Per il centenario di Angela Vinay: impegno civile, costruzione e attualità dei servizi bibliotecari nazionali (Roma, Biblioteca nazionale centrale, 24 novembre 2022)

Premessa

Nel marzo 2022, Claudio Leombroni mi chiese di organizzare insieme, per l’AIB, un incontro per ricordare Angela Vinay nel centenario della sua nascita. Decidemmo che non avrebbe dovuto avere un carattere solo celebrativo, non sarebbe stato degno di lei e non sarebbe stato facile farlo, per l’ampiezza del suo percorso professionale e l’alto contenuto del suo lascito. Con questo intento coinvolgemmo nell’iniziativa non solo persone che avevano avuto il privilegio di lavorare al suo fianco, come me, Giovanni Solimine e Tommaso Giordano, ma anche coloro che avevano raccolto in modi diversi e per aspetti diversi le linee e i temi della sua eredità professionale e che ne avevano ammirato l’impegno. Questo emerge con chiarezza dagli interventi dello stesso Leombroni, di Simonetta Buttò, Luca Bellingeri, Alberto Petrucciani. I loro contributi qui raccolti sono una delle testimonianze del segno lasciato da Vinay, che possiamo ben definire una protagonista nella storia delle biblioteche italiane del secolo scorso.
Svoltasi a Roma il 24 novembre 2022, in concomitanza con l’assemblea annuale dell’Associazione, l’iniziativa è stata anche l’occasione per ricordare Lalla (Maria Carla) Sotgiu, scomparsa nella primavera 2022, anche lei allieva, collaboratrice e amica di Angela Vinay; per tale motivo uniamo qui il suo ricordo fatto in quella giornata da Madel Crasta. L’incontro, aperto da Vittorio Ponzani, vicepresidente AIB, a cui ha fatto seguito l’omaggio inviato dal direttore generale Passarelli, è stato poi concluso con le parole sentite e affettuose, anche in ricordo di Lalla, della presidente Rosa Maiello. 

Giovanna Mazzola Merola

Angela Vinay e la comunità professionale

Giovanni Solimine

Parlare di Angela Vinay a chi non l’ha conosciuta non è semplice, così come è molto difficile far comprendere a chi non l’ha vissuto personalmente il clima degli anni in cui il suo magistero professionale si è sviluppato, e lo slancio che ha visto accomunati i vertici dell’AIB e delle principali istituzioni bibliotecarie del paese con una nuova generazione di bibliotecari, da poco entrati in carriera e che portavano nel mondo delle biblioteche la spinta di un forte rinnovamento che stava attraversando tutte le componenti della società italiana.
Angela Vinay ha rappresentato la sintesi di tutto questo, conducendo a unità una limpida passione civile e politica, un intenso impegno culturale e per le biblioteche, un’attenzione consapevole per tutte le sfaccettature del lavoro bibliotecario, da quelle più tecniche fino a quelle a forte impatto sul pubblico, un forte senso della comunità professionale e dei doveri che il servizio comporta: nella sua figura questi diversi aspetti hanno trovato un punto di incontro e una capacità di manifestarsi come raramente è accaduto, prima e dopo, nella storia delle nostre biblioteche.
In questa sede, a me tocca riferire qualcosa sul rapporto fra Angela Vinay e l’Associazione italiana biblioteche e sono davvero lieto che mi sia stato affidato questo compito, perché ritengo che la sua militanza nell’associazione professionale ci consenta di conoscere una delle espressioni principali della sua personalità e di cogliere l’anello attraverso il quale si saldarono componenti diverse della sua esperienza.
Per la ricostruzione di questo rapporto ci sono di grande aiuto il volume che l’AIB e l’Istituto centrale per il catalogo unico hanno promosso in occasione del decennale della sua scomparsa, raccogliendo numerose testimonianze di colleghi e collaboratori che le erano stati vicini negli anni più intensi della sua lunga attività professionale, pubblicando anche in appendice scritti e interventi tenuti dalla Vinay in alcune occasioni pubbliche1 e la voce presente nel Dizionario bio-bibliografico dei bibliotecari italiani del XX secolo2. Un rapporto, quello con l’Associazione, che l’accompagna con continuità lungo tutto l’arco della sua attività lavorativa. Entrata in carriera presso la Biblioteca universitaria di Pavia nel 1950, Angela Pietra – così era nota allora, prima di assumere il cognome del marito, secondo l’uso dell’epoca – si iscrive all’AIB nel 1954, e dopo il trasferimento a Roma nel 1956 presso la Biblioteca nazionale centrale, diviene segretaria della sezione Lazio dal 1957 al 1960, e dal 1974 al 1975 vicepresidente della stessa. Il 25 maggio 1975 durante il congresso di Alassio viene eletta presidente nazionale dell’Associazione, incarico che manterrà fino al mese di maggio 1981. Dal 1988 viene proclamata socia d’onore. Dirige il Bollettino d’informazioni, la rivista dell’Associazione, dal 1982 al 1990, anno della sua scomparsa.
Al di là di questa cronologia e della rilevanza degli incarichi ricoperti, il decennio che va dalla metà degli anni Settanta alla metà degli anni Ottanta – periodo in cui quasi per intero la Vinay fu contemporaneamente alla direzione dell’ICCU e alla guida dell’AIB – costituisce forse la stagione più ricca di progettualità e spinte innovative per i servizi di biblioteca del nostro paese: il decentramento regionale e la nascita di un moderno tessuto di biblioteche pubbliche sul territorio, la costituzione del Ministero dei beni culturali, l’avvio del Servizio bibliotecario nazionale, l’ingresso nei ranghi della professione di una nuova generazione di bibliotecari. Nel dispiegarsi di tutti questi processi Angela Vinay fu protagonista assoluta, incarnando lo spirito di quegli anni e vestendo di volta in volta abiti diversi, in relazione alle funzioni ricoperte. Se l’AIB seppe cogliere le spinte di quel vasto movimento e riuscì a dare un contributo decisivo a orientare positivamente gli esiti di quel dibattito, gran parte del merito va ascritto alla Vinay3. Alcuni suoi interventi, pubblicati nel volume sopra citato, ne sono testimonianza e basta ripercorrere i temi affrontati nelle sue relazioni introduttive ai congressi dell’AIB o a iniziative dell’ICCU, per esempio, per constatare come non si trattasse solo di appuntamenti associativi o occasioni di rendicontazione dell’attività istituzionale, ma di tappe importanti di un percorso di progettazione di politiche bibliotecarie e di elaborazione teorica sulle principali tematiche professionali: La Commissione Franceschini e le biblioteche (relazione al 17° congresso dell’AIB del 1967)4, in cui vengono sviluppate alcune riflessioni critiche sul processo che porterà poi all’organizzazione del nuovo Ministero deputato a occuparsi del patrimonio culturale della nazione; Note illustrative al progetto di automazione della gestione e della ricerca documentaria presso la Biblioteca nazionale di Roma (relazione preparata insieme a Mario Piantoni nel 1971 per una commissione ministeriale e che getta le basi delle applicazioni informatiche nelle biblioteche italiane)5; Biblioteche pubbliche e democrazia (sul rapporto fra cittadini e istituzioni culturali e sulla deontologia professionale dei bibliotecari)6. E se ne potrebbero ricordare tanti altri ancora. Segnalo in particolare alcuni interventi in cui cominciano a definirsi i lineamenti e i pilastri che sono alla base del progetto di Servizio bibliotecario nazionale, prima ancora che gli fosse data questa denominazione: il breve articolo su Deposito legale e controllo bibliografico universale, scritto nel 1978 per Il giornale della libreria7; la relazione tenuta a Monza nel 1979 a un convegno sullo sviluppo della cooperazione nei sistemi bibliotecari territoriali, intitolata Problemi di un sistema bibliotecario nazionale8; e il contributo che forse meglio di tutti rappresenta il ruolo esercitato da Angela Vinay nel contesto del dibattito di quegli anni, vale a dire l’intervento tenuto, sempre nel 1979, in qualità di presidente dell’AIB, alla conferenza nazionale delle biblioteche italiane9, in cui ricorda che era stata proprio l’Associazione a proporre all’allora ministro Pedini un convegno che discutesse l’assetto della rete delle strutture e dei servizi bibliotecari del paese, dopo i provvedimenti attuativi del decentramento regionale previsto dalla Costituzione repubblicana, rivendicando la «chiara posizione regionalista e insieme unitaria» assunta dall’AIB. Qualche anno dopo, in occasioni di natura istituzionale volute da regioni aderenti a SBN o da altre realtà locali10 o per fare il bilancio di un decennio di attività dell’ICCU11, Vinay discuterà lo stato d’avanzamento del progetto e le modifiche che via via erano state apportate al disegno originario.
Parallelamente, da presidente Vinay lavorò molto per innovare profondamente la struttura dell’AIB, per democratizzarne la vita interna e per adeguare l’Associazione alle sfide di quegli anni: questo obiettivo emerge chiaramente dalla relazione tenuta nel 1976 al 26° congresso12 e dalla sua partecipazione ad altri momenti della vita associativa. Una strategia che viene esplicitata fin dalle prime uscite pubbliche della Vinay: «Il dibattito che ad Alassio ha preceduto le votazioni ha focalizzato un’esigenza di partecipazione. All’interno per una più intensa e produttiva presenza dei soci nella determinazione delle linee di sviluppo dell’AIB, all’esterno nella ricerca di collegamenti con altre istanze culturali al fine di calare le biblioteche nella realtà sociale del paese»13.
Nell’AIB Vinay ebbe l’occasione di incontrare bibliotecari che operavano in condizioni molto diverse, al nord come al sud, nelle metropoli e nei più isolati comuni montani, in biblioteche civiche di tradizione o in piccoli presidi culturali di base, in biblioteche universitarie, in importanti accademie, in istituti pubblici di ricerca o in strutture a matrice religiosa e di arricchire così la sua conoscenza profonda del variegato e policentrico panorama bibliotecario italiano. Senza il contributo di tutte le biblioteche e di tutti i bibliotecari non sarebbe mai nato un vero sistema delle biblioteche italiane. Scaturì anche da questi incontri la possibilità di immaginare una rete nazionale eterogenea, aperta alla collaborazione di tutte le tipologie bibliotecarie, molto poco ‘ministeriale’, la sola via attraverso cui cercare di portare a sistema un insieme frammentato di collezioni e servizi, sottoposti a competenze amministrative e regolamentazioni spesso contraddittorie, e che però costituiva l’eredità peculiare della nostra storia culturale. L’obiettivo era quello di realizzare un’integrazione organica dei servizi erogati da migliaia di biblioteche che fino a quel momento non avevano dialogato fra loro: oggi sono quasi settemila le biblioteche italiane che hanno adottato il metodo della cooperazione all’interno della rete SBN.
La capacità di lavorare fianco a fianco con gli altri fu il suo stile: nella vita associativa come sul lavoro quotidiano nell’ICCU Angela Vinay non era mai sola, anche se era evidente il suo carisma ed era fuori discussione la leadership da lei esercitata. Era sempre circondata da un folto gruppo di collaboratori, quasi sempre molto più giovani di lei, che valorizzava al massimo, responsabilizzandoli e guidandoli in modo fermo ma discreto. Gli anni Settanta hanno visto un forte ricambio generazionale negli organici delle biblioteche – grazie alla nascita del Ministero, allo slancio nel settore delle biblioteche di base dopo il trasferimento delle competenze dallo Stato alle regioni a statuto ordinario, al rinnovamento dei servizi bibliotecari nelle università – e in quel gruppo Vinay ha fatto un efficacissimo lavoro di scouting, andando alla scoperta delle persone più adatte da inserire nella propria squadra. Si determinava così un’atmosfera particolare, anche perché molti di quei giovani bibliotecari, che spesso portavano nella professione lo slancio derivante dalle esperienze politiche maturate durante gli studi superiori e universitari, condividevano con lei una forte passione civile. Di quei bibliotecari la Vinay è stata mentore e un po’ anche madre, formandoli e aiutandoli a crescere.
Un’ultima cosa, vorrei sottolineare – credo di poterlo fare per esperienza personale – e riguarda un tratto del suo carattere. Angela Vinay era persona molto rigorosa, ma non rigida. Un rigore che le veniva da un’austera educazione familiare, dalla partecipazione alla Guerra di liberazione come staffetta partigiana, e poi anche dal matrimonio con Gustavo Vinay, illustre medievista. Un rigore che incuteva rispetto e a volte timore. Ma era anche persona di grande umanità, capace – quando occorreva – di abbandonare le forme imposte dalla gerarchia. Con la sua forte personalità era un punto di riferimento e un coagulo, capace di motivare e tenere unito il gruppo dei suoi collaboratori, trasmettendo le sue idealità e condividendo la visione prospettica di cui era capace. Grazie al suo esempio e nel suo ricordo quel gruppo è rimasto unito negli anni: molte di quelle persone sono qui oggi, non solo per celebrare il centenario della sua nascita ma nel tentativo di trasmettere a chi partecipa a questo incontro non la nostalgia o il rimpianto per la sua perdita, ma la passione che Angela Vinay era capace di mettere in tutte le cose che faceva.

GIOVANNI SOLIMINE, Sapienza Università di Roma, e-mail: giovanni.solimine@uniroma1.it.


L’impegno civile di una ‘speciale’ bibliotecaria

Giovanna Mazzola Merola

Ho titolato il mio intervento ‘l’impegno civile’ perché ritengo che l’attività professionale di Angela Vinay sia da leggere seguendo il filo del suo impegno civile, di un servitore dello stato quale Vinay era. Un impegno che poggia le basi nella sua biografia: Angela è cresciuta in un ambiente familiare nel quale era diffusa una moralità un po’ severa, quello di una grande famiglia lombarda di orientamento cattolico – la famiglia Pietra, la cui casa era a Castell’Arquato, in provincia di Piacenza, da dove il padre per lavoro doveva spostarsi e lo faceva con tutta la famiglia – ; si è impegnata, durante la guerra, come staffetta partigiana e nel dopoguerra nel gruppo dei cattolici comunisti, con Felice Balbo e Franco Rodano, e sempre seguendo una precisa scelta politica, è stata presente e attiva sia nella CGIL sia nell’affiancare, a volte anche criticamente, il PCI.
A mio parere sono tre i momenti in cui si coglie appieno l’impronta civile, democratica e per alcuni aspetti caratterizzata da una vera e propria etica professionale, del lavoro di Vinay. Il primo è quello della scelta della professione: ho raccontato anche in un’altra occasione che, quando dovette scegliere l’ambito nel quale intendeva lavorare, la sua decisione fu quella di fare la bibliotecaria, rinunciando all’assistentato universitario e all’insegnamento, gli altri concorsi nei quali aveva vinto negli stessi anni un posto di ruolo; sarei tentata di dire evidentemente, perché nella professione di bibliotecaria le sarà apparso potersi unire un impegno di segno civile e di cultura della democrazia con un’attività dai risultati concreti. La sua carriera professionale inizia a Pavia – dove incontra e sposa nel 1955 Gustavo Vinay, allora direttore della Biblioteca universitaria, poi docente di storia medievale alla Sapienza – e successivamente si svolge a Roma alla Biblioteca nazionale centrale, poi all’Alessandrina e infine all’ICCU.
Per Angela Vinay le tematiche relative alla gestione della biblioteca erano uno degli aspetti della professione ai quali dedicare importanza e attenzione, da approfondire sia teoricamente che con la sperimentazione, per raggiungere l’obiettivo di migliorare il servizio ai lettori e lo scrive chiaramente: «Non è una mentalità del genere – conservare, conservare soprattutto, isolare – che oggi ci serve per uscire dai nostri guai». 
Forte dell’esperienza nella gestione di una grande istituzione come la Biblioteca nazionale centrale di Roma, di cui intorno agli anni Settanta era diventata vicedirettore, Vinay, anche cogliendo l’occasione del trasferimento alla nuova sede, aveva portato avanti nella biblioteca una innovativa sperimentazione, all’insegna dell’evoluzione dei servizi, dei sistemi e delle procedure della gestione, ponendo grande cura all’organizzazione, dai magazzini, agli uffici, ai servizi al pubblico. Io stessa ricordo come una delle prime sezioni della biblioteca che fece conoscere ai giovani bibliotecari di prima nomina – fra cui anche io – fu appunto il funzionamento dei magazzini, mandandoci per alcuni giorni a lavorare fra le scaffalature del mezzanino del Collegio romano.
Per collegarmi al tema di questo incontro desidero ricordare i vari aspetti dell’attenzione di Vinay ai servizi nazionali, cioè come è noto, a quell’insieme di attività e di servizi che costituiscono il fondamento su cui poggia il sistema delle biblioteche di un paese, uno dei segni con cui si caratterizza il suo livello di democrazia e civiltà, e insieme il suo biglietto di presentazione a livello internazionale.
Per quanto appena detto collocherei nel 1975 il secondo momento in cui si evidenzia l’impegno civile di Angela e insieme si concreta la scelta di dedicare la propria professionalità al miglioramento dei servizi nazionali. Viene istituito in quell’anno il nuovo Ministero per i beni culturali e Vinay, che aveva rifiutato l’incarico di direttore generale delle biblioteche offertole da Spadolini, ministro – quasi padre – del neonato Ministero, volle prendere la responsabilità di accettare invece la direzione dell’ICCU: la sfida era quella di trasformare il Centro nazionale del catalogo unico, una languente struttura sempre in ritardo sul programma di lavoro e i cui i modesti risultati lasciavano molte perplessità sulla sua utilità, per dare vita a nuovi progetti basati su scelte innovative di politica bibliotecaria. Come scrive Carmela Perretta sinteticamente ma cogliendo il nucleo dei problemi: «Fu essenziale l’aver capito che occorreva trovare sul terreno dell’organizzazione dei servizi a livello nazionale la ricomposizione dei ruoli e delle competenze, favorendo e suscitando interventi la cui qualità contribuì alla crescita dei bibliotecari italiani»14.
Una chiara visione della qualità dei servizi di biblioteca degli anni Settanta, in un paese come il nostro che com’è noto non aveva avuto un sistema bibliotecario fortemente accentrato come in Francia e Gran Bretagna, ci viene offerta dalle stesse parole di Vinay che vorrei proporvi e che dimostra come fin dal 1977 l’attenzione ai problemi dei servizi nazionali e alla costruzione di un sistema bibliotecario costituisse il punto centrale del suo impegno e della sua attività. In quell’anno diceva:

Quando parliamo di mancanza di sistema bibliotecario, che cosa vogliamo intendere? In parole povere intendiamo che in Italia, a differenza di quanto avviene nella gran parte dei paesi europei, se vogliamo rintracciare un libro o una rivista che non figurino nei limitatissimi e mai aggiornati repertori, dobbiamo ancora ricorrere all’arcaica procedura di spedire per posta una richiesta ad un numero x di biblioteche senza essere per lo più in grado di immaginare in precedenza se la nostra scelta è pertinente oppure no; senza sapere se l’accertata presenza del periodico o del libro in una sede è garanzia di poterne disporre, vista la varietà di regolamenti che governano l’uso del prestito e la discrezionalità riconosciuta al funzionario preposto al servizio, l’esistenza, la qualità e il costo di un servizio fotografico o di fotocopia e la sua presumibile sconcertante lentezza. Non vi è per il cittadino nessuna certezza che il suo diritto al libro sia reale e non piuttosto governato dal caso o dal capriccio.

E concludeva, riferendosi soprattutto alla dispersione dei patrimoni bibliografici italiani, frutto della storia politica preunitaria del nostro paese: «Questo ci porta a dover accettare il fatto che un singolo istituto non può soddisfare con le proprie risorse la necessità della sua utenza e che sempre più occorre considerare il servizio bibliotecario in termini di cooperazione e di partecipazione»15.
È facile notare come in queste considerazioni sono già presenti tutti i presupposti, i contenuti e gli obiettivi che costituiranno l’ossatura del progetto per SBN.
Ma prima di parlare di SBN, permettetemi però di citare rapidamente le principali iniziative intraprese da Vinay al lavoro nell’ICCU, con la sua lungimiranza, la sua autorevolezza, utilizzando anche, quando necessario, le sue doti diplomatiche.
È sua la coraggiosa decisione di interrompere il Catalogo collettivo a stampa avviando invece nuove operazioni di censimento nelle quali furono coinvolte le biblioteche italiane indipendentemente dall’appartenenza amministrativa, iniziative che hanno prodotto nel tempo censimenti e cataloghi collettivi – oggi inseriti in SBN – articolati per tipologie e per periodi temporali, dalle opere del Cinquecento ai manoscritti, seguendo il filo conduttore di un approccio integrato e strategico che superasse la frammentazione di parziali interventi sulle biblioteche.
Sul tema del deposito obbligatorio delle pubblicazioni si deve un lungo lavoro a Vinay, e insieme a lei e dopo di lei ad Anna Maria Mandillo. Vinay riuscì a portare all’attenzione dei politici l’esigenza di rivedere la legge del 1939; successivamente poi l’instancabile, tenace e paziente impegno di Anna Maria Mandillo portò, solo nel 2004, all’approvazione di una nuova legge, successivamente accompagnata da regolamenti attuativi.
Sulla catalogazione Vinay, già impegnata nella commissione che aveva prodotto il codice RICA, si attivò per promuoverne l’applicazione e sollecitare nei bibliotecari una reale presa di coscienza del nuovo codice: organizzò a tal fine un importante seminario e pubblicò un manuale di esempi, il Quaderno RICA, che è stato a lungo sul tavolo dei catalogatori italiani.
Vinay sostenne tali iniziative anche con la consultazione di esperti sia italiani che di altri paesi, consultazione che si svolse istituendo commissioni di studio e organizzando convegni pubblici: l’ICCU diventò così un referente sia a livello nazionale sia a quello internazionale, come è ancora oggi.
Ma veniamo ora a quello che vorrei chiamare il terzo momento del suo impegno civile per i servizi nazionali, quello che riassume esperienze maturate, riflessioni, progetti: la realizzazione di SBN. Voglio partire a questo proposito dalla bella definizione di Luigi Crocetti che scrisse che SBN era «un progetto di ricomposizione del disegno complessivo della realtà bibliotecaria italiana».
Verso la fine degli anni Settanta, per superare i problemi su cui si ragionava da tempo, e che Vinay aveva identificato pubblicamente in più occasioni a partire dalla conferenza del 1979, anche per la delusione causata dalla scarsezza di attenzione alle biblioteche nella Commissione Franceschini, Angela comprese la necessità di individuare e portare avanti una iniziativa che, facendo leva sulle funzioni di indirizzo e coordinamento affidate alle istituzioni nazionali, proponesse un modello operativo unificante, che avrebbe permesso di riorganizzare i servizi, superando sul piano concreto rivalità e tematiche che si trascinavano avanti da anni, e vi si impegnò con tutte le sue energie e la sua competenza, anche tenendo conto che, in quegli anni, l’uso di strumenti informatici aveva iniziato a diffondersi nelle biblioteche e rischiava di proliferare in modo disordinato, lasciando in piedi antiche separazioni e creando nuove divisioni.
Vinay si rese conto anche che con il nuovo Ministero i servizi nazionali avrebbero avuto un ulteriore slancio e nuove possibilità; comprese che occorreva cercare – e riuscì a trovare – le necessarie alleanze: l’attenzione del Ministero, quella delle regioni prima, quelle del mondo universitario subito dopo. Aveva apprezzato il sistema dalle caratteristiche innovative studiato da Michel Boisset per l’Istituto universitario europeo, che utilizzava le tecnologie per creare un progetto organizzativo per la biblioteca; conosceva l’esperienza di una cooperazione a livello regionale quale era stato in Toscana il progetto Snadoc; quindi chiese e ottenne la costituzione di una commissione ad hoc, dalla quale furono definiti i principi cardine della proposta organizzativa di SBN. Filo conduttore era la cooperazione, le biblioteche venivano a configurarsi con il nuovo termine di unità di servizio.
In quel felice contesto – perché tale lo ritengo e lo è stato per me – è importante ricordare il ruolo di sostegno e di affiancamento svolto dall’AIB, della quale fino al 1981 Vinay è presidente. A SBN l’Associazione, durante la presidenza Crocetti, dedica uno dei suoi più riusciti convegni, quello di Taormina del 1982.
Alcuni anni dopo Vinay descriveva così questa fase: «era tanta la voglia di uscire dall’angustia dei dibattiti sulla distinzione dei ruoli tra biblioteche dello stato, dell’ente locale e dell’università che la proposta del SBN trovò un largo consenso. Ad accrescerle fascino era la natura informatica della soluzione tecnica che si prospettava». 
E vennero poi nel corso degli anni anche il riconoscimento legislativo, la firma dei protocolli d’intesa e la concessione di risorse finanziarie. Nel mondo dei bibliotecari, inoltre, questi anni segnarono la crescita della cultura professionale, l’abitudine al confronto e all’uso degli standard e di nuovi strumenti – non solo per la catalogazione ma per fare evolvere la gestione –, l’importanza della qualità dei servizi al pubblico, superando egoismi e tendenze autonomistiche.
Nel convegno organizzato nel 1986 per onorare i dieci anni di attività dell’ICCU, Vinay concludeva il suo intervento di apertura con queste parole, giustamente orgogliosa del lavoro svolto: «Possiamo riconoscere, senza iattanza, che abbiamo evitato sia il pericolo della separatezza sia la tentazione della sovrapposizione per offrirci come un’impresa per la quale vale la pena di impegnare le nostre e le altrui energie professionali»16.
Per quanto attiene SBN voglio infine rimarcare ancora una volta il ruolo di volano che questo progetto ha continuato a costituire nel tempo: senza il catalogo formatosi con il lavoro dei bibliotecari in SBN, e i servizi che ne sono scaturiti, i progetti di ricerca, di raccolta di dati e immagini, di accessibilità realizzati dall’ICCU e dall’insieme delle biblioteche italiane non sarebbero stati possibili. Oggi senza le informazioni raccolte in SBN neanche il progetto per il PNRR avrebbe appeal, ma sarebbe una bella scatola vuota di contenuti rilevanti, anche sul piano numerico.
Eppure. nonostante questa febbrile attività, non hanno mai perso di qualità i rapporti umani di Vinay con le persone con cui lavorava, con i colleghi, con i collaboratori a qualsiasi livello; con tutti aveva un rapporto fatto di grandissima umanità, ma che escludeva un più comodo permissivismo, che era cordiale e attento anche agli eventi personali, che sapeva dare sicurezza. La porta della sua stanza era sempre aperta e lavorava con tutti, senza bisogno di far pesare il rapporto gerarchico – ma era sufficiente un suo sguardo severo per capire che avevi sbagliato – e sapeva creare un forte spirito di coesione fra le persone e suscitare le loro energie, creando legami rimasti solidi nel tempo.
Permettetemi infine di concludere con un ricordo personale. Forse qualcuno avrà notato lo sfondo della locandina preparata per questa giornata: si tratta del retro di una fotografia scattata nell’agosto 1985, che Lalla Sotgiu – al cui ricordo dedico con affetto questo intervento – aveva voluto farsi firmare dai partecipanti all’incontro per SBN, organizzato da Michel Boisset nella sua casa di campagna, nel Beaujolais. In quelle giornate si discusse di SBN, animatamente, ma con lo spirito di professionalità, rispetto reciproco e solidarietà che caratterizzava i rapporti fra le persone di questo gruppo, generando un clima di lavoro piacevole e sereno.

GIOVANNA MAZZOLA MEROLA, già Istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche, Roma, e-mail: giovanna.mazzola@fastwebnet.it.


Angela Vinay e la ricomposizione del quadro istituzionale delle biblioteche italiane

Claudio Leombroni

Il sogno del sistema bibliotecario nazionale

Ormai più di venti anni fa, prima di licenziare il saggio su SBN per la Storia delle biblioteche italiane di Paolo Traniello17, chiesi a Nazzareno Pisauri un parere sul testo che avevo scritto. Pisauri, che stava per concludere la sua lunga carriera di bibliotecario e, da ultimo, di indimenticabile direttore dell’Istituto per i beni artistici, naturali e culturali della Regione Emilia-Romagna, mi restituì il testo, impregnato dell’odore acre delle tante sigarette che fumava, senza rilievi; mi disse solo di sottolineare il ruolo politico di Angela Vinay, perché, a suo avviso, proprio grazie alla sua abilità politica SBN era nato. Un giudizio simile, pronunciato da un fiero difensore dell’autonomia regionale, era sicuramente un grande riconoscimento e soprattutto una traccia di ricerca meritevole di approfondimento. Di seguito approfondirò quindi il ruolo svolto da Vinay nella costruzione delle politiche bibliotecarie e la sua capacità di policy making, con l’avvertenza che si tratta di un ruolo, esercitato nel contempo da direttore dell’ICCU, da presidente dell’AIB e presidente del Comitato di settore, oggi difficilmente agibile per un dirigente pubblico.
L’azione politica di Angela Vinay che qui ci interessa inizia nei ‘lunghi’ anni Settanta; un decennio, a un tempo, straordinariamente importante e straordinariamente controverso, caratterizzato non solo dalla violenza e dal terrorismo o dall’inizio della formazione del debito pubblico, ma anche da grandi speranze, da grandi riforme, da uno straordinario anelito di partecipazione e di cittadinanza, da cambiamenti politici, sociali, culturali ed economici di ampia portata il cui fallimento ha orientato la fine del nostro Novecento e in buona misura il modello di società (e di biblioteche?) di cui oggi siamo testimoni18. È però l’istituzione, in successione, delle regioni e del Ministero per i beni culturali e ambientali19 a svolgere un ruolo centrale nell’azione politica di Vinay. Regioni e Ministero rappresentarono per lei e per la professione, come dirà negli ultimi anni della sua vita, le due grandi utopie bibliotecarie degli anni Settanta.
L’istituzione delle regioni a statuto ordinario, come è noto, avvenne con la legge 16 maggio 1970, n. 281 e con il relativo regolamento di attuazione, il d.p.r. 15 gennaio 1972, n. 8, unitamente a una serie di decreti delegati riguardanti il trasferimento delle specifiche materie. Il trasferimento effettivo fu tuttavia più lungo e controverso20 e si chiuse, apparentemente, col secondo trasferimento di competenze stabilito dal d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616 (in attuazione della legge di delega 22 luglio 1975. n. 382). Il processo di trasferimento comportò anche il passaggio degli uffici delle Soprintendenze ai beni librari alle regioni a statuto ordinario nel cui territorio avevano sede. Le funzioni di vigilanza e tutela già svolte dalle soprintendenze stesse vennero considerate come ‘funzioni residue’ della competenza statale e delegate alle regioni.
Il completamento del decentramento amministrativo avverrà in realtà circa trent’anni dopo, con la cosiddetta terza fase che si dispiega nel biennio 1997-1998, a testimonianza che il vero problema della costituzione delle regioni a statuto ordinario era in realtà che la loro introduzione apriva il problema politico, istituzionale e strutturale del centro21. Angela Vinay conobbe le prime due fasi del decentramento e fu regionalista. Lo fu, credo, come militante nell’area cattolica di un partito, il Partito comunista, che era impegnato in prima fila nella battaglia per l’istituzione delle regioni. Per il PCI l’istituzione delle regioni non coincideva con una azione di razionalizzazione burocratica; significava piuttosto «affermare nei fatti un nuovo modo di governo e di attività politica, fondato sulla partecipazione e sull’autogoverno», su «un tipo statuale nuovo, finalizzato a realizzare un metodo democratico […] stimolatore della partecipazione popolare alla direzione pubblica non solo attraverso il voto e gli istituti di democrazia partecipativa»22.
Vinay fu però regionalista anche come bibliotecaria e militante dell’AIB, come lo fu gran parte della sua generazione e come lo fu l’Associazione. Si trattava di un regionalismo che però non impediva di denunciare, quando necessario, le inadempienze delle regioni nello svolgimento delle funzioni trasferite. Un ‘regionalismo senza dogmi’, perché come disse Renato Pagetti (1919-1979) nella sua relazione al congresso di Foggia-Pugnochiuso l’AIB «è libera, e ormai disincantata, senza complessi di sorta»23 e perché, come puntualizzò Vinay al congresso di Firenze del 1981, ripercorrendo con straordinaria lucidità i primi cinquant’anni di storia dell’AIB, la scelta regionalista fu per l’Associazione una scelta di politica bibliotecaria fatta assai prima della costituzione delle regioni24. Tale scelta risaliva infatti al 14° congresso (Sorrento, 1962) dove Renato Pagetti evocò per la prima volta la prospettiva regionale che si sarebbe concretata dieci anni dopo25. Successivamente, al congresso di Perugia del 1971, alla vigilia della prima legislatura regionale, l’Associazione definì «per la prima volta e in maniera organica» i profili di una politica per le biblioteche in Italia sostanzialmente coincidente con l’obiettivo di istituire e organizzare un sistema bibliotecario nazionale26. L’anno dopo, al congresso di Maratea, Pagetti ribadì che l’AIB difendeva nella sua integrità la riforma regionale «dopo averla a lungo auspicata» e che il documento presentato a Perugia costituiva la premessa «per la formulazione della legge generale delle biblioteche, che il nuovo Parlamento dovrà al più presto affrontare»27.
Per Vinay la proposta AIB consisteva in un rovesciamento delle competenze dello Stato, in una riduzione al minimo delle sue funzioni di gestione diretta mediante la cessione di molte biblioteche statali, a seconda dei casi, alle regioni e alle università o con l’unificazione di altre. Alla base di questa proposta vi era la convinzione che un servizio che deve raggiungere capillarmente tutti i cittadini non può essere di competenza dello Stato, ma del comune; e se le dimensioni del comune impediscono la presenza della biblioteca, tale lacuna deve essere colmata da servizi bibliotecari imperniati su sistemi comprensoriali sostenuti da province, regioni e, attraverso quest’ultime, dallo Stato28. Fu però Emanuele Casamassima il critico più severo e radicale dell’assetto statale coevo e al tempo stesso il più convinto assertore della necessità del decentramento di competenze alle autonomie locali e Vinay lo citò letteralmente in un suo intervento del 1988 presso la Nazionale di Firenze a proposito delle regioni29.
Casamassima era il più rigoroso sostenitore di una ristrutturazione dell’organizzazione bibliotecaria sulla base di una coerente politica di decentramento e riqualificazione dell’intervento statale, opportunamente sottratto a compiti di gestione diretta delle biblioteche e circoscritto ad alcune biblioteche e istituti di rilevanza autenticamente nazionale. Con questi convincimenti collaborò con la Regione Toscana nella definizione della posizione regionale, su basi fortemente autonomiste, nei confronti del decreto delegato riguardante il trasferimento di competenze in tema di biblioteche e nella formulazione della proposta di legge regionale30. La posizione di Casamassima era consentanea con le posizioni dell’AIB emerse sin dal congresso perugino del 1971, ma con un importante distinguo che vedremo fra breve.
Il Ministero per i beni culturali e ambientali, dal canto suo, fu istituito con d.l. 14 dicembre 1974, n. 657 poi convertito nella l. 29 gennaio 1975, n. 5. Anche in questo caso l’istituzione fu preceduta da lunghe discussioni. Il motivo fu la proposta di istituzione, avanzata una decina di anni prima dalla Commissione Franceschini, di una «amministrazione autonoma dei Beni culturali» (Dichiarazione 62) con la quale la Commissione intese «uscire esplicitamente e definitivamente sia dalle pastoie inceppanti di diverse burocrazie, sia dalla asfittica oppressione delle comuni norme contabili, quanto mai inadeguate agli alti compiti e alle conseguenti gravi responsabilità che si debbono modernamente assumere»31. Tale proposta non ebbe un seguito a causa di resistenze non solo interne agli apparati ministeriali, ma anche per l’opposizione di segmenti significativi delle discipline di settore e delle associazioni di settore. Commentando quelle vicende Massimo Severo Giannini evidenziò l’alleanza trasversale fra «tardigradi» che popolavano i palazzi ministeriali, organismi culturali vari e «velocisti incompetenti» che produsse l’insabbiamento del progetto e la sconfitta, almeno momentanea, dei beni culturali32. La forma ministeriale fu tenacemente propugnata da Giovanni Spadolini in nome, secondo la bella espressione di Maltese, «di una civile gestione partecipata dei beni culturali»33. Spadolini immaginava un Ministero «per e non dei beni culturali», che, in quanto tale, dovesse essere una struttura di servizio – non un’amministrazione gerarchica – orientata da un modello di gestione in base al quale allo Stato spettava garantire unità di indirizzi anche tramite propri servizi periferici sul territorio, adattati a un contesto e a una dimensione regionali, e alle autonomie locali era lasciata l’amministrazione diretta dei rispettivi beni. Insomma, come scrisse il nuovo ministro, era auspicabile «una politica che fissi dal centro taluni punti fermi − unità della tutela, del restauro, del catalogo, della patologia del libro o del documento − e lasci poi alle regioni funzioni di promozione e di integrazione costanti, nel nesso essenziale fra monumento e territorio, fra testimonianze storiche e ambiente»34.
In realtà le cose andarono diversamente: il Ministero nel suo concreto operare divenne necessariamente gerarchico35 e le funzioni amministrative finirono per prevalere sulle attività scientifiche e culturali, così come il personale amministrativo su quello tecnico. Da questo punto di vista il d.p.r. 3 dicembre 1975, n. 805 che disciplinava l’organizzazione del neonato Ministero era esemplare, perché qualificava le biblioteche come «organi periferici» del Ministero (art. 10)36.
Tuttavia, fu l’art. 15 del d.p.r. n. 805 il più richiamato negli interventi di Angela Vinay di quegli anni e in un convegno che si svolse a Milano nel 1977 ne spiegò chiaramente le ragioni: lo Stato – disse – «intende svolgere i compiti che generalmente vengono o si auspica che vengono attribuiti alla biblioteca nazionale attraverso un sistema triangolare: le due biblioteche centrali e l’Istituto centrale per il catalogo»37. I compiti in questione riguardavano nel loro complesso il servizio bibliografico nazionale. Il testo dell’articolo – cui non è estranea Vinay stessa – ritagliava per l’ICCU un ruolo di collegamento fra le regioni e il versante statale in virtù della natura stessa dei compiti ad esso attribuiti. Conseguentemente Vinay poteva presentare come definito il ruolo dell’Istituto anche indipendentemente dalla emanazione o meno del decreto richiamato nello stesso art. 15 che doveva disciplinare i rapporti fra le componenti del «sistema triangolare».
Sul finire del 1975 le componenti necessarie per l’attivazione del sistema bibliotecario nazionale erano quindi disponibili: le regioni erano state istituite e il processo di decentramento avviato, il Ministero era stato istituito ed era stato individuato un «sistema triangolare» necessario al servizio bibliografico nazionale con un ruolo speciale dell’ICCU, che dal 1° luglio 1976 e per i successivi dieci anni sarà diretto da Angela Vinay. Il sistema bibliotecario in questione era quello che Alberto Guarino, vicepresidente del consiglio direttivo uscente, aveva illustrato al congresso di Alassio. Un sistema basato su un «decentramento funzionale ed organico, cioè di tutta la materia» in modo che Stato e regione, ciascuno per il proprio livello, potessero esercitare le funzioni di coordinamento e controllo, senza dispersioni di competenze e con concentrazione non delle attività di gestione, demandate alle comunità interessate, ma delle funzioni di indirizzo, rispettivamente, nel Ministero e auspicabilmente in un assessorato alla cultura38. Un Ministero forte, quindi, non gestore, ma con robusti compiti di indirizzo e coordinamento «per assicurare un servizio uniforme e coordinato esteso a tutto il territorio nazionale», di promozione, legislazione, organizzazione dei servizi nazionali centralizzati, con adeguato personale con competenze tecniche e adeguate risorse e anche con poteri sostitutivi; un Ministero «scattante e capace di dare indirizzi di coordinamento, pur limitando la propria attività di intervento diretto ai soli grandi servizi bibliografici nazionali e internazionali»39. Un Ministero così concepito rappresentava

una soluzione intermedia fra quella prospettata dalla Regione Toscana per la riforma dell’Amministrazione dei beni culturali, che si ispira a un regionalismo estremo, e quello ministeriale che, all’estremo opposto, rispecchia la vecchia concezione di un centralismo burocratico contrario ad un effettivo decentramento e ad un pieno sviluppo dell’autonomia locale40.

Una «soluzione intermedia», si badi, cioè la soluzione più realistica per ricomporre gli attori che popolavano l’arena di azione attorno all’obiettivo unitario del sistema bibliotecario nazionale. Una «soluzione intermedia», perché come Vinay disse negli ultimi anni della sua vita, la soluzione del malfunzionamento del sistema bibliotecario italiano non poteva venire «né dal totale decentramento di competenze e strutture alle regioni né dalla regressione ad un centralismo di tipo napoleonico»41. Si trattava di una soluzione simile, per certi aspetti a quella della Regione Emilia-Romagna, che aveva istituito con legge regionale del 26 agosto 1974, n. 46 l’Istituto per i beni artistici, culturali e naturali (IBC) con uno spirito collaborativo e non conflittuale con lo Stato, come si può ricavare nell’incontro organizzato dalla regione con il neoministro per i Beni culturali Giovanni Spadolini svoltosi a Bologna il 15 febbraio 197542. D’altre parte l’IBC era nato nella stessa temperie politico-culturale in cui erano maturate le idee dell’AIB sul decentramento. Pure per l’Istituto programmazione, pianificazione, partecipazione, cooperazione erano parole chiave, anche se i fondamenti culturali erano diversi e affatto originali e spaziavano da Carlo Cattaneo alle Annales43. Non è un caso che nel 1980 un presidente dello spessore di Giovanni Losavio, ripercorrendo le contraddittorie vicende del trasferimento di competenze alle regioni con riguardo ai beni culturali, poteva scrivere:

[…] una proposta di legge come quella avanzata nel 1973 dalla Regione Toscana non faceva i conti con l’insieme delle forze in campo; mancava cioè di realismo […]. L’aver rifiutato la tentazione di mantenere aperta una guerriglia che appariva priva di sbocchi concreti, è stato il maggiore merito della Regione Emilia-Romagna; e – insieme a questa generale attitudine – una scelta legislativa che oggi appare decisamente positiva è stata la creazione dell’Istituto per i beni artistici, culturali e naturali che, pur senza affrontare il riordino sistematico delle competenze settoriali delle biblioteche, dei musei e degli archivi storici degli enti locali, ha dato una forte impronta unitaria alla considerazione del patrimonio culturale e alla politica regionale al riguardo, così da segnare e condizionare positivamente la stessa collaborazione […] con gli organi periferici della tutela statale […] noi crediamo che il decentramento non debba significare abdicazione dalle responsabilità da parte dello Stato, ma anzi potenziamento del suo ruolo di indirizzo e coordinamento, proprio e meglio assicurato nella proporzione in cui esso viene alleviato dai compiti della gestione diffusa del patrimonio e dei relativi servizi culturali, da affidare responsabilmente […] al sistema delle autonomie […44.

A Vinay erano noti i contenuti dell’incontro bolognese fra esponenti delle autonomie emiliano-romagnole e ministro Spadolini45 e nella relazione presentata al 26° congresso dell’AIB del 1976, che peraltro si tenne a Castrocaro Terme, Bologna e Faenza, vi fece riferimento per denunciare che contrariamente alle dichiarazioni del ministro, l’Associazione non era stata ascoltata e che la nuova organizzazione lasciava trasparire un ministero pletorico e connotato da una «visione centralistica e burocratica» piuttosto che un nuovo modello di pubblica amministrazione46.

Il Congresso di Castrocaro segna il punto di arrivo di una prima fase della politica bibliotecaria vinayana, in cui viene consolidato un ragionamento politico che si può sintetizzare in questi termini: l’«esplosione informativa» a livello mondiale ha generato in sede Unesco il programma Natis e in ambito IFLA i programmi internazionali di controllo bibliografico universale (UBC) e di disponibilità universale delle pubblicazioni (UAP)47; il nostro paese non dispone di una biblioteca o agenzia bibliografica in grado di supportare tali impegni; è quindi necessario che le biblioteche italiane cooperino nell’ambito di un sistema bibliotecario nazionale; tale sistema può nascere solo in una cornice istituzionale che preveda un robusto decentramento di competenze alle regioni e un incisivo coordinamento dello Stato attraverso gli istituti che compongono il «sistema triangolare» e in particolare dell’ICCU, al quale sono stati assegnati compiti rilevanti in tema di catalogazione, di documentazione, di informazione bibliografica e di corrispondenza con gli istituti bibliografici stranieri e con gli organismi internazionali; il sistema bibliotecario espressione di questa cornice istituzionale è quello esposto ad Alassio dalla relazione di Alberto Guarino – e di cui Franco Balboni richiamava tre aspetti: il decentramento istituzionale, la pianificazione dei servizi nazionali e locali e la gestione democratica degli istituti48. Il sistema immaginato non era quello abbozzato dalla Commissione Franceschini, che mancava totalmente della prospettiva regionale49, e richiedeva, per essere ‘sistema sistematico’, una suddivisione di compiti e principi regolativi uniformi possibili solo con una ‘legge quadro’ sulle biblioteche rispettosa del principio costituzionale del decentramento50 e un decreto per la definizione più puntuale dei compiti dei tre istituti che presidiavano il perimetro dei servizi bibliografici nazionali: l’ICCU e le due biblioteche nazionali centrali.

L’opzione del sistema bibliografico

Nel 1976, l’anno in cui il PCI superò il 34% dei consensi elettorali, in cui uscivano Porci con le ali di Marco Lombardo Radice e Lidia Ravera, Io sono un autarchico di Nanni Moretti e Primo non leggere di Giulia Barone e Armando Petrucci, in cui le radio libere iniziarono le trasmissioni, si poteva constatare che al termine della prima legislatura regionale il numero di biblioteche era complessivamente aumentato, che le regioni si erano mosse in modo non coordinato oscillando fra dinamismo con qualche velleità, soprattutto al nord, e attendismo, soprattutto al sud, stante anche il comportamento ambiguo dell’amministrazione statale che continuava a tenere in vita diverse strutture preesistenti oltre al Servizio nazionale di lettura. Fra i cambiamenti in atto nella società italiana si poteva annoverare anche la biblioteca pubblica, profondamente cambiata nel concetto e nell’operare rispetto al passato; e ciò, come scrisse Giuseppe Colombo, era stato l’esito del decentramento51. Dello stesso avviso era Angela Vinay52. Occorreva però procedere al totale passaggio di funzioni omogenee dallo Stato alle regioni per realizzare «la programmazione territoriale in sistemi e l’organizzazione di attività che fanno della biblioteca il centro culturale della comunità»53.
Su questi temi Vinay si mosse richiamando l’Associazione a una sorta di etica della militanza: abbiamo davanti a noi – scrisse nel suo primo editoriale da presidente sul Bollettino d’informazioni – «la possibilità di trasformare la realtà: cerchiamo di essere attori nel processo, non inerti spettatori delle altrui decisioni»54. Tuttavia, la militanza era in lei sempre accompagnata da pragmatismo e sagacia tattica. Così a fronte dell’insistenza del ministro Spadolini nel rimarcare il carattere unificante del Ministero sia sotto il profilo tecnico-scientifico, sia come strumento equilibratore degli scompensi fra regioni del nord e regioni del sud – motivo per il quale il ministro assecondava i sostenitori del Servizio nazionale di lettura – Vinay accettò il confronto con l’analisi di Spadolini, ma sulla base di una «realistica analisi della situazione regionale»55. Il tema è ripreso anche nella relazione presentata al congresso di Arezzo (9-12 giugno 1977)56 e viene reinterpretato nell’ambito di una diversa concezione del sistema bibliotecario nazionale che Vinay comincia a maturare fra il 1977 e il 1978. Tracciando un bilancio del suo primo mandato da presidente AIB al congresso di Cosenza-San Gineto, definì quell’anno un anno «di stallo», caratterizzato «dalla dolorosa sensazione per molti del nulla di fatto»57. Così in quel periodo maturò una «svolta», come notò acutamente Giuseppe Colombo: il sistema bibliotecario da «sistema istituzionale», fondato, à la Weber, sulla «ridistribuzione di competenze giuridico-amministrative», cominciò ad essere concepito come «sistema bibliografico»58. Le ragioni della svolta sono ancora una volta riconducibili al realismo e al pragmatismo di Angela Vinay, che, da un lato, non aveva ancora accantonato la richiesta degli interventi legislativi sopra richiamati, ma aveva cominciato a immaginare scenari alternativi in caso di inerzia del legislatore; dall’altro, era consapevole che la «definizione della biblioteca come elemento di un sistema totale di comunicazione», complice anche il notevole sviluppo dell’informatica nell’Italia gli anni Settanta, stava aprendo scenari del tutto nuovi anche per le biblioteche italiane59, unitamente a notevoli rischi. In particolare, il rischio più rilevante per il sistema bibliotecario italiano le sembrava la possibilità che le regioni più avanzate, in virtù della loro «libertà legislativa», realizzassero banche dati bibliografiche fra loro non comunicanti e che si aggravasse il «divario tra regione e regione o di creare dei vuoti». La Vinay affrontò il tema in un articolo di notevole spessore politico pubblicato su L’unità dell’11 giugno dello stesso anno, ossia sul quotidiano del partito maggiormente impegnato nel completamento del secondo trasferimento di competenze che avverrà il mese successivo col d.p.r. n. 616. Vale la pena citarne un ampio brano:

Noi oggi ci troviamo non tanto a dover compiere una scelta fra un sistema bibliografico centrale e un sistema bibliografico decentrato, ma a dover predisporre i mezzi per ricomporre al fine dell’uso l’intero patrimonio librario del paese. […]
La mancanza di un quadro di riferimento a livello nazionale comporta una serie di rischi: la fuga in avanti delle regioni che, avendo raggiunto un soddisfacente assetto dei servizi primari di pubblica lettura, programmano interventi nel campo della informazione; l’emarginazione delle altre regioni nelle quali da sempre lo Stato è stato il grande assente.
La funzione di equilibrio e raccordo potrebbe essere assolta dall’Istituto centrale per il catalogo unico e per l’informazione bibliografica di nuova istituzione nel Ministero dei beni culturali. Purché esso si muova in senso centripeto e centrifugo insieme: raccogliendo, cioè, informazione e ridistribuendola senza discriminazioni tra istituti statali e regionali.
Il discorso può farsi più interessante se pensiamo alla gestione dell’informazione con mezzi di tecnologia avanzata. A nessuno sfugge l’importanza che si assicurino uniformità nei metodi e unità di indirizzo al fine di garantire uguali opportunità di servizio. Ma, al tempo stesso, nessuno vorrà negare la necessità che lo strumento conoscitivo sia flessibile così da poter essere dinamicamente arricchito e aperto alla più larga gamma di utenti.
L’invito che si vuole rivolgere in questa sede è che a tale genere di problemi nei quali le biblioteche per la loro funzione sono necessariamente coinvolte, si cominci a prestare attenzione: lo scopo cui si deve tendere è trovare una sintesi che, assicurando la necessaria unità delle procedure e degli strumenti, garantisca il più ampio spazio all’iniziativa e alla responsabilità delle regioni e delle comunità minori60.

Credo non sia difficile scorgere in questo intervento il sostrato politico delle idee che, di lì a poco, dopo l’organizzazione della conferenza romana sul sistema bibliotecario nazionale del gennaio del 1979, condurranno all’avvio di SBN.
I concetti espressi sulle colonne de L’unità erano stati anticipati dalla direttrice dell’ICCU nel già richiamato convegno organizzato dal comune di Milano nel mese di marzo61, nel mezzo delle manifestazioni studentesche che stavano divampando soprattutto fra Roma e Bologna. In quell’occasione la Vinay rimarcò come nella legislazione regionale occorresse frequentemente il termine ‘sistema’ inteso come aggregazione di funzioni e non tanto di istituti. L’estensione del concetto di sistema costituiva pertanto un naturale corollario «per superare il limite costituzionale là dove parla di biblioteche di interesse locale». In termini biblioteconomici ciò significava «delineare un sistema bibliotecario cui concorrono istituti appartenenti ad amministrazioni diverse perché perseguono finalità omogenee»62. Da questo punto di vista le regioni potevano realizzare moderne banche dati per rappresentare le risorse presenti su un determinato territorio indipendentemente dalle appartenenze e garantire un servizio «che renda effettivamente disponibile il documento con modalità uniforme», cioè realizzare ciò che lo Stato «non ha saputo darsi»63.
Il tema delle banche dati regionali era stato uno dei temi affrontati al congresso di Arezzo dell’AIB nell’ambito del più generale tentativo di chiarire il rapporto fra archivi e banche dati64. Del resto, proprio in Toscana erano già state avviate esperienze di cooperazione supportate dall’automazione in collaborazione con l’Istituto universitario europeo, che genereranno di lì a poco il progetto Snadoc, e che avevano già attirato l’attenzione della stampa65 e della stessa Vinay. Lo stesso ministro Pedini al convegno aretino informò di aver discusso con i dirigenti della Regione Toscana «della possibilità di utilizzare il centro elettronico del CNUCE per memorizzare il patrimonio della Toscana»66. Tuttavia, Vinay era consapevole che si trattava di uno scenario possibile solo per poche regioni e al tempo stesso che il decentramento non poteva comportare l’emarginazione di quelle regioni dove lo Stato era «il grande assente». Di qui la necessità di affrontare un duplice problema: il coordinamento delle regioni che potevano approntare autonomamente sistemi informativi; l’intervento e l’assistenza, invece, per quelle regioni dove tali condizioni non esistevano. A tale scopo l’ICCU poteva svolgere un ruolo fondamentale perché costituiva l’organo di collegamento con le regioni in considerazione del fatto che l’informazione bibliografica di cui si occupa travalica per sua natura il perimetro statale. Per Vinay, infatti, la legittimazione dell’ICCU come coordinatore del sistema bibliografico nazionale si fondava sulla natura stessa dell’informazione bibliografica e sulla «definizione della biblioteca come elemento di un sistema totale di comunicazione»67 che anche in Italia aveva preso piede68. In questo modo, pur in assenza di una cornice legislativa – che comunque era ancora nelle aspettative stante il termine previsto dall’art. 48 del d.p.r. 616 del 1977 – il sistema bibliografico nazionale imperniato sul ruolo di coordinamento dell’ICCU, avrebbe potuto assolvere il compito del controllo bibliografico mediante la collaborazione «con le regioni via via che esse promuoveranno la formazioni di cataloghi collettivi regionali»69. A corollario, naturalmente, «la disponibilità dei documenti e la loro circolazione favorendo la creazione di cataloghi collettivi e disponendo di mezzi tecnologici avanzati per un più rapido servizio»70.
Il 28 ottobre 1977 partecipò all’insediamento della Consulta dei beni culturali del Partito comunista ed ebbe modo di riassumere le convinzioni che aveva sino ad allora maturato. Evidenziò anzitutto che il problema di fondo per i bibliotecari «era quello di riuscire ad esprimere all’interno di un Ministero nato nel segno della conservazione», le esigenze derivanti dall’essere le biblioteche «strumento del presente contrassegnato da una mole di documentazione sempre più vasta e diversificata e dalla rapidità del suo consumo». Di qui la necessità di adottare una logica diversa, orientata allo sviluppo di sistemi di comunicazione e con netta prevalenza sui problemi di immagazzinamento e conservazione; ma di qui anche l’esigenza «di coordinamenti tra tutte le istituzioni che si occupano di documentazione». Tale duplice esigenza imponeva prioritariamente «la ricomposizione del quadro bibliotecario nazionale» per evitare di approfondire il divario di servizi tra regioni e regioni e per creare le premesse di «un servizio bibliotecario che renda reale il diritto all’informazione da parte di chiunque»71.
A conclusione del suo primo triennio da presidente dell’AIB Angela Vinay doveva constatare, come si è detto, una situazione di stallo: il Ministero, nato per essere ministero di tecnici e per dare spazio, attraverso il Consiglio nazionale dei beni culturali, alla rappresentazione delle esigenze dell’intero paese, regioni incluse, non aveva «superato lo stato prenatale»; il Consiglio nazionale, in particolare, non aveva rappresentato nulla con riguardo alle biblioteche, nemmeno idee o ipotesi di programmazione72. Le regioni, dal canto loro, dopo aver prodotto una legislazione ambiziosa, «così organica e minuta da configurare l’abstract di un trattato di biblioteconomia socio-politica», non avevano dato seguito né a «una strutturazione organica del già esistente», né a «una realistica previsione per l’inserimento del nuovo»73. In questa situazione anche i bibliotecari dovevano cambiare, dovevano essere consapevoli di essere «conservatori archiviatori» di materiale librario, ma anche promotori di lettura, perché «è cresciuta a vista sotto i nostri occhi una richiesta insospettata di lettura e allora deve entrare nella nostra mentalità che in certe sedi, molte sedi, il libro non si archivia, non si conserva ma si consuma, alla fine si butta»74. Da notare, anche in vista delle successive azioni di Angela Vinay, che nel suo rendiconto presentato al congresso di Cosenza-Sangineto richiamò la necessità di una riflessione sul ‘boom dell’automazione’, che iniziò in Italia proprio negli anni Settanta, e sul suo impatto o meno in ambito bibliotecario. Una vicenda, secondo Vinay di luci e ombre, ma che ha consentito alle regioni più avvedute di impiantare centri organizzati ai quali il servizio bibliotecario poteva ricorrere75.

Il Servizio bibliotecario nazionale in cammino

Nel corso del 1978 Angela Vinay, in sede di conferenza dei dirigenti del Ministero per i beni culturali, propose al ministro Pedini un convegno nazionale sulle biblioteche «nella convinzione che fosse ormai maturo il tempo di far uscire dal chiuso dei discorsi ripetitivi il problema biblioteca rimasto ai margini del dibattito che accompagnò la nascita del nuovo ministero»76. Nacque così la conferenza nazionale delle biblioteche di Roma (22-24 gennaio 1979) il cui tema fu proprio l’attuazione del sistema bibliotecario nazionale. Anche in quella occasione Vinay evidenziò che in molti casi l’iniziale fervore legislativo delle regioni era stato fine sé stesso e non aveva prodotto «né una ristrutturazione organica del già esistente né un realistico inserimento del nuovo»77. Era il sintomo di una delusione, di uno scarto tra speranze e realizzazioni che negli anni Ottanta sarà chiaramente connotata come occasione mancata. In quel momento, però, l’attesa di una legge organica che disciplinasse l’intera materia dei beni culturali era ancora viva e sembrava possibile realizzare un sistema bibliotecario nazionale concepito come «una organizzazione orizzontale e verticale sulla base di sistemi integrati previa una individuazione, mai sin qui realmente tentata, dei compiti rispettivi delle strutture e dei servizi centrali, regionali, locali»78. Non era il sistema accentrato disegnato dal direttore generale Sisinni, non era un sistema derivato dalla teoria generale dei sistemi che aveva preso piede anche in Italia, ma era il sistema immaginato dai bibliotecari, era uno scenario possibile di cui potevano essere gli autori.
Gli esiti della conferenza furono deludenti e Vinay qualche mese dopo, parlando a Monza, affermò che era emerso in modo preoccupante «un recupero in senso centralista»79. Lo si poteva cogliere nella relazione del sottosegretario Spitella, in quella del direttore generale Sisinni80 e pure, in modo più sfumato, nell’intervento del senatore Spadolini che relegava le funzioni delle regioni all’alimentazione del sistema bibliotecario periferico e demandava agli organismi previsti dal d.p.r. 805, fra i quali i comitati paritetici regionali, il raccordo fra centro e periferia81. Per Vinay era la prova che la legge tanto auspicata non avrebbe nemmeno iniziato l’iter parlamentare e ciò rafforzava il convincimento che l’unità del sistema non poteva essere demandata a «gangli di raccordo di natura burocratica», ma solo all’implementazione dei concetti di cooperazione e di partecipazione «in imprese nazionali sulla base della complementarità degli istituti e della globalità del patrimonio che essi conservano»82. Condivideva, invece, il documento del Comitato interregionale bibliotecario illustrato dall’assessore Tassinari nel contesto della conferenza romana con particolare riguardo alla corrispondenza fra differenze funzionali dei compiti dei vari istituti e articolazione funzionale su scala territoriale e alla distinzione fra servizi orientati all’utenza finale, territorialmente localizzata, e servizi che servono «l’intera comunità nazionale o hanno valenza a livello di responsabilità internazionale»83. Si tratta di concetti, come abbiamo visto, che Vinay era andata maturando grosso modo a partire dal 1976: unità degli istituti, pur di diversa appartenenza, in nome della cooperazione bibliotecaria e in nome della collaborazione amministrativa nel quadro di una programmazione territoriale; governo al centro del sistema bibliografico e dei connessi impegni internazionali con l’attribuzione all’ICCU di un ruolo di coordinamento del «sistema triangolare» e di raccordo con i sistemi regionali. Si trattava, insomma, delle linee fondamentali della soluzione alternativa alla mancanza di un quadro regolativo formalizzato: leale collaborazione fra enti in nome di un interesse collettivo sul piano amministrativo, cooperazione fra biblioteche in nome del servizio agli utenti, ruolo di coordinamento dell’ICCU anche in assenza del decreto previsto dal d.p.r. 805, perché attribuire all’Istituto un servizio informativo presupponeva la capacità «di coordinare in una rete nazionale le risorse presenti nelle biblioteche dello Stato, degli enti locali e di istituzioni specialistiche»84. In altre parole, il sistema nazionale non era che la convergenza e l’integrazione dei sistemi regionali con il sistema bibliografico nazionale85.
Che l’art. 48 del d.p.r. 616 del 1977 fosse destinato a rimanere lettera morta era apparso chiaro già nel convegno delle regioni che si svolse a Bologna qualche mese dopo la conferenza romana. In quella sede l’assessore Fontana affermò con nettezza che se il rinvio alla nuova legge di tutela previsto dall’art. 48 avesse comportato «una più facile e definitiva delega di funzioni» le regioni sarebbero state disponibili alla discussione e all’approfondimento della materia; se invece il rinvio fosse stato un «pretesto per operare un riflusso centralistico» allora si sarebbe persa l’occasione di affrontare nei termini corretti la questione delle competenze delle autonomie e del potenziamento degli istituti centrali86. In quella stagione, inoltre, sembrava essersi esaurita la tensione riformatrice degli anni Settanta e con essa lo stesso regionalismo. Giorgio Pastori coniò allora l’espressione «regioni senza regionalismo»87 per connotare il progressivo venir meno nelle regioni del nuovo modo di fare politica e amministrazione, che pure era stato scritto negli statuti regionali: «legiferare per principi, governare per programmi, amministrare per obiettivi o per risultati». In realtà dopo il 1976, con il governo Andreotti di solidarietà nazionale il ‘centro’ si irrobustì notevolmente con il risultato di snaturare il ruolo costituzionale delle regioni, non più considerate enti governo, ma, progressivamente, enti di pura gestione amministrativa. Il cambiamento fu avvertito in modo particolare in Emilia-Romagna, Toscana, Veneto e Lombardia dove il progetto di governo regionale si era avvalso di una cultura politica, cattolica o socialista, fondata sui valori dell’autonomia e dello sviluppo locale88.
Di fronte a questa situazione Angela Vinay maturò la convinzione che l’AIB dovesse far ricorso a una diversa strategia: «non attendere dalle leggi la soluzione dei problemi ma affrontarli con i mezzi esistenti». Insomma, sostituire l’intervento legislativo con la cooperazione «intesa come metodo che consente alle biblioteche di operare in simbiosi, ciascuna conservando la propria identità, ciascuna rimanendo nella propria struttura amministrativa»89. Di qui il progetto di ‘servizio bibliotecario nazionale’, che, come dirà chiaramente al convegno di Monfalcone del 1982, «parte da una duplice premessa: politica e tecnica». La premessa politica consiste nell’accettare «la situazione giuridico-amministrativa delle biblioteche rinunciando a perseguire l’obiettivo di una riforma istituzionale e di proporsi, in alternativa, obiettivi di servizio»90. Da questo punto di vista lo strumento operativo era la cooperazione. La premessa tecnica – potremmo così riassumere il pensiero di Vinay – consisteva nell’implementazione del controllo bibliografico nazionale che, a sua volta presupponeva un sistema bibliotecario nazionale inteso come somma di tutti i servizi pubblici di biblioteca operanti sul territorio nazionale, comunque organizzati. Da questo punto di vista, invece, lo strumento operativo era l’automazione.
Nel 1982 l’espressione «servizio bibliotecario nazionale» comincia ad avere una sua connotazione precisa o, forse, più consapevole. L’espressione era comparsa già nei lavori della Commissione per l’automazione delle biblioteche91 o, più propriamente, della «Commissione ministeriale con l’incarico di elaborare un progetto valido per tutto il territorio nazionale in materia di elaborazione dei dati bibliografici», come recita il decreto istitutivo del ministro Ariosto datato 2 aprile 1980. Fu poi portata a conoscenza di un pubblico più vasto nel 1981 in un articolo scritto da Michel Boisset e Angela Vinay per la rivista Il ponte92. A mio avviso l’espressione «servizio bibliotecario nazionale» non è casuale. Sebbene in qualche intervento Angela Vinay utilizzi indifferentemente i termini ‘servizio’ e ‘sistema’, quando la sua analisi è più politica l’utilizzo dei termini è più preciso e si può notare una linea di pensiero che inizia con il ‘sistema bibliotecario nazionale’, caratterizzato dalla necessità di una cornice legislativa o regolativa, evolve nel ‘sistema bibliografico nazionale’, disciplinato dalle esigenze del controllo bibliografico e si conclude con il ‘servizio bibliotecario nazionale’.
Il servizio bibliotecario nazionale è concepito come una sorta di loosely coupled system à la Weick, nel senso che si tratta di una organizzazione funzionale e non amministrativa93. Il servizio non necessita, insomma, di una legge per essere istituito, ma si avvale della più snella e immediatamente disponibile cooperazione istituzionale in nome dell’interesse pubblico. Detto altrimenti, con le parole di Vinay: quando ci si convinse che la strada delle riforme istituzionali non era realistica, «e forse neppure necessaria», si constatò che potevano essere utilizzate con finalità politiche le risorse poste a disposizione dalle nuove tecnologie; e il compito di indicare obiettivi, mezzi e strategie fu assunto dall’ICCU, la cui presenza nel Ministero «doveva trovare, a sua volta, giustificazione in un quadro nazionale di servizi»94.
Il realismo politico di Vinay consentì quindi al Ministero, alle regioni, al «sistema triangolare» e alle biblioteche di trovare una legittimazione entro «un quadro nazionale di servizi». Sul finire della sua vita, Angela Vinay ritornerà su questi concetti sottolineandone la pregnanza: individuare in SBN un ‘servizio’ e non un ‘sistema’ non era per lei solo una precisazione filologica, ma un distinguo necessario, perché non era chiara in molti bibliotecari – e forse non lo è ancora oggi – «la diversità di concezione organizzativa che sta dietro l’uso dell’uno o dell’altro termine». Vale la pena, per memoria di noi tutti, riportare l’intero brano:

[…] consentitemi di cogliere un piccolo spunto polemico dalla formulazione del titolo assegnato al mio intervento […] là dove si individua SBN come «sistema» e non come «servizio».
Al di là del significato filologico ritengo che non sia ancora chiara ed inequivocabile in molti bibliotecari e nella quasi totalità degli utenti la diversità di concezione organizzativa che sta dietro l’uso dell’uno o dell’altro termine.
La scelta di denominare il nostro progetto Servizio bibliotecario nazionale era per noi gravida di conseguenze. Si voleva (e spero si voglia tuttora) individuare le ragioni di fondo dell’attivazione di una struttura tanto ambiziosa nella possibilità di dar vita ad una efficace ed efficiente circolazione dei documenti in originale ed in copia facendo perno sulla disponibilità di informazioni relative alla localizzazione attraverso un processo di catalogazione partecipata.
Il servizio era concepito quindi inequivocabilmente per l’utente finale intendendo con questo termine non tanto (o in ogni caso, non solo) il bibliotecario, quanto il lettore95.

Ad Angela Vinay si deve che la biblioteca come servizio, la riattivazione del rapporto tra biblioteca e ambiente sociale in cui essa opera, la cooperazione come metodo di lavoro per migliorare la qualità dei servizi agli utenti in un quadro di sostenibilità siano diventati patrimonio dell’AIB e dei bibliotecari96. Per lei orientamento al servizio significava avere un approccio «più tecnico e pragmatico che giuridico e politico»97 alle politiche pubbliche di settore. E il richiamo al servizio caratterizzerà anche le narrative bibliotecarie degli anni Novanta.
Il ‘servizio bibliotecario nazionale’ costituisce quindi l’ecosistema in cui viene ricomposto da Angela Vinay il quadro istituzionale delle biblioteche italiane. Dopo di lei inizia un’altra storia e forse, fra qualche anno, potremo raccontarla wie es eigentlich gewesen.

CLAUDIO LEOMBRONI, Regione Emilia-Romagna, Area biblioteche e archivi, Bologna, e-mail: claudio.leombroni@regione.emilia-romagna.it.


La nascita del Ministero, l’art. 15 del Regolamento di organizzazione, i servizi bibliotecari nazionali

Luca Bellingeri

Alla base di tutto l’impianto proposto ci sono tuttavia tre grossi misteri: […] Terzo mistero: quale possa essere il destino delle biblioteche dello Stato, che entrano in un carrozzone, i cui posti a sedere sono visibilmente prenotati da compagni di viaggio così grossi e vocianti, che sarà loro difficile trovare un posticino d’angolo. […] Siamo, secondo ogni apparenza, i pigionanti di turno a cui i padroni di casa estendono alcuni dei loro diritti98.

Così, in occasione del 17° congresso dell’Associazione italiana biblioteche, tenutosi a Fiuggi nel maggio 1967, con impressionante lungimiranza Angela Vinay descriveva quello che sembrava delinearsi come il futuro destino delle biblioteche pubbliche statali all’interno dell’amministrazione ipotizzata dalla Commissione Franceschini per la cura dei nostri beni culturali; una previsione che sarebbe divenuta almeno in parte amara realtà con la successiva nascita del Ministero per i beni culturali e soprattutto con le ulteriori riforme, in particolare le più recenti volute all’omonimo ministro Franceschini, a seguito delle quali alcune di queste, fra le maggiori e più importanti del paese come Braidense, Palatina, Estense, sarebbero state sloggiate anche da quel posticino d’angolo, finendo ‘annesse’, senza alcun rispetto e considerazione per la loro storia più recente, a musei cui erano accomunate solo dalla lontana, comune origine dinastica.
La nascita del nuovo Ministero, seppur significativamente diverso dalla struttura ipotizzata dalla Commissione Franceschini, costituirà tuttavia l’occasione per affrontare uno dei temi centrali nella storia del nostro settore, ponendosi finalmente il problema, esattamente a un secolo dalla nascita della Vittorio Emanuele II, di definire i rapporti fra le due biblioteche nazionali di Roma e Firenze, ‘condannate’ fin dall’origine a una confusa e spesso dannosa sovrapposizione di compiti e funzioni.
A seguito della trasformazione del preesistente Centro nazionale per il catalogo unico in uno dei nuovi istituti centrali, quello per il Catalogo unico delle biblioteche italiane, e della conseguente necessità di inserire coerentemente questa nuova realtà nell’articolato e indefinito sistema bibliografico nazionale, il successivo regolamento di organizzazione del nuovo Ministero dedicherà infatti a questo tema uno specifico riferimento, prevedendo, all’ultimo comma dell’art. 15, che:

Allo scopo di definire un coerente e coordinato sistema bibliografico con decreto del Ministro, sentito il competente comitato di settore, saranno disciplinati i rapporti tra le biblioteche nazionali centrali di Firenze e di Roma e l’Istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche99.

Quel decreto, come poi ricorrerà spesso nella storia delle nostre biblioteche100, non vedrà mai la luce come ancora una volta con grande acutezza noterà Angela Vinay, «non tanto per remore di natura politica o burocratica quanto per difficoltà all’interno del mondo bibliotecario che stenta a rompere con la tradizione consacrata nei regolamenti riprodottisi costantemente lungo un secolo»101. Inseguendo quella che sempre più appare come una chimera, per circa un quindicennio si continuerà ad attenderlo, grazie anche all’impegno caparbio di alcune colleghe come Anna Maria Mandillo, giungendo perfino alla predisposizione di un testo approvato dal Comitato di settore per le biblioteche e in attesa solo dell’approvazione del ministro, ma ancora una volta, anche per la resistenza di alcuni dei soggetti coinvolti, in particolare i direttori delle Nazionali, quella bozza non si trasformerà in decreto, rinunciando definitivamente a dare attuazione a quanto previsto dal regolamento del 1975102.
Da questo momento il tema dei servizi bibliografici nazionali e dei rapporti fra le due biblioteche nazionali scomparirà dall’agenda ‘politica’, salvo riaffacciarsi sporadicamente fra le pieghe di provvedimenti di carattere più generale. È quanto avviene, ad esempio, in occasione della prima, profonda riforma del Ministero per i beni culturali, quando, dovendo elencare le attribuzioni del nuovo Ministero per i beni e le attività culturali, fra le altre viene indicato «lo sviluppo dei servizi bibliografici e bibliotecari nazionali»103. O in occasione della concessione dell’autonomia scientifica e finanziaria alle due Nazionali, quando dovendone elencare compiti e finalità, accanto ai molti obiettivi comuni e tradizionalmente coincidenti (raccogliere la produzione editoriale italiana, acquisire e documentare la produzione straniera in lingua italiana, catalogare, rendere fruibili e tutelare i propri fondi, cooperare al potenziamento del sistema bibliotecario italiano e allo sviluppo di SBN) per la prima volta vengono individuate specifiche funzioni proprie di ciascun istituto. A Roma viene così assegnato il compito di documentare la cultura delle minoranze etniche e linguistiche presenti in Italia, di acquisire le pubblicazioni che documentano le linee più rappresentative delle culture straniere e di garantire la disponibilità e la circolazione dei documenti a livello nazionale e internazionale attraverso il prestito o la riproduzione (recuperando almeno in parte quella finalità di uso pubblico prevista nella bozza di decreto del 1988), mentre a Firenze, in aggiunta alla tradizionale funzione di produzione della Bibliografia nazionale italiana, viene assegnata la responsabilità di effettuare ricerche e attuare procedure per la conservazione nel lungo periodo delle risorse digitali, di produrre gli strumenti nazionali relativi alla catalogazione semantica e di svolgere attività di ricerca e sperimentazione per il miglioramento dei servizi bibliografici e bibliotecari nazionali104.
Nel frattempo, come sempre era stato in passato, i rapporti fra le due Biblioteche nazionali proseguono essenzialmente sulla base dei rapporti ‘personali’ che volta per volta si vengono a instaurare fra i direttori del momento, alternando a un sostanziale disinteresse di fondo per quanto realizzato dall’altro istituto, in una sorta di ‘autismo’ istituzionale, rari momenti di effettiva collaborazione105 con altri di aperto contrasto.
Significativo in tal senso il diverso e per certi aspetti opposto approccio alla problematica dei rapporti fra i due istituti, espresso dai due direttori in tempi molto recenti. Andrea De Pasquale, direttore della BNCR, riteneva infatti che

l’auspicabile istituzione del polo delle biblioteche romane porta inoltre inevitabilmente a proporre che il nuovo soggetto venga identificato con la mai nata Biblioteca nazionale d’Italia. Il fulcro nella Biblioteca nazionale centrale di Roma non deve stupire: essa è la più grande biblioteca del paese […]. Come la Bibliothèque nationale de France coordina l’attività di altri istituti sul territorio la Biblioteca nazionale d’Italia dovrà essere investita del ruolo di coordinamento bibliografico delle più importanti biblioteche statali […]. In tale organizzazione dovrebbe collocarsi anche l’ICCU106

in un’ottica accentratrice ed egemonica difficilmente applicabile all’attuale contesto.
Per contro chi scrive, dichiarando preliminarmente di non condividere metodo e proposte avanzate dal collega romano, sottolineava, relativamente ai servizi bibliografici nazionali, che

se rimane confermato il ruolo primario svolto da alcuni istituti statali, appare tuttavia sempre più evidente come risulti ormai anacronistico pensare che essi possano assolvere adeguatamente tali compiti in una sorta di ‘dorata solitudine’ e come, al contrario, anche in questo ambito si debba ragionare in termini di stretta cooperazione, anche interistituzionale,

e, per quanto riguardava le funzioni di livello nazionale, che

pensare ad un’unificazione delle due nazionali centrali appare oggi ipotesi non rispondente agli effettivi bisogni del nostro sistema bibliotecario. In assenza di un’effettiva politica che ne definisse i rispettivi compiti, i due istituti hanno infatti finito con il differenziare nei fatti le proprie funzioni sviluppando ruoli e competenze propri ormai accertati e ufficializzati nei decreti ministeriali che ne hanno stabilito l’autonomia. Meglio allora pensare a forme di cooperazione fra i due istituti che, superando quella che può essere la buona volontà momentanea di chi si trova alla loro guida, ‘costringa’ le due biblioteche a lavorare in forma coordinata, sviluppando progetti comuni e comuni politiche di sviluppo107.

In questo quadro anche i tentativi di collaborazione fra i due istituti, dapprima per la realizzazione del progetto Magazzini digitali, per la conservazione e l’accesso ai documenti digitali di interesse culturale, e successivamente per il potenziamento della Bibliografia nazionale italiana, attraverso la collaborazione della BNCR nella catalogazione sia descrittiva che semantica per la serie Monografie della BNI, risultavano di difficile attuazione e dopo una prima, proficua fase segnavano il passo, avviandosi a un sostanziale fallimento108.
Anche allo scopo di rivitalizzare tali forme di collaborazione, ampliandole a un tempo ad altre tematiche comuni e per le quali appare opportuno un coordinamento nelle politiche seguite dai due istituti (materiali minori, politiche di scarto, trattamento di giornali e fumetti, piani di digitalizzazione, acquisti in antiquariato) in pieno accordo con il direttore della Nazionale di Roma nel luglio del 2022 veniva pertanto sottoscritto un Memorandum di intesa, volto ad

avviare un progetto collaborativo fra BNCF e BNCR, che consenta di individuare soluzioni condivise, atte a migliorare l’efficienza, efficacia ed economicità dei servizi resi dalle due Nazionali. Attraverso l’istituzione di specifici Tavoli di lavoro, incentrati su quelle tematiche ritenute più rilevanti, verranno individuate possibili soluzioni comuni109

a seguito del quale nell’ottobre 2022 sono stati attivati sei gruppi di lavoro, composti da funzionari delle due biblioteche, che entro la primavera 2023 dovranno formulare concrete proposte, anche di carattere organizzativo, per giungere a modalità condivise di gestione di tali attività.
In uno dei suoi ultimissimi interventi Angela Vinay scriveva amaramente «la mia appartenenza ad un piccolo gruppo di bibliotecari ormai in fase di estinzione […] mi fa sentire una testimone sconfitta. Molti infatti dei problemi che vengono oggi sollevati sono stati oggetto di denunce, proclami, proposte da almeno vent’anni»110.
Anche io ormai appartengo a un gruppo di bibliotecari in fase di estinzione (si spera solo professionale!) e anche io ho preso parte in quasi quarant’anni di attività professione a tante battaglie, quasi tutte senza esito. Mi piacerebbe dunque, almeno sul piano dei rapporti fra le due Nazionali, non dover annoverare, nonostante gli sforzi compiuti, l’ennesima sconfitta. A questo spero serva l’accordo con la BNCR, anche per onorare il ricordo di una grande bibliotecaria del Novecento.

LUCA BELLINGERI, già Biblioteca nazionale centrale di Firenze, e-mail: luca.bellingeri@cultura.gov.it.


Angela Vinay e l’Italia delle biblioteche

Alberto Petrucciani

I nostri debiti di gratitudine verso Angela Vinay non sono pochi né piccoli. In questa occasione mi limiterò soltanto a indicare quali sono, a mio parere, i punti chiave del suo insegnamento, su cui è sempre importante riflettere e che possono costituire, anche per noi oggi, punti di riferimento fondamentali per guidare l’azione.
Primo punto e primo obiettivo, in estrema sintesi, è quello di portare le biblioteche al centro dell’attenzione, o almeno cercare di farle uscire dal cono d’ombra che le rende invisibili all’opinione pubblica, alla politica, all’informazione. Come? Con un progetto nazionale ambizioso, con cui biblioteche e bibliotecari si propongano di offrire un contributo rilevante al paese.
Evento chiave, quindi, è la conferenza nazionale delle biblioteche italiane sul tema “Per l’attuazione del sistema bibliotecario nazionale”, tenuta nella sala conferenze della Biblioteca nazionale centrale di Roma dal 22 al 24 gennaio 1979111. Nelle fotografie scattate alla conferenza vediamo, seduto sorridente in prima fila, Sandro Pertini, presidente della Repubblica dal luglio 1978, e poi per il Governo il ministro dei Beni culturali Dario Antoniozzi e quello dell’Istruzione Mario Pedini; i due rami del Parlamento erano rappresentati da figure di alto livello e prestigio come Giovanni Spadolini per il Senato e Marino Raicich per la Camera dei deputati.
L’idea da affermare, chiara e semplice, e quindi l’obiettivo da porre, era l’esigenza essenziale, per il paese, di costituire un ‘sistema nazionale’ delle biblioteche.
Perché l’Italia abbia bisogno di un ‘sistema nazionale delle biblioteche’, non ci dovrebbe essere bisogno di spiegarlo: per la sua lingua, la sua cultura che si sviluppa con continuità da molti secoli, il suo policentrismo, la sua straordinaria disseminazione di istituti sul territorio, anche in piccoli centri, e così via. Non capisce nulla dell’Italia e delle biblioteche, quindi, chi cerca di attrarre le biblioteche italiane in carrozzoni generici e raffazzonati, che mancano del minimo di dignità e rigore per poter essere definiti ‘cataloghi internazionali’, o chi si ostina a riproporre sistemi ‘verticali’, divisi per tipologie, che non funzionano e soprattutto non rispondono allo scopo.
Il «paesaggio bibliotecario italiano», come lo ha chiamato suggestivamente Maria Gioia Tavoni in un importante contributo di quasi trent’anni fa112, è differente da ogni altro paese europeo, anche da quelli che per vicende storico-politiche possono presentare qualche affinità (come la Germania e la Spagna). Basterà dire, ad esempio, che già a metà del Settecento venivano censite biblioteche attive in 127 località diverse d’Italia113, oppure che al Censimento delle cinquecentine italiane avviato dall’ICCU durante la direzione di Angela Vinay e tuttora fiorente partecipano oltre 1.200 biblioteche italiane, mentre l’analogo censimento tedesco (VD16) ne ha coinvolte solo 260, meno di un quinto. Secondo l’Anagrafe delle biblioteche italiane gestita dall’ICCU, oltre cinquecento biblioteche sono in attività, in continuità, dal XVIII secolo, e da un altro punto di vista possiamo affermare che più di mille hanno importanti fondi antichi e preziosi (cosa che non si può affermare, mi sembra, per nessun altro paese). Ed è utile rilevare che il materiale che le biblioteche italiane hanno raccolto e conservato non è mai stato tutto dello stesso genere, ed è sempre stato messo a disposizione, di fatto (e naturalmente in modo più liberale oppure restrittivo a seconda dei casi), di un pubblico diversificato, non coincidente con un destinatario astratto o con i confini dell’istituzione di appartenenza.
Nascerà così, a seguito della conferenza nazionale del 1979, la rete del Servizio bibliotecario nazionale (SBN), definita nella sua architettura nel 1982 ed entrata in attività ordinaria dal gennaio 1986. Per quanto riguarda il termine ‘servizio’, si potrà ricordare che già negli anni Cinquanta era stato creato un Servizio nazionale di lettura (SNL) – purtroppo entrato in crisi e poi estinto a seguito del trasferimento delle funzioni statali alle regioni a statuto ordinario tra il 1972 e il 1977, per motivi politici che rendevano allora impossibile una leale collaborazione fra diversi livelli istituzionali –, e che dal 1° luglio 1980 la Repubblica si era dotata di un Servizio sanitario nazionale (SSN), istituito con la legge 23 dicembre 1978, n. 833.

La rete SBN costituisce il ‘sistema nazionale più esteso e capillare d’Europa’, e il più avanzato dal punto di vista biblioteconomico e catalografico, e si basa sul concetto fondamentale che la rete nazionale deve essere capace di raccogliere ‘tutte le biblioteche’, di ogni livello e dimensione, generali e specializzate, grandi e piccole, di qualunque appartenenza istituzionale o amministrativa, e così via.
Questo concetto è stato poi affermato con forza anche dall’IFLA e dall’Unesco, come possiamo leggere nel Manifesto per le biblioteche pubbliche del 1995 (ma non ancora nella versione del 1972): «La rete bibliotecaria pubblica deve essere progettata tenendo conto delle biblioteche nazionali, regionali, di ricerca e speciali, così come delle biblioteche scolastiche e universitarie».
Ma nonostante questa forte affermazione al massimo livello internazionale, in pratica le reti bibliotecarie esistenti nei vari paesi d’Europa (quando ci sono, perché in molti paesi mancano del tutto) sono quasi sempre reti ‘verticali’, o al massimo reti locali su piccola scala, e non raggiungono mai le dimensioni e la portata della nostra rete SBN114.
I nostri debiti di gratitudine verso Angela Vinay, come dicevo al principio, non sono pochi, ma non è possibile ora soffermarsi in maniera puntuale su altre e più specifiche questioni. Mi pare indispensabile, però, ricordare che ad Angela Vinay dobbiamo l’avvio di grandi progetti cooperativi anche per l’ambito del libro antico. Già in precedenza, il nostro paese aveva realizzato, con l’Indice generale degli incunaboli (IGI), il primo e più completo repertorio nazionale degli esemplari di edizioni del XV secolo in Europa, ma con il Censimento delle edizioni italiane del XVI secolo, coordinato dall’ICCU, il nostro paese ha sviluppato, con EDIT16, la base dati più avanzata nel mondo per il periodo, apprezzatissima dagli studiosi italiani e di tutti i paesi.
Non sarà forse inutile ricordare anche l’attenzione, che fu posta nel disegno del sistema SBN, a escludere posizioni monopolistiche di aziende private, che purtroppo hanno via via condizionato negativamente lo sviluppo della cooperazione e anche l’evoluzione dei sistemi informatici per la gestione e la consultazione dei cataloghi, che tuttora offrono prestazioni inadeguate a confronto con le funzioni che la teoria ha chiarito da oltre mezzo secolo.
Vorrei menzionare, infine, anche il concetto fondamentale che i cataloghi collettivi ‘non’ si costruiscono con lavori costosi, pesanti e inefficienti di cumulazione ‘a posteriori’ – che pure ancora qualcuno si ostina a riproporre, dimostrandosi digiuno della questione – ma con la creazione condivisa all’origine, in maniera normalizzata e controllata, così da raggiungere funzionalità ed efficienza conseguendo nel contempo grossi risparmi per le biblioteche partecipanti. Del resto, dobbiamo tante volte constatare, con una frase che era molto cara a Seymour Lubetzky, che «quelli che ignorano il passato sono condannati a ripeterlo».
In conclusione, non c’è che da esprimere l’auspicio che la nostra antica e nobile professione ci dia ancora, sempre, donne e uomini della levatura intellettuale e morale di Angela Vinay.

ALBERTO PETRUCCIANI, Sapienza Università di Roma, e-mail: alberto.petrucciani@uniroma1.it.


La stagione dell’ICCU, SBN e la sua attualità nel PNRR

Simonetta Buttò

Apro questo intervento leggendo il messaggio che nei giorni scorsi mi è giunto da Erica Vinay: «Non potrò venire a Roma e mi dispiace molto ma la prego di porgere i miei saluti. Ero con Angela, mia seconda madre, quando ha iniziato l’avventura del Catalogo unico e ne ero e sono molto fiera. Erica Vinay».
Quella avventura al nuovo Istituto centrale del Ministero per i beni culturali e ambientali, istituito con d.p.r. 14 dicembre 1974, cui fa riferimento Erica, iniziò per Angela Vinay il 1° luglio 1976, dopo una brevissima esperienza, deludente ma significativa, iniziata il 5 luglio 1973 alla direzione dell’ufficio esecutivo del Centro nazionale per il catalogo unico delle biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche, nato nel Ministero della pubblica istruzione nel 1951 sotto gli auspici del senatore Aldo Ferrabino115.
Per Angela Vinay, in quel momento, ci si aspettava la direzione della Biblioteca nazionale centrale di Roma, dove aveva lavorato per diciassette anni, e dal 1968 come vice-direttrice di Emidio Cerulli, collaborando all’organizzazione del trasloco dal Collegio romano al Castro Pretorio, ma poté solo consegnare la biblioteca (in qualità di reggente, dato il prematuro pensionamento di Cerulli), nelle mani di Luciana Mancusi.
Dopo quella parentesi di soli quattro mesi al Centro nazionale per il catalogo unico, Angela Vinay fu destinata alla Biblioteca universitaria Alessandrina, dove rimase per quasi tre anni, senza rinunciare – nonostante l’infuocato periodo storico-politico di quegli anni che condizionava la vita di tutte le strutture universitarie – a portare avanti le sue idee innovative in favore di un più esteso servizio al pubblico (fu opera sua, per esempio, il prolungamento dell’orario di apertura fino alle 23). Con questo bagaglio di esperienze Angela Vinay diede inizio nell’estate del 1976 alla ‘stagione’ dell’ICCU.
Lasciate coraggiosamente da parte le procedure – tradizionali e inconcludenti – adottate dal Centro nazionale per la compilazione del primo catalogo unico delle biblioteche italiane, basate sulla fusione centralizzata dei dati bibliografici provenienti da alcune biblioteche italiane, Angela Vinay rilanciò sistematicamente i grandi temi della professione bibliotecaria: la catalogazione, le informazioni bibliografiche, lo studio e la catalogazione dei manoscritti e del libro antico, avviando su queste basi la grande stagione di rinnovamento dei servizi bibliografici nazionali.
Angela Vinay è la fondatrice di SBN, ma la sua azione – e soprattutto gli effetti di lunga durata della sua azione – non può essere compresa se non tenendo conto del complesso degli interventi che costituiscono di fatto ancora oggi l’intero insieme del Servizio bibliotecario nazionale.
Fu lei a lanciare nel 1979 a Reggio Emilia e poi ufficialmente nel 1981 il Censimento nazionale delle edizioni italiane del XVI secolo116, coinvolgendo nell’impresa oltre mille biblioteche e a spingere il settore del retrospettivo sulla strada della sprovincializzazione, e dunque delle relazioni internazionali.
Nell’idea di Vinay il Censimento nasceva come strumento tradizionale destinato alla pubblicazione a stampa (in questa forma sono usciti negli anni sei volumi relativi alle lettere A-F), «per gettare le basi di una bibliografia nazionale retrospettiva», ma si è evoluto e arricchito nel corso dei decenni (dal 2000 EDIT16 è diventato accessibile online) acquisendo caratteristiche di sempre maggiore flessibilità e interoperabilità attraverso soluzioni tecnologiche che hanno consentito una maggiore interazione con gli utenti, con gli operatori delle biblioteche e con gli altri progetti inerenti il libro antico presenti in rete, fino a trasformarsi in una vera e propria bibliografia che trae la sua ricchezza dal confronto con tutte le risorse disponibili, sia tradizionali che elettroniche.
È infine recente, ma particolarmente significativo per la sua coerenza con la trasformazione del censimento in bibliografia retrospettiva, l’intensificazione dei rapporti internazionali di EDIT16 per quanto riguarda la localizzazione di cinquecentine italiane all’estero.
Ma ad Angela Vinay si deve anche il rilancio dello studio e della catalogazione dei manoscritti. Anche in questo caso tutto è cominciato nel 1980, con un seminario organizzato dall’ICCU a Roma, con il quale Vinay chiedeva di definire i principi per predisporre le norme di catalogazione dei manoscritti, di concordare gli elementi di una scheda unificata e condivisa sia in ambito statale che regionale e di definire le risorse per l’attuazione del progetto117. A quel primo seminario, ne seguì un altro nell’aprile del 1987, intitolato “Documentare il manoscritto: problematica di un censimento”118, con l’intento di affrontare – dopo la sperimentazione della Guida119 pubblicata dall’ICCU nel 1984 – l’effettiva raccolta e registrazione dei dati, destinati ad essere, come si diceva allora, computerizzati.
La prima versione di Manus in ambiente MS-DOS risale infatti al 1990; nel 2000 nacque il primo OPAC, nel quale furono pubblicate le schede prodotte fino ad allora per il Censimento.
La banca dati aveva, e ha, come obiettivo quello di realizzare il catalogo nazionale dei manoscritti delle biblioteche italiane, con l’impiego di un unico applicativo a livello nazionale, gratuito e pensato per far sì che le biblioteche, che autonomamente implementano il database, restino sempre proprietarie dei dati che l’ICCU ha il compito di gestire, mettendo in evidenza anche i progetti specialistici, nazionali e internazionali, che interessano gruppi di istituzioni in partenariato.
In questo contesto – ricomposto e allargato – si deve inscrivere la nascita di SBN, avviato nel 1979 con la conferenza nazionale delle biblioteche italiane120 dove Angela Vinay riuscì a coinvolgere Stato, enti locali e università nella costruzione di un sistema informativo tecnologicamente avanzato e in grado di interagire anche a livello internazionale, confermando il ruolo di coordinamento svolto dall’Istituto in favore di tutte le biblioteche italiane, indipendentemente dalla loro appartenenza amministrativa.

Dall’idea di cooperazione fra le diverse tipologie di biblioteche Angela Vinay derivava l’ipotesi di un catalogo collettivo nazionale che consentisse il censimento e la localizzazione del patrimonio documentario conservato nelle biblioteche italiane e, di conseguenza, una efficace ed efficiente circolazione dei documenti «facendo perno sulla disponibilità di informazioni relative alla localizzazione organizzata attraverso un processo di catalogazione partecipata»121.
Nell’aprile del 1980 Vinay si fece promotrice di una Commissione nazionale per l’automazione delle biblioteche, con rappresentanti del Ministero, dell’ICCU, della Biblioteca nazionale centrale di Firenze, dell’Istituto universitario europeo e del CNR, al fine di realizzare una moderna infrastruttura di servizi per l’accesso ai documenti attraverso la riduzione delle attività manuali più ripetitive.
La visione ‘politica’ (e dialettica) sottesa all’avvio del progetto era quella di reagire al rischio di una parcellizzazione dei servizi svolti dai numerosi istituti bibliotecari affidati alle regioni dal decentramento attuato nel 1972 e al pericolo di vedere mortificati programmi di respiro nazionale, imboccando la strada della cooperazione per la costruzione di un sistema informativo tecnologicamente avanzato e in grado di interagire anche a livello internazionale, coinvolgendo tutte le biblioteche italiane: «La soluzione al malfunzionamento del sistema bibliotecario italiano non può venire né dal totale decentramento di competenze e strutture alle regioni, né dalla regressione ad un centralismo di tipo napoleonico»122, dirà qualche anno dopo l’avvio di SBN.
Lo strumento organizzativo per la realizzazione della sua visione fu il primo Protocollo di intesa del 1984, firmato dal ministro Gullotti e dall’assessore toscano Mayer, in rappresentanza delle regioni, mentre il fondamento pratico era quello della cooperazione «per indicare una organizzazione nella quale ciascuno mette a disposizione di tutti risorse umane, mezzi tecnici, esperienza, know-how per una migliore resa dei propri e degli altrui servizi», a garanzia dello sviluppo di servizi di uguale livello su tutto il territorio nazionale. La catalogazione partecipata, come modo di mettere in comune i risultati del proprio lavoro è stato, ed è anche oggi, lo strumento che ha consentito il censimento e la localizzazione del patrimonio documentario conservato nelle biblioteche italiane, secondo il principio che «le soluzioni individuali non sono soluzioni»123.
Da allora, e per quasi quaranta anni il Servizio bibliotecario nazionale ha mantenuto la sua architettura, ma ha saputo modificarsi e adattarsi al mutare dei tempi, ed è stato, ed è, sempre in crescita.
L’ultima (ma non sarà l’ultima) di queste mutazioni è stata avviata a partire dal 2015, con la prima assemblea dei Poli SBN del mese di giugno124 che aveva espresso una chiara volontà di rilancio dei servizi bibliotecari e subito dopo, in collaborazione con i partner delle regioni, degli enti locali, delle università e insieme ai colleghi impegnati nelle (e per le) biblioteche, con l’istituzione di gruppi di lavoro sui grandi temi che necessitavano di una visione strategica di ampio respiro per il futuro dell’informazione e dell’accesso al patrimonio bibliografico.
I gruppi di lavoro sull’Evoluzione e sviluppo del Servizio bibliotecario nazionale125, sulle Infrastrutture per il patrimonio bibliografico e digitale126 e sulle Linee d’azione per la definizione delle politiche per l’accesso ai servizi127 si intrecciano e si completano in un progetto unitario di rilancio del Servizio bibliotecario nazionale, dal punto di vista della sua architettura, della razionalizzazione delle sue infrastrutture tecnologiche e di una nuova policy per i servizi rivolti a tutti i cittadini.
Non è un caso che nel 2016 l’allora Direzione generale Biblioteche e istituti culturali, in un momento critico per le biblioteche italiane, caratterizzato da una scarsa considerazione del ruolo e delle funzioni delle biblioteche nella riforma del settore dei beni culturali che si andava attuando, abbia voluto costituire un Gruppo di lavoro interistituzionale128 con il compito di «analizzare le criticità e individuare priorità di intervento nel settore delle biblioteche pubbliche statali», del quale, insieme alla presidente dell’AIB, facevano parte i tre direttori delle Biblioteche nazionali centrali e dell’ICCU, accanto a rappresentanti delle varie anime che da decenni partecipavano alla definizione del sistema bibliotecario italiano.
L’elaborazione di una nuova visione strategica dei servizi offerti dalle biblioteche italiane del Gruppo di lavoro fu presentata al Consiglio superiore dei beni culturali il 9 ottobre 2017 e approvata.
A partire dall’assunto che «le dimensioni, la natura intrinsecamente interistituzionale, l’enorme numero di utenti […], connotano SBN come l’ambito appropriato per la formulazione e/o il dispiegamento di quelle politiche nazionali di settore (sviluppo, aggiornamento e tutela delle raccolte, promozione della lettura, politiche del digitale, ecc.)», il documento finale del Gruppo di lavoro ha auspicato una

decisa evoluzione di SBN, che sempre più deve presentarsi ai fruitori come l’organizzazione bibliotecaria nazionale, intesa come complesso integrato di servizi e policies caratterizzato da un’architettura di sistema territoriale multiscala e da un nuovo modello di management. Così reinterpretato, SBN può diventare un asset importante del catalogo del patrimonio nazionale e dei relativi servizi, unitamente al Sistema archivistico nazionale (SAN) e al Sistema museale nazionale (SMN), dando vita a un sistema nazionale del patrimonio coerente col policentrismo culturale italiano e, dal punto di vista locale, a un sistema culturale integrato129.

Questa posizione è esattamente la conseguenza diretta della visione complessa, ricomposta e integrata che dei servizi bibliotecari nazionali aveva Angela Vinay, e la stessa che ultimamente è stata posta alla base del nuovo portale delle biblioteche italiane, il portale Alphabetica, presentato al pubblico dall’ICCU nel dicembre 2021130.
Si tratta di un nuovo sistema di ricerca integrato, dotato di un suo, autonomo, portale di accesso, con l’obiettivo di rendere immediatamente e contemporaneamente consultabili i dati del patrimonio conservato nelle biblioteche italiane, statali, universitarie, ecclesiastiche, di ente locale, di istituti culturali, di fondazioni, associazioni e di privati cittadini, descritto attraverso i sistemi informativi nazionali realizzati grazie al lavoro cooperativo: il catalogo collettivo di SBN, i sistemi specialistici per il libro italiano del Cinquecento (EDIT16) e per i manoscritti antichi e moderni (Manus online-MOL), la biblioteca digitale di Internet culturale.
Tutti questi sistemi informativi sono stati rinnovati completamente e integrati fra loro per migliorare da una parte il servizio che ciascuno di essi già offre al proprio pubblico, ma allo stesso tempo per sviluppare un servizio nuovo, definito ‘catalogo generale’. Il nuovo ‘catalogo generale’ è dunque una base dati che si fonda sul catalogo collettivo di SBN ma viene arricchita di dati informativi e risorse digitali presenti negli altri sistemi, e da altre risorse ricavate anche al difuori della comunità di SBN131.
Avendo alle spalle questo complesso di servizi ‘ricomposti’ non deve infine meravigliare che i primi progetti presentati – e finanziati – per il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) siano stati prodotti dal settore disciplinare delle biblioteche, ormai da anni bene allenato a ‘costruire sul costruito’.
Nell’ambito del sub-investimento 1.1.5 “Digitalizzazione del patrimonio culturale” sono stati già avviati due progetti: la digitalizzazione delle oltre centomila bobine di microfilm di manoscritti delle biblioteche italiane conservate alla Biblioteca nazionale centrale di Roma che comporterà un arricchimento della base dati del Censimento dei manoscritti antichi e moderni e la revisione e aggiornamento dei fondi manoscritti posseduti da tutte le tipologie di biblioteche italiane; e la digitalizzazione a tappeto dei quotidiani dall’Unità d’Italia al 1950, coordinata dalla Biblioteca nazionale centrale di Firenze con la partecipazione delle Biblioteche nazionali di Roma, Napoli e Milano, che non solo renderà accessibile una fonte insostituibile di documentazione di prima mano, ma consentirà anche una (da tempo necessaria) integrazione delle numerose, ma parziali, banche dati prodotte in sede locale.
Partiranno a breve anche altri progetti volti alla digitalizzazione di una vasta gamma di tipologie di oggetti del patrimonio culturale italiano: opere d’arte e reperti archeologici, archivi fotografici delle soprintendenze e dei musei, materiali sonori e audiovisivi. Tutti questi interventi contribuiranno al raggiungimento del target europeo che prevede, entro la fine del 2025, 65 milioni di nuove risorse digitali pubblicate e accessibili per mezzo della Digital library nazionale che sta per essere realizzata a cura dell’Istituto centrale per la digitalizzazione del patrimonio culturale (ICDP).
Nell’immediato, le risorse prodotte saranno messe a disposizione per mezzo dei sistemi verticali di ciascun dominio, nel nostro caso nel dominio dei servizi bibliografici nazionali, anzi dell’Ecosistema dei servizi bibliografici nazionali che l’ICCU ha creato in questi anni con le risorse economiche ordinarie, indipendentemente dal PNRR, dotandolo di un portale di accesso come Alphabetica.
L’Ecosistema dei servizi bibliografici nazionali è dunque già pronto e costituisce per gli altri settori disciplinari dei beni culturali un modello concreto di riferimento cui ispirarsi, dal punto di vista sia logico che tecnologico (con gli opportuni adattamenti alle diverse specificità disciplinari), utilizzando una sorta di economia di scala, resa possibile dalla consolidata esperienza sviluppata nel mondo delle biblioteche.
Grazie alla visione ampia dei servizi bibliografici nazionali che ebbe a suo tempo Angela Vinay, il nostro paese oggi può contare concretamente sia sulla capacità di accoglienza (in sicurezza) delle nuove risorse digitali, anche da parte della futura infrastruttura di fruizione, che sulle competenze sviluppate e maturate nel tempo all’interno del dominio bibliografico per costruire modelli concettuali, e nuovi sistemi integrati, utili alla realizzazione di quella piattaforma in cloud per l’accesso all’intero patrimonio culturale italiano, che sarà la Digital library nazionale, pensata in grande, ma basata su esperienze di dominio solide e consolidate, esattamente come il catalogo generale delle biblioteche, fondato sull’Indice SBN arricchito.

SIMONETTA BUTTÒ, Istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche, Roma, e-mail: ic-cu@cultura.gov.it.


Momenti fatali

Tommaso Giordano

Il grande scrittore austriaco, Stefan Zweig, definiva «momenti fatali» quel brevissimo lasso di tempo «in cui la bilancia della storia è come sospesa in un equilibrio e sembra che basti un capello per farla pendere in un senso o nell’altro». Zweig non si riferiva solo ai grandi eventi della storia, anche nella vite più ordinarie di ciascuno di noi, facendo le dovute proporzioni, ci possono essere dei momenti simili: una data, un’ora, un minuto in cui una decisione è «destinata a trascendere la contingenza» e a dare una svolta alle nostre vite o addirittura a influire sul corso della storia – nel nostro caso sulla più recente storia delle biblioteche italiane.
Questo mio intervento trae spunto da due di questi momenti di cui sono stato testimone che vedono protagonista Angela Vinay. Ambedue hanno come sfondo i congressi dell’AIB. È il caso qui di ricordare ai più giovani che quaranta-cinquanta anni fa, quando i canali di comunicazione professionale erano estremamente carenti e pressoché assenti le strutture di formazione, i congressi dell’AIB costituivano per i bibliotecari più impegnati un’occasione irrepetibile di incontro e di aggiornamento. Erano il luogo dove si scambiavano esperienze, dove si poteva entrare in contatto con i ‘maestri’ della professione bibliotecaria, in genere cortesi e disponibili verso i colleghi più giovani.
Alassio, 5-10 maggio 1975, si apre il congresso dell’AIB sullo sfondo della splendida primavera della riviera ligure. È l’anno del rinnovo delle cariche sociali. Allora le elezioni si svolgevano durante il congresso e potevano votare solo i soci partecipanti, ci si aspettava dunque una partecipazione più numerosa degli altri anni. Ma il fatto che colpisce subito i veterani dell’Associazione è la presenza di numerose facce nuove nella sala del congresso, giovani donne e uomini provenienti da tutta Italia. Sono la generazione del Sessantotto che sta entrando prepotentemente in tutti i settori del mondo del lavoro, dai comparti produttivi alle pubbliche amministrazioni. Nel paese c’è un grande fermento politico, la società italiana è in piena evoluzione, è il periodo delle lotte per i diritti sociali e civili (nel 1974 si era svolto il referendum sulla legge del divorzio) e di lì a poco, nel giugno del 1975, si sarebbero svolte le elezioni amministrative in quindici regioni, che avrebbero sancito la grande avanzata del Partito comunista. Cinque anni prima, nel 1970, la legge istitutiva delle regioni aveva aperto un nuovo capitolo nella storia politica e amministrativa del paese. E proprio in quegli anni si registravano forti tensioni tra le amministrazioni locali e lo stato centrale, restio ad attuare il decentramento previsto dalla legge che assegnava alle regioni ampie competenze in molti settori, tra cui la cultura, e dunque le biblioteche pubbliche e gli archivi di interesse locale. Alcune regioni si preparavano a promulgare leggi sulle biblioteche e impegnavano sempre maggiori risorse in tale ambito. In quel periodo l’assunzione di personale nelle biblioteche di ‘pubblica lettura’ (come usava dire) raggiunse livelli mai visti prima. In quello stesso anno veniva istituito il Ministero per i beni culturali e ambientali, foriero di grandi aspettative, che obbligava l’AIB a confrontarsi su questioni di vasta portata, dense di conseguenze per il futuro dei servizi bibliotecari. Tutto questo avveniva mentre in Italia le strutture di formazione dei bibliotecari erano pressoché inesistenti, la formazione avveniva on the job e l’aggiornamento era lasciato alla buona volontà dei singoli. In questo contesto l’AIB, che fino a qualche anno prima era una associazione di pochi ‘appassionati’, veniva chiamata ad assumere un ruolo centrale rispetto alla domanda di aggiornamento degli operatori delle biblioteche e allo sviluppo dei sistemi bibliotecari (nazionale e regionali). Inevitabilmente la domanda di partecipazione e di rinnovamento che investiva tutti campi della vita sociale e civile non poteva risparmiare la vecchia e gloriosa AIB.
Fu ad Alassio che incontrai la prima volta Angela Vinay. Ricordo che intervenne nel dibattito dalla platea, e fui subito impressionato dalla sua personalità carismatica, autorevole, di grande spessore intellettuale. Già dalle prime battute del congresso emerse lo scontro tra un gruppo di bibliotecari più aperto alla domanda di partecipazione e la maggioranza più ‘conservatrice’. Vorrei precisare che non si trattava di irriducibili reazionari, la dirigenza dell’AIB di allora era formata da persone illuminate e progressiste, di notevole caratura intellettuale e professionale, come Renato Pagetti, Giorgio De Gregori, Alberto Guarino. La questione più controversa riguardava l’apertura dell’Associazione a tutti gli operatori delle biblioteche, mentre allora era ristretta solo al personale che aveva la qualifica di bibliotecario o di aiuto bibliotecario. Da una parte si riteneva che una maggiore aperture dell’AIB avrebbe nociuto alla reputazione di una professione poco riconosciuta. Dall’altra si sosteneva che accogliendo nell’AIB tutti gli operatori delle biblioteche, indipendentemente dalle qualifiche ma riconoscendo la situazione di fatto, avrebbe dato all’Associazione maggiore potere contrattuale per affrontare le sfide che si profilavano all’orizzonte. Questa spaccatura portò alla formazione di due liste contrapposte per l’elezione delle cariche sociali. Angela Vinay che aveva fino all’ultimo cercato un compromesso fra le due posizioni, alla fine decise di candidarsi nella lista degli ‘innovatori’. Quando la sera prima delle elezioni Franco Balboni, infaticabile animatore di quel congresso, ci portò la notizia nella saletta dove eravamo riuniti, ci fu un’esplosione di entusiasmo: era chiaro che l’AIB si preparava a una svolta, e svolta ci fu. Per Angela fu una scelta travagliata, ma dopo aver conosciuto la sua personalità, i suoi valori di riferimento, il suo rigore, capii che per lei una scelta diversa voleva dire venir meno alle sue responsabilità. Qualche anno dopo Angela mi confidò che la spinta a compiere quel passo fu la domanda di cambiamento che veniva dalla nuova generazione, fu l’appassionata partecipazione a quel congresso di giovani professionalmente e politicamente impegnati, provenienti dal nord e dal sud del paese, che invocavano una leadership in grado di dare autorevolezza politica all’Associazione in quegli anni decisivi per le biblioteche e per la professione del bibliotecario.
Guido e Rino Pensato, nel loro sincero e commovente contributo alla miscellanea dedicata a Angela Vinay nel 2001, accennano agli ‘incontri fatali’ che avvenivano nelle sale del congresso tra noi giovani alle prime armi e personalità della levatura di Angela Vinay e Franco Balboni, che non disdegnavano il dialogo anche di fronte alle nostre ingenuità e intemperanze.

E lo fecero [cito i fratelli Pensato] svelando con la pratica quotidiana – personale e istituzionale – a neofiti, scettici e disillusi, agli estremisti contrapposti della ‘politica prima di tutto’ e della ‘professione sopra tutto’ [...] che solo uno stretto inscindibile legame tra un’ampiamente condivisa idea della missione civile (e in questo senso politica) della biblioteca [....] e una forte, inattaccabile, dinamica e generalizzata qualificazione professionale, avrebbe consentito ai bibliotecari italiani di trasformare i loro istituti da luoghi inerti e miscosciuti della mera conservazione, in strutture moderne al servizio degli utenti e della modernizzazione del paese.

Sangineto (Cosenza), 4-7 giugno 1978, si celebra il 28° congresso dell’AIB. Da tre anni Angela è presidente dell’Associazione e da un anno e mezzo ha assunto la direzione dell’ICCU. La sua leadership in campo bibliotecario si è consolidata, ed è ormai il punto di riferimento nazionale sia sul piano professionale che istituzionale. È l’anno del rinnovo delle cariche sociali, Angela da quando è diventata direttrice dell’ICCU va maturando un’idea che coltiva da tempo. Negli ultimi tre anni il quadro sta mutando rapidamente, le iniziative da parte delle regioni si moltiplicano, prolificano i progetti di automazione, spesso velleitari e improvvisati, nelle università e negli enti locali. Angela è consapevole che si sta giocando una partita decisiva per il futuro delle biblioteche, occorre agire in tempi brevi per evitare un’ulteriore frammentazione e dispersione delle risorse e per ricondurre le iniziative in un quadro di coerente collaborazione. In Toscana, per iniziativa del neonato Istituto universitario europeo (IUE), un gruppo di biblioteche di enti diversi, inclusa la Biblioteca nazionale centrale di Firenze (allora diretta da Diego Maltese), sostenuto dalla Regione e dall’Università di Firenze, si prepara a lanciare un progetto di cooperazione automatizzata su scala regionale. Animatore del gruppo è Michel Boisset, un bibliotecario francese, vicedirettore della Biblioteca dell’IUE. Michel, che ha una lunga esperienza nel campo dell’automazione, sta realizzando con la sua équipe informatica, guidata da un ingegnere, Corrado Pettenati, un sistema per la biblioteca dell’IUE. Ma il suo sogno è ben altro: convinto fermamente che l’automazione può significare un vero salto di qualità – nella misura in cui è impiegata per mettere le biblioteche in comunicazione al fine di condividere le loro risorse – ha in mente di organizzare un consorzio integrato di biblioteche in Toscana. Qualche tempo prima del congresso di Sangineto, appare su L’unità un articolo di Angela Vinay, nel quale partendo dalla costatazione che le biblioteche per essere efficaci devono mettere insieme le loro risorse, si prefigura lo sviluppo dei servizi bibliotecari nazionali nel quadro di una cooperazione su larga scala, dove ciascuna biblioteca mantiene la propria autonomia. Io traduco l’articolo e lo mostro a Michel che ne rimane entusiasta, tutto coincide con la sua visione. Vuole che io lo introduca alla Vinay appena possibile. Telefono ad Angela, per chiedere un incontro. Non c’è tempo prima del congresso, l’appuntamento è a Sangineto. Michel giunge a Sangineto la sera del 5 maggio, in taxi, dopo aver preso un volo da Pisa a Lamezia Terme, l’incontro è fissato per l’indomani alle 8, in albergo. Dopo i primi convenevoli, non mi ci vuole molto per capire che i due si intendono alla perfezione, è qualcosa che va oltre l’ambito professionale: una coincidenza di principi e di valori condivisi, un comune sentire. Michel ascoltava Angela attento, visibilmente affascinato. Poi quando Michel cominciò a parlare dei programmi dell’IUE e ad accennare alle opportunità che la telematica poteva concretamente offrire alla cooperazione in rete, Angela seguiva compostamente, come sempre, ma notai che i suoi occhi brillavano come se avesse scoperto qualcosa o le fosse spuntata un’idea che inseguiva tempo. La scintilla era scoccata. L’incontro si concluse in poco più di un’ora, con l’impegno di rivedersi al più presto. Quando Michel era già sul taxi diretto all’aeroporto, Angela mi disse una frase che non ho più dimenticato: «questo incontro è il risultato più importante del nostro congresso».
L’incontro tra Angela e Michel è stata una congiunzione straordinaria tra due persone fuori dall’ordinario. Per alcuni aspetti affini, per molti altri diversissimi. Negli anni mi è apparsa sempre più evidente la loro complementarità. Sono convinto che Angela aveva un’idea e sapeva dove voleva arrivare, conosceva il contesto ed era in grado di trovare il percorso, ma non sapeva quale fosse il mezzo più adatto per raggiungere quell’obiettivo. Anche Michel sapeva dove voleva arrivare, conosceva il mezzo, ma non aveva chiaro il contesto e non riusciva a individuare il percorso. Mi riesce difficile immaginare che un progetto come SBN potesse essere realizzato senza il talento tecnologico di Michel e la visione strategica e politica di Angela: rara congiunzione di esprit de geometrie e esprit de finesse, di cui una volta tanto nella loro storia le biblioteche italiane hanno beneficiato.
Mi sono chiesto spesso in tutto questo tempo, e ancora in questi giorni, quale fosse l’elemento trascinante di Angela, come fosse riuscita a trovare tanto seguito, non solo tra i bibliotecari, ma tra numerosi amministratori, informatici, accademici e politici di qualsiasi colore dal nord al sud dell’Italia. Non posso dire di aver trovato una spiegazione esauriente, ma sono convinto che un elemento fondamentale del suo carisma derivava dalla sua concezione alta della missione della biblioteca e del bibliotecario, anzi per essere più precisi, della missione del funzionario pubblico, inteso nel senso anglosassone di civil servant, cioè di agente al servizio del cittadino e della società democratica.
Gli scritti, pochi rispetto alla sua opera, che Angela ci ha lasciato, rappresentano solo una traccia del suo straordinario impegno. Angela era una bibliotecaria d’azione e, come molti eccellenti bibliotecari della sua epoca, non aveva ambizioni accademiche, i suoi scritti erano quasi sempre funzionali al suo lavoro. La sua azione formativa era espressa nell’esercizio concreto della professione, nella pratica del lavoro quotidiano, nei rapporti con i suoi collaboratori e interlocutori. Una delle doti di Angela che più ammiravo era la sua apertura al nuovo e la capacità di ascolto e di dialogo, senza pregiudizi – anche quando la sua visione era distante da quella dell’interlocutore – la sua abilità di confrontarsi e collaborare ai diversi livelli. Senza queste qualità – più che rare nella pubblica amministrazione di ieri come di oggi – non avrebbe potuto concepire e portare avanti un progetto complesso e ambizioso come SBN.
La storia del progetto SBN non è fatta solo di tecnologia, abilità manageriali e visione politico-culturale, è anche una storia di amicizia, di rapporti di amicizia che andavano oltre il gruppetto ‘storico’132 e includevano sempre nuovi valorosi colleghi come Cristina Mugnai, Igino Poggiali, Ornella Foglieni e molti altri. Alle riunioni seguivano inevitabilmente, piacevoli momenti conviviali, a cui Angela, quando poteva, partecipava volentieri. E in quelle pause di relax si parlava di tutto. «Con Angela era molto bello parlare – dirà Luigi Crocetti a proposito di quei momenti – gli occhi ti fissavano dietro le lenti con gravità o leggerezza (questa accompagnata dal sorriso) mai facili, mai condiscendenti, neanche a cena, e di cene con lei ce ne sono state tante anche a la Fabrique, un posto vicino a Lione» (la Fabrique era la casa di campagna di Michel Boisset). In realtà, con noi più giovani Angela sapeva essere guida severa ma allo stesso tempo amica comprensiva e premurosa. Si era creato nel nostro sodalizio un clima familiare: si gioiva e si soffriva insieme e, come nelle migliori famiglie, si discuteva tanto, spesso animatamente: era il modo di operare dialettico del gruppo SBN.
Rievocando quei momenti il mio pensiero va a Lalla Sotgiu. La cara indimenticabile Lalla, che animava le nostre riunioni con le sue osservazioni critiche e stimolanti, il suo humor, le sue sonore risate. A volte ricordavamo divertiti il nostro primo incontro ad Alassio suggellato da una bella litigata. Ma subito dopo scoprimmo le affinità, i comuni ideali, passioni e aspirazioni. Gli anni del nostro impegno nell’AIB e poi nel progetto SBN videro la reciproca stima e simpatia evolvere in una solida, sincera e fraterna amicizia, rimasta inalterata fino a quando Lalla ci ha lasciato.
Oggi, volgendo lo sguardo al passato mi rendo conto che sono stato un bibliotecario fortunato. Ho avuto il privilegio di frequentare colleghi straordinari che mi hanno aiutato a crescere sia sul piano professionale che umano. Ad Angela Vinay devo molto, soprattutto l’essere riuscito, con la forza dei valori che ci ha trasmesso, a dare un senso etico e politico-culturale al mio impegno professionale. A lei va il mio ricordo affettuoso e la mia profonda riconoscenza.

TOMMASO GIORDANO, già Biblioteca Istituto universitario europeo, Fiesole (FI), e-mail: tommaso.giordano@eui.eu.


La mia mentore Lalla

Madel Crasta

Il tassello che posso portare al ricordo di Lalla è al tempo stesso affettivo e professionale perché siamo state molto amiche e parte di uno stesso ambiente: sempre lei, più grande di me, mi ha guidato nella professione bibliotecaria. L’ho incontrata a Sassari nei mitici anni ’68-69 del Novecento, quando lei dirigeva la Biblioteca universitaria, una antica biblioteca le cui origini risalgono allo Studio gesuitico del Cinquecento, e ho potuto cogliere fin d’allora il suo spirito innovatore ma per niente nuovista. Negli anni Ottanta ci siamo poi ritrovate a Roma dove lei faceva già parte dell’ICCU, nella squadra formatasi attorno alla Vinay e impegnata nella progettazione di SBN. Io lavoravo all’Istituto della Enciclopedia italiana con il compito di rinnovare la biblioteca risalente alla fondazione della Treccani. Laureata in filosofia, non avevo la minima idea di come porre mano alla rifondazione del nucleo storico della biblioteca per renderla funzionale all’Istituto culturale, che era anche una grande casa editrice. Lalla non mi permise neanche per un attimo d’improvvisare e con inesorabile dolcezza mi avviò verso la Scuola speciale per archivisti e bibliotecari e verso l’AIB.
Negli anni Ottanta insieme a Lalla e nell’AIB ho conosciuto Giovanna Merola e Anna Maria Mandillo, sue grandi amiche, e, tramite loro, Angela Vinay. Sono così entrata in contatto con tutto il lavoro preparatorio di SBN a cui Lalla partecipava con entusiasmo e grande dedizione (elementi assolutamente necessari per quell’impresa). È stata un’esperienza fondamentale nella mia formazione e non solo biblioteconomica, perché ha fatto di me, sessantottina cresciuta in Sardegna e allergica alle istituzioni e tanto più a quelle nazionali, una bibliotecaria con un forte senso civico e di servizio. Ho potuto vedere in azione concretamente una concezione del servizio al pubblico attiva e dinamica, ma non solo, ispirata com’era a un’idea di società in cui la cultura e la conoscenza dovevano essere largamente accessibili e diffuse, insomma un bene comune prima ancora che il concetto di bene comune fosse teorizzato e recepito.
Con il tempo il nostro scambio si è arricchito con l’esperienza del privato sociale degli istituti culturali in cui ero profondamente coinvolta. Nel rapporto con Lalla e con l’ICCU, è stato interessante e fonte di reciproca conoscenza l’entrare in contatto con le biblioteche nazionali, le storiche biblioteche statali e gli istituti centrali, un mondo talmente vasto e imponente da bastare a se stesso, o perlomeno così ci sembrava dall’esterno. Curatori e gestori – i bibliotecari statali – erano immersi in una struttura amministrativa e organizzativa dai confini ben precisi e radicati nella storia istituzionale del paese. In generale tutta l’organizzazione dello Stato era allora verticale e verticistica (in parte lo è ancora), non ancora toccata delle spinte sistemiche che spingevano verso aggregazioni intorno a contenuti e interessi al là delle appartenenze amministrative. Io invece, impegnata nella responsabilità della Biblioteca storica della Treccani, biblioteca di produzione, esprimevo in pieno le istanze delle biblioteche speciali e del loro diverso rapporto con l’università, i centri di ricerca e di produzione. Un rapporto molto più ‘precario’, ancorato ai tempi, ai bilanci, ai risultati e perciò naturalmente portato a uscire dalle mura del proprio ente per rafforzarsi con un ancoraggio più solido alle reti di relazioni, umane e telematiche.
Il rapporto fra le biblioteche speciali e le biblioteche statali è stato uno stimolo a valorizzare il peso e lo spessore dei contenuti rispetto alle implicite gerarchie d’importanza fondate sul volume delle raccolte, sulla storicità e statualità come valore assoluto (o quasi). Un’architettura istituzionale che finiva paradossalmente per mettere in ombra la stessa unicità e profondità del patrimonio storico stratificato in quelle biblioteche monumentali, intrecciato in modo indissolubile con la storia d’Italia e dei territori, con l’attività intellettuale e editoriale (non solo italiana). Si poteva forse allora intravedere in nuce una delle ragioni della futura crisi delle biblioteche pubbliche statali. Io stessa sono stata spinta da quella dinamica a riflettere sui criteri di crescita delle raccolte e sulla fisionomia dei contenuti immateriali racchiusi nei diversi supporti fisici, molto più connessi di quanto le mura istituzionali lasciassero supporre. Il varco si è aperto sul finire del Novecento con il fluire dei contenuti nello spazio digitale e con le teorie e le pratiche della biblioteca without walls.
Intanto diventava progressivamente più evidente che tutte le diverse tipologie di biblioteche sia nel paese che nei territori erano legate da un unico filo conduttore: le esigenze informative, culturali e di ricerca di un pubblico che si trasformava. L’utenza, infatti, proprio a cavallo fra gli anni Ottanta e Noventa si andava socialmente allargando e diversificando, sostenuta dal ceto medio allargato e ‘riflessivo’, dalla sua domanda di cultura e dal dinamismo del rapporto fra cittadini e patrimonio culturale nella cosiddetta cultura di massa. SBN è stato un gran catalizzatore di idee e di relazioni, ha costretto i bibliotecari a uscire dalle categorie consolidate verso uno scambio continuo di pensiero e di pratiche, ben oltre la catalogazione. Di questo scambio e della ricerca di un fattore comune, Lalla è stata protagonista, consapevole com’era della necessità di integrare la centralità della catalogazione e dei linguaggi descrittivi con le altre funzioni delle biblioteche intrinsecamente connesse. In prospettiva il processo di informatizzazione avviato da Angela Vinay e dalla sua squadra è stato molto più importante delle inevitabili criticità, in un percorso realmente riformista e quindi combattuto, complesso e incidentato. Basti pensare alla crescita professionale e direi proprio culturale di tutto il tessuto che vi partecipava. Ricordo bene le accese discussioni sulle scelte da compiere fra il centro (l’ICCU) e i rappresentanti delle regioni, dibattito che faceva emergere esperienze e sguardi diversi che dovevano poi confluire nel grande progetto nazionale che è oggi dato per scontato ma che è forse la rete più estesa, partecipata e policentrica della realtà digitale italiana.
L’esperienza fatta in quegli anni e la conoscenza delle biblioteche speciali sono state da Lalla ampiamente messa in campo dal 1990 quando andò a dirigere la Discoteca di Stato, istituzione dal grande potenziale fino ad allora un po’ disconosciuto, non identificandosi con le istituzioni ‘classiche’ – biblioteche, archivi e musei – pur condividendone diversi aspetti. Una volta messa a fuoco la portata strategica del patrimonio della Discoteca anche sul piano internazionale, Lalla si è dedicata anima e corpo all’impresa e proprio l’applicazione delle ICT alle collezioni è stata come si suole dire ‘pane per i suoi denti’ così come l’intreccio di relazioni con l’ambiente dei musicisti e musicologi che con la Discoteca interloquivano.
Voglio ricordare Lalla schietta e impaziente ma totalmente disponibile con amici e colleghi in cui coglieva affinità di pensiero e di obiettivi. La ricordo ai tanti convegni dell’AIB (di cui è stata vicepresidente) a cui abbiamo partecipato insieme (da Foggia-Pugnochiuso ad Alassio, Villasimius, Viareggio e altri), le dense chiacchierate con Angela Vinay e con Luigi Crocetti, le cene con gli amici delle biblioteche e delle regioni. Tutto questo ha pesato non poco nella mia vicenda umana e professionale e sono grata a Lalla per averne fatto parte con i suoi valori e la sua intransigente intelligenza, per avermi introdotto nel suo mondo che è poi diventato il mio.

MADEL CRASTA, Ministero della cultura, Consiglio superiore beni culturali e paesaggistici, e-mail: crastamadel@gmail.com.

Articolo proposto il 1° aprile 2023 e accettato il 4 aprile 2023.


Note

Il dossier raccoglie le relazioni del convegno “Per il centenario di Angela Vinay: impegno civile, costruzione e attualità dei servizi bibliotecari nazionali”, svoltosi presso la Biblioteca nazionale centrale di Roma il 24 novembre 2022.

AIB studi, vol. 63 n. 2 (maggio/agosto 2023). DOI 10.2426/aibstudi-13877. ISSN: 2280-9112, E-ISSN: 2239-6152 - Copyright (c) 2023 Gli autori

1 Angela Vinay e le biblioteche: scritti e testimonianze. Roma: Istituto centrale per il catalogo unico; Associazione italiana biblioteche, 2000.
2 Cfr. Simonetta Buttò, Vinay, Angela (Vinay Pietra, Angela Maria). In: Dizionario bio-bibliografico dei bibliotecari italiani del XX secolo, a cura di Simonetta Buttò,https://www.aib.it/aib/editoria/dbbi20/vinay.htm.
3 Una accurata ricostruzione della osmosi tra dibattito culturale e vita associativa è presente nel contributo di Giuseppe Colombo, Politica e cultura a metà degli anni Settanta. In: Angela Vinay e le biblioteche cit., p. 77-85.
4 Ivi, p. 203-211.
5 Ivi, p. 212-224.
6 Ivi, p. 235-236.
7 Ivi, p. 244-247.
8 Ivi, p. 263-272.
9 Ivi, p. 273-276.
10 Ivi, p. 286-296, 303-307, 308-313, 325-331.
11 Ivi, p. 297-302.
12 Ivi, p. 228-234. Si veda anche il sopra citato saggio di Giuseppe Colombo.
13 Angela Vinay, Editoriale, «Bollettino d’informazioni», 15 (1975), n. 3, p. 175.
14 Angela Vinay e le biblioteche: scritti e testimonianze. Roma: Istituto centrale per il catalogo unico; Associazione italiana biblioteche, 2000, p. 19.
15 Ivi, p. 237-238.
16 Ivi, p. 302.
17 Claudio Leombroni, Il Servizio bibliotecario nazionale: idee, passioni, storia. In: Paolo Traniello, Storia delle biblioteche in Italia: dall’Unità a oggi, con scritti di Giovanna Granata, Claudio Leombroni, Graziano Ruffini. Bologna: Il mulino, 2002, p. 371-430.
18 Cfr. Giovanni Moro, Anni Settanta. Torino: Einaudi, 2008; Giuliano Amato; Andrea Grazioli, Grandi illusioni: ragionando sull’Italia. Bologna: Il mulino, 2013, cap. 13. Per una riflessione simile con riguardo a un paese a noi vicino cfr. Philippe Chassaigne, Les années 1970: fin d’un monde et origine de notre modernité, 2. éd. Paris: Colin, 2008.
19 Si veda Giovanni Spadolini, Una politica per i beni culturali: discorsi alla Camera e al Senato della Repubblica per la conversione del decreto istitutivo del Ministero. Colombo, 1975. Cfr. altresì Ilaria Bruno, La nascita del Ministero per i beni culturali e ambientali: il dibattito sulla tutela. Milano: Edizioni universitarie di Lettere Economia Diritto, 2011.
20 Per i profili generali si veda Ugo De Siervo, La difficile attuazione delle regioni. In: L’Italia repubblicana nella crisi degli anni Settanta, vol. 4: Sistema politico e istituzioni, a cura di Gabriele De Rosa e Giancarlo Monina. Soveria Mannelli: Rubbettino, 2003, p. 389-401. Con riferimento alle biblioteche cfr. Paolo Traniello, Regioni e biblioteche in Italia. Milano: Cisalpino-Goliardica, 1977; Id., Biblioteche e regioni: tracce per un’analisi istituzionale. Firenze: Giunta regionale toscana, La Nuova Italia, 1983; Id., Legislazione delle biblioteche in Italia. Roma: Carocci, 1999. Per un quadro critico generale si veda Alberto Petrucciani, Regioni e biblioteche: un’occasione mancata. In: L’Italia e le sue regioni: l’età repubblicana, vol. 1: Istituzioni. Roma: Istituto dell’Enciclopedia italiana, 2015, p. 563-581.
21 Marco Cammelli, Regioni e regionalismo: 1948-2013. In: Id., Amministrazioni pubbliche e nuovi mondi: scritti scelti, a cura di Carla Barbati, Marco Dugato, Giuseppe Piperata. Bologna: Il mulino, 2019, p. 433-467: p. 444.
22 Guido Fanti, La politica delle alleanze in una “regione rossa”, «Critica marxista», 8 (1970), n. 3, p. 58-64: p. 60-61. Guido Fanti (1925-2012) fu il primo presidente della Regione Emilia-Romagna.
23 Renato Pagetti, Le strutture bibliotecarie nazionali, relazione del presidente al 24° congresso (Foggia-Pugnochiuso, 5-10 maggio 1974). In: I congressi 1965-1975 dell’Associazione italiana biblioteche, a cura di Diana La Gioia. Roma: Associazione italiana biblioteche, 1977, p. 229-236: p. 235-236.
24 Angela Vinay, [Relazione del presidente. In: Ruolo e formazione del bibliotecario, atti del 29° congresso dell’Associazione italiana biblioteche (Firenze, 29 gennaio-1 febbraio 1981). Firenze: Giunta regionale toscana, 1983, p. 23-28: p. 25.
25 Renato Pagetti, L’Ente Regione e le biblioteche degli enti locali: considerazioni relative all’art. 117 della Costituzione, intervento al 14° congresso dell’Associazione italiana biblioteche (Roma-Salerno-Sorrento-Montevergine, 25-29 ottobre 1962), «Accademie e biblioteche d’Italia», 30 (1965), n. 4-5, p. 332-341. Cfr. Giorgio De Gregori, Renato Pagetti e il rinnovamento dell’Associazione italiana biblioteche, «Bollettino AIB», 36 (1996), n. 2, p. 141-148.
26 Giorgio De Gregori, La politica per le biblioteche in Italia. In: I congressi 1965-1975 dell’Associazione italiana biblioteche cit., p. 184-193: p. 186.
27 Renato Pagetti, Relazione del presidente [al 22° congresso. In: I congressi 1965-1975 dell’Associazione italiana biblioteche cit., p. 197-201: p. 198-199.
28 A. Vinay, [Relazione del presidente cit., p. 25-26.
29 Cfr. Emanuele Casamassima, La crisi delle biblioteche italiane, «Problemi», 1972, n. 31, p. 1-7: p. 6; Angela Vinay, Per la Biblioteca nazionale di Firenze. In: Angela Vinay e le biblioteche: scritti e testimonianze. Roma: Istituto centrale per il catalogo unico; Associazione italiana biblioteche, 2000, p. 320-324: p. 320. Si tratta di un testo preparato per una giornata di studio sulla Biblioteca nazionale di Firenze svoltosi il 12 marzo 1988. Quando non diversamente indicato i testi della Vinay sono citati da questo volume. Ad esso si rimanda per i riferimenti bibliografici originari.
30 Cfr. Giunta regionale toscana. Dipartimento Istruzione e cultura, La legge toscana per le biblioteche, a cura di Francesco Gravina. Firenze: Giunta regionale toscana, 1977. Cfr. Tiziana Stagi, Una battaglia per la cultura: Emanuele Casamassima e le biblioteche. Roma: Associazione italiana biblioteche, 2013, p. 335-348. Sul clima di quegli anni in Toscana cfr. Silvano Filippelli, Gli argini dell’Arno: beni culturali e democrazia nell’esperienza toscana. Bari: De Donato, 1974.
31 Per la salvezza dei beni culturali in Italia: atti e documenti della Commissione d’indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio. Roma: Colombo, 1967, vol. 1, p. 17. Sulla Commissione Franceschini mi permetto di rinviare a Claudio Leombroni, La Commissione Franceschini e le biblioteche: un futuro incompiuto, «Accademie e biblioteche d’Italia», n.s., 9 (2014), p. 7-19. Per una prospettiva interpretativa diversa cfr. Mauro Guerrini; Tiziana Stagi, Per un sistema bibliotecario nazionale: le biblioteche nei lavori della Commissione Franceschini, «AIB studi», 56 (2016), n. 3, p. 473-484, DOI: 10.2426/aibstudi-11539.
32 Massimo Severo Giannini, Uomini, leggi e beni culturali, «Futuribili», 5 (1971), n. 30-31, p. 34-43: p. 41.
33 Diego Maltese, Le biblioteche come beni culturali nel pensiero di Giovanni Spadolini, «Biblioteche oggi», 33 (2015), n. 6, p. 31-35: p. 32.
34 Giovanni Spadolini, Lo Stato e i beni culturali: perché Sant’Agnese non è in vendita, «La stampa», 8 luglio 1975, p. 3.
35 Disse il ministro per i Beni culturali Pedini al congresso dell’AIB del 1978: «Vi domando la comprensione e l’aiuto che sono necessari, la coscienza che un ministero, come una nazione, non si regge se non vi sono delle organizzazioni gerarchiche», Discorso del ministro per i Beni culturali, «Bollettino d’informazioni», n.s., 17 (1977), n. 4, p. 277-281: p. 279. Mario Pedini (1918-2003) fu ministro per i Beni culturali dal 1976 al 1978 nei governi Moro V e Andreotti III.
36 Cfr. in proposito Luigi Crocetti, La tradizione culturale italiana del Novecento. In: Le biblioteche di Luigi Crocetti: saggi, recensioni, paperoles (1963-2007), a cura di Laura Desideri e Alberto Petrucciani. Roma: Associazione italiana biblioteche, 2014, p. 501-507: p. 506.
37 Angela Vinay, Informazione e servizio bibliografico. In: Angela Vinay e le biblioteche cit., p. 237-243: p. 241.
38 Alberto Guarino, Per una legge di riforma delle biblioteche. In: I congressi 1965-1975 dell’Associazione italiana biblioteche cit., p. 254-263: p. 255.
39 Renato Pagetti, Relazione del presidente [al 25° congresso. In: I congressi 1965-1975 dell’Associazione italiana biblioteche cit., p. 249-254: p. 251.
40 A. Guarino, Per una legge di riforma delle biblioteche cit., p. 258.
41 A. Vinay, Per la Biblioteca nazionale di Firenze cit., p. 321.
42 Cfr. Una politica per i beni culturali stato e regioni: incontro con il ministro Giovanni Spadolini (Bologna, Archiginnasio, 15 febbraio 1975). Bologna: Regione Emilia-Romagna, 1975. Nel volumetto sono raccolti gli interventi di Guido Fanti, Cesare Gnudi, Renzo Bonazzi, Lucio Gambi, Aristide Canosani, Ivanoe Sensini, Carlo Maria Badini, Giulio Einaudi e Giovanni Spadolini.
43 Cfr. Andrea Emiliani, Una politica dei beni culturali, con scritti di Pierluigi Cervellati, Lucio Gambi e Giuseppe Guglielmi. Torino: Einaudi, 1974. Il volume è stato ripubblicato nel 2014 dall’editore Bononia University Press.
44 Giovanni Losavio, L’Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna per una nozione unitaria della tutela. In: Oltre il testo: unità e strutture nella conservazione e nel restauro dei libri e dei documenti, a cura di Rosaria Campioni. Bologna: Istituto per i beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna, 1981, p. 11.
45 Angela Vinay, Relazione del presidente [al 26° congresso. In: Angela Vinay e le biblioteche cit., p. 228-234: p. 229. Vinay fa riferimento all’intervento di Spadolini riportato in Una politica per i beni culturali stato e regioni cit., p. 56.
46 A. Vinay, Relazione del presidente [al 26° congresso cit., p. 230.
47 Cfr. Angela Vinay, Il sistema bibliotecario italiano e i programmi di cooperazione internazionale, «Il comune democratico», 33 (1978), n. 10, p. 41-44. La preoccupazione sulla capacità del paese di far fronte ai programmi internazionali fu anche di Renato Pagetti.
48 Cfr. Franco Balboni, Il sistema bibliotecario italiano: problemi e prospettive, «Indice per i beni culturali nel territorio ligure», 21 (1977), n. 6, p. 4-5: p. 5. La nozione di pianificazione, oltre ad essere molto diffusa nel dibattito politico italiano, aveva ricevuto in quegli anni un notevole impulso in sede Unesco: cfr. Carlos Victor Penna, La planification des services de bibliothèque et de documentation, 2 éd. revue et augmentée par Philip H. Sewell et Herman Liebaers. Paris: Unesco, 1970; Jacques H. d’Olier ; Bruno Delmas, Planification des infrastructures nationales de documentation, de bibliothèques et d’archives: esquisse d’une politique générale. Paris: Unesco, 1974.
49 Cfr. Per la salvezza dei beni culturali in Italia cit., p. 620-621. Sul rapporto fra Commissione e questione regionale si veda Massimo Pallottino, La stagione della Commissione Franceschini. In: Memorabilia: il futuro della memoria: beni ambientali, architettonici, archeologici, artistici e storici in Italia, coordinamento di Francesca Perego. Roma; Bari: Laterza, 1987, vol. 1, p. 7-11: p. 10-11.
50 Cfr Franco Balboni, Le biblioteche in Italia, «Città & regione», 1 (1975), n. 8, p. 120-130: p. 130.
51 Giuseppe Colombo, Regioni e biblioteche: documentazione sullo sviluppo delle biblioteche pubbliche in Italia negli anni 1972-1975, «Bollettino d’informazioni», n.s., 16 (1976), n. 4, p. 372-390: p. 389. La relazione fu presentata al 26° congresso dell’AIB. Su Colombo (1934-2019), che fu componente del consiglio direttivo durante i sei anni della presidenza Vinay, si veda Beppe Colombo: cultura e impegno. Monza: Novaluna, 2022.
52 «Non possiamo non ricordare che il modello della public library pubblicizzato nel secondo dopoguerra dall’Associazione italiana biblioteche rimase un riferimento astratto fino a tanto che la legislazione regionale in materia di biblioteche non lo mise prepotentemente in causa»: Angela Vinay, Prefazione. In: Giovanni Lazzari, Libri e popolo: politica della biblioteca pubblica in Italia dal 1861 ad oggi. Napoli: Liguori, 1985.
53 G. Colombo, Regioni e biblioteche cit., p. 390. Il tema della programmazione territoriale dei sistemi era collegato all’articolazione dello spazio regionale: cfr. Elio Sellino, Biblioteche, sistemi, centri di documentazione. In: Id., Per la biblioteca: pagine di politica bibliotecaria. San Marino: A.I.E.P., p. 31-41.
54 Angela Vinay, Editoriale, «Bollettino d’informazioni», n.s., 15 (1975), n. 3, p. 175-176: p. 176.
55 A. Vinay, Relazione del presidente [al 26° congresso] cit., p. 232-233.
56 Angela Vinay, Relazione del presidente [al 27° congresso, «Bollettino d’informazioni», n.s., 17 (1977), n. 4, p. 265-274: p. 267-268.
57 A. Vinay, Relazione del presidente [al 26° congresso cit., p. 252.
58 Giuseppe Colombo, Politica e cultura nell’AIB a metà degli anni Settanta. In: Angela Vinay e le biblioteche cit., p. 77-85: p. 81.
59 Cfr. Angela Vinay, Le biblioteche e i loro obiettivi. In: AICA 77: congresso annuale, Pisa 12-14 ottobre 1977, sezione 4: L’automazione nelle biblioteche. Pisa: Editrice tecnico scientifica, 1977, p. 3-6. Sull’automazione negli anni Settanta e in particolare sulle azioni di Angela Vinay in questo contesto mi permetto di rinviare a Claudio Leombroni, Una vicenda controversa: l’automazione delle biblioteche in Italia. In: La storia delle biblioteche: temi esperienze di ricerca, problemi storiografici, convegno nazionale (L’Aquila, 16-17 settembre 2002), a cura di Alberto Petrucciani e Paolo Traniello. Roma: Associazione italiana biblioteche, 2003, p. 174-176.
60 Angela Vinay, Per non smarrirsi fra i libri, «L’unità», 11 giugno 1977, p. 3.
61 Cfr. Biblioteche e sviluppo culturale: atti del convegno organizzato dal comune di Milano, 3-5 marzo 1977. Roma: Editori riuniti, 1978. L’intervento di Vinay, dal titolo Informazione e servizio bibliografico (p. 37-45) è stato ripubblicato in Angela Vinay e le biblioteche cit., p. 237-243.
62 A. Vinay, Informazione e servizio bibliografico cit., p. 239-240.
63 Ivi, p.240.
64 Si veda in particolare Ettore Bertazzoni, Natura e formazione degli archivi bibliografici regionali, «Bollettino d’informazioni», n.s., 17 (1977), p. 295-306.
65 Cfr. Per le biblioteche incontro alla regione, «L’unità», 16 giugno 1976, p. 10. L’estensore dell’articolo informa che l’assessore alla cultura Tassinari ha incontrato il consiglio interbibliotecario toscano di cui fanno parte i direttori di biblioteche dell’università, di biblioteche pubbliche e dell’Istituto universitario europeo. Il «consiglio formatosi appunto su iniziativa dell’Università europea, ha esposto all’assessore i suoi sforzi e il suo programma: studiare la possibilità di realizzare, in Firenze ma eventualmente in tutta la Toscana, un sistema di cooperazione nel campo bibliotecario che utilizzi le moderne tecniche di elaborazione dati ai fini di una razionalizzazione sia nel settore della catalogazione sia in quello dei servizi».
66 Discorso del ministro per i Beni culturali cit., p. 279.
67 A. Vinay, Informazione e servizio bibliografico cit., p. 241.
68 Cfr. Paolo Traniello, La biblioteca tra istituzione e sistema comunicativo. Milano: Editrice bibliografica, 1986.
69 A. Vinay, Le biblioteche e i loro obiettivi cit., p. 5.
70 Ibidem.
71Archivio del PCI, documentazione classificata, busta 398, fasc. 22, Intervento di Angela Vinay. Si tratta di due cartelle dattiloscritte con numerazione di pagina e senza data contenenti il testo dell’intervento svolto in occasione dell’insediamento della Consulta. L’Archivio del PCI è conservato dalla Fondazione Gramsci di Roma. Ringrazio il personale della Fondazione per la grande disponibilità e professionalità. Fra gli interventi figura anche quello di Giovanna Bosi Maramotti, per molti anni presidente della Fondazione Oriani di Ravenna. Non è peregrino pensare – ma è da appurare – che qualche anno dopo Giovanna Bosi abbia sostenuto presso Vinay l’ingresso nel progetto SBN della Provincia di Ravenna.
72 Relazione del presidente [al 28° congresso. In: Angela Vinay e le biblioteche cit., p. 248-256: p. 253.
73 Ibidem.
74 Ivi, p. 255-256.
75 Ivi, p. 254.
76 Saluto del presidente dell’AIB Angela Vinay [alla conferenza nazionale delle biblioteche italiane. In: Angela Vinay e le biblioteche cit., p. 273-276: p. 273.
77 Ivi, p. 274.
78 Ibidem.
79 Angela Vinay, Problemi di un sistema bibliotecario nazionale. In: Angela Vinay e le biblioteche cit., p. 263-272: p. 264.
80 Ibidem. Cfr. Francesco Sisinni, Relazione generale sulle biblioteche. In: Atti della conferenza nazionale delle biblioteche italiane sul tema «Per l’attuazione del sistema bibliotecario nazionale», «Accademie e biblioteche d’Italia», 47 (1979), n. 1-2, p. 43-56. Questo numero della rivista contiene gli atti della conferenza.
81 A. Vinay, Problemi di un sistema bibliotecario nazionale cit., p. 265.
82 Ivi, p. 265-266.
83 Ibidem.
84 Angela Vinay, Esperienze e programmi. In: Angela Vinay e le biblioteche cit., p. 257-262: p 259.
85 A. Vinay, Problemi di un sistema bibliotecario nazionale cit., p. 272.
86 Si veda l’intervento di Alessandro Fontana pubblicato in Una riforma per i beni culturali: d.p.r. 616 e legge di tutela: convegno delle regioni (Bologna 6-7 aprile 1979), atti di sintesi. Bologna: Giunta regionale dell’Emilia-Romagna, 1979, p. 17. Fontana (1936-2013) era allora assessore agli enti locali e cultura della Regione Lombardia.
87 Giorgio Pastori, Le regioni senza regionalismo, «Il mulino», 29 (1980), n. 2, p. 204-216: p. 205.
88 Cfr. Carlo De Maria, La questione regionale tra anni Settanta e Ottanta nella prospettiva dell’Emilia-Romagna: lineamenti di un dibattito comparato, «E-Review: rivista degli istituti storici dell’Emilia-Romagna», 2013, n. 1, p. 21-54: p. 34-35, DOI: 10.12977/ereview22.
89 Angela Vinay, Relazione al 29° congresso. In: Ruolo e formazione del bibliotecario: atti del 29° congresso dell’Associazione italiana biblioteche (Firenze, 29 gennaio-1 febbraio 1981). Firenze: Giunta regionale toscana, 1983, p.23-28: p. 27.
90 Angela Vinay, Cooperazione: strategia per gli anni Ottanta. In: Le regioni e i sistemi bibliotecari: esperienze regionali e proposte per il Monfalconese e il Friuli-Venezia Giulia, a cura di Romano Vecchiet. Milano: Mazzotta, 1983, p. 29-35: p. 31.
91 Cfr. Commissione per l’automazione delle biblioteche: servizio bibliotecario nazionale. In: Rapporto sull’attività dell’Istituto. Roma: Istituto centrale per il catalogo unico, 1980, p. 28-35.
92 Michel Boisset; Angela Vinay, Università europea e Servizio bibliotecario nazionale, «Il ponte», 37 (1981), n. 5, p. 394-396.
93 Cfr. Michel Boisset, L’automatisation à la bibliothèque de l’Institut universitaire européen: dans la perspective su Service bibliothécaire national italien, «Bulletin des bibliothèques de France», 26 (1981), n. 1, p. 11-25: p. 12, nota 1.
94 Angela Vinay, Un progetto in cammino: il Servizio bibliotecario nazionale, «Bollettino per le biblioteche», 31 (1986), p. 13-15: p. 13.
95 Ibidem.
96 Tommaso Giordano, Ad Angela Vinay, «Bollettino d’informazioni», n.s., 31 (1991), n. 3, p. 197-198: p. 197.
97 A. Vinay, Per la Biblioteca nazionale di Firenze cit., p. 321.
98 Angela Vinay, La Commissione Franceschini e le biblioteche. In: I congressi 1965-1975 dell’Associazione italiana biblioteche, a cura di Diana La Gioia. Roma: Associazione italiana biblioteche, 1977, p. 87-93, poi in Angela Vinay e le biblioteche: scritti e testimonianze. Roma: Istituto centrale per il catalogo unico; Associazione italiana biblioteche, 2000, p. 203-211: 207-208.
99 Art. 15, comma 4, d.p.r. 3 dicembre 1975, n. 805, Organizzazione del Ministero per i beni culturali e ambientali.
100 Basti pensare, da ultimo, a quanto previsto dall’art. 37 del d.p.r. 3 maggio 2006, n. 252, Regolamento recante norme in materia di deposito legale dei documenti di interesse culturale destinati all’uso pubblico, che per definire le modalità di deposito dei documenti diffusi tramite rete informatica ha previsto un apposito regolamento, da adottare con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, decreto, a oltre sedici anni di distanza e nonostante i ripetuti sforzi della comunità bibliotecaria e della competente direzione generale per le biblioteche, mai formulato, con gravissimo e per certi versi irreparabile danno per la conservazione della nostra memoria scritta degli ultimi anni, in parte diffusa solo attraverso la rete e pertanto ormai irrimediabilmente perduta.
101 Angela Vinay, Problemi di un sistema bibliotecario nazionale. In: Lo sviluppo dei sistemi bibliotecari: atti del convegno di Monza 1979, a cura di Massimo Belotti e Giuseppe Colombo. Milano: Mazzotta, 1980, p. 68-79, poi in Angela Vinay e le biblioteche cit., p. 263-272: p. 266.
102 L’ipotesi di decreto prevedeva in estrema sintesi una distinzione di funzioni fra le due Nazionali che attribuiva compiti essenzialmente di conservazione a quella di Firenze e di fruizione e uso pubblico a quella romana. La stessa Vinay, tuttavia, a proposito della BNCF segnalava come: «La realtà di SBN suggerisce che tale compito venga affrontato in maniera diversa da quella fin qui ipotizzata. Il contesto telematico […] consente una più articolata suddivisione di compiti fra gli istituti che per legge sono implicati nel processo del deposito obbligatorio. Spetta sicuramente alla BNCF approfondire gli aspetti del problema rifiutando logiche totalizzanti che pregiudicherebbero in concreto la realizzazione dell’archivio. In questo quadro le responsabilità delle due biblioteche centrali vanno meglio definite», Angela Vinay, Per la Biblioteca nazionale di Firenze, «Bollettino AIB», 31(1991), n. 3, p. 199-202, poi in Angela Vinay e le biblioteche cit., p. 320-324: p. 323-324.
103 Art. 2, comma 2, lettera c, d.lgs. 20 ottobre 1998, n. 368, Istituzione del Ministero per i beni e le attività culturali, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59.
104 Così nell’art. 6 dei due d.m. 8 ottobre 2008 e negli art. 15 e 16 del recente d.m. 3 febbraio 2022, n. 46, Organizzazione e funzionamento degli istituti centrali e di altri istituti dotati di autonomia speciale del Ministero della cultura, che ne mantiene sostanzialmente invariati i contenuti.
105 Fra questi la partecipazione congiunta fra il 1992 e il 1993 al progetto EDIFICARE, che prevedeva la collaborazione della Nazionale di Roma alle procedure catalografiche delle monografie nell’ambito della Bibliografia nazionale.
106 Andrea De Pasquale, Per una riforma del sistema delle biblioteche pubbliche statali, «Aedon: rivista di arti e diritto online», (2016), n. 2,http://www.aedon.mulino.it/archivio/2016/2/depasquale.htm.
107 Luca Bellingeri, Le biblioteche pubbliche statali: quale futuro?, «Aedon: rivista di arti e diritto online», (2017), n. 1,http://www.aedon.mulino.it/archivio/2017/1/bellingeri.htm.
108 Avviato fin dal 2006, il progetto Magazzini digitali veniva formalizzato con una lettera d’intenti fra le due Nazionali, la Biblioteca Marciana e la Fondazione Rinascimento digitale nel gennaio 2010 e successivamente confermato con una nuova lettera d’intenti sottoscritta nel luglio 2018. L’accordo per la collaborazione nella redazione della BNI è invece del gennaio 2017 (<https://www.bncf.firenze.sbn.it/wp-content/uploads/2019/11/507.pdf>), ma dopo una prima intensa seppur quantitativamente limitata partecipazione (386 le notizie prodotte da Roma nel 2018), per una serie di problematiche interne già dal 2020 non registrava più alcun contributo da parte della Nazionale romana.
110 A. Vinay, Per la Biblioteca nazionale di Firenze cit., p.320.
111 Cfr. gli Atti della conferenza nazionale delle biblioteche italiane sul tema «Per l’attuazione del sistema bibliotecario nazionale», «Accademie e biblioteche d’Italia», 47 (1979), n. 1-2.
112 Maria Gioia Tavoni, Disomogeneità del paesaggio bibliotecario. In: Fare gli italiani: scuola e cultura nell’Italia contemporanea, a cura di Simonetta Soldani e Gabriele Turi, vol. 2: Una società di massa. Bologna: Il mulino, 1993, p. 169-209.
113 Cfr. Thomas D. Walker, The state of libraries in eighteenth-century Europe: Adalbert Blumenschein’s “Beschreibung verschiedener Bibliotheken in Europa”, «The Library quarterly», 65 (1995), n. 3, p. 269-294.
114 In effetti non è facile accertare quali siano le principali reti bibliotecarie esistenti nei diversi paesi d’Europa (spesso non di livello nazionale, ma limitate a uno o più cantoni, Länder, comunità ecc.). Le riviste professionali purtroppo sono piene d’aria fritta, di propaganda e di autoincensamenti, e raramente dedicano attenzione a studiare e comprendere la realtà. Uno strumento informativo tanto vasto e utile com’è Wikipedia non comprende, disgraziatamente, una voce Library networks, o qualcosa del genere. Si può peregrinare pazientemente in Internet alla ricerca dei siti web delle singole reti, che però quasi mai forniscono dati chiari e precisi sulle biblioteche partecipanti (numero, tipologia ecc.), diversamente dalle pagine dedicate alla rete SBN sul sito dell’ICCU (<https://www.iccu.sbn.it/it/SBN/>), che forniscono invece un quadro completo ed esatto della struttura della rete stessa e degli istituti partecipanti.

115 Sulla carriera di Angela Vinay cfr. Carmela Perretta, Nota biografica di Angela Vinay. In: Angela Vinay e le biblioteche: scritti e testimonianze. Roma: Istituto centrale per il catalogo unico; Associazione italiana biblioteche, 2000, p. 17-21; Simonetta Buttò, Pietra, Angela Maria. In: Dizionario biografico degli italiani, 83 (2015),https://www.treccani.it/enciclopedia/angela-maria-pietra_%28Dizionario-Biografico%29/" target="_blank">https://www.treccani.it/enciclopedia/angela-maria-pietra_%28Dizionario-Biografico%29/; Simonetta Buttò, Vinay, Angela (Vinay Pietra, Angela Maria). In: Dizionario bio-bibliografico dei bibliotecari italiani del XX secolo, a cura di Simonetta Buttò,https://www.aib.it/aib/editoria/dbbi20/vinay.htm" target="_blank">https://www.aib.it/aib/editoria/dbbi20/vinay.htm (ora anche in Dizionario dei bibliotecari del Novecento, a cura di Simonetta Buttò e Alberto Petrucciani, con la collaborazione di Andrea Paoli. Roma: Associazione italiana biblioteche, 2022, p. 826-827).

116 Come ricorda Lorenzo Baldacchini, Angela Vinay e il libro antico. In: Angela Vinay e le biblioteche cit., p. 57-60.
117 Il manoscritto: situazione catalografica e proposta di una organizzazione della documentazione e delle informazioni: atti del seminario (Roma, 11-12 giugno 1980), a cura di Maria Cecilia Cuturi. Roma: Istituto centrale per il catalogo unico, 1981.
118 Documentare il manoscritto: problematica di un censimento: atti del seminario di Roma, 6-7 aprile 1987, a cura di Tristano Gargiulo. Roma: Istituto centrale per il catalogo unico, 1987.
119 Guida ad una descrizione catalografica uniforme del manoscritto, a cura di Viviana Jemolo e Mirella Morelli. Roma: Istituto centrale per il catalogo unico, 1984.
120 Conferenza nazionale delle biblioteche italiane: per l’attuazione del sistema bibliotecario nazionale: Roma, Biblioteca nazionale centrale, 22-24 gennaio 1979. Roma: Palombi, 1979.
121 Con queste parole si esprimerà Angela Vinay durante l’assemblea della sezione Emilia-Romagna dell’AIB, tenutasi a Ravenna nel giugno del 1989, rivendicando la scelta di denominare il progetto Servizio bibliotecario nazionale, e non Sistema: «Il servizio era concepito quindi inequivocabilmente per l’utente finale intendendo con questo termine non tanto (e in ogni caso non solo) il bibliotecario, quanto il lettore». Cfr. Angela Vinay e le biblioteche cit., p. 326.
122 Angela Vinay, Per la Biblioteca nazionale di Firenze. In: Angela Vinay e le biblioteche cit., p. 320-324: p. 321.
123 Tale principio fu enunciato in conclusione del già citato intervento all’assemblea di Ravenna, ivi, p. 331.
124 La registrazione della giornata, alla presenza del ministro Dario Franceschini e del presidente del Consiglio superiore dei beni culturali Giuliano Volpe, si trova sul sito dell’ICCU:https://www.iccu.sbn.it/it/eventi-novita/novita/Prima-Assemblea-dei-Poli-SBN/.
128 Istituito con decreto del direttore generale 17 novembre 2016, il gruppo di lavoro era formato da Antonella Agnoli, Luca Bellingeri, Simonetta Buttò, Madel Crasta, Roberto Delle Donne, Andrea De Pasquale, Claudio Leombroni, Rosa Maiello, Alberto Petrucciani.
131 Una visione complessiva dell’ecosistema dei servizi bibliografici nazionali è disponibile su «DigItalia», 17 (2022), n. 1, accessibile all’indirizzohttps://digitalia.cultura.gov.it/issue/view/146, che raccoglie i contributi presentati al Ministero della cultura, in occasione del lancio del portale Alphabetica, il 16 dicembre 2022.
132 Si vedano le firme che compaiono sullo sfondo del programma di questo convegno: Michel Boisset, Luigi Crocetti, Tommaso Giordano, Giovanna Merola, Corrado Pettenati, Susanna Peruginelli, Lalla Sotgiu, Angela Vinay.

Per il centenario di Angela Vinay: impegno civile, costruzione e attualità dei servizi bibliotecari nazionali (Roma, Biblioteca nazionale centrale, 24 novembre 2022)

Angela Vinay (1922-1990) è stata un’importante protagonista della storia delle biblioteche italiane del Novecento. Tra i numerosi e prestigiosi incarichi ricoperti è stata la prima donna presidente dell’Associazione italiana biblioteche nonché direttrice dell’Istituto centrale per il catalogo unico (ICCU) dove ideò e promosse il Servizio bibliotecario nazionale (SBN). Il presente dossier raccoglie le relazioni del convegno in suo onore “Per il centenario di Angela Vinay: impegno civile, costruzione e attualità dei servizi bibliotecari nazionali”, svoltosi presso la Biblioteca nazionale centrale di Roma il 24 novembre 2022.

For Angela Vinay’s centenary: civil commitment, construction and modernity of nationwide library services (Rome, Central National Library, 24 November 2022)

Angela Vinay (1922-1990) was a leading personality in the history of Italian libraries of the twentieth century. Among the numerous and prestigious positions she held, she was the first female president of the Italian Library Association as well as the director of the Central Institute for the Union Catalogue (ICCU), where she conceived and promoted the National Library Service (SBN). This dossier collects the papers of the conference “For Angela Vinay’s centenary: civil commitment, construction and modernity of nationwide library services”, held in her honour at the Central National Library of Rome on the 24th of November 2022.