Recensioni e segnalazioni

a cura di Silvana de Capua


Tiziana Stagi. Una battaglia della cultura: Emanuele Casamassima e le biblioteche. Roma: Associazione italiana biblioteche, 2013. 607 p. ISBN 978-88-7812-222-2. EUR 28,00.

Il volume di Tiziana Stagi è maturato a partire dagli studî condotti nell'ambìto del XXII ciclo del Dottorato di ricerca in Scienze bibliografiche, archivistiche, documentarie dell'Università di Udine, seguiti in qualità di tutor da Mauro Guerrini, cui si deve anche la Presentazione del volume (Emanuele Casamassima: un bibliotecario militante, p. 9-11).
Obiettivo specifico del lavoro è quello di riesaminare, nella sua interezza, il profilo intellettuale di Emanuele Casamassima e la sua attività bibliotecaria, evitando «processi di semplificazione o monumentalizzazione» (p. 13), e soprattutto facendo riferimento al nuovo quadro documentario determinato anche, tra l'altro, dalla disponibilità dell'archivio della Biblioteca Nazionale fiorentina negli anni in cui Casamassima la diresse. In tal senso si muovono gli approfondimenti biografici legati agli anni della formazione romana e le vicende connesse alla partecipazione alla Resistenza. Tutto ciò, insomma, che costituisce il prima e il dopo del periodo eroico dell'attività professionale di Casamassima, che si sviluppa intorno ai drammatici giorni dell'alluvione del 1966. Nella sua Introduzione (p. 13-17), inoltre, l'autrice esplicita anche il punto di vista interpretativo che ispira l'intero volume, e che consiste nel mettere in evidenza il «grande esempio di politica per le biblioteche», da opporre alla successiva «vulgata» che avrebbe al contrario evidenziato «un suo successivo, totale disimpegno» (p. 17), con riferimento all'opzione di Casamassima per l'insegnamento universitario maturata contestualmente alle dimissioni dalla direzione della BNCF. Stagi, insomma, si propone di «superare la contrapposizione tra lo studioso e il bibliotecario», valorizzando fortemente la dimensione professionale e militante dell'attività di Casamassima, evidenziata anche nella Presentazione di Guerrini. Proviamo intanto ad esaminare in che modo la trattazione è articolata.

La prima parte, divisa in tre capitoli (La formazione, la vita militare e la Resistenza, «Bibliothecario» a Firenze, La direzione della BNCF prima dell'alluvione), prende in esame le vicende biografiche degli anni della formazione, a partire dal 1930, quando Casamassima (nato a Roma nel 1916) si iscrive per avviare gli studî ginnasiali al Collegio Nazareno, retto dai Padri Scolopi. Dopo la maturità classica (1934), la laurea in giurisprudenza (1938), gli anni del servizio militare (1939-43), la partecipazione alla Resistenza, per la quale ottenne nel 1954 la croce al valor militare, viene descritto l'inizio del servizio presso la Nazionale (1949), diretta da Anita Mondolfo. In questo periodo, grazie alla collaborazione con Mondolfo relativa al progetto del catalogo unico delle biblioteche italiane (del quale si discuteva da decenni) e alla redazione del Soggettario, Casamassima com'è noto escluse l'ipotesi della formulazione ex novo delle voci di soggetto, decidendo di fondare l'impresa sulla «concretezza [...] di un Catalogo a soggetti di una biblioteca» (p. 59). L'autrice ne descrive dettagliatamente le fasi, concluse nel 1954, e che ebbero un non semplice esito a stampa nel 1956, presso la Stamperia Il Cenacolo. Altrettanto accuratamente sono descritte le attività successive, dedicate ancora al catalogo unico e alla Bibliografia Nazionale Italiana, fino alla nomina a direttore (1965), e alla attiva collaborazione ai lavori della Commissione Franceschini, mettendo in rilievo con il suo apporto la situazione di grave «usura», «declassamento» e «ritardo» dell'istituto (p. 85).

La seconda parte si articola in cinque capitoli (Il 4 novembre 1966: l'evento, i danni, La gestione dell'emergenza, Il piano per la rinascita, Ripristino e ristrutturazione negli anni 1967-1969, Il distacco dalla professione). Il tema centrale è costituito dalle vicende dell'alluvione del 1966, entro le quali si inserisce la ricostruzione, carica emotivamente, di quei «tempi eroici» (p. 125), che hanno contrassegnato fortemente l'aura della dimensione professionale di Casamassima. I mesi che ne seguirono sono dunque descritti da Stagi come quelli in cui avviene la metamorfosi (almeno retorica) «Da bibliotecario ad eroe», fino al rifiuto della medaglia d'oro ministeriale, che Francesco Barberi giudicò duramente come espressione di «un generico atteggiamento anarcoide» (p. 177). L'autrice tratteggia poi le attività finalizzate alla riapertura della Nazionale, avvenuta nel 1968, in cui vengono messe in rilievo le molte e diverse esigenze concrete, integrate dalla consapevolezza della indispensabile «riforma degli strumenti e delle linee di intervento dello Stato per la tutela del patrimonio artistico e culturale» (p. 201). In questo senso Stagi richiama i ripetuti interventi di Casamassima per superare la situazione emergenziale attraverso una complessiva riorganizzazione dei servizi e degli spazi, per attivare l'auspicato Centro internazionale per il restauro e stabilizzare i numerosi rapporti di collaborazione internazionale nel frattempo sviluppati su base informale. In questo contesto si colloca anche il celebre intervento, scritto a quattro mani con Emidio Cerulli, direttore della Nazionale romana (Aspetti, strutture, strumenti del sistema bibliotecario italiano, in «Accademie e biblioteche d'Italia» del 1969), che tuttavia ebbe esiti nulli nell'orientare le politiche della Direzione Generale del Ministero, guidata da Salvatore Accardo. In questo scenario le tensioni tra Casamassima e la stessa Direzione Generale aumentarono, fino alle dimissioni del 1970, contestuali all'inizio del servizio come professore di Paleografia, prima a Trieste e poi a Firenze; alla direzione della Nazionale venne collocata Anna Maria Giorgetti Vichi - sulla quale è noto il perentorio e sarcastico giudizio di Casamassima (p. 159) -, che orientò decisamente l'ambiente organizzativo entro quella «ordinaria amministrazione» non distante dalla routine che più volte Casamassima aveva segnalato come uno dei rischi principali per la qualità del servizio bibliotecario offerto. Tutto ciò è trattato nella terza parte, divisa in tre capitoli (L'avvicendamento alla direzione della BNCF, L'impegno per le biblioteche dopo il 1970, La biblioteca secondo Casamassima), dei quali l'ultimo discute in modo rapido e succinto (p. 361-365) questioni assai complesse che attengono, in senso generale, alla dimensione culturale della biblioteconomia; in questo contesto Stagi rileva l'importanza della consulenza offerta da Casamassima alla Regione Toscana, nel 1971, per l'organizzazione del sistema documentario regionale, e in cui vennero sostenute con forza le ragioni e le opportunità del decentramento. Qui l'autrice richiama tra gli altri il contributo scritto insieme a Luigi Crocetti (Valorizzazione e conservazione dei beni librari con particolare riguardo ai fondi manoscritti, 1981), con il quale viene riconosciuto alle biblioteche il ruolo sia di «depositi di pubblicazioni» sia di «strumenti attivi della cultura e dell'educazione» (p. 363). Una prospettiva in cui non è difficile trovare traccia delle convinzioni politiche che portarono Casamassima ad impegnarsi direttamente sulla scena politica, candidandosi nelle fila del PSIUP - Partito Socialista di Unità Proletaria.
Il volume è concluso da una Appendice documentaria molto ampia (p. 367-538), dalla Bibliografia (p. 539-557), da una selezione di immagini (p. 561-592), dall'Indice dei nomi (p. 593-607).

Fin qui, dunque, una sommaria presentazione della struttura dell'opera, la cui genesi è stata richiamata in apertura. Il merito principale di Stagi è indubbiamente quello dell'aver selezionato, ordinato, presentato, una quantità assai ampia di risorse documentarie di varia natura, conservate presso istituti diversi, alcune delle quali inedite; inoltre, come rileva Guerrini nella Presentazione, la ricerca si è avvalsa anche di documenti personali (tra gli altri di Giorgio De Gregori, Francesco Barberi, Diego Maltese), e di numerose testimonianze orali. Insomma, sotto il profilo delle testimonianze, parrebbe che non sia stato pregiudizialmente tralasciato nulla, in questo ponderoso tentativo di "fare storia" su di una personalità intellettuale che ha agito in anni segnati da vicende ed eventi straordinari. La minuziosa cura dispiegata da Stagi nell'arco intero del volume produce dunque il significativo risultato di proporre, in successione cronologica, fatti restituiti al loro contesto documentario di origine, includendo in ciò anche gli accenni alle tonalità, venate di retorica, che si sono mescolate e intrecciate all'operato di Casamassima negli anni drammatici dell'alluvione.
Assai più problematico è invece valutare e giudicare l'impostazione che caratterizza gli assunti di fondo del volume, e in particolare alla "militanza" bibliotecaria di Casamassima richiamata anche, come già si è detto, nella Presentazione. Credo che, in questo come nella generalità dei casi, sia necessario provare a separare, anzitutto, i fatti documentari dalle interpretazioni. La vulgata postmoderna, a partire da Nietszche, ha del tutto annullato la differenza, al punto che, in un celebre passo dei Frammenti postumi, il filosofo tedesco scrisse che «no, proprio i fatti non ci sono, bensì solo interpretazioni». Sul versante del tutto opposto, volendo schematizzare e ipersemplificare, si situano invece coloro che ritengono che il "documento", in sé, come il "testo" si è dotato (o dotabile) di una stabile struttura formale e di contenuto. In questa sede, per evidenti motivi, non si possono che rilevare i delicati problemi che sorgono a partire dall'interpretazione di un documento utilizzato come fonte, a supporto di una ipotesi congetturale. Il ragionamento diviene più chiaro se applicato, nel caso nostro, ad un problema specifico, ad esempio la posizione di Casamassima rispetto alla adozione della Classificazione decimale Dewey per l'ordinamento dei lemmi della Bibliografia Nazionale Italiana. Stagi riporta uno stralcio di un verbale (BNCF AS b. 3707), di anonimo estensore, in cui si scrive: «Il dr. Casamassima ha confrontato la classificazione del Bollettino con la DDC. Il Bollettino presenta nel paragone infiniti difetti. La DDC è universale». (p. 69). Poco dopo viene riportato un altro documento, di mano di Casamassima, che riporta una recensione al Catalogo sistematico dell'Università di Monaco, in cui si legge: «Oltre che nella forza della tradizione, la causa di questa tendenza [quella di compilare ex novo sistemi di ordinamento bibliografico N.d.A.], in Germania, deve anche riconoscersi nella scarsa valutazione della classificazione del Dewey, cui si rimprovera, non a torto, una struttura poco scientifica, macchinosa, invecchiata». (p. 70). L'autrice introduce e commenta questi passi scrivendo che: a) «Nei verbali delle riunioni trova conferma documentaria quanto finora riferito soltanto dalla tradizione orale della Biblioteca ed enfatizzato da Crocetti, ossia che fu Casamassima a preferire la Classificazione decimale Dewey» (p. 69) e, b) «Casamassima riteneva, infatti, che fosse necessario abbandonare il sistema di classificazione fino ad allora in uso per il Bollettino, per appoggiarsi a uno schema universale e internazionale». (p. 70). Mi pare, con tutta onestà, che le inferenze tracciate a partire dai documenti non assurgano al rango di prova, e che la questione fattuale, ad di là, appunto, delle interpretazioni, rimanga sostanzialmente aperta. Esistono, del resto, altre posizioni interpretative (mi riferisco in particolare a quelle di Piero Innocenti) che, partendo da una selezione di altri fatti documentari, arrivano a conclusioni antitetiche. Valga qui, e ancora titolo di esempio, ricordare che a parere di Innocenti l'influenza del modello bibliotecario tedesco risulta avere «radici più profonde e più vitali di quelle andate a cercare nel mondo anglosassone» («Culture del testo», 5 (2004),n. 13, p. 125).

Una recensione, naturalmente, non può che invitare il lettore a tener conto di questi problemi, e a costruire lui stesso, consapevole del delicato rapporto tra fatti documentari e interpretazioni, la propria esperienza di lettura e di comprensione. Il volume di Tiziana Stagi, in tale prospettiva, consegue l'importante esito di fornire una interpretazione chiara e palesemente convinta della massa di documenti meritoriamente presi in esame, che tuttavia, a giudizio di chi scrive, lascia aperti alcuni rilevanti quesiti, relativi in particolare al rapporto tra interessi accademici e bibliotecari di Emanuele Casamassima e alle implicazioni che ciò suscita nella declinazione della dimensione disciplinare della cultura biblioteconomica.

Maurizio Vivarelli
Università di Torino


Biblioteche: valore e valori: atti della Giornata di studi, Roma, 21 maggio 2012, a cura di Lucia Antonelli. 124 p. (Collana sezioni regionali AIB. Lazio; 1) Roma: AIB 2013. ISBN 978-88-7812-219-2. EUR 10,50.

Il volume raccoglie gli interventi presentati nella giornata seminariale dal titolo Biblioteche: valore e valori che l'AIB Lazio ha dedicato a maggio 2012 al tema delle biblioteche, del loro valore, della misurazione dei servizi e dell'impatto.
È preceduto da un'introduzione di Anna Galluzzi che ripercorre le tappe fondamentali dell'attività di misurazione in biblioteca nata per sostenere le scelte gestionali attraverso analisi di tipo quantitativo, successivamente evolutasi verso la misurazione qualitativa volta ad approfondire la conoscenza delle comunità di riferimento, dei loro bisogni, del loro soddisfacimento fino all'analisi dell'impatto, a fronte, come dice la Galluzzi, dei profondi cambiamenti avvenuti nel contesto sociale, economico e tecnologico.
Il primo contributo del volume Si può quantificare l'influenza di una biblioteca? è scritto da Roswitha Poll, una delle massime autorità a livello internazionale nel campo della misurazione e valutazione delle biblioteche.
La Poll descrive il processo che ha portato alla costruzione di un nuovo standard ISO per le biblioteche: lo standard 16439 Methods and procedures for assessing the impact of libraries.
Il nuovo standard intende: standardizzare la terminologia e le definizioni di valutazione dell'impatto e descrivere e armonizzare le metodologie che sono state testate e che hanno fornito risultati significativi.
Quanto alla terminologia lo standard fa una distinzione tra input, process, output, outcome, impact e value costruendo un flusso concettuale che va dagli input fino all'impatto e, quindi, al valore inteso come l'importanza che gli stakeholders attribuiscono alle biblioteche.
La Poll passa, quindi, in rassegna le diverse metodologie utilizzate per misurare l'impatto della biblioteca sull'individuo e sulla società (impatto sociale). I metodi si distinguono tra metodi che forniscono una prova diretta e metodi che indicano solamente la possibilità di un simile impatto. Queste ultime comprendono: il conteggio statistico, la misurazione delle performance e le indagini sulla soddisfazione dell'utenza. Le indagini sulla soddisfazione misurano il valore sociale della biblioteca. Tra gli argomenti che possono essere indagati vi sono: l'aumento di informazioni e conoscenza; l'acquisizione di nuove competenze; se la biblioteca ha aiutato l'utente a risparmiare tempo; se l'utente percepisce la biblioteca come luogo sicuro e tranquillo; se l'utente percepisce la biblioteca come centro di contatto.

Il valore economico della biblioteca può essere, invece, misurato utilizzando il metodo della "valutazione contingente".
Nel successivo intervento L'impatto della biblioteca: una questione aperta, Roberto Ventura parte dalla considerazione che la tecnologia abbia prodotto un processo di disintermediazione bibliotecaria con conseguente rischio di perdita di identità per la biblioteca. La disintermediazione è, tuttavia, più apparente che reale. Le biblioteche restano, infatti, ancora realtà fortemente ibride e compito del bibliotecario è mediare tra i due universi: quello analogico e quello digitale oltre che educare gli utenti ad una visione critica dell'informazione disponibile in rete, facendo così emergere il valore della biblioteca.
Per avere una ricaduta positiva sull'ambiente e dimostrare il proprio valore la biblioteca deve offrire un'accuratezza di servizio e una competenza che servizi concorrenti e canali di distribuzione dell'informazione alternativi non riescono ad offrire: deve, inoltre, saper proporre una propria visione culturale. E, tuttavia, in che modo valutare l'impatto della biblioteca sulla comunità e/o sulle sotto-comunità?

Ventura focalizza la sua attenzione sulle biblioteche pubbliche e, così come la Poll, individua i due filoni principali secondo i quali è possibile valutare l'impatto della biblioteca: il primo riguarda l'impatto sociale e culturale; il secondo l'impatto e la valutazione economica e i benefici monetari diretti e indiretti che la biblioteca è in grado di creare. Le due dimensioni non sono in alternativa, la loro aporia è - scrive Ventura - solo apparente, la prima, infatti, non esclude la seconda.
In anni recenti si sono diffuse in ambito anglosassone le indagini volte a dimostrare il valore economico delle biblioteche. Sotto il profilo metodologico sono stati utilizzati vari approcci: analisi costi-benefici, valutazione contingente, ritorno sull'investimento, prezzi-proxy, prezzi-ombra, ecc. Le procedure sono ancora poco standardizzate e, pertanto, è difficile fare analisi di benchmarking tra i risultati. Siamo ancora in un fase aperta alla sperimentazione ma è innegabile che ci sia stata negli ultimi anni una maturazione degli studi dedicati a dimostrare il valore della biblioteca.
Il successivo contributo di Elena Brognoli dal titolo: Per la diffusione di una cultura della valutazione ripercorre alcune tappe fondamentali della misurazione e valutazione bibliotecaria in Italia. Nelle biblioteche la necessità di una gestione manageriale - scrive la Brognoli - matura ancora prima che nella Pubblica Amministrazione. L'opera di sensibilizzazione e la riflessione sui principi della misurazione e valutazione comincia a metà degli anni Ottanta. In questa fase la riflessione si concentra su esperienze straniere mancando un quadro di riferimento anche teorico/concettuale in Italia.

Una data di riferimento è certamente il 1987 quando viene pubblicato il manuale: La misurazione dei servizi delle biblioteche a cura dell'AIB. L'opera è orientata al contesto anglosassone. Ben presto matura la consapevolezza che sono necessari strumenti progettati per rispondere alle peculiarità del contesto italiano. Si comincia a riflettere su misure e indicatori standard idonei a rappresentare le realtà bibliotecarie italiane. Agli inizi degli anni Novanta si costituisce in seno all'AIB un gruppo di studio che lavora al progetto Efficienza e qualità dei servizi nelle biblioteche di base. Il convegno AIB del 1994 segna, quindi, una linea di demarcazione tra "management parlato" e "management praticato". Crescono le attività di misurazione dei servizi bibliotecari ma si rileva ancora una grande disomogeneità negli approcci metodologici. Alle soglie del Duemila vengono curate dall'AIB ancora due traduzioni e pubblicate le Linee guida per la valutazione delle biblioteche universitarie e le Linee guida per la valutazione delle biblioteche pubbliche italiane. Nel Duemila scema lentamente l'attenzione verso i temi della misurazione quantitativa mentre l'attenzione alle esigenze degli utenti «impone di affiancare alla periodica rilevazione delle statistiche di servizio anche indagini di tipo qualitativo e di impostare un nuovo rapporto con l'utenza». Nonostante il percorso compiuto dalla biblioteconomia italiana si registra ancora una mancanza di sistematicità nelle indagini di misurazione e valutazione e manca per le biblioteche pubbliche un organismo che si occupi di raccogliere in modo sistematico le statistiche sui servizi di biblioteca, solo alcune Regioni lavorano in questa direzione.

La valutazione di impatto dell'offerta culturale, scrive Fabio Severino nel suo contributo dal titolo Il valore culturale e l'analisi di impatto, conosce a partire dal Duemila una nuova stagione. La rinnovata esigenza di valutare l'impatto delle attività culturali scaturisce da un nuovo modello di finanziamento della cultura che vede i privati sempre più attivamente coinvolti come sponsor e co-finanziatori di progetti culturali. Una valutazione di impatto esaustiva deve prendere in considerazione tre dimensioni: quella economica, quella sociale e quella ambientale.
È importane, sottolinea Severino, che la valutazione di impatto non sia condotta solo ex-post o in itinere ma venga utilizzata anche nella fase di progettazione delle attività culturali. L'analisi di impatto infatti: «metterebbe nelle condizioni di migliorare al massimo l'idea progettuale, nel tentativo al quel punto pertinente di rispondere ad una domanda potenziale e inevasa rilevata» (p.79).
Severino prosegue, quindi, nel descrivere le principali metodologie utilizzate per misurare la valutazione di impatto economico: la valutazione contingente, il cui aggettivo sta a significare che si tratta di una stima incerta, l'analisi predittiva che prevede il coinvolgimento degli stakeholders interni ed esterni - una delle tecniche più diffuse ricollegabile a questa classe di analisi è il metodo Delphi - il disegno sperimentale. Quale che sia l'approccio metodologico è necessario delimitare con attenzione l'area geografica oggetto dell'indagine e valutare il periodo temporale dal momento che il risultato può essere influenzato da fattori stagionali.

Sara Chiessi descrive nel suo intervento dal titolo La misurazione dell'impatto sociale ed economico delle biblioteche pubbliche in Italia, l'esperienza di un progetto pilota per la valutazione di impatto di alcune biblioteche pubbliche emiliane. Il progetto è stato finanziato dall'IFLA all'interno del programma IFLA Researcher-Librarian Partnership che offre annualmente ad alcuni giovani bibliotecari la possibilità di realizzare progetti di ricerca.
Il metodo scelto per la ricerca italiana è un'indagine realizzata tramite un questionario rivolto agli utenti della biblioteca, modellato su un questionario già testato all'interno del progetto IFLA Global statistics for the 21th century, modificato per adattarlo alla realtà italiana. Prima di essere utilizzato per l'indagine il questionario è stato testato da un campione di utenti per realizzare la sua effettiva durata e se non ci fossero domande poco comprensibili.
I risultati dell'indagine hanno dimostrato che i servizi online sono utilizzati dal 42% degli utenti, la maggioranza utilizza l'OPAC., mentre poco conosciuti sono gli altri servizi. Inoltre, nell'ipotetico caso di chiusura della biblioteca l'88,9% degli intervistati ne risentirebbe e il 14,8% afferma che non potrebbe trovare altrove le stesse informazioni e gli stessi servizi.
Dalle interviste emerge il valore percepito della biblioteca: per gli intervistati è importante che esista ancora qualcosa di gratuito e condiviso tra le persone; molti hanno sottolineato il valore sociale della biblioteca che trascende i benefici individuali.

La domanda sul valore monetario della biblioteca è stata posta nel modo seguente: «Se la biblioteca non ci fosse quanto crede spenderebbe?»
L'11% degli intervistati ha affermato che dovrebbe spendere più di 720 euro l'anno; mentre il 77% ritiene che la biblioteca gli abbia fatto risparmiare tempo. Il risparmio di tempo e l'aiuto nella professione sono i due benefici che sembrano fare la differenza. Il testo dell'articolo contiene in appendice il questionario utilizzato per l'indagine.
Ultimo intervento quello di Pieraldo Lietti , Biblioteca e impatto economico. Lietti affronta il tema della soglia di convenienza del servizio di prestito attraverso i risultati di un'indagine sul costo del digital lending realizzata dal sistema bibliotecario BrianzaBiblioteche.
L'indagine ha adottato un modello statistico elaborato da Anne Morris (The economic value of public libraries, London: the Council for museums, archives and libraries, 2001) per calcolare la soglia di convenienza economica del servizio di prestito. Il termine medio comune al prestito e all'acquisto di un libro è la lettura.
Nell'acquisto il costo di una lettura equivale al costo del libro. Nel prestito il costo di una lettura è il prodotto della somma di due fattori: il costo del libro (costo di acquisto e costo delle procedure amministrative) e il costo di circolazione (calcolato come rapporto tra il 70% del costo complessivo della biblioteca e il totale delle transazioni di prestito).
L'indagine del sistema BrianzaBiblioteche ha consentito di fare una comparazione tra il costo del prestito di un libro cartaceo e il costo di un digital lending. Nel caso dell'ebook i modelli commerciali sono diversificati. L'indagine ne ha presi in considerazione quattro: acquisto singolo titolo più Pay-per-use; acquisto singolo titolo e diritto di prestito; abbonamento a un catalogo e diritto di prestito illimitato; Pay-per-use.
Il modello di ebook che prevede il costo di un abbonamento annuale per un'intera collezione rappresenta la soluzione più conveniente. A parità di prestiti un tale modello di prestito costa la metà di un prestito cartaceo. Il digitale consente, dunque, una maggiore efficienza economica. Il digital lending non possiede tuttavia un'unica soglia di convenienza economica, ma una griglia di valori che risultano dalla relazione di due fattori: le modalità di acquisto e la dimensione di utilizzo.
Chiude il volume una bibliografia sull'argomento curata da Ilaria Fava.

Maria Cassella
Università di Torino


Marie R. Kennedy - Cheryl La Guardia. Marketing your Library's Electronic Resources: A how-to-do manual. London: Facet Publishing, 2013. 200 p. ISBN: 978-1-85604-942-9. £ 49,95.

Marketing your library's Electronical Resource di Kennedy e La Guardia, bibliotecarie negli Stati Uniti, è quello che proclama di essere: un manuale. Ci sembra un buon manuale: rapido, ben strutturato, schematico, ricco di casi ed esempi, adatto a chi, con un'infarinatura di marketing, punti a promuovere non solo le risorse elettroniche, ma anche quelle tradizionali della biblioteca.
Cuore del saggio è il metodo in nove fasi per la definizione del piano di marketing, metodo che viene descritto in dettaglio, con semplicità e discreta efficacia e ripreso nei diversi capitoli per illustrarne le applicazioni. Interessanti sono in appendice gli esempi di piani di marketing reali, sviluppati da realtà statunitensi. In particolare da leggere è il piano della New York Online Virtual Electronic Library, approfondito nella descrizione delle strategie di comunicazione da adottare per diversi target.
Si tratta di un puro manuale, dunque, e sarebbe sbagliato cercare elementi critici di riflessione teorica. Ma ci sembra di dover indicare due limiti nel lavoro. Il primo è che non è chiara la specificità delle risorse elettroniche indicate nel titolo: non c'è un'adeguata riflessione sui bisogni che caratterizzano questo servizio rispetto a quelli tradizionalmente offerti dalla biblioteca. Questo può essere un vantaggio perché in questo modo il piano di marketing descritto vale per tutti i servizi bibliotecari, ma un'analisi più verticale avrebbe reso più interessante il testo. L'altro aspetto critico è che l'individuazione degli obiettivi da raggiungere non è in alcun modo quantificata. Un piano di marketing deve prevedere la quantificazione degli obiettivi che si vogliono raggiungere, e invece di cifre nel testo non si trova traccia. Per tornare all'esempio della biblioteca newyorkese, l'obiettivo non può essere un generico "incrementare l'uso, il supporto e la visibilità", ma dovrebbe essere "incrementare dell'x% l'uso". Altrimenti non facciamo marketing, ma buoni propositi.

Michele Rosco
Roma


Scuola superiore di studi storici. Lo spazio del libro, a cura di Luca Morganti. Repubblica di San Marino: AIEP Editore, 2013. 250 p., ill. ISBN 978-88-6086-092-7. EUR 15,00.

Il volume, scrive Luca Morganti nell'introduzione, nasce come "naturale estensione" del convegno che si è svolto il 22 ottobre del 2010 a San Marino e raccoglie i testi rielaborati delle relazioni tenute in quella occasione.
Il convegno è stato organizzato dalla Biblioteca di Stato e Beni culturali, dalla Biblioteca universitaria della Repubblica, dalla Scuola superiore di studi storici, dal Corso di laurea in disegno industriale del Darch (Istituto per la diffusione dell'architettura) con il sostegno delle Segreterie di Stato per l'Istruzione, la Cultura e l'Università e per il Territorio e l'Ambiente e dall'Ordine degli Ingegneri e degli Architetti della Repubblica di San Marino.
A San Marino vi sono diverse biblioteche, che vengono descritte nella terza parte del volume, con vocazioni differenti: una biblioteca nazionale di conservazione, una biblioteca universitaria, alcune biblioteche di pubblica lettura, biblioteche scolastiche e specialistiche. Anche se non costituiscono ancora una rete bibliotecaria di cooperazione, i cataloghi di alcune di loro sono confluiti già nel 2008 nella Rete bibliotecaria di Romagna e San Marino e in particolare quelli di sei biblioteche: della Biblioteca di stato, della Biblioteca universitaria, della Biblioteca del centro sociale di dogana, della Biblioteca del museo dell'emigrante, della Biblioteca del museo di stato e di quella dell'ospedale. Un fatto che ha contribuito a dare visibilità al patrimonio librario sanmarinese oltre che ai servizi delle biblioteche aderenti.
Le principali istituzioni bibliotecarie sono però tre. Quella di stato che è un punto di riferimento anche per il deposito legale e conserva in duplice copia tutte le opere pubblicate a San Marino e su San Marino. Dal 1993 aderisce alla Conference of European National Library e svolge in effetti funzioni di Sovrintendenza ai beni librari. La Biblioteca del centro sociale di dogana ha invece una vocazione alla pubblica lettura ed è una biblioteca generalista, con testi di narrativa e saggistica di attualità. Infine la Biblioteca dell'università che ha sede nello stesso palazzo della Biblioteca di stato, è nata nel 1988 con l'istituzione della Scuola superiore di studi storici e oggi conserva fondi importanti come il Fondo Ruggiero Romano, il Fondo Corrado Vivanti, il Fondo Eric Hobsbawn e raccoglie pubblicazioni ed estratti donati dagli storici che hanno tenuto lezioni presso l'Università. Particolarmente rilevante La Morris N. and Chelsey V. Young Library of Memory and Mnemonics, una collezione di libri e articoli dedicati ai temi della memoria e della mnemotecnica.
La Biblioteca dell'università è sorta come un'articolazione della Biblioteca di stato. Entrambe hanno sede a palazzo Valloni e presentano problemi di spazio che si sono ovviamente accresciuti nel tempo. Uno scenario, quello sanmarinese, articolato, ma ancora scomposto per quanto attiene al rapporto fra spazi e funzioni bibliotecarie. Convegno e libro trovano dunque ragione non solo nella visibilità ottenuta dai servizi e dalla accresciuta utenza dovuta all'ingresso in SBN, ma anche dal bisogno di avviare un ragionamento sul futuro delle biblioteche di San Marino, promuovendo con il convegno una riflessione sulla biblioteca in genere descritta nelle sue diverse componenti funzionali, nella sua mission e nel suo effettivo radicarsi in uno spazio fisico.

Il volume è articolato in tre sezioni. Nella prima parte I luoghi e la storia Luciano Canfora, Michel Melot e Marco Muscogiuri approfondiscono gli aspetti storici che sono alla base dell'attuale discussione sul futuro della biblioteca.
Luciano Canfora affronta il tema della trasmissione dei testi come storia della biblioteca. Michel Melot sviluppa la sua relazione intorno al concetto di architettura della biblioteca, partendo dalla constatazione che la biblioteca non ha una sua architettura propria, ne approfondisce poi le tendenze della contemporaneità, caratterizzata da una domanda crescente di luoghi pubblici conviviali e intimi insieme. Marco Muscogiuri descrive i diversi modelli architettonici che si sono avvicendati nel corso della storia e le loro continuità e discontinuità: la biblioteca come basilica, con evidenti richiami all'architettura sacra, come nel caso della Biblioteca Ambrosiana, come anfiteatro di libri oppure come pantheon, esemplificato dalla Biblioteca municipale di Stoccolma dell'architetto Gunnar Asplund.
Marco Muscogiuri descrive non solo le filiazioni, ma anche le trasgressioni di questi modelli, come è avvenuto per la Biblioteca pubblica di Seattle, un nuovo esempio di biblioteca che trasforma e attraversa lo spazio pubblico, poiché oggi le biblioteche sono luoghi insieme «protetti e invasi» dal mondo, non più sacri, ma spazi pubblici, attraversati dalla contemporaneità. Nella seconda parte: Biblioteca, architettura, città, con i contributi di Renata Codello, Soprintendente per i beni architettonici e paesaggistici di Venezia e laguna, Antonella Agnoli, esperta di progettazione di biblioteche pubbliche, Maurizio Vivarelli, docente di biblioteconomia all'Università degli studi di Torino e Luca Morganti, architetto a San Marino, la riflessione entra nel vivo degli aspetti teorici della biblioteconomia e delle sue applicazioni pratiche.

Renata Codello approfondisce il nesso fra architettura e valorizzazione del patrimonio culturale partendo dal suo ruolo di Soprintendente e dalle esperienze fatte a Venezia, come nel caso dell'imponente intervento sulla Manica lunga della nuova Biblioteca della Fondazione Cini. Antonella Agnoli sottolinea la «superiorità» della biblioteca su scuola, libreria e museo, facendo il punto sugli orientamenti da dover seguire per dare efficacia a un piano sulla lettura finalmente in avvio anche nel nostro Paese, come già fatto in Francia e Spagna, insistendo in particolare su quattro aspetti: conquistare nuovi pubblici, costruire nuovi spazi, pensare nuovi allestimenti, arricchire le biblioteche di nuovi media. Maurizio Vivarelli concentra la sua attenzione invece sul concetto fondativo di spazio bibliografico per cui «l'uso dello spazio è un complesso atto interpretativo che può essere ricondotto all'esperienza della lettura». Luca Morganti infine descrive il complesso rapporto fra spazio del libro e spazio della biblioteca sviluppando l'affermazione di Melot: «Les bibliothèques n'ont pas d'architecture propre» e radicalizzandola ulteriormente, affermando che «la biblioteca è dappertutto senza potersi mai trovare in nessun luogo specifico. Nessun tipo di spazio [...] contrariamente a quanto si possa pensare questa tonalità è la sua chance ed anche la sua etica».

La terza parte infine descrive la situazione delle biblioteche sanmarinesi, di cui si è già detto, offrendo alcuni orientamenti per il loro ripensamento e sviluppo futuro.
Tutte le relazioni hanno messo in evidenza la complessità dell'argomento affrontato e le sua tante sfumature che risultano essere varianti di un tema di fondo messo a fuoco da Michel Melot: le biblioteche non nascono con una architettura propria e questo piuttosto che costituirne un limite ne rappresenta invece una forza, che si esprime nella capacità di mettere in relazione in maniera creativa libro, pubblico e spazio, costruendo percorsi narrativi diversi, per tutti e per ognuno. Il libro ha inoltre il pregio di offrire, come si è già detto, una panoramica abbastanza completa sulla situazione delle biblioteche della Repubblica di San Marino, in effetti non così conosciute dalla nostra comunità bibliotecaria.
Il volume è importante dunque per il notevole interesse delle relazioni che vi sono presentate, l'accuratezza degli apparati bibliografici e delle note, la vastità dei temi trattati e l'alto profilo scientifico dei relatori coinvolti. Un lavoro dunque che trova una sua piena collocazione nel panorama degli studi biblioteconomici sull'architettura e lo spazio della biblioteca nel nostro Paese.

Cecilia Cognigni
Biblioteche civiche torinesi


Martine Blanc-Montmayeur - Françoise Danset. Choix de vedettes matières et mots-clés à l'intention des bibliothèques. Paris: Cercle de la librairie, 2012. XXIV, 224 p. (Collection Bibliothèques). ISBN 978-2-7654-1356-1. EUR 38,00.

A ventott'anni dalla prima edizione torna in stampa, rinnovata per la sesta volta, questa classica guida francese alla soggettazione; dieci dopo la precedente e con l'aggiunta nel titolo di et mots-clés. Una sintetica introduzione ai criteri di indicizzazione adottati, che si propone come guida metodica, precede una lista di circa 15.000 vedette, rinvii inclusi. L'impostazione è quella tradizionale che prevede l'indicazione delle voci principali e delle suddivisioni che le possono seguire. Queste sono indicate o in modo esplicito, o, sovente, con formule fisse che indicano una classe di termini; numerosi i rinvii e i rimandi, raccomandati per la piena fruibilità del catalogo. Ventitre voci (agriculture, animal,...) sono particolarmente sviluppate e servono da modello per tutte quelle che, rappresentando concetti simili, prevedono analogo sviluppo nelle suddivisioni e vi rinviano.
È noto che in Francia è largamente attestato il sistema di soggettazione RAMEAU (Répertoire d'autorité-matière encyclopédique et alphabétique unifié), alimentato e controllato dalla Bibliothèque nationale. Questa guida non si pone in concorrenza ma vuole offrire un'indicizzazione adattabile e più semplice per situazioni in cui RAMEAU risulti troppo complesso da gestire. La lista non è nomenclatrice ma esemplificativa e il suo uso prevede l'ulteriore integrazione con ogni altro termine che rappresenti coerentemente soggetti non previsti. Resta quindi alla biblioteca un lavoro di ampliamento del lessico e appare un po' affrettata l'affermazione in prefazione che proclama lo svincolo dalle costrizioni di una lista d'autorità: la libertà rispetto a un repertorio esterno non esime dall'attuare una propria forma di controllo dei termini che, pur senza il peso di record completi di ogni dato, dovrà almeno registrare le forme adottate e le equivalenti scartate.

Voci e suddivisioni risultano ben costruite, la rete dei rinvii e dei rimandi è ricca e ben controllata. Qualche incongruenza (es. Enfant: intelligence, ma Créativité: enfant) è probabilmente invitabile in assenza di criteri coerenti di categorizzazione e di analisi e sintesi dei concetti, per esempio nell'indicazione generica di evitare le espressioni coordinate (termini composti preposizionali), dove norme di fattorizzazione e di ordine di citazione darebbero risultati più sicuri.
La duplice destinazione a biblioteche speciali e a raccolte minori ha comportato la compresenza di qualche termine scientifico e del suo equivalente popolare, lasciando alle biblioteche la scelta di quello più adatto al proprio pubblico. L'esempio che accompagna questa informazione è però poco convincente, perché accosta Cardiologie e Coeur che dovrebbero piuttosto convivere per rappresentare l'uno la disciplina e l'altro l'organo studiato. Un doppio accesso per la facilità d'uso invece è previsto per le intestazioni coordinate, da presentare anche in ordine inverso (es. Bien et Mal e Mal et Bien).
Insoliti, per noi, l'aggettivo in prima posizione con l'inversione rispetto alla forma diretta (es. Nerveux (système)), per privilegiare la differenza (lo specifico) rispetto al focus (il genere), e l'uso del singolare, come nei lemmi di un dizionario, anche per i termini che rappresentano entità numerabili, secondo l'uso e la norma francese (ma in RAMEAU sono al plurale); con spiacevoli esiti come l'unica voce Église sia per l'architettura che per le persecuzioni, nonostante sia previsto l'uso di singolare e plurale per significati diversi.

In questa edizione è stata semplificata la presentazione dei criteri di indicizzazione. L'introduzione di termini nuovi include parole inglesi correnti di cui non esiste equivalente francese e sigle d'uso comune invece delle forme estese, diversamente da quanto richiesto dalla norma francese AFNOR (NF Z44-070 Août 1986, Documentation - Indexation analytique par matière: è nominata alcune volte come "norma francese" ma non è mai citata, così come mancano suggerimenti bibliografici). Dalla scorsa dei termini presenti si nota l'attenzione a coprire soggetti d'attualità, mentre a cadere per invecchiamento sono soprattutto termini non adottati che rinviavano alle forme preferite.
Le parole chiave aggiunte nel titolo in realtà non innovano l'impostazione tradizionale. Non sono definite né distinte dalle voci di soggetto e, dai pochi cenni, paiono oscillare fra il senso tecnico di termini attribuiti senza pre-coordinazione e quello allargato di parole qualsiasi purché ricercabili. Dubbia è la destinazione dell'opera anche agli internauti: è vero che ricerche per soggetto si fanno ora su tutto il web, ma solo là dove vengono assegnati descrittori o parole chiave tratte da un repertorio noto è possibile ottenere risultati coerenti a partire da quel repertorio. Sembra più un auspicio a favore dell'indicizzazione delle risorse del web e un invito a utilizzare gli indici, che la risposta a una richiesta effettiva: questa avrebbe comportato un ampio ripensamento e una riscrittura che non erano nell'intento delle autrici. In ogni caso, e nonostante alcune pecche segnalate, resta un'operazione meritoria di divulgazione dell'indicizzazione per non specialisti.

Pino Buizza
Biblioteca Queriniana, Brescia


Information literacy beyond Library 2.0, edited by Peter Godwin and Jo Parker. London: Facet, 2012. XIX, 268 p., ill. ISBN978-1-85604-762-3. £ 49,95.

Pubblicato a quattro anni di distanza dal precedente Information literacy meets Library 2.0, il volume si propone di ragionare sul rapporto tra information literacy e web 2.0 in modo maggiormente critico rispetto a quando - parole di Peter Godwin - il web 2.0 era cool (p. 3), per valutare quali elementi siano risultati davvero significativi e cosa realmente abbia potuto incidere sulla didattica erogata dalle biblioteche per aiutare le persone a documentarsi.
Il volume è diviso in tre parti distinte. La prima propone saggi di riflessione, la seconda è orientata ad individuare le pratiche più significative e la terza cerca di prospettare sviluppi futuri.
Peter Godwin firma la sezione di riflessioni, coprendone con i suoi testi circa la metà e ponendo le basi dei ragionamenti successivi. Le sue tesi si basano principalmente sull'affermazione dell'esistenza di una Library 2.0, che per Godwin esiste nella misura in cui «i social media sono oggi mainstream e continueranno ad evolversi, ponendo sfide rispetto al modo in cui, sia da bibliotecari sia da cittadini, operiamo nel mondo che verrà»(p. 15).
Web 2.0 coincide per Godwin con i social media, i social media ci sono per restare, eppure l'autore non può fare a meno di notare, tornando alla Library 2.0, che fino ad ora le applicazioni social in biblioteca non paiono attrarre sempre grandi consensi e la vera affermazione dei social riguarda sfere personali e ludiche di altra natura. Ma Godwin è fiducioso.
Dopo aver passato in rassegna la varietà di strumenti che trovano o potrebbero trovare applicazioni nella didattica dell'information literacy, dai video ai wiki ai social network, la conclusione è che, fino ad oggi, non è dimostrabile una ricaduta vera e propria dell'impiego di questi strumenti sull'apprendimento dei ragazzi ma, a questo punto, bisognerebbe fornire delle analisi più dettagliate su ciascuno. Resta la convinzione di Godwin secondo cui l'uso dei tool web 2.0 sia cruciale per i bibliotecari che si occupano di istruzione delle competenze informative.

Tra gli altri contributi, Susie Andretta, riprendendo alcuni suoi scritti precedenti, richiama il concetto antico e fondamentale di alfabetismo funzionale (functional literacy), di norma definito attraverso le competenze di scrittura, lettura e calcolo indispensabili per riuscire nella vita di tutti i giorni, declinandolo come transliteracy, ossia sottolineando che è possibile agire da cittadini consapevoli, in contesti in cui la realtà documentale è variegata e multimediale come quella attuale, solo attraverso un alfabetismo che passa per un impiego efficace dei vari media, e quindi anche quelli sociali.
Tra gli altri esperti di information literacy il volume raccoglie un intervento di Hilary Hughes con Cristine Bruce, una delle figure maggiormente rilevanti nella teorizzazione dell'alfabetismo informativo. Il contributo richiama nel titolo, Informed learning in online environment, un libro della Bruce di alcuni anni fa secondo cui l'apprendimento, nel contesto dell'educazione superiore, deve essere conseguito attraverso un impiego responsabile, efficace e creativo di fonti informative e attraverso una costruzione collaborativa delle conoscenze. Dato questo quadro, gli ambienti web 2.0 and beyond sono sicuramente uno dei contesti in cui le fonti e gli strumenti informativi oggi si declinano e come tali saranno insegnati nei corsi di information literacy.

Tutta la sezione dedicata ai casi (esperienze inglesi, statunitensi e canadesi di biblioteche accademiche, principalmente) cerca di fornire una visione delle applicazioni web 2.0 già impiegate nell'educazione all'informazione. Si possono trovare esperienze tra le più varie, che vanno dall'impiego di Twitter ai giochi digitali ai software citazionali, come Zotero, alle applicazioni mobili. Tutto sommato, rispetto agli strumenti impiegati nella formazione alle competenze informative, ci sono pochi riferimenti alle piattaforme didattiche online, ampliamente utilizzate nei corsi più strutturati erogati dalle biblioteche (Blackboard, Moodle, ...), per non parlare dell'evoluzione dei MOOC (Massive Open Online Courses).
Un ultimo cenno ad un'esperienza importante, non molto web 2.0 ma molto rilevante per l'information literacy, che qui è compendiata in un saggio di Jane Seeker e Emma Coonan, quella di ANCIL, a new curriculum for information literacy, un progetto tra i più interessanti nel panorama recente dell'information literacy, condotto dall'Università di Cambridge e finanziato dall'Arcadia Programme, che ha consentito di elaborare un curriculum completo con indicazione degli obiettivi didattici da raggiungere nell'insegnamento delle competenze informative per gli studenti universitari.
Le conclusioni, affidate di nuovo a Godwin, sono che se web 2.0 è diventato oggi social media, anche senza parlare di Library 2.0 le biblioteche non possono che fare i conti con questa realtà, aiutando le persone a comprenderla attraverso momenti formativi dedicati all'informazione e ai documenti e servendosi degli strumenti più innovativi per agevolare un apprendimento collaborativo.

Laura Ballestra
Biblioteca Mario Rostoni LIUC - Università Cattaneo


Andrew Walsh. Using mobile technology to deliver library services: a handbook. London: Facet Publishing, 2012. XXIII, 134 p. ISBN 978-1-85604-809-5. £ 49,95.

Il libro di Walsh, dedicato all'utilizzo di servizi mobile in biblioteca, risulta di facile e agevole lettura, oltre che di interesse nella spiegazione di come utilizzare la tecnologia a un livello un po' più avanzato nei servizi di biblioteca.
Il libro si compone di otto capitoli, a cui si aggiungono un'introduzione e un capitolo di conclusioni. L'introduzione fornisce il contesto della trattazione oltre a una panoramica sui contenuti, in modo tale che il lettore possa consultare direttamente le parti più rilevanti per i suoi interessi. Ciascun capitolo, infatti, copre un'area diversa delle tecnologie mobile e delle conseguenti applicazioni ai servizi bibliotecari. Trovo molto utile la presenza della bibliografia per ciascun capitolo e delle letture consigliate per approfondire ciascun argomento.
Il primo capitolo riguarda le aspettative degli studenti sui servizi mobile invece che una trattazione di cosa vorrebbero per gli studenti i bibliotecari in quanto professionisti esperti di quei particolari servizi. Il capitolo si concentra poi su uno studio condotto dall'autore nel 2009: Walsh contestualizza l'oggetto della ricerca e ne discute i risultati ottenuti, offrendo suggerimenti pratici che possono essere applicati in altri contesti, sottolineando contemporaneamente il rischio di ritenere che un'unica soluzione vada bene per tutti. In tutto il libro, l'autore raccomanda di consultare gli utenti e di tenere in considerazione le loro opinioni prima dell'avvio di nuovi servizi.
Il capitolo secondo esamina i modelli esistenti in materia di mobile information literacy, analizzando le differenze tra l'information literacy tradizionale e quella ottenuta con mezzi/supporti di tipo mobile. Secondo Walsh, comprendere la reale differenza tra le due è la chiave per erogare servizi utili per l'utente.
Nel capitolo successivo l'attenzione passa alla figura del bibliotecario mobile, intesa sia in termini di muoversi in direzione dell'utente, in un certo senso andando a scovarlo, sia nell'accezione di utilizzare le nuove tecnologie per migliorare la produttività della biblioteca. Il messaggio di questo terzo capitolo è positivo: l'utilizzo di tecnologie mobili migliora i servizi e il lavoro degli utenti, e consente ai bibliotecari di essere migliori professionisti dell'informazione.

Anche se possono non essere esperti di tecnologie mobili, gli utenti hanno familiarità con i messaggi di testo e gli SMS. Il capitolo quattro si apre con l'invio di messaggi ai dispositivi mobili degli utenti, e include un caso di studio in cui si descrive l'esperienza di una biblioteca che interagisce con i suoi utenti utilizzando le tecnologie mobili come medium per la comunicazione. Analoga è la descrizione dell'utilizzo di messaggi di testo nell'insegnamento, accompagnata dal relativo caso di studio che offre esempi e argomento di discussione. Il capitolo si chiude con una serie di idee da cui trarre spunti per l'utilizzo dei messaggi di testo nei servizi bibliotecari.
Il capitolo cinque entra nel dibattito sull'utilizzo di siti web in formato mobile oppure di apposite applicazioni: entrambe le possibilità vengono descritte in termini di vantaggi e svantaggi, descritti da esempi pratici. A proposito di cosa preferire, in ogni caso, l'autore ribadisce ancora una volta l'importanza di coinvolgere gli utenti in queste decisioni.
Il capitolo sei suggerisce alcune modalità con cui le tecnologie mobili possono favorire la connessione tra biblioteca fisica e servizi virtuali, combinando le fonti di informazione in modo da offrire il meglio agli utenti. L'autore si concentra su tre specifiche tecnologie che possono contribuire in modo significativo a questa connessione: codici QR, realtà aumentata, e NFC (Near Field Communication, associata naturalmente al sistema RFID - Radio Frequency IDentification). Per due di queste tecnologie (QR e realtà aumentata) vengono proposti casi di studio esemplificativi, e per tutte e tre sono proposte ipotesi d'uso. Per ciascuna vengono infine forniti pro e contro.

Il capitolo sette guarda all'utilizzo delle tecnologie mobili nell'insegnamento, ampliando la discussione già iniziata nel capitolo quattro. La trattazione si apre con la tipica situazione in cui ci si aspetta che gli studenti spengano il proprio telefono: l'inizio di una lezione. L'autore propone diverse modalità per coinvolgere gli studenti attraverso l'uso di dispositivi mobili invece che imponendo loro di spegnere uno strumento di potenziale utilità nell'acquisizione di nuove conoscenze. In questo capitolo in particolare Walsh promuove un cambiamento radicale nell'attitudine all'uso delle tecnologie per migliorare l'esperienza di apprendimento, con esempi a supporto di questa tesi. Il resto del capitolo esamina una serie di modalità in cui le tecnologie mobili possono essere utilizzate (SMS, sondaggi, registrazione di attività, cacce al tesoro in biblioteca, e altro ancora).
L'uso di e-book con le tecnologie mobili è trattato nel capitolo otto, a partire dalla questione dei diversi formati di e-book per passare alle licenze e a un caso di studio in cui si esaminano i bisogni formativi dello staff e la fornitura di e-book in una biblioteca australiana. Il resto del capitolo, in cui l'autore riesce a rimanere imparziale nonostante i numerosi dibattiti in corso, informa il lettore su fatti concreti e basilari riguardanti ad esempio il prestito di e-book su dispositivi mobili, a cui molte biblioteche sono sicuramente interessate.
Il manuale di Walsh è sicuramente un buon punto di partenza per chi fosse interessato a saperne di più sui servizi mobile in biblioteca, per promuoverne di nuovi presso la sua istituzione o per semplice curiosità. Le idee espresse sono chiare, concise e supportate da esempi pratici offerti dai casi di studio. Ciascun capitolo è corredato da una bibliografia specifica, sicuramente utile per chi volesse approfondire i singoli argomenti trattati nel testo, particolarità comune a tutti i libri di questo editore.

Ilaria Fava
Roma


Building and managing e-book collections: a how to do manual for librarians, edited by Richard Kaplan. London: Facet, 2012. XV, 197 p. ISBN 978-1-85604-837-8. £ 49,95.

Questo manuale, solidamente strutturato e di taglio pratico, è suddiviso in tre parti.
La prima tratteggia lo sfondo, delineando come l'industria editoriale e le biblioteche hanno sviluppato il loro approccio all'ebook; la seconda parte è strutturata rielaborando, nello scenario digitale, i "fondamentali" dell'iter del libro (selezione, acquisto, catalogazione, validazione delle raccolte); la terza parte infine contiene degli studi di caso.
Ma non si farebbe giustizia a quest'opera relegandola ad un mero calco dei manuali più classici dedicati all'iter del libro: il testo che recensiamo elabora infatti la novità rappresentata dall'ebook e la sua complessità gestionale, affrontando temi come la dicotomia accesso/possesso, le licenze, i modelli di pricing.
In ambito editoriale l'ebook è accompagnato da significativi fenomeni di fusione e accorpamento, fino alla creazione di aziende multinazionali quotate in borsa. Pubblicare libri digitali sancisce il passaggio da un'editoria "solida" ad una "liquida" stravolgendo uno status quo secolare.
In ambito biblioteconomico ci sembra utile la parte relativa alla sostenibilità delle collezioni di ebook in cui vengono analizzati i modelli di acquisto.
Egualmente vengono approfondite le modalità con le quali la biblioteca annette i libri digitali alle proprie collezioni: il tema è quello dell'accesso (leasing) verso il possesso perpetuo. Sebbene in prima battuta il modello "abbonamento" appaia molto più conveniente, il lungo periodo sembra invece premiare il possesso perpetuo.
La parte dedicata alla descrizione dei dispositivi ci è sembrata invece qua e là incompleta: descrivere i modelli in commercio non basta, se manca un'analisi delle tendenze in atto, che vedono gli smartphone e i tablet superare nettamente gli ereader come dispostivi di lettura.
Invece, la parte più esauriente e accurata riguarda le licenze: si osserva giustamente che non è un tema nuovo per i bibliotecari (vale la pena ricordare che ormai da 20 anni si gestiscono risorse elettroniche), ma il manuale fa emergere aspetti che peculiarmente riguardano gli ebook, e nello specifico: la scelta della piattaforma di accesso (editore/aggregatore) e i modelli di accesso.
Per quanto concerne i modelli di accesso all'ebook sono prese in esame le modalità single user (un solo utente alla volta accede al libro, in perfetta mimesi con le modalità di prestito cartaceo), multiple simultaneous user (più utenti simultanei possono accedere allo stesso libro) e nonlinear lending (illimitati accessi simultanei).

Questi modelli non vanno confusi con un altro aspetto disciplinato dalle licenze che riguarda invece le modalità di acquisizione e selezione delle collezioni: big deal (i cui vantaggi e svantaggi vengono accuratamente soppesati); PDA (patron driven acquisition: l'utente sceglie i libri della collezione, la biblioteca autorizza la spesa); pay per view, accesso perpetuo. Tutti questi modelli possono essere tra loro ibridati, e uscirne con le idee chiare non è semplice.
Questo libro aiuta, e ci sembra questo il suo maggior pregio.
Altri temi molto delicati che riguardano le licenze sono il prestito interbibliotecario degli ebook e la possibilità di includere tutto (o in parte) il libro in piattaforme didattiche online. Il manuale non ne parla, ma l'emergere dei MOOC (Massive open online courses, corsi gratuiti e aperti disponibili in rete) in ambito accademico rende particolarmente attuale il tema della disponibilità dei testi elettronici, o parti di essi, per fini didattici.
Anche il tema della conservazione perpetua in piattaforme fornite da terze parti (ci si riferisce a iniziative come LOCKSS, CLOCKSS o Portico) riguarda ciò che può essere negoziato nelle licenze.
Catalogare o non catalogare gli ebook? Un lungo capitolo affronta questo tema in modo pragmatico, sottolineando il costo e le difficoltà di questa operazione, specialmente qualora il proprio ILS non preveda inserimenti massivi di record in batch. Gli autori non forniscono risposte definitive al quesito, ma si soffermano sui pro e i contro, suggerendo di valutare "i costi di oggi e i benefici di domani".
La dimensione piuttosto grande della pagina (20x28 cm) consente l'inserzione di riquadri, mappe, schemi e digressioni che fanno da contrappunto al testo, c'è un accurato indice analitico.
È utile questo libro per i bibliotecari? Per coloro che vogliono districarsi tra licenze, modalità di acquisizione e modalità di fruizione degli ebook attraverso tassonomie chiare il libro è utile, perché è un testo "aperto" che non offre soluzioni a priori o sofisticate analisi di scenario, ma fornisce informazioni orientate all'operatività e felicemente organizzate.

Laura Testoni
Università di Genova, Biblioteca di Scuola di Scienze Sociali


Chiara De Vecchis - Paolo Traniello. La proprietà del pensiero: il diritto d'autore dal Settecento a oggi. Roma: Carocci, 2012. 231 p. (Beni culturali; 39). ISBN 978-88-430-6533-2. EUR 20,00.

La proprietà del pensiero è l'eloquente titolo - uscito per Carrocci Editore nel 2012 nella collana «Beni Culturali; 39» - scelto dall'editore per il testo scritto a quattro mani da Chiara De Vecchis e Paolo Traniello. È un testo sul diritto d'autore, di cui si sentiva fortemente la mancanza e, proprio per il suo carattere storico-culturale e pragmatico-evolutivo, risulta un utile strumento di studio e di lavoro. Un bel titolo per un bel libro. Di chi è la proprietà del pensiero, inteso come bene intangibile, frutto della creatività umana? Molte le domande a cui tuttora è difficile dare risposte certe. Un insieme di contenuto che va a colmare una lacuna e che fornisce al lettore e, a quanti si interessano della materia, più chiavi di lettura.
Il testo, che si divide in due parti, si snoda in sette capitoli, oltre alle conclusioni scritte in condivisione. La prima parte, relativa ai capitoli 1-4 la si deve a Paolo Traniello: è focalizzata sulla prospettiva storica e fornisce un'interessante retrospettiva sul diritto d'autore dal Settecento ad oggi. La seconda parte, capitoli 5-7, redatta da Chiara De Vecchis si occupa delle prospettive della contemporaneità in una dimensione internazionale, toccando gli aspetti tecnologici e organizzativi dell'informazione e delle sue forme di tutela nel cyberspazio. Le due parti si integrano in modo armonico e tutto il testo nel suo insieme organico offre una panoramica che percorre tempi e prospettive, tramite un costrutto che sconfina oltre il classico approccio giuridico-istituzionale.
Dai prodromi dei privilegi rinascimentali - istituti presenti nel diritto romano di epoca imperiale e successivamente nel diritto canonico - Traniello ripercorre le tappe di un diritto che poggia su una regolamentazione giuridica, ma che sfocia verso dimensioni altre, economiche, sociali e culturali, passando attraverso gli aspetti di ambito filosofico, prettamente riconducili ai fondamenti teorici di Locke sulla proprietà intellettuale e successivamente ai dibattiti attorno alle teorie di filosofi come Diderot, Condorcet, Kant, Fichte.
Le origini del copyright in Gran Bretagna, correlate alle vicende sulla libertà di stampa e censura governativa - attuata tramite un controllo sulle opere pubblicate operato dalla corporazione dei censori nota come la London Company of Stationers (Corporazione dei Librai di Londra) - sono trattate nel primo capitolo e si legano poi al terzo focalizzato sull'editoria e proprietà intellettuale nell'Italia pre-unitaria

Nel secondo capitolo il dibattito di fine Settecento in Germania sulla norma scaturita a seguito della Rivoluzione Francese conduce il lettore a comprendere il concetto di originalità dell'opera come ancora oggi è intesa entro le norme nazionali di molti Paesi Europei. Dalle corporazioni degli editori e stampatori alla voce degli autori che rivendicavano i loro diritti.
«La più sacra, la più legittima, la più inattaccabile, la più personale di ogni proprietà, è l'opera, frutto del pensiero d'uno scrittore; tuttavia è una proprietà di un genere completamente diverso dalle altre proprietà. Quando un autore ha consegnato la sua opera al pubblico, quando quest'opera è nelle mani di tutti, tutti gli uomini colti la conoscano, si sono impadroniti delle bellezze che contiene e hanno affidato alla loro memoria le sue battute più riuscite, sembra che in quel momento lo scrittore abbia associato il pubblico alla sua proprietà o addirittura gliela abbia trasmessa nella sua interezza» Le Chapelier (1791). Dall'Illuminismo in Europa allo sviluppo industriale dell'Italia dopo l'Unione, la proprietà intellettuale come proprietà del pensiero è vista e interpretata alla luce delle norme dal 1865 a fino alla norma 633 del 1941 dell'era fascista, tuttora vigente.
Da qui, lo sguardo sull'editoria contemporanea si congiunge con la seconda parte del testo, partendo dalla dimensione internazionale della convenzione di Berna e tracciando, nel quinto capitolo i confini della proprietà intesa tra Otto e Novecento. Diritti, eccezioni ai diritti, armonizzazione normativa, fattori economici tra licenze e assetti di mercato, tra tecnologie e nuovi soggetti economici della catena informativa sono trattati nel sesto capitolo. Per gli aspetti correlati al mondo delle biblioteche il settimo capitolo si intreccia con le dinamiche dell'autore nella rete entro la società dell'informazione, sebbene la tematica che concerne il prestito sia trattata come caso nel capitolo cinque, entro la parte relativa alla legislazione europea che ha comportato modifiche alla norma italiana.
In sintesi la molteplicità di forme prospettiche del copyright entro la società dell'informazione a cui siamo approdati nell'era digitale ben si innesta, nel testo, con la parte storica precedente, il cui anello di congiunzione è posto con la nascita dell'editoria moderna.

Antonella De Robbio
Settore Progetti e Biblioteca Digitale del Sistema Bibliotecario di Ateneo