di Sara Chiessi
La discussione su biblioteche e welfare è iniziata qualche tempo fa1 più o meno in contemporanea al manifestarsi di una crisi profonda delle biblioteche2 non solo in Italia, ma in tutto il mondo. Tuttavia mentre altrove si discute più pragmaticamente di valore sociale delle biblioteche, la focalizzazione del dibattito sul rapporto tra le biblioteche e il welfare è soprattutto italiano, e si traduce grosso modo nell'affermazione che le biblioteche pubbliche - come sono oggi, e ancor più come potrebbero essere in futuro - possono essere considerate parte del welfare.
Per chiarire meglio i termini della questione può essere utile passare velocemente in rassegna le caratteristiche più salienti dei due elementi in gioco: il welfare e, naturalmente, le biblioteche pubbliche.
Innanzitutto il welfare (o welfare state) è un fenomeno storicamente e geograficamente determinato che nasce nell'Europa occidentale, e specificamente in Gran Bretagna e Germania, a partire dalla metà dell'Ottocento come conseguenza di due precisi eventi storici: la Rivoluzione industriale e la formazione degli stati nazionali. Ovviamente anche prima esisteva il problema della povertà, quello della malattia etc., ma fino ad allora questi problemi non erano mai stati presi in carico dallo Stato in modo sistematico e universale3. Verso la fine dell'Ottocento la crescita demografica, l'industrializzazione e l'urbanizzazione cambiarono radicalmente l'assetto di molti paesi europei (e degli Stati Uniti); insieme alle opportunità aumentarono anche i rischi, ed emerse la cosiddetta "questione sociale" in proporzioni tali che gli stati decisero di occuparsene direttamente. Ciò vuol dire, in altre parole, che il welfare state è una conseguenza indiretta della crescita economica4, così come la sua messa in discussione oggi è una conseguenza della grave crisi che ha investito le economie occidentali.
Naturalmente il discorso non è così semplice, ed esistono molteplici modelli di welfare con caratteristiche anche molto diverse tra loro. Nella maggior parte dei casi lo Stato non è l'unico dispensatore di welfare: accanto ad esso esiste una rete più o meno complessa di cui fanno parte le famiglie, le associazioni di volontariato, le comunità e lo stesso mercato (per esempio attraverso forme di welfare aziendale): infatti al termine welfare state si preferisce spesso quello di "regimi di welfare".
«Avere o non avere accesso a un reddito minimo e a quali condizioni, le modalità di accesso all'assistenza sanitaria, alla pensione di vecchiaia, l'organizzazione del sistema scolastico obbligatorio e non, i livelli di copertura e i costi, oltre che la qualità, dei servizi per l'infanzia»5: sono questi i pilastri del welfare. Reddito minimo o sostegno alla disoccupazione, assistenza sanitaria, pensioni, istruzione, servizi per l'infanzia: queste le condizioni essenziali per garantire a tutti una vita accettabile e un certo grado di sicurezza. Tuttavia negli ultimi decenni si è andato sempre più accentuando un problema che oggi è sotto gli occhi di tutti: i soldi per garantire questi aiuti essenziali non ci sono più, e - nei fatti - il welfare come lo abbiamo conosciuto finora oggi non è più sostenibile.
Non bisogna dimenticare che il welfare è nato in un momento in cui la fede nelle "magnifiche sorti e progressive" spingeva a credere che la povertà (perché il problema in fondo è quello) alla lunga si potesse sconfiggere. Oggi invece la povertà, la disoccupazione, la paura e l'insicurezza premono su tutti i fronti. E il welfare sta scricchiolando pericolosamente sotto i colpi della crisi.
La public library come la intendiamo oggi è nata nel mondo anglosassone. In Gran Bretagna e negli Stati Uniti le prime biblioteche pubbliche sorsero nelle grandi metropoli industrializzate intorno alla seconda metà dell'Ottocento come risposta a necessità molto simili a quelle che negli stessi anni diedero origine alle prime forme di welfare state. Nell'iperclassista società inglese, infatti, la massa di persone accorsa nelle città industriali per lavorare aveva bisogno non solo di un tetto, di cure mediche e del denaro sufficiente per sopravvivere, ma anche di una certa dose di intrattenimento e della possibilità di farsi un'istruzione non necessariamente "formale". Così, nel 1850, il Public Libraries Act segna ufficialmente l'atto di nascita delle biblioteche pubbliche in Gran Bretagna.
Tuttavia, nei 30 anni successivi vennero fondate solo un'ottantina di biblioteche pubbliche6. La spinta decisiva al loro sviluppo fu data da una serie di notevoli iniziative filantropiche delle quali la più nota è senza dubbio quella di Andrew Carnegie, magnate dell'acciaio e self-made man emigrato in America dalla Scozia nel 1848: la prima Carnegie Library venne costruita proprio in Scozia nel 1883, e ad essa ne seguirono più di 600 in tutto il Regno Unito.
Negli Stati Uniti l'evoluzione delle biblioteche pubbliche fu più graduale, tuttavia anche lì l'iniziativa di Carnegie fu decisiva. Delle circa 2500 biblioteche Carnegie costruite tra il 1883 e il 1929 quasi 1700 si trovavano negli Stati Uniti, e nel 1919 quasi la metà delle biblioteche presenti nel paese era stata costruita grazie alle sue donazioni.
Carnegie era convinto che le biblioteche dovessero essere non solo un posto per i libri e i giornali, ma un luogo per tutta la comunità. Per cui i suoi edifici potevano contenere, oltre alla biblioteca, aule scolastiche, una stazione della Croce Rossa, una piscina, una palestra, attrezzature sportive e sale a disposizione delle associazioni pubbliche.
Uno dei motivi del successo duraturo delle sue biblioteche è che, in modo alquanto lungimirante, Carnegie era convinto che la carità e le donazioni non potessero garantire la sopravvivenza delle biblioteche nel tempo: nel momento in cui le donazioni fossero cessate e l'interesse scemato, la biblioteca sarebbe andata in malora a discapito della comunità, rendendo per giunta inutile il suo dono. Quindi le sue condizioni erano semplici: lui avrebbe provveduto a costruire l'edificio completo di libri e arredi, a patto che le autorità locali fornissero il terreno ed emanassero un'ordinanza che prevedesse un budget annuale (equivalente al 10% della somma da lui investita per la costruzione della biblioteca) per l'acquisto di nuovi libri e per il funzionamento della biblioteca7. Dunque, se all'origine delle biblioteche pubbliche anglosassoni c'è un'esigenza molto simile a quella che ha dato origine al welfare state, il grande impulso al loro sviluppo tuttavia è venuto non tanto dallo Stato, quanto dall'incredibile e lungimirante azione filantropica di un singolo imprenditore fermamente convinto, per la sua storia personale, della necessità di dare a tutti la possibilità di guadagnarsi una vita migliore.
In Italia, come sappiamo, la storia è stata un po' diversa. La maggior parte delle biblioteche sono nate nel 1866 in seguito alla devoluzione delle raccolte librarie delle biblioteche ecclesiastiche alle biblioteche pubbliche delle rispettive province8. Gran parte delle biblioteche nate in questo modo consisteva in un patrimonio storico spesso conservato in edifici inagibili al pubblico: l'identificazione del servizio bibliotecario con il semplice possesso di beni librari (e non con la realizzazione di un servizio informativo e culturale) è abbastanza indicativa dell'indifferenza a livello istituzionale nei confronti dell'offerta di un reale servizio bibliotecario: si può immaginare un modo migliore per spegnere sul nascere la realizzazione di un servizio di biblioteca pubblica?
La successiva occasione per creare una rete di biblioteche pubbliche sarebbe arrivata nel secondo dopoguerra, ma ancora una volta lo Stato non mostrò particolare interesse verso le biblioteche.
Il modello della public library nordica approda finalmente in Italia, anche a livello legislativo, negli anni '60, con il trasferimento graduale delle competenze alle regioni. Tuttavia - un po' perché forse era troppo tardi, un po' a causa della complessa situazione politica e sociale del Paese - la biblioteca comunale in Italia non riesce ad abbracciare appieno il modello "sociale" delle sue cugine anglosassoni, perdendo ancora una volta un'occasione importante.
Negli anni '90 e nei primi anni 2000, con le solite differenze tra nord e sud, tra regione e regione, le biblioteche pubbliche italiane conoscono una fase di espansione, e alcune sembrano perfino in grado di competere - tranne che per percentuale di iscritti e per qualche altro "dettaglio" - con le loro cugine d'oltralpe e d'oltreoceano.
Poi è arrivata la crisi, e i finanziamenti destinati alle biblioteche e alla spesa pubblica in generale sono drasticamente diminuiti. Negli ultimi 7-8 anni le biblioteche - anche le biblioteche modello, quelle ricche, quelle che funzionavano - hanno visto ridurre il loro budget del 300% o del 400%, e a volte anche di più, trovandosi, come è facile immaginare, in seria difficoltà nel continuare a svolgere le loro attività. Biblioteche appena inaugurate si sono ritrovate senza i fondi adeguati per la loro gestione (quanto la sapeva lunga Carnegie!), biblioteche già rodate hanno dovuto ridurre gli orari di apertura al pubblico (o che probabilmente dovranno farlo in un futuro molto prossimo), i budget per gli acquisti si sono ridotti all'osso, e via dicendo. Per una volta, tuttavia, il problema non è solo italiano9 ma del mondo occidentale nel suo complesso: le biblioteche stanno chiudendo (o stanno subendo pesantissimi tagli) anche in Gran Bretagna e Stati Uniti10. La crisi dei finanziamenti alle biblioteche pubbliche quindi ha la stessa causa della crisi del welfare: la crisi economica e quella dei bilanci statali.
In realtà le biblioteche già da qualche tempo soffrono di una crisi d'identità dovuta agli incredibili passi in avanti che la tecnologia ha fatto negli ultimi quindici/vent'anni, con una brusca accelerazione negli ultimissimi anni. L'avvento di Internet, la sua evoluzione in web 2.0, la diffusione di e-book, e-reader, tablet e smartphone sembrano aver tolto alla biblioteca alcune delle sue funzioni tradizionali, in particolare quella informativa. Oggi moltissima informazione passa direttamente dal web ignorando i tradizionali percorsi editoriali. La si può trovare su Wikipedia, su un quotidiano online, su un blog, sul sito di un'associazione professionale, su Facebook, in una mailing list, in un repository istituzionale etc. E se posso trovare quello di cui ho bisogno in qualunque momento e in qualunque luogo, collegandomi a Internet con il mio smartphone, dov'è finita la funzione informativa della biblioteca? Non certo nel fatto che l'informazione che posso trovare in biblioteca è più precisa (il che tra parentesi non è affatto detto): quasi tutti ormai prediligiamo un'informazione approssimativa ma immediata a un'informazione magari più completa ma "differita".
È facile immaginare come dubbi di questo genere abbiano contribuito a legittimare i tagli nei finanziamenti delle biblioteche di tutto il mondo. In tempi di risorse ridotte come quelli presenti è normale fare una lista delle priorità per investire al meglio il poco che c'è, sia che si tratti di fare la spesa, di amministrare una scuola o di gestire un Comune. Ed è proprio alla ricerca di una rinnovata legittimazione che - inizialmente in area anglosassone e nell'Europa del Nord, quindi anche in altri paesi - si sono sviluppati una serie di studi e modelli di analisi finalizzati a dimostrare il valore (economico, sociale, culturale etc.) delle biblioteche11.
Domandarsi quanto valiamo non è poi così diverso dal domandarsi che cosa siamo. Così, le riflessioni sul valore della biblioteca hanno cominciato a intrecciarsi strettamente con le riflessioni sulla sua identità, sulla sua mission, e anche - soprattutto - sul suo futuro. Non è una questione da poco, anzi: sembra proprio la questione per eccellenza.
Le nuove linee guida IFLA per le biblioteche pubbliche, nelle 20 pagine dedicate alla mission della biblioteca, provano a fornire una risposta alla domanda "che cosa sono le biblioteche?", e basta passare in rassegna i titoli dei paragrafi per capire di che cosa stiamo parlando. Istruzione, informazione, sviluppo individuale, bambini e giovani, sviluppo culturale, ruolo sociale, agenzia per il cambiamento, libertà di informazione, accesso universale, bisogni locali, cultura locale, biblioteche senza muri, valore12. Tuttavia nei quasi quattro anni passati dalla pubblicazione delle linee guida - quattro anni di velocissime trasformazioni non solo in ambito tecnologico13 ma anche sociale ed economico - è ancora cambiato qualcosa. La crisi d'identità si è approfondita - complice un'ulteriore riduzione dei budget che ha messo in discussione la funzionalità quando non l'esistenza stessa di molte biblioteche - e soprattutto le biblioteche hanno cominciato a riflettere seriamente sul loro futuro.
Questa tensione verso il futuro, questo sguardo in avanti è evidente in molti esempi che ci passano sotto gli occhi quasi quotidianamente (nella lista AIB-CUR, sui blog professionali, nelle pagine Facebook istituzionali dell'AIB o delle principali biblioteche italiane e straniere, etc.): dalla biblioteca senza libri della contea di Bexar in Texas14, alla nuova tendenza dei fablab e makerspace in biblioteca15, a un Walmart abbandonato che è stato trasformato in una biblioteca di 11.000 metri quadrati16.
Vorrei qui descrivere tre esperienze che raccontano tre modi differenti di affrontare le difficoltà del presente proiettandosi verso il futuro. Il primo è l'IFLA Trend Report17, che è il tentativo da parte dell'IFLA di riflettere in modo organico sulle rapidissime trasformazioni in atto nella società dell'informazione (e infatti il sottotitolo recita più o meno "sulla cresta dell'onda o in balia della corrente"). Dal momento che è impossibile tenere il passo di ogni singola novità e tendenza, l'IFLA ha incaricato una commissione di professionisti dell'informazione e della comunicazione - non di bibliotecari - di individuare cinque macrotrend che stanno cambiando (e continueranno a cambiare) profondamente la società dell'informazione. I cinque trend così individuati sono: accesso all'informazione, formazione online, privacy e protezione dei dati, società iperconnesse, nuove tecnologie. L'aspetto interessante di questa esperienza è il fatto che si sia sentita la necessità, in questo momento, non tanto di elaborare documenti, standard o linee guida (la stessa pagina del Trend Report è stata pensata per essere una risorsa in continuo aggiornamento, aperta al contributo di tutti gli utenti registrati), ma di riflettere più in generale su quanto sta accadendo nel mondo.
Il secondo esempio è la donazione da un milione di dollari che quest'estate la Bill & Melinda Gates Foundation ha assegnato alla Chicago Public library18. La Bill & Melinda Gates Foundation (sarà un caso ritrovare, più di un secolo dopo Carnegie, un altro ricco e controverso finanziatore privato?) con il progetto Global Libraries porta avanti da più di 15 anni una politica di sostegno alle biblioteche «per far sì che tutti - specialmente quelli che vivono in comunità svantaggiate - abbiano accesso all'informazione attraverso la tecnologia messa loro a disposizione nelle biblioteche»19. Il progetto insiste in particolar modo sul concetto di pari opportunità: nell'era digitale tutti dovrebbero avere le stesse opportunità di accedere alle informazioni online, e le biblioteche sembrano essere i luoghi ideali in cui questo può avvenire20. La donazione ricevuta dalla Chicago Public library Foundation servirà per sviluppare - insieme alle biblioteche pubbliche della città di Aarhus, in Danimarca21 - un nuovo modello di innovazione, sperimentazione e decision-making all'interno delle biblioteche, al fine di ripensare i tradizionali servizi bibliotecari e capire quale può essere il loro ruolo in un mondo in rapida evoluzione. Ancora una volta, viene sottolineata l'importanza di guardare al futuro.
L'ultimo esempio è un piccolo libro uscito lo scorso maggio, Libraries 2020, in cui a una ventina di professionisti operanti a vario titolo nel mondo delle biblioteche statunitensi è stato chiesto di completare a loro piacimento l'affermazione "nel 2020 la biblioteca sarà..."22. Il futuro che viene preso in considerazione, quindi, non è quello che arriverà tra 50 o 100 anni, ma tra sette anni: un lasso di tempo sufficientemente breve da non sfociare nella fantascienza (non ci saranno scenari alla Blade Runner né colonie su Marte), ma sufficientemente ampio da immaginare che le cose saranno diverse da come sono oggi. I contributi sono i più diversi, e toccano una vasta gamma di argomenti all'ordine del giorno nel mondo bibliotecario internazionale (open access, linked data, digitalizzazione etc.). In questa sede ci interessano le risposte di chi riflette sulla biblioteca pubblica, come per esempio l'"Annoyed Librarian"23, nota biblio-blogger (di cui nessun conosce la vera identità) che nel capitolo d'apertura del libro esordisce così: «la biblioteca del futuro sarà uguale a quella di oggi, tranne che per i libri, i CD e i DVD»24. In questa biblioteca, lo spazio lasciato libero da libri potrà essere riempito dai computer, non necessariamente di ultimissima generazione, perché «chi ha un computer, un notebook, un tablet o uno smartphone (o magari tutti e quattro) non sa quanto possa essere dura la vita per chi ha bisogno di un computer per qualcosa di essenziale come la ricerca di un lavoro, e deve aspettare in fila che i ragazzini davanti a lei/lui abbiano finito di giocare su MySpace»25. Le biblioteche nel 2020 diventeranno più simili a community centers, e potrebbero anche ospitare banche del cibo e uffici postali, ma soprattutto si occuperanno di "prodotti culturali": senza più libri, CD e DVD da dare in prestito si concentreranno sulla produzione locale, il che può voler dire mettere a disposizione dei makerspace per i cittadini, ma anche la possibilità per scrittori sconosciuti e artisti locali di tenere seminari o allestire una mostra con le loro opere. Arte, artigianato, computer, formazione: secondo l'autrice nel 2020 le biblioteche invece di competere con le librerie cominceranno a competere con le scuole, e per la prima volta nella loro storia saranno impegnate nell'educazione attiva, piuttosto che passiva, degli individui.
«I bambini continueranno ad avere un posto sicuro in cui incontrarsi dopo la scuola, i senzatetto continueranno a trovare un posto caldo dove ripararsi e poter usare il bagno, la gente continuerà a venire per usare i computer e tenersi informata. Le sale per le conferenze saranno affollate, tutte le classi occupate. Sarà ancora un posto per socializzare e discutere. La biblioteca non sarà affatto un brutto posto, continuerà ad essere importante per la comunità. Solo, in senso stretto, forse non sarà più una biblioteca»26.
Nel secondo capitolo, Christine Fontichiaro27 fa un'altra interessante affermazione: «quando gli ebook saranno più economici di un biglietto dell'autobus o della benzina necessaria per raggiungere la biblioteca, o quando ci metteremo di meno a cercare un'informazione online piuttosto che a chiedere al bibliotecario»28 allora l'identificazione tra la biblioteca e il suo patrimonio diventerà pericolosa. Per arrivare in buona salute al 2020 le biblioteche dovranno spostare il loro focus dalle collezioni agli utenti.
Le parole chiave della maggior parte dei contributi sono "tecnologia" e "persone", e una delle strategie indicate più spesso è quella di uscire dalle proprie mura e lavorare insieme alle altre organizzazioni del territorio per offrire i servizi di cui le persone hanno bisogno.
Nel suo intervento al convegno delle Stelline dello scorso marzo, Massimo Coen Cagli afferma che per individuare la vocazione sociale delle biblioteche basta osservare le cose che vi accadono. Anche perché oggi esiste una serie di bisogni la cui soddisfazione «non è più garantita da altre istituzioni sociali; [...] circoli culturali e associativi, sedi di partito, case del popolo, ma anche cinema, teatri, e perfino oratori spesso stanno chiudendo e perdono il loro naturale appeal»29.
È davvero così? Che cosa succede oggi nelle biblioteche? Cominciamo a vedere cosa succede in Italia, sperando che l'elenco non sia né troppo lungo né troppo banale.
Ci sono i gruppi di lettura, innanzitutto, che non sono solo iniziative "culturali". Sono legati ai libri e alla lettura, ma in non poche biblioteche hanno assunto connotazioni più marcatamente sociali, che si possono riassumere nel piacere di incontrarsi con altre persone per discutere insieme di un libro. Qualche tempo fa nella biblioteca in cui lavoro30 si è deciso di integrare il gruppo di lettura storico, che si incontra la sera, con un nuovo gruppo del mattino, perché c'era la percezione che ci fosse un consistente gruppo di persone che veniva tagliato fuori dall'orario serale - in particolare anziani e donne che non uscivano la sera. Durante il primo incontro del gruppo questa sensazione è stata confermata non solo dalle caratteristiche dei partecipanti - soprattutto donne, soprattutto anziane, con una buona percentuale di neo-pensionate e neo-pensionati - ma anche da quanto loro stessi hanno voluto fin da subito condividere con tutti gli altri: la maggior parte non usciva la sera, chi tra loro era appena andato in pensione l'aveva vista come un'occasione per non isolarsi troppo, e più di una persona ha dichiarato che si sentiva sola o isolata, e che aveva deciso di partecipare al gruppo spinta dal desiderio di conoscere altre persone.
Ci sono le letture per i bambini piccolissimi, da 0 a 36 mesi. Chi le ha sperimentate, sa che non si tratta solo di "letture". La lettura e i libri sono uno degli aspetti, ma non l'unico, e forse neppure quello più importante. Un altro aspetto è l'esigenza - avvertita con maggiore o minore intensità da chi ha bambini molto piccoli - di non isolarsi troppo. Quindi i pomeriggi in biblioteca diventano per molte mamme (papà, nonni etc.) l'occasione per uscire di casa e andare in un posto piacevole, dove far entrare in contatto i piccolissimi e dove condividere un'esperienza con altre mamme (papà, nonni etc.). E dove - infine - essere sollevate/i anche solo per mezz'ora della cura totale ed esclusiva del proprio bambino.
Ci sono i corsi di formazione per gli utenti, naturalmente: i primi a farne un elemento caratterizzante del loro servizio sono stati forse gli Idea Store31 di Londra, ma le biblioteche e i sistemi bibliotecari italiani hanno presto seguito l'esempio32. E ancora: le biblioteche negli ospedali33 - intese come biblioteche per i pazienti - e le biblioteche carcerarie, a cui la sezione Lombardia dell'AIB ha appena dedicato una pubblicazione34: di queste due tipologie di biblioteca non c'è bisogno di spiegare la vocazione sociale. Ma l'elenco potrebbe continuare con i servizi di prestito a domicilio per gli utenti che non possono raggiungere fisicamente la biblioteca, con l'iniziativa "Nella mia biblioteca nessuno è straniero" di qualche anno fa, con il progetto di una biblioteca per ragazzi a Lampedusa35, rivolta non solo ai suoi piccoli abitanti ma anche alle centinaia di bambini che ogni anno sbarcano sull'isola, con l'offerta (a volte nostro malgrado) di un riparo ai senzatetto, di una connessione Internet gratuita a chi non ha un computer e via dicendo.
In Finlandia - da sempre all'avanguardia nel campo delle biblioteche pubbliche - a Helsinki si sono spinti oltre, creando una biblioteca che non possiede neanche un libro ma che offre a chi ne ha bisogno postazioni da ufficio temporanee che si possono prenotare per un certo numero di ore alla settimana, postazioni informatiche dedicate esclusivamente alla ricerca di lavoro, una serie di attrezzature che consentono - anche con l'aiuto dello staff - di riversare su digitale i vecchi materiali analogici (filmati, musica, fotografie etc.), momenti in cui gli utenti si aiutano a vicenda a risolvere i rispettivi problemi informatici, una stampante 3D, un laboratorio che aiuta gli aspiranti imprenditori a promuovere i loro prototipi, e molto altro36; oppure una biblioteca in cui si possono prendere in prestito videocamere e strumenti musicali, prenotare una sala prove o una sala di registrazione per qualche ora, e proporre qualsiasi tipo di performance nello spazio dedicato (senza nessun filtro da parte dei bibliotecari se non quello per impedire l'accavallarsi di più eventi nello stesso momento)37.
"Vocazione sociale" però vuole dire anche coinvolgere la comunità e il territorio nell'attività della biblioteca. Pensiamo alle tante associazioni di amici della biblioteca, ai lettori volontari di Nati per leggere, alle associazioni del territorio che lavorano in sinergia con le biblioteche. Ma pensiamo anche a forme più attive di coinvolgimento della comunità, come quella del Multiplo di Cavriago, che prevede un'organizzazione articolata del volontariato cittadino a seconda del tempo, della disponibilità e delle competenze di ciascuno38. "Vocazione sociale" vuol dire anche abbandonare il banco reference o la scrivania e uscire dalle mura della biblioteca, e qui abbiamo gli esempi della "biblioteca fuori di sé" in tutte le sue molte declinazioni.
Sono tutti esempi che descrivono quello che c'è già in biblioteca, e chiariscono (se ce ne fosse bisogno) che la biblioteca pubblica ha nel suo DNA - nella sua mission, nella sua vocazione universalistica ed egualitaria, nel suo essere un'istituzione profondamente democratica - un'attenzione specifica alle persone e ai loro bisogni.
Ma possiamo - in tutta onestà - definire tutto questo "welfare"?
Ritorniamo quindi alla questione da cui più eravamo partiti: si può considerare la biblioteca pubblica come parte del welfare? In base alle esperienze appena descritte, sembrerebbe di sì.
A volte un riposizionamento teorico è necessario prima di poter passare alla fase pratica, ed è indubbio che una trasformazione della biblioteca come quella che è stata prospettata sopra necessita di un orizzonte di pensiero solido e condiviso.
Inoltre, pensarsi parte del welfare potrebbe essere per le biblioteche e per chi ci lavora un passo in avanti per smettere di considerarsi "altre" rispetto all'organizzazione amministrativa pubblica di cui fanno parte. Perché - come dice bene Stefano Olivo - una delle caratteristiche della biblioteca di ente locale è stata per troppo tempo una sorta di «aspirazione se non all'isolamento, quanto meno alla separatezza rispetto all'organizzazione burocratico-amministrativa di cui fa parte»39, ed è arrivato il momento di rovesciare il noto adagio secondo cui "all'amministrazione non importa niente della biblioteca" chiedendoci invece in tutta onestà quanto alla biblioteca importi della propria amministrazione. In un incontro tenutosi lo scorso aprile alla Biblioteca San Giorgio di Pistoia40 si è parlato molto dell'autoreferenzialità della biblioteca e della sua incapacità - fino ad oggi - di collocarsi davvero all'interno degli orientamenti dell'ente di appartenenza, e a questo proposito il presidente dell'AIB Stefano Parise ha posto una domanda rivelatrice: quanti bibliotecari (non solo direttori e responsabili di biblioteche) leggono davvero le linee di mandato del sindaco, o i documenti programmatici dell'ente di cui fanno parte?
Parlare di welfare, in poche parole, ha un senso perché introduce un orizzonte possibile, che può convincerci o non convincerci, e che siamo liberi di adottare o di rifiutare. E in un momento come questo, in cui gli orizzonti sembrano chiudersi pericolosamente senza lasciare in apparenza nessuna via d'uscita, offrire un orizzonte non è cosa da poco.
D'altra parte, però, l'idea che la biblioteca faccia parte del welfare è discutibile. Perché anche se sarebbe bello il contrario, il welfare non si fa dal basso, ma è composto di interventi statali di sostegno al lavoro, alla disoccupazione, agli anziani e ai deboli in generale. È fatto di un sistema sanitario nazionale che garantisce a tutti la possibilità di ricevere cure adeguate, e di un sistema pensionistico equo e sostenibile. Il welfare, come osservava con lucidità e senza sconti Virginia Gentilini quasi un anno fa41, è fatto di cose molto concrete, e non possiamo pensare seriamente che un gruppo di lettura, un corso di informatica o una visita del bibliobus possano sostituirlo.
Non dobbiamo poi sottovalutare il rischio - sempre in agguato - che nella peggiore delle ipotesi "welfare" diventi solo un nome nuovo dietro a cui nascondersi, una comoda etichetta per giustificare la propria esistenza ("siamo importanti perché siamo istituzioni del welfare: non potete farci chiudere") a cui non corrisponde nessun cambiamento reale.
Infine, è legittimo chiedersi se quella del welfare sia davvero una buona idea, visto che in questo momento il welfare non gode di ottima salute né in Italia né altrove, e pensare di uscire da un sistema in crisi per collocarsi in un sistema ancora più in crisi ha tutta l'aria di essere una missione suicida. Il welfare, paradossalmente, è in crisi perché le economie nazionali sono in crisi, e una delle priorità condivise da molti governi è quella di tagliare la spesa pubblica. E senza spesa pubblica non può esserci welfare. Quindi perché è proprio lì che vogliamo andare? È un po' come volersi riparare sotto un ombrello che non è abbastanza grande per coprire anche noi.
In ogni caso, qualunque sia il punto di vista rispetto al welfare, il problema dei tagli ai finanziamenti pubblici rimane, e se le biblioteche vogliono sopravvivere è vitale che trovino anche altre forme di sostegno economico. Quali possano essere queste forme di sostegno è ancora tutto da capire, ed una delle sfide più importanti che dovranno affrontare nei prossimi anni. Su questo campo, la partita è ancora tutta da giocare.
Non sono una visionaria; per questo non ho idea di come sarà la biblioteca nel 2020. Credo però di sapere com'è la biblioteca che vorrei adesso, domani, e il giorno dopo ancora. È la biblioteca che è emersa in queste pagine, e che per alcune cose e in alcuni luoghi è già reale. Ed è quella che si intravede nelle "visioni" di chi prova a immaginare la biblioteca del futuro.
Dieci anni fa una grande bibliotecaria statunitense, descrivendo la differenza che secondo lei passava tra l'advocacy classica e il tentativo di avere davvero un valore per le persone, esortava i bibliotecari a uscire e ascoltare le loro comunità, per individuarne i bisogni e capire se, e come - nei limiti della biblioteca - era possibile soddisfarli:
«A quanto ne so, nessuna biblioteca ha mai chiesto a un suo utente di prevedere quali saranno le questioni salienti e le problematicità che dovrà affrontare di qui a cinque anni. Stiamo parlando di ascoltare le nostre comunità, non di parlare: tra le due cose c'è una grossa differenza, la stessa che passa tra l'essere sostenitore e il partecipare attivamente. Sostenere la biblioteca significa uscire e dire "biblioteca, biblioteca, biblioteca". Essere parte attiva vuol dire uscire, ascoltare, e poi dire "sviluppo economico, sicurezza per l'infanzia, alfabetizzazione. Ecco come possiamo essere d'aiuto"»42.
Come bibliotecaria mi piacerebbe capire quali sono i bisogni "là fuori" e cercare un modo per soddisfarne almeno qualcuno.
Personalmente, non credo che questo sia welfare, ma penso che sia importante che le biblioteche si interroghino su questo tema. Perché spesso quello che conta è la domanda, non la risposta.
[1] Giovanni Di Domenico, Conoscenza, cittadinanza, sviluppo: appunti sulla biblioteca pubblica come servizio sociale, «AIB Studi», 53 (2013) n. 1, p. 13-25; Anna Galluzzi, Biblioteche pubbliche tra crisi del welfare e beni comuni della conoscenza. Rischi e opportunità, «Bibliotime», 14 (2011), n. 3, http://www.aib.it/aib/sezioni/emr/bibtime/num-xiv-3/galluzzi.htm; Virginia Gentilini, Welfare, 15 gennaio 2013, e Sul welfare in biblioteca (di nuovo), 27 giugno 2013, in «bibliotecari non bibliofili!», http://nonbibliofili.wordpress.com/; Chiara Faggiolani - Giovanni Solimine, Biblioteche moltiplicatrici di Welfare, «Biblioteche oggi», 31 (2013), n. 3, p. 15-19; Massimo Coen Cagli, Ritorno al futuro. Le biblioteche, bene pubblico della comunità, «Biblioteche oggi», 31 (2013), n. 3, p. 20-28.
[2] Susan Imholz - Jennifer Weil Arns, Worth their weight. An assessment of the evolving field of library valuation, New York: Americans for Libraries Council, 2007, http://www.ila.org/advocacy/pdf/WorthTheirWeight.pdf; State Library of Victoria, Libraries building communities. The vital contribution of Victoria's public libraries, Melbourne: State Library of Victoria, 2008, http://www2.slv.vic.gov.au/about/information/publications/policies_reports/plu_lbc.html; The Urban Libraries Council, Making cities stronger. Public libraries contributions to local economic development, Chicago: Urban Libraries Council, 2007, http://www.urban.org/uploadedpdf/1001075_stronger_cities.pdf
[3] Chiara Saraceno, Il welfare, Bologna: Il Mulino, 2013, p. 13.
[4] Ivi, p. 20.
[5] Ivi, p. 35.
[6] Anna Maria Atripaldi, Biblioteche nel Regno Unito, Roma: Gangemi, 2000.
[7] Vedi le voci di Wikipedia: Public Library http://en.wikipedia.org/wiki/Public_libraries, Carnegie library http://en.wikipedia.org/wiki/Carnegie_library e Andrew Carnegie http://en.wikipedia.org/wiki/Andrew_Carnegie
[8] Paolo Traniello, Storia delle biblioteche in Italia. Dall'Unità ad oggi, Bologna: Il Mulino, 2002.
[9] Anna Galluzzi, Biblioteche pubbliche cit.
[10] Vedi, tra gli altri, http://lj.libraryjournal.com/blogs/annoyedlibrarian/2013/09/03/libraries-declining-in-the-sunshine-state/; http://www.theguardian.com/books/2012/dec/10/uk-lost-200-libraries-2012; http://www.nypl.org/node/86302. Ma la lista è lunga e la ricerca facile.
[11] Per una bibliografia più completa vedi: Lucia Antonelli (a cura di), Biblioteche. Valore e valori, Roma: Associazione italiana biblioteche, 2013; Sara Chiessi, What are libraries worth? A way to assess the impact of Italian public libraries on users' lives and society, http://www.ifla.org/files/assets/library-theory-and-research/Projects/researcher-librarian-report-chiessi.pdf; Giovanni Di Domenico (a cura di), L'impatto delle biblioteche pubbliche. Obiettivi, modelli e risultati di un progetto valutativo, Roma: Associazione italiana biblioteche, 2012; Roberto Ventura, La biblioteca rende. Impatto sociale e economico di un servizio culturale, Milano: Bibliografica, 2010.
[12] Christie Koontz - Barbara Gubbin (a cura di), IFLA Public library service guidelines, Berlin/Munich: De Gruyter Sarur, 2010, http://www.degruyter.com/viewbooktoc/product/43971.
[13] Si pensi, per esempio, che negli Stati Uniti tra il 2011 e il 2013 la percentuale di possessori smartphone è salita dal 35% al 56% (senza tener conto di tablet e altri device): http://www.pewinternet.org/~/media/Files/Reports/2013/PIP_Smartphone_adoption_2013.pdf.
[14] http://bexarbibliotech.org/.
[15] Per sapere cos'è un makerspace (o fablab) e cosa c'entra con le biblioteche, ecco alcuni link che possono aiutare a farsi un'idea: http://makezine.com/2013/05/22/the-difference-between-hackerspaces-makerspaces-techshops-and-fablabs/; http://www.ilsole24ore.com/art/tecnologie/2013-06-30/biblioteche-musei-diventano-makerspace-082743.shtml; http://www.huffingtonpost.it/2013/05/23/maxxi-musei-e-biblioteche-cambiano-volto_n_3325598.html. Negli Stati Uniti due degli esempi più noti di makerspace in biblioteca sono quelli della Biblioteca di Fayetteville (il primo in assoluto mai realizzato) e della Chicago Public library, mentre in Italia abbiamo l'esperienza recentissima della San Giorgio di Pistoia, http://www.corrierecomunicazioni.it/it-world/22028_rasetti-fablab-per-i-giovani-una-chance-di-testarsi-sul-campo.htm.
[16] http://www.mcallenlibrary.net/.
[18]Josh Hadro - Meredith Schwartz, $1 Million Gates Grant to Fund Chicago, Aarhus Libraries'Innovation Partnership, «Library Journal», 10 luglio 2013, http://lj.libraryjournal.com/2013/07/shows-events/ala/1-million-gates-grant-to-fund-chicago-aarhus-libraries-innovation-partnership-ala-annual-2013/; http://www.gatesfoundation.org/How-We-Work/Quick-Links/Grants-Database/Grants/2013/05/OPP1067284.
[19] http://www.gatesfoundation.org/What-We-Do/Global-Development/Global-Libraries.
[20] «Most countries have public libraries. There are more than 315,000 libraries worldwide, 73 percent of them in developing and transitioning countries. In many communities, public libraries are the only place where any person, regardless of education or skill level, can have access to information and the Internet free of charge. [ ] With their existing infrastructure, dedicated staff, and mission to connect individuals to information, libraries are uniquely suited to offering public Internet access and training to people who would otherwise be left behind in the digital world».
[21] https://www.aakb.dk/in-english.
[22] Library 2020. Today's leading visionaries describe tomorrow's library, edited by Joseph Janes, Lanham - Toronto - Plymouth, UK: Scarecrow Press, 2013.
[23] http://lj.libraryjournal.com/blogs/annoyedlibrarian/.
[24] Library 2020 cit., cap. 1. La traduzione di tutti i brani che seguono è mia, come è mia la responsabilità per eventuali imprecisioni.
[25] Ibidem.
[26] Library 2020., cap. 1.
[27] http://www.fontichiaro.com/activelearning/.
[28] Library 2020 cit., cap. 2.
[29] Massimo Coen Cagli, Ritorno al futuro cit.
[30] La Biblioteca comunale di Paderno Dugnano (MI), www.tilane.it.
[31] Anche se, dieci anni dopo la loro apertura, gli stessi Idea Stores hanno corretto il tiro in conseguenza dei cambiamenti che nel frattempo erano avvenuti nel quartiere di Tower Hamlets: vedi Anna Galluzzi, Gli Idea Store dieci anni dopo, «Biblioteche oggi», 29 (2011) n. 1, p. 7-17.
[32] Nel Consorzio Sistema Bibliotecario Nord-ovest, la realtà che conosco più nel dettaglio, il primo corso di formazione agli utenti è partito nel 2001 con undici iscritti. Nella stagione 2012/2013 i corsi attivati sono stati 112, per un totale di 2213 iscritti su 12 biblioteche. Gli esempi di corsi di formazione per gli utenti tuttavia sono tantissimi: dalla Fondazione per Leggere alla Biblioteca San Giorgio di Pistoia, dalla Mediateca di San Lazzaro (BO) al Multiplo di Cavriago (RE) per citarne solo alcuni.
[33] Come quella di Correggio (RE), http://biblioteche.provincia.re.it/Sezione.jsp?titolo=La+Biblioteca+in+Ospedale&idSezione=776, quelle toscane, http://www.cultura.toscana.it/biblioteche/servizi/biblioteca_accessibile/lettura_ospedale.shtml e quella di Modena, http://www.comune.modena.it/biblioteche/teodora/index.htm.
[34] Amelia Brambilla - Emanuela Costanzo - Cinzia Rossi (a cura di), Il bibliotecario carcerario: una nuova professione?, Roma: Associazione italiana biblioteche, 2013. Vedi anche il link: http://www.ristretti.it/areestudio/cultura/biblioteche/.
[35] Una biblioteca per ragazzi a Lampedusa, l'appello del sindaco, http://www.libreriamo.it/a/4749/una-biblioteca-per-ragazzi-a-lampedusa-lappello-del-sindaco.aspx.
[36] http://www.helmet.fi/meetingpoint@lasipalatsi.
[37] http://www.helmet.fi/kirjasto10.
[38] http://www.comune.cavriago.re.it/canali-tematici/multiplo/amici_multiplo.aspx. L'esempio del Multiplo tuttavia è stato anche aspramente criticato qualche mese fa sulla lista di discussione AIB-CUR. Il discorso sul volontariato oggi è estremamente complesso e ambivalente, e va affrontato con l'approfondimento e gli strumenti necessari (e non è questo il caso del presente articolo).
[39] Stefano Olivo, La gestione delle biblioteche in Italia. Sviluppo e prospettive di un servizio pubblico locale, Careghe: Editoriale Documenta, 2010, p. 260-262. Vedi anche Anna Galluzzi, Il servizio bibliotecario pubblico è un bene meritorio? Riflessioni a margine del volume di Stefano Olivo, «Bibliotime», 14 (2011) n. 2, http://www.aib.it/aib/sezioni/emr/bibtime/num-xiv-2/galluzzi.htm.
[40] Per una breve descrizione dell'incontro, vedi http://bugslives.wordpress.com/2013/05/17/biblioteche-e-societa-quale-valore/.
[41] Virginia Gentilini, Welfare cit.
[42] Eleanor Jo Rodger, Value and vision, http://www.webjunction.org/documents/webjunction/Value_and_Vision.html, pubblicato originariamente su «American Libraries», 33 (2002) n. 10. Vedi anche Massimo Coen Cagli cit., p. 25, quando afferma che le biblioteche devono portare «il loro punto di vista e le loro competenze in altri luoghi. Nei comitati di quartiere, nelle consulte delle associazioni di disabili, nei luoghi dove si discute la cooperazione allo sviluppo e quant'altro. In modo da essere riconosciuti come interlocutori sociali e non solo come amministrazioni di servizi».