissioni riunite II (giustizia) X (attività produttive, commercio e turismo), Riforma delle professioni... «Bollettino delle giunte e delle commissioni parlamentari», seduta 23 giugno 2010 Camera dei Deputati (XVI legislatura), http://documenti.camera.it/leg16/resoconti/commissioni/bollettini/pdf/2010/06/23/leg.16.bol0343.data20100623.com0210.pdf.

[22] Nel mare magnum di letteratura sul tema, ci si limita a segnalare tre stringati contributi che, nel loro insieme, forniscono un quadro sintetico, ma chiarificatore, delle vicende principali di questi anni: Piera Colarusso, Professione bibliotecario cit., Vittorio Ponzani, L'albo professionale dei bibliotecari: una riflessione in AIB-CUR, «AIB notizie», 15 (2003), n. 9/10, p. 6, http://www.aib.it/aib/editoria/n15/03-09ponzani.htm, Claudio Gamba, Dall'albo dei bibliotecari al riconoscimento professionale, «AIB notizie», 16 (2004), n. 4, p. 1-3, http://www.aib.it/aib/editoria/n16/0404gamba.htm.

[23] Giuseppe Colombo, Uno statuto per la professione, in Cultura organizzativa e pianificazione: ruolo e prospettive per le biblioteche nel mercato dell'informazione: atti del XXXV Congresso nazionale dell'Associazione italiana biblioteche, Cefalù, 30 settembre - 4 ottobre 1989, Palermo: Regione siciliana, 1990, p. 221-230, in particolare p. 222 e 228-229.

[24] Col passar del tempo l'Albo ha perso molta della sua carica innovativa, senza dar luogo a effettivi benefici per gli iscritti, probabilmente non soltanto per colpa dell'AIB, né dei bibliotecari. Facendo un raffronto con la legislazione in materia di riconoscimento professionale, pare di poter dire che la pecca maggiore dell'intero impianto consistesse nell'opzionalità dell'iscrizione all'Albo, che permetteva anche ai non iscritti a esso di beneficiare dello status di associato, lasciando ambiguo il discrimine tra professionista e non professionista: una impostazione che forse denota quanto fosse difficile staccarsi da una visione "culturale" dell'associazione.

[25] In merito sia consentito rinviare a Raffaele De Magistris, I due corni (uguali) della fiamma antica, «AIB Notizie», 22 (2010), n. 2, p. 8-9, http://www.aib.it/aib/editoria/n22/0206.htm3.

[26] Sugli aspetti e le cifre che seguono: Consulta del lavoro professionale della CGIL, Professioni: un universo complesso, Milano: Ediesse, 2010, p. 20-25, http://www.ediesseonline.it/files/sfogliabili/professioni%20sindacarto_selezione.pdf, altra versione ugualmente attendibile del documento sul sito della CGIL: http://www.cgil.it/Archivio/politiche-economiche/Documento_dipartimento_su_professioni_definitivo.pdf); Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, V Rapporto di monitoraggio sulle professioni non regolamentate, Roma, aprile 2005, http://www.cnel.it/53?shadow_documenti=10562; Coordinamento libere associazioni professionali, Indagine conoscitiva promossa dalle Commissione II giustizia e Commissione X attività produttive della Camera dei deputati in relazione all'esame delle proposte di legge sulla riforma delle professioni intellettuali cit., in particolare p.3-4; XVI legislatura, Servizio studi del Senato, Ufficio ricerche nel settore delle attività produttive e in quello dell'agricoltura, Disegno di legge a. S. n. 3270 cit., p. 20; Coordinamento libere associazioni professionali, Il ruolo delle associazioni professionali e i confini tra ordini e associazioni cit., in particolare p. 58-60.

[27] Consulta del lavoro professionale della CGIL, Professioni cit., p. 25-28.

[28] Consulta del lavoro professionale della CGIL, Professioni cit., p. 28 e seguenti.

[29] Coordinamento libere associazioni professionali, Indagine sulle professioni associative: wave 2012, coordinamento e analisi qualitativa Emiliana Alessandrucci, [Roma: Colap, 2013].

[30] Ivi, p. 34-38.

[31] Sia consentito rinviare a Raffaele De Magistris, I bibliotecari e il lavoro: tra crisi e nuove prospettive. Introduzione ai lavori della sessione, relazione introduttiva alla I sessione, svoltasi il 22 novembre 2012 e dedicata a "Il lavoro nei beni culturali" (introduzione e coordinamento: Raffaele De Magistris, AIB Osservatorio lavoro e professione, Diego Robotti, ANAI Soprintendenza archivistica per il Piemonte e la Valle D'Aosta, Adele Maresca Compagna, ICOM Italia, Mibac Ufficio studi), nell'ambito degli "Stati generali dei professionisti del patrimonio culturale. Archivi, biblioteche e musei: agenda per un futuro sostenibile" (Milano, 22-23 novembre 2012). Gli atti sono in corso di pubblicazione. Nella stessa sessione Gigliola Marsala, presidente di Aspidi, Associazione per la promozione delle imprese di documentazione e informazione, ha tenuto una interessante e documentata relazione su Il lavoro nei beni culturali: l'esternalizzazione dei servizi di biblioteca.

[32] In merito a questa analisi cfr. Raffaele De Magistris, I bibliotecari e il lavoro cit. Nel momento in cui stendiamo queste note si è in attesa che siano elaborati e resi pubblici i risultati dell'indagine effettuata dall'Osservatorio lavoro e professione dell'AIB. Il questionario è stato distribuito, con metodo random, a un universo di più di 8.000 bibliotecari, http://www.aib.it/struttura/osservatorio-lavoro-e-professione/2013/32802-questionario-sul-lavoro/. L'analisi dei risultati scaturiti dalle oltre 3.000 risposte sarà presentata nel corso del LVIII Congresso nazionale dell'AIB "Quale lavoro in biblioteca" (Roma, 28-29 novembre 2013).

[33] In particolare si veda il titolo III, capo II, sez. I, Pratiche commerciali ingannevoli (art. 20-23) e sez. II, Pratiche commerciali aggressive (art. 24-26), http://www.agcm.it/normativa/consumatore/4524-decreto-legislativo-6-settembre-2005-n-206-codice-del-consumo.html

[34] Si consulti il sito di Confederazione nazionale dell'artigianato e della piccola e media impresa, http://www.cna.it/PROFESSIONI.

[35] Va notato che in un primo momento, invece, la regolazione della materia era affidata ad atti di natura amministrativa (per esempio mediante decreti emanati dal Ministro della giustizia: si veda, per esempio, il disegno di legge a. C. n. 1934, primo firmatario on. Froner (20 novembre 2008).

[36] Direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006 relativa ai servizi nel mercato interno. Di particolare interesse il considerando 102 e l'art. 26, nel quale, in specie, si invitano gli Stati membri ad adottare «[...] misure di accompagnamento volte a incoraggiare i prestatori a garantire, su base volontaria, la qualità dei servizi, in particolare: a) facendo certificare o valutare le loro attività da organismi indipendenti o accreditati [...].

[37] Regolamento (CE), n. 765/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 luglio 2008 che pone norme in materia di accreditamento e vigilanza del mercato per quanto riguarda la commercializzazione dei prodotti e che abroga il regolamento (CEE) n. 339/93.

[38] Ruggero Lensi, Il riconoscimento delle professioni tramite l'autoregolamentazione "a norma", «Osservatorio Accredia», 1 (2013), p. 26-39; la citazione è a p. 29. Al momento della stesura di questo contributo sono sette le norme UNI, UNI-CEI e UNI-EN sulle professioni non regolamentate già esistenti, si veda all'indirizzo http://www.uni.com/images/stories/uni/aree_tematiche/09_servizi_trasporti_turismo/pdf/altro/norme_professioni_elenco_rev2.pdf, e dieci le norme UNI in lavorazione, il procedimento di alcune delle quali, come quelle del bibliotecario e dell'archivista, è iniziato però solo dopo l'emanazione della l. n. 4/2013; si veda all'indirizzo http://www.uni.com/images/stories/uni/aree_tematiche/09_servizi_trasporti_turismo/pdf/altro/progetti_professioni_elenco_rev1.pdf

[39] La FAC è nata nel 1997 ed è accreditata, come organismo di certificazione per i professionisti da Accredia, http://www.federazionefac.it/.

[40] Guida CEN 14: linee guida di indirizzo per le attività di normazione sulla qualificazione delle professioni e del personale, edizione italiana a cura di UNI, Ente nazionale italiano di unificazione, [Milano: UNI], aprile 2011. La Guida CEN 14 è richiamata espressamente come base per la «normativa tecnica UNI» nell'art. 6 della l. n. 4/2013.

[41] Si veda per tutte l'audizione di rappresentanti del Coordinamento libere associazioni professionali e di Assoprofessioni tenuta il 1 dicembre 2009 da parte delle Commissioni riunite II e X della Camera dei deputati, http://www.camera.it/leg17/browse/461?stenog=/_dati/leg16/lavori/stencomm/0210/indag/professioni/2009/1201&pagina=s010; Coordinamento libere associazioni professionali, Indagine conoscitiva promossa dalle Commissione II giustizia e Commissione X attività produttive della Camera dei deputati in relazione all'esame delle proposte di legge sulla riforma delle professioni intellettuali cit., in particolare p. 24-32.

[42] Coordinamento libere associazioni professionali, Perché riconoscere le Associazioni professionali e non le professioni: ciclo di seminari Una riflessione verso una riforma duale delle professioni: I seminario, Roma, 26 marzo 2009, [Roma: Colap, 2009]; Coordinamento libere associazioni professionali, Attestazione di parte seconda o certificazione di parte terza? Il valore dell'attestato di competenza: ciclo di seminari Una riflessione verso una riforma duale delle professioni: II seminario, Milano, 22 maggio 2009, [Roma: CoLAP, 2009]; Coordinamento libere associazioni professionali,Il ruolo delle associazioni professionali e i confini tra ordini e associazioni cit.

[43] Professioni qualificate e libero mercato, [a cura di] UNI, [con la collaborazione di] Accredia e Assoprofessioni, Milano: Uni, 2010, http://www.uni.com/images/stories/uni/menu/partecipazione/pdf/atticonvegnoAssoprofessioni_DEF.pdf, (atti del Convegno "Professioni qualificate e libero mercato", Roma, 21 giugno 2010).

[44] Si consulti sul sito Professionisti.it: Riforma per i senza albo: Berloffa (CNA-Professioni) e Falcone (LAPET) analizzano i prossimi step, [intervista] di Lucia Basile, 7 gennaio 2012, http://www.professionisti.it/frontend/articolo_news/17126/riforma-per-i-senza-albo.

[45] Giorgio Berloffa - Stefano Mannacio, Normazione e qualità: una legge aperta al mercato delle professioni, «Osservatorio Accredia», 1 (2013), p. 40-49; la citazione è a p. 43.

[46] Rosario Trefiletti, Professioni non ordinistiche: regolazione e concorrenza. No a "paraordini", «Osservatorio Accredia», 1 (2013), p. 50-51.

[47] L. n. 4/2013, art. 2, comma 4: «Le associazioni promuovono forme di garanzia a tutela dell'utente, tra cui l'attivazione di uno sportello di riferimento per il cittadino consumatore, presso il quale i committenti delle prestazioni professionali possano rivolgersi in caso di contenzioso con i singoli professionisti, ai sensi dell'art. 27-ter del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, nonché ottenere informazioni relative all'attività professionale in generale e agli standard qualitativi da esse richiesti agli iscritti».

[48] Si ringrazia Fausto Rosa per i chiarimenti e le puntualizzazioni durante le discussioni su questi temi nell'ambito dell'Osservatorio lavoro e professione dell'AIB.

[49] Si veda http://www.colap.eu/index.php/sportello.

[50] Si legga il comunicato stampa Colap - Adiconsum del 5 settembre 2013, dal titolo Tutela dei consumatori: nasce il protocollo d'intesa tra Colap e Adiconsum: «Tra i punti fondanti dell'intesa quello di migliorare l'informazione, la consapevolezza e la qualità dei servizi offerti agli utenti dai professionisti associativi attraverso specifici strumenti previsti dalla legge 4/2013, tra i quali: la formulazione di codici di condotta, per rafforzare l'aspetto deontologico del professionista iscritto; la costituzione di comitati di indirizzo e sorveglianza, per verificare i criteri di valutazione e rilascio dei sistemi di attestazione professionale messi in atto dalle associazioni; e l'attivazione di uno sportello di riferimento per il cittadino consumatore, con il compito di dare informazioni sulle attività professionali degli associati e sui loro standard qualitativi, e gestire eventuali segnalazioni di reclami e contenziosi».

[51] Decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206 Attuazione della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, nonché della direttiva 2006/100/CE che adegua determinate direttive sulla libera circolazione delle persone a seguito dell'adesione di Bulgaria e Romania.

[52] Per una breve quanto chiara esposizione di alcuni punti salienti del decreto 206/2007 si veda Dall'Italia all'Europa, dall'Europa all'Italia cit., in particolare p. 9-13.

[53] A questo proposito basti ricordare le vicende del decreto di attuazione Requisiti per la individuazione e l'annotazione degli enti di cui all'articolo 26 del decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206, emanato il 28 aprile 2008 dal Ministro della giustizia di concerto con il Ministro per le politiche europee e con il Ministro per i beni culturali, che, tra l'altro, precisava dettagliatamente anche le modalità dell'istruttoria, e avverso il quale sono stati presentati ben tre ricorsi. Il 26 marzo 2009 il TAR Lazio, dopo aver respinto due ricorsi di ordini e del CUP, accogliendo il ricorso proposto dalle professioni sanitarie, con sentenza n. 3160 ha annullato il decreto, riconfermando, però, la validità dell'art. 26 del d. leg. n. 206/2007 perché quelle regole sono state ritenute autosufficienti e nella norma non si fa riferimento alla necessità di decreti regolamentari.

[54] L'elenco è consultabile all'indirizzo http://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_24.wp (ultima consultazione 4 dicembre 2013).

[55] Ved. al riguardo in part. d. leg. n. 206/2007, art. 26, comma 3 e comma 4, e l. n. 4/2013, art. 2, 4, 5, 6 e 7.

[56] Si veda, sul sito web del Ministero, la pagina Professioni non organizzate: pubblicata la legge di disciplina, http://www.sviluppoeconomico.gov.it/index.php?option=com_content&view=article&viewType=1&idarea1=593&idarea2=0&idarea3=0&idarea4=0&andor=AND§ionid=0&andorcat=AND&partebassaType=0&idareaCalendario1=0&MvediT=1&showMenu=1&showCat=1&showArchiveNewsBotton=0&idmenu=2263&id=2026497. Inoltre, nelle Istruzioni modulistica: elenco associazioni professionali, si precisa: «Le associazioni dovranno compilare obbligatoriamente solo la prima sezione dell'allegato 2, mentre la seconda sezione andrà compilata soltanto dalle associazioni che intendano autorizzare i propri iscritti a utilizzare il riferimento all'iscrizione all'associazione come marchio/attestato di qualità dei propri servizi. [...] Il Ministero verificherà la correttezza formale della dichiarazione presentata, con particolare riferimento all'effettiva disponibilità sul sito web dell'associazione degli elementi informativi previsti dalla legge e alla coerenza con quanto dichiarato al Ministero», http://www.sviluppoeconomico.gov.it/images/stories/impresa/mercato/Istruzioni_ModelencoAss.pdf

[57] LVIII Congresso nazionale dell'Associazione italiana biblioteche, "Quale lavoro in biblioteca? Riconoscimento professionale e valorizzazione della professione bibliotecaria", Roma, 28-29 novembre 2013. Da segnalare soprattutto la prima sessione "Il riconoscimento della professione in Europa e in Italia..." (28 novembre).

[58] Si veda Nuova norma tecnica nazionale UNI. Titolo: "Qualificazione delle professioni per il trattamento di dati e documenti - Figura professionale del bibliotecario - Definizione dei requisiti di conoscenza, abilità e competenza". http://www.uni.com/index.php?option=com_uniot&view=inchpre&id=853557&Itemid=897. Codice del progetto: U30000730 (per la figura dell'archivista il codice del progetto è U30000740). La norma, redatta sulla scorta della Guida CEN 14 cit., definisce i requisiti per lo svolgimento dell'attività professionale del bibliotecario in termini di conoscenze, abilità e competenze tecnico-culturali, assicurando la coerenza con gli 8 livelli dell'European Qualifications Framework. Si consulti Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008 sulla costituzione del quadro europeo delle qualifiche per l'apprendimento permanente. Testo rilevante ai fini del SEE (2008/C111/01); gli 8 livelli sono descritti nell'allegato II.

[59] Si consulti il sito http://www.ancot.it/.