di Mariangela Roselli
I regolamenti che definiscono norme e divieti di un luogo pubblico dedito alla lettura e alla cultura non sono gli unici fattori che rendono la biblioteca uno spazio di cultura selettivo. Teoricamente e materialmente aperto a tutti, lo spazio pubblico della biblioteca disegna una territorialità specifica attraverso un codice di comportamento che costituisce, all'interno, un vero e proprio perimetro e, all'esterno, una barriera simbolica. Attraverso una serie di inchieste etnografiche basate su osservazioni effettuate in alcune biblioteche municipali francesi, vengono rilevate alcune situazioni ricorrenti nelle interazioni tra bibliotecari e utenti. L'interazionismo simbolico ci insegna a stare attenti alla ripetizione dei ruoli sociali e la teoria si rivela qui di aiuto per portare alla luce i meccanismi che muovono - spesso in modo involontario e inconsapevole - le azioni e i comportamenti degli individui sulla scena che costituisce la biblioteca. Gli attori in presenza sono di due tipi, i bibliotecari e gli utenti, ma tra i due gruppi è possibile individuare relazioni, talvolta di affinità, altre volte dissonanti, che tessono una trama sociale su cui emergono situazioni di allontanamento o empatia col pubblico. È una realtà di fatto che nelle biblioteche pubbliche francesi il pubblico sia eterogeneo e les nouveaux publics - al plurale per indicarne la diversità di orizzonti e di provenienze - siano particolarmente rumorosi, agitati e sordi alle sollecitazioni culturali classiche. In questo contesto, essere bibliotecario significa adempiere compiti e svolgere mansioni di mediazione che non implicano soltanto un cambiamento fondamentale del mestiere, ma una radicale trasformazione della visione della biblioteca1. Infatti progettare e porgere le collezioni a un'utenza che se ne disinteressa mostrandosi reticente o resistente ai consigli non è particolarmente gratificante, pur essendo la biblioteca e l'utenza esenti da ogni obbligo e dovere di lettura. Pur senza vincoli, bibliotecari e utenti sono legati da un patto di unanimità sull'interesse che sussiste nella lettura, la documentazione e l'informazione di qualità e quando tale patto non può essere stabilito, quando gli interessi degli uni divergono completamente dalle aspettative degli altri, le relazioni possono rivelarsi conflittuali o per lo meno divergenti.
Per capire la problematica qui esposta sulle relazioni tra bibliotecari e cittadini ed entrare nel dibattito della mission che le bibliothèques municipales sono pronte ad assumere nello spazio pubblico2, serve in primo luogo soffermarsi su alcune caratteristiche della lettura pubblica francese in quanto strettamente collegata all'obiettivo di diffondersi in modo capillare su tutto il territorio del paese, anticipandone i bisogni e proiettando la domanda culturale.
Delle 16.500 biblioteche pubbliche censite attualmente in Francia, solo la Bibliothèque nationale de France et la Bibliothèque publique d'information sono sotto la tutela del Ministero della cultura. Tutte le altre biblioteche (municipali, intercomunali e dipartimentali) dipendono dalle amministrazioni locali (collectivités territoriales, ossia comune, dipartimento e regione3). A seconda del numero di abitanti della città, le biblioteche dispongono di risorse variabili. Tra le 16.500 biblioteche, il 23% sono semplici 'depositi di libri' insediati nei comuni di meno di 2.000 abitanti e il 25% sono costituite da 'punti di accesso ai libri' (segreterie del comune, associazioni, centri culturali) destinati a meno di 2.000 abitanti. Il tessuto delle biblioteche è costituito in gran parte da edifici situati in zone rurali, aree coperte anche da bibliobus e mediabus che dipendono dalle biblioteche dipartimentali, le quali non servono direttamente l'utenza ma forniscono collezioni, formazioni e consulenza alle piccole biblioteche o ai punti di accesso ai libri. Tali biblioteche e mediateche nomadi si spostano settimanalmente per coprire i comuni con meno di 200 abitanti nella zona geografica corrispondente al dipartimento. È da sottolineare che solo il 3% delle biblioteche corrispondono a vere e proprie biblioteche, ma questa piccola percentuale riesce a coprire un'aerea demografica corrispondente al 44% della popolazione francese.
Tale ripartizione riflette l'obiettivo, secolare in Francia, di diffusione capillare dei punti di lettura pubblica su tutto il territorio per garantirne la presenza dappertutto, con un'attenzione particolare per lo squilibrio crescente dalla seconda guerra mondiale in poi tra zone urbane e zone rurali. Più recente è l'accento posto sulla necessaria presenza delle biblioteche nei quartieri di periferia e, in particolare, nei quartieri che hanno visto nascere alla fine del secolo scorso la segregazione sociale post-immigratoria. La densità della copertura territoriale delle biblioteche è il risultato di un'azione di ampio e lungo respiro intrapresa congiuntamente dalle collettività locali e dallo Stato; tale situazione viene inoltre ampliata dalla missione di una più grande accessibilità, con un'attenzione particolare rivolta ai portatori di handicap, all'utenza con mobilità ridotta (malati, detenuti, anziani) e, più recentemente, agli orari di apertura. A seconda dell'impegno educativo e sociale della collettività, le biblioteche aprono in media 14 ore alla settimana le biblioteche rurali e 42 ore alla settimana le grandi biblioteche di città. La specificità del territorio francese permette anche di capire le ampie variazioni nel numero di giornate di apertura, cha vanno da 220 giorni all'anno per le biblioteche rurali a 265 per le biblioteche di città.
In realtà, se l'obiettivo della politica culturale francese è sempre quello di offrire beni culturali in gran quantità e sotto diverse forme per anticipare la domanda attraverso un'offerta e una sollecitazione pubblica, la risposta della popolazione continua a essere abbastanza deludente: benché i due terzi dei Francesi (65%) dichiarino di essersi recati almeno una volta in biblioteca negli scorsi dodici mesi e l'83% sappiano individuare una biblioteca nel loro quartiere4, sono meno della metà (46%) a frequentare regolarmente una biblioteca e ancora meno a prendere in prestito libri, riviste, dischi o DVD (tra 17% a 9%) con un abbonamento.
La media degli utenti attivi è pari al 12% con variazioni associate alle dimensioni del comune, secondo un'ipotesi di impatto massimo per le piccole biblioteche insediate nei comuni rurali dove l'offerta culturale è limitata rispetto alle biblioteche dei centri urbani che subiscono direttamente la concorrenza di altri luoghi di consumo (cinema, ristoranti, teatri, catene culturali).
Se il contrasto tra centri rurali e centri urbani costituisce il primo e più importante ambito della diseguale presenza e azione delle biblioteche sulla vita quotidiana degli abitanti, vorremmo qui inoltrarci in quello che costituisce il secondo livello di differenza in termini di impatto delle biblioteche sul territorio, quello tra centro-città e periferia. La periferia emerge come oggetto di dibattito e intervento pubblico sin dalla fine degli anni 1970 - le prime rivolte nei quartieri popolari (émeutes dans les grands ensembles) hanno luogo nel 1979 e scandiscono regolarmente le cronache nazionali dal 2005 - in seguito a fenomeni specificamente associati alla segregazione sociale delle popolazioni immigrate nord-africane, concentrate dal 1960 in quartieri pauperizzati e relegati ai margini delle città, con fenomeni cronici quali la descolarizzazione dei ragazzi e la disoccupazione giovanile sistemica.
Nello studio sugli incendi di biblioteche delle periferie povere, Denis Merklen individua tre livelli di cambiamenti che spiegano la situazione attuale6. Si tratta di un primo mutamento di tipo strutturale in cui una frazione della classe operaia si stacca dal resto e comincia a definirsi attraverso un'appartenenza territoriale marginale, la periferia (che la società francese designa come la banlieue con una connotazione spregiativa condivisa da tutti, compresi gli abitanti), invece che attraverso uno stesso passato e una comune coscienza di classe. Questa frazione, fatta di immigrati arrivati negli anni 1950 e 1960 in Francia per rispondere alla forte domanda di manodopera operaia (nei cantieri di costruzione), non si è sentita più parte integrante della classe operaia non potendo né aspirare alle stesse ambizioni di mobilità professionale né tanto meno guardare al mondo a partire da referenze e valori comuni. I due fenomeni, quello dello sganciamento dei padri operai immigrati dal resto della popolazione operaia 'francese' e quello del rapporto conflittuale con l'istituzione scolastica dei figli degli immigrati, sono concomitanti e connessi poiché, sin dagli anni Ottanta, tali contesti costituiscono l'unico passato e l'unico futuro della prima e seconda generazione di immigrati magrebini (la terza si affaccia con prospettive simili di evoluzione biografica) il cui background sociale e spaziale è fatto di esperienze confinate in uno spazio ristretto e soprattutto uniforme di interconoscenza, su uno sfondo di pauperizzazione economica, senza prospettive o alternative al di fuori dell'assistenza e dell'economia illecita. Sono questi gli universi in cui crescono ed evolvono i ragazzi che per farsi sentire hanno trovato come unica modalità l'incendio delle biblioteche, degli autobus e delle scuole. Tutti bersagli pubblici, tutti bersagli che dicono quanto lo Stato abbia promesso e quanti sforzi abbia richiesto l'integrazione e quanto amaro sia il disincanto di questi giovani.
A fronte di una popolazione adulta che parla (e non scrive) una lingua e dei dialetti diversi dal francese ed è in gran parte illetterata, di genitori che non usano quotidianamente lo scritto come supporto di comunicazione (formulari, pratiche amministrative) e comprensione della società circonstante (mass media e stampa), di ragazzi in età scolastica tenuti a parlare e scrivere una lingua a scuola, il francese, che esprime la frontiera tra il mondo familiare, affettivo, protettivo e l'istituzione che giudica, valuta ed esclude, la biblioteca occupa un posto ingrato e contradditorio7.
Se da un lato, essa è l'onnipresente e visibile faro, prova della presenza pubblica su territori relegati e segregati, dall'altro si trova a incarnare, in più e al di fuori della scuola - quindi senza obbligo - una missione implicita che va ben oltre l'educazione e la cultura e si estende all'intervento pubblico nell'ambito sociale su persone in difficoltà, tra cui in particolare i giovani, bambini, ragazzi, giovani adulti8. Bisogna precisare che le biblioteche fanno parte non solo del paesaggio dei quartieri popolari ma della loro storia ed è su tale sfondo di degradazione progressiva delle condizioni di esistenza di queste aree che bisogna interpretare la loro evoluzione. Non è un caso che, al momento delle rivolte urbane, le biblioteche siano state prese di mira e più di una ventina siano state vittime di incendio, lanci di sassi, minacce e altre forme più diffuse di aggressività e ostilità espressa dai giovani. Secondo il sociologo Denis Merklen, i cocktails Molotov e le pietre scagliate contro le vetrate delle biblioteche dei quartieri poveri reclamano l'apertura alla realtà delle istituzioni statali presenti sul territorio, come pure degli abitanti, scuotendoli e provocando una breccia che non è soltanto simbolica. La breccia aperta nelle vetrate, i muri crollati in seguito agli incendi costituiscono de facto una prima possibilità di collegare attraverso la violenza due mondi che sono per il momento impermeabili l'uno all'altro. L'obiettivo di questi giovani è imporre sulla scena pubblica la loro condizione discriminata e introdurre nel dibattito politico, in modo emblematico e visibile, una richiesta di considerazione e riconoscimento dei problemi negati o minimizzati dai politici. Secondo il sociologo, l'incendio è una forma politica di partecipazione laddove la partecipazione non esiste. Il messaggio è volto a rompere l'immagine fissa e stereotipata che la società si fa della periferia facendo irruzione con la forza e le fiamme in un'area vista come esterna e straniera alla realtà degli abitanti e artificialmente calma ed ermetica rispetto ai disagi quotidiani.
La cultura e la lettura, in tale contesto, hanno il sapore amaro e nostalgico di aspirazioni di cui non ci si può permettere il lusso e il tempo; le belle mediateche recentemente costruite in periferia rappresentano un affronto agli occhi di chi si dibatte in difficoltà materiali urgenti di un altro mondo e un'altra epoca9. Paradossalmente, le opere architettoniche e il design contemporaneo degli interni delle nuove mediateche di quartiere tentano invano di costruire un ponte tra la sopravvivenza quotidiana e l'aspirazione umanistica che le biblioteche di pubblica lettura vorrebbero importare in queste aree. Di conseguenza, le biblioteche nei territori urbani marginali rimangono, con gli edifici scolastici unicamente frequentati da figli di immigrati, l'ufficio postale e una sede annessa del comune, l'ultima traccia della presenza di uno Stato che ha voltato le spalle e abbandonato questi territori. Ma quella che potrebbe essere percepita come assenza dello Stato è in realtà una presenza vissuta come violenza simbolica, secondo l'espressione di Pierre Bourdieu10, in cui ogni istituzione statale rievoca e riafferma la relazione unilaterale e verticale del potere che si esercita ciecamente sul popolo, impotente e silenzioso. Invece, l'incendio della biblioteca inverte i termini della relazione Stato-cittadini in una breve parentesi durante la quale i giovani dei quartieri poveri investono fisicamente le istituzioni e interpellano lo Stato sulla rilevanza e l'utilità delle politiche pubbliche in favore di queste aree e degli abitanti. In questo modo, la relazione tra le biblioteche e gli abitanti si trova anch'essa invertita sollevando un interrogativo a doppio senso: la relazione degli abitanti con la 'loro' biblioteca ma anche la relazione della biblioteca col 'suo' quartiere. Per questo motivo, quando si realizza uno studio su questo tipo di biblioteche, è fortemente consigliato effettuare osservazioni all'interno della struttura ma anche immergersi nel quartiere per rilevarne le abitudini, i ritmi, i luoghi e le occupazioni specifiche e differenziate degli spazi, senza tralasciare i dintorni della biblioteca che, come vedremo più avanti, contengono tracce degli ostacoli materiali e simbolici che si erigono sulla strada dei cittadini potenziali utenti.
Questa seconda parte propone qualche testimonianza diretta che permette di mettere in prospettiva le ipotesi e affermazioni formulate sopra, grazie a osservazioni tratte da alcune inchieste di tipo etnografico11. Le osservazioni evidenziano la multidimensionalità dei fattori che subentrano nel gioco delle interazioni tra bibliotecari e utenti e confermano la complessità dei meccanismi inconsapevoli e involontari che si intrecciano nell'esercizio delle funzioni di bibliotecario. In un recente articolo, Anna Galluzzi ricorda che il contesto economico e sociale attuale spinge irrevocabilmente la biblioteca verso un 'tutti' in teoria senza restrizioni e una missione sociale di aggregazione e accoglienza12. Nonostante le speranze e l'interesse che ha potuto suscitare tale prospettiva a fronte del basso accesso dei cittadini in biblioteca, i problemi sollevati dagli usi effettivi degli spazi e servizi dalla nuova utenza non sono facilmente assimilabili agli usi dell'utenza erudita e in ogni caso abituata a frequentare biblioteche e a leggere. Dappertutto, la realtà dimostra non solo che coloro che entrano in mediateca per fare i compiti, guardare la televisione (nella lingua madre), giocare a scacchi, ai videogiochi o semplicemente per riposarsi, stare al caldo e usare i bagni, estendono rarissimamente l'uso primario a un uso culturale allargato e accorto, ma la coabitazione è 'forzata' tra i diversi profili di utenza, nonché tra un pubblico neofita e inesperto e gli stessi bibliotecari. Tolleranza difficile, sensazione di invasione, fastidio da chiasso e movimenti continui si traducono in tentativi di delimitazione e privatizzazione di spazi che tendono a confermare l'esistenza di territorialità, socialità e modalità parallele senza alcuna intersezionalità13 possibile.
Nelle biblioteche di periferia in Francia, questa problematica è all'ordine del giorno. Nello studio sociologico realizzato sulle biblioteche della periferia povera, Denis Merklen distingue due categorie di bibliotecari fra quelli intervistati: la categoria dei bibliotecari che sono prima militanti umanisti e poi professionisti della lettura pubblica e quella dei bibliotecari che si definiscono in relazione alla missione della lettura pubblica e lavorano per la lettura. Mentre i primi lavorano per i cittadini con cui cercano di stabilire e far crescere interazioni e relazioni di ogni tipo, i secondi lavorano per la lettura e ambiscono a offrire collezioni ricche e diversificate, aperte sull'interculturalità e servizi tecnologicamente innovativi. Come si può facilmente immaginare, le biblioteche allestite dai due tipi di bibliotecari non si assomigliano né per le collezioni né per gli spazi o l'organizzazione del servizio. Si scoprono allora biblioteche e quartieri che non si conoscono, bibliotecari sconosciuti agli abitanti del quartiere e abitanti estranei per i bibliotecari14, in un'assenza di contatti e interessi reciproci, un'indifferenza che rispecchia il deserto in cui lo Stato lascia la periferia degli immigrati.
Se la biblioteca non fa niente di quello che gli abitanti vogliono e si limita a incarnare lo Stato, peraltro lontano e assente, essa può diventare bersaglio, simbolico e fisico (edificio e impiegati). Allora si capisce perché un ragazzo intervistato possa chiedersi: «Mais à quoi ça sert un espace public où on ne peut rien faire de ce qu'on veut15?». Perchè il problema non è che le biblioteche di periferia siano deserte, perchè non lo sono: le scuole di quartiere, le associazioni e le famiglie del centro-città occupano quasi tutti gli spazi e i posti a sedere disponibili in occasione di eventi culturali. Ma gli abitanti del quartiere sono assenti, come pure i primi destinatari dei servizi delle biblioteche di quartiere: disoccupati, giovani e meno giovani, madri e giovani donne, ragazzi descolarizzati che dispongono tutti di un tempo continuo, lungo e non ritmato da impegni vincolanti, che troverebbero in biblioteca modi per riprendere la cultura e l'emancipazione personale al di fuori dalla scuola. Da un decennio, un leggero miglioramento è visibile grazie alla politica volontaristica delle biblioteche finalizzata a integrare nelle collezioni la stampa nelle lingue straniere corrispondenti ai flussi migratori successivi (italiano, spagnolo, portoghese, arabo, russo, vietnamita), dopo aver reso disponibile per molto tempo solo quella nelle lingue straniere classiche e ricercate nel sistema scolastico e nel mondo del lavoro (inglese, tedesco, neerlandese, giapponese).
I primi e più numerosi lettori di questi supporti sono i pensionati di origine straniera, arrivati giovani in Francia per motivi politici ed economici che ritrovano con nostalgia e fierezza una lingua madre dimenticata e non trasmessa alle generazioni successive. I pensionati magrebini che frequentano la biblioteca restano pochi e, come tutti gli altri immigrati, sono unicamente uomini che occupano l'angolo lettura dei giornali nelle biblioteche e mediateche, centrali e periferiche, soprattutto la mattina e nelle ore di assenza degli studenti (dopo le 16.30, il mercoledì e il sabato mattina) e delle famiglie con bambini (mercoledì e sabato pomeriggio). Una vera e propria territorialità si organizza in biblioteca a seconda delle ore e dei giorni, ma anche a seconda degli spazi e delle collezioni, degli arredi e della decorazione interna, e in funzione degli altri utenti. La gente sceglie non solo di stare vicino a libri, riviste o schermi che usa o consulta ma anche tra gente che le assomiglia, con le stesse affinità e norme comportamentali, le stesse abitudini. Quando negli spazi della biblioteca si crea troppo divario tra le aspettative dei bibliotecari e le abitudini dell'utenza, il dialogo e le relazioni di complicità e simpatia non sono facili da stabilire. Dissonanze e fastidio, tensione e paure, malintesi e incomprensioni possono allora subentrare creando un clima di reciproca diffidenza e sguardi che si evitano, in un ambiente in definitiva poco accogliente.
L'esperienza della mediateca centrale di Tolosa è interessante in quanto evidenzia le fasi che la struttura ha dovuto attraversare per giungere a una coesistenza pacifica e feconda tra i bibliotecari e un'utenza numericamente e sociologicamente inedita16. Nel 2003 viene inaugurata la mediateca con orario continuato e apertura la domenica pomeriggio (dalle 14.00 alle 16.00). Le prime domeniche d'autunno, il piano di entrata e le scale a spirale della mediateca sono letteralmente assediate, non ci sono più posti a sedere e il volume sonoro è tale che sembra di essere in un centro commerciale. Mancano solo gli annunci pubblicitari e la musica. Attratti dal magnifico e maestoso edificio, gli abitanti della città e dei dintorni visitano il luogo: alcuni come se fosse un museo, altri come se fosse una piazza di quartiere, altri ancora come se fosse la FNAC17 o un ipermercato di lusso dove stare per ore a guardare, consultare, toccare, digitare, ma anche camminare, scendere e salire, guardare gli altri. I bibliotecari, impreparati alla baraonda e all'affluenza domenicale, sono sbalorditi e restano perplessi, mentre il pubblico di lettori fugge durante le fasce orarie 'popolari' e popolate.
Mentre la sala dedicata alla musica è presa d'assalto da piccoli, grandi e anziani, l'isola in cui sono i bibliotecari sembra 'l'arca di Noè' con qualche sopravvissuto che vorrebbe allontanarsi al più presto dal maremoto circostante. I bibliotecari, dopo aver corso dappertutto per rispondere a domande, sollecitazioni, osservazioni, esclamazioni e curiosità, si sono immobilizzati al centro dello spazio e fanno corpo contro la folla.
In fondo alla sala, un conservatore donna si batte contro una marea di ragazzi e giovani che hanno aggredito i computer e non vogliono più mollarli. La regola dei 45 minuti consentiti a ogni utente delle postazioni informatiche viene trasgredita e il conservatore è costretto a chiedere rinforzi per staccare gli internauti che, scambiandosi gli abbonamenti, prolungano all'infinito il tempo sul computer.
Arriva in questo frangente una comitiva di giovani visibilmente 'stranieri', nel senso che i Francesi danno a questo appellativo, in opposizione a giovani francesi bianchi. Anche loro vorrebbero accedere ai computer ma si spazientiscono nell'attesa e fanno chiasso, si muovono, schiamazzano e spiano, ridendo, gli schermi di altri utenti. Non sono iscritti, non hanno tutti i documenti per abbonarsi ma insistono. Il conservatore donna manda un collega uomo per ricordare che si è in un luogo pubblico in cui vigono regole precise (silenzio e rispetto, divieto di mangiare e bere, fumare e discutere ad alta voce). Immediatamente si crea una tensione e i giovani si lamentano ad alta voce di non aver accesso come tutti gli altri all'uso dei computer e riprendono l'espressione 'luogo pubblico', lanciano sguardi minacciosi al conservatore che si nasconde dietro la scrivania e lo schermo del computer fingendo di estraniarsi dalla scena, scavalcano con la voce il bibliotecario e invitano il conservatore a venire a esprimere personalmente il suo punto di vista e le regole del luogo. L'interazione degenera velocemente in alterco e squadre di bibliotecari salgono dagli altri piani per riportare la calma e chiedere pazienza e comprensione per il disagio creato dall'afflusso imprevisto di persone. I giovani sono invitati a ritornare un altro giorno (i giorni della settimana sono elencati per indicare quali sono le fasce orarie di debole affluenza) e fisicamente incoraggiati verso la scala che porta all'uscita.
Intanto, al secondo piano, battezzato Intermezzo dai bibliotecari per indicare lo spazio intermedio tra infanzia ed età adulta e volto ad accogliere gli adolescenti, medesima scena ma con una famiglia visibilmente attratta dalla mediateca in nuovo stile e poco familiare dei luoghi. I due bambini giocano scorrazzando tra tavoli, poltrone e scaffali e i bibliotecari interpellano il padre che resta concentrato sul quotidiano ma non sembra rendersi conto del disturbo creato dai figli. Un utente si alza e chiede ai bambini di sedersi e fare silenzio perché gli altri leggono e ritorna al suo posto; dopo due minuti, lo stesso si rivolge al bibliotecario che, dietro la scrivania e lo schermo, sembra non rendersi conto di niente e chiede esplicitamente che intervenga per riportare calma e silenzio. Il bibliotecario si rivolge allora al padre che cade dalle nuvole e si lamenta di non aver diritto come tutti gli altri a un po' di lettura. Il bibliotecario gli suggerisce di portare i bambini nella zona ragazzi e portarsi dietro il giornale, ma nella zona ragazzi non c'è posto e la famigliola rimane insoddisfatta e perplessa, con l'impressione netta di essere stata spostata di forza. Si siedono delusi sugli scalini della scala a spirale da dove un altro bibliotecario li caccia dopo pochi minuti. Non trovano posto, non sanno dove mettersi e allora decidono di andar su e giù con l'ascensore trasparente che dà sull'esterno. Dopo soltanto quattro aperture domenicali, una squadra di agenti di sicurezza è messa fissa all'entrata e a ogni piano della mediateca.
I nodi problematici determinati da questi nuclei popolari sono diversi. C'è, prima di tutti gli altri fattori, quello della differenza etnica che è il registro immediato e implicito su cui si situa la riflessione dei bibliotecari e del pubblico di lettori. In Francia, il giudizio stigmatizzante di razzina corrisponde perfettamente alla situazione di segregazione razziale degli Arabi (Magrebini), che si traduce obiettivamente anche in segregazione spaziale, scolastica e sociale di una 'razza' trattata come una minoranza di seconda classe. Quando una comitiva di ragazzi visibilmente estranei al mondo dei libri arriva in biblioteca, le reazioni immediate e concomitanti consistono, per i bibliotecari, nel preoccuparsi della minaccia che essi rappresentano alla 'sicurezza' (inciviltà, chiasso, comportamenti inappropriati, furti, indisciplina e disobbedienza nei confronti degli agenti che incarnano l'istituzione) e per gli utenti lettori assidui, nel sentirsi 'invasi' su un territorio le cui frontiere sono fisiche (modi di fare, rivolgersi ai bibliotecari, stare fermi e concentrati, soli e in silenzio, poi modi di vestire e parlare, confermando con l'hexis del corpo e l'espressione del viso una posizione sociale) prima di essere simboliche (la legittimità culturale espressa attraverso connotati sociali che si esprimono in modi di fare e sguardi di sicurezza e autorevolezza, dignità e correttezza, discrezione e riservatezza; o, ancora, in segni che traducono la padronanza dello scritto, non solo letterario, come strumento quotidiano, come dono che esclude definitivamente l'altro come straniero, quando è estraneo al mondo dello scritto).
Per capire la catena delle azioni/reazioni indotte in biblioteca, non si può fare astrazione del contesto sociale, economico, scolastico esterno. Per capire dunque come si possa giungere a temere l'invasione della biblioteca, bisogna sapere che altrove, in istituzioni come la scuola, il lavoro, i servizi pubblici, i ruoli attribuiti ai ragazzi di periferia sono simili, ricorrenti e quasi sistematici. C'è dunque da rilevare il fatto, notevole, che la trasgressione delle norme di comportamento non sia dovuta solo all'età e all'appartenenza di questi ragazzi a una generazione digitale e mobile, ma al fatto che vengano dalla periferia, con la tentazione - onnipresente e quasi automatica - di attribuire i comportamenti a caratteri razziali, etnicizzando le differenze invece di inserirle in un contesto storico e sociale. L'altro problema è che questo tipo di gruppo, visibilmente diverso dagli utenti abituali, è 'persona non gradita' in mediateca non solo perché si muove, fa rumore e si spazientisce ma perché stona nel contesto. E stona non solo per mancanza di familiarità ma anche perché i comportamenti trasgrediscono - con la naturalezza e la disinvoltura dei neofiti - codici secolari, che sono certo codici letterari e posturali ma sono altrettanto indici di appartenenza e adesione a una cultura di classe. Da amateurs, i ragazzi, in gruppo ma talvolta anche soli, si permettono di esplorare i limiti dell'istituzione (è una delle caratteristiche dell'adolescenza e della gioventù) mettendone alla prova la tolleranza e l'apertura a modi di fare inediti e, in tali occasioni, non sono trattati come ragazzi ma come giovani immigrati.
In una delle rare interviste realizzate presso un gruppo di giovani adulti seduti su una panchina davanti a una grande mediateca di periferia a Tolosa nel 2010, si è trattato l'argomento del peso insopportabile dello sguardo degli altri e le reazioni a catena che questo determinismo può generare. Uno dei ragazzi spiega che il fatto di poter frequentare dei luoghi in centro come la FNAC o la mediateca permette di oltrepassare i ruoli fissi nell'ambito ristretto del quartiere, tra parenti, vicini, amici, conoscenti che conoscono tutto di tutti e parlano continuamente degli uni e degli altri. La fuga in metropolitana verso luoghi anonimi e aperti del centro-città appare ad alcuni di questi giovani come una possibilità di affrontare e confrontarsi con lo sguardo degli altri ma di altri che non li conoscono, non sanno la loro storia, non la ripetono alimentando leggende e reputazioni sociali. E soprattutto una possibilità di vedere e essere visti dalle ragazze del centro-città, le ragazze francesi, che frequentano licei prestigiosi e mai metterebbero piede nella periferia degli immigrati.
Per uno di loro almeno, sapere che la mediateca è sempre aperta, persino il sabato e la domenica è un sollievo, una porta di emergenza che gli dà la possibilità di entrare in un luogo senza che tutti i presenti annuiscano col capo per esprimere assenso o dissenso. Paradossalmente, anche stigmatizzato e giudicato nella mediateca del centro, questo giovane la preferisce alla mediateca di quartiere perché in centro non è visto, non è osservato, non è seguito, e si sente più libero di entrare in mediateca senza dover rendere conto a nessuno. Il fatto che le interazioni coi gruppi di giovani di periferia inducano spesso e volentieri paura, tensione, ostilità e aggressività non deve far dimenticare che una delle missioni della biblioteca è di creare le condizioni, intra et extra muros, per suscitare curiosità e attirare gli indifferenti e gli esclusi dal resto dei beni culturali. Invece le comitive e i profili di visitatori importano in questo mondo omogeneo e rassicurante l'incarnazione dell'altro, sostanzialmente ed essenzialmente 'altro' nelle rappresentazioni collettive francesi, secondo cui l'immigrato magrebino, l'Arabo, è per natura inassimilabile e non integrabile. Ebbene, la scena in mediateca è attraversata da tutti questi fatti sociali, processi di esclusione o inclusione, differenziazione o riconoscimento, mediazione interculturale o interazione effettivamente culturale. Le parole non devono nascondere l'acutezza dello sguardo con cui i giovani figli di immigrati magrebini si rivolgono direttamente al conservatore donna per includerla nell'interazione, perché hanno immediatamente afferrato la simmetria con cui la gerarchia professionale si adegua alla gerarchia sociale, il rifiuto di parlare con individui 'non all'altezza', il diniego della legittimità stessa di trovare un modo comune per stare in uno spazio difficile da capire e da conoscere e soprattutto discutere come cittadini uguali agli altri nell'ambito di un servizio rivolto al pubblico. La mediazione culturale, lasciata quasi immediatamente ad agenti di sicurezza esterni alla mediateca, è interpretata e riadattata qui come sforzo interculturale e si declina sotto forma di persone di colore assunte per garantire sicurezza e ordine nelle istituzioni culturali. In alcune mediateche di periferia, il mediatore culturale è un grand frère (fratello adulto) originario della periferia e rappresenta, con i connotati fisici, la cultura straniera cui devono adeguarsi i bibliotecari che lavorano nei quartieri di periferia.
Benché la professione di bibliotecario sia soggetta a mutamenti strutturali intergenerazionali che intrecciano fattori sociologici più ampi come gli effetti della generalizzazione degli studi secondari (liceo) sulle classi popolari e, più di recente, sui ragazzi di famiglie immigrate, ovvero la disoccupazione giovanile cronica che dagli anni novanta spinge verso i concorsi statali persone la cui qualifica potrebbe situarle su impieghi più remunerativi, essa rimane sostanzialmente caratterizzata da una forte maggioranza di donne di più di quarant'anni, con una formazione universitaria classica (in storia, lettere classiche o moderne, raramente in scienza dell'informazione, comunicazione e biblioteconomia), di estrazione sociale medio-superiore e di rado appartenenti alle minoranze immigrate19. L'endogamia della professione è in parte garantita dall'autoriproduzione, di generazione in generazione, di territorio in territorio, di un gruppo sociale in mobilità sociale ascendente per le donne. Tra le principali caratteristiche della composizione sociale e dei percorsi sociali, da sottolineare sono la rappresentazione soggettiva della propria posizione sociale come risultato di sforzi e merito personale, il ruolo centrale degli studi universitari e uno stile di vita corrispondente, cioè integrato ad ambienti colti medio-alti ma economicamente modesti. Tali tratti distintivi generano una categoria socio-professionale che condivide valori e visioni del mondo sociale (con una sensibilità di sinistra e una retorica critica contro ogni forma di discriminazione ma con una profonda interiorizzazione di valori individualisti e meritocratici) e una praxis in assoluta coerenza con quell'autodisciplina e quell'aspirazione all'empowerment dell'individuo attraverso processi di acculturazione ed emancipazione personale di cui la cultura - e le letture di testi d'autore - fornisce una chiave preziosa e indispensabile. Bernadette Seibel, sociologa e specialista della lettura e delle biblioteche, scrive che tutto il corpo dei bibliotecari è convinto dell'indiscutibilità della conoscenza come progresso assoluto e si sente impegnato nella trasmissione di tutte le forme della conoscenza come base educativa fondamentale. Se c'è un solo credo su cui si ritrovano tutti è la finalità della biblioteca, realizzazione degli ideali dell'enciclopedismo e della democratizzazione, adempimento di tutti gli interessi e assenza di discriminazione, qualunque essa sia (economica, sociale, razziale20). «Les bibliothécaires [...] sont habités par la conviction que l'écrit, qu'il soit littéraire, documentaire, ou informatif - et donc le livre - est un instrument de construction de soi, d'intelligence et de maîtrise du monde et donc une source de liberté21».
Il mestiere e il mondo della biblioteca si sono progressivamente costruiti su un presupposto femminile della disponibilità (di tempo, di pazienza, di temperanza, di mansuetudine, di pedagogia) direttamente ereditata dal ruolo procreativo ed educativo della donna nell'ambito familiare: le testimonianze raccolte periodicamente dalla Commissione Women's issues dell'IFLA nei vari paesi del mondo negli ultimi vent'anni assimilano quasi automaticamente e universalmente il mestiere di bibliotecario e funzioni materne. In Francia, le qualità umane e il senso sociale fanno parte dell'etica del mestiere, per tutti i bibliotecari e con un'enfasi particolare per le donne bibliotecarie22.
L'impregnazione di tali valori nella professione è dovuta alla sua composizione fortemente femminile che si traduce direttamente e indirettamente nella scelta dei titoli fino alla decorazione interna, senza dimenticare le ingiunzioni ripetute e scritte al silenzio e a una certa discrezione. Esiste una relazione metonimica tra l'oggetto e la persona che lo incarna (il libro e la bibliotecaria), tra il luogo e le persone che lo abitano prevalentemente. Non è certo un caso che gli utenti che occupano gli spazi delle biblioteche sono lettrici e non a caso l'unica figura ricorrente di donna non lettrice tra le utenti è quella della madre accompagnatrice. Forma estrema dell'atteggiamento ausiliare, l'onnipresente controllo delle bibliotecarie, con lo sguardo attento e fisso a quanto succede in biblioteca, può talvolta diventare critico; in ogni caso, lo stesso è stato individuato come prima causa del senso di ansia percepito dai ragazzi e studenti americani in alcune biblioteche comunali e universitarie. Gli utenti maschi riferiscono possibili alterazioni nella percezione della biblioteca dovute all'onnipresenza femminile al banco di restituzione e prestito e al servizio assistenza documentaria cui esiterebbero a ricorrere conoscendo il giudizio critico sulla loro incapacità a cercare e trovare i documenti e le reazioni severe delle bibliotecarie nel guidarli23.
In Francia, tale problematica rimane marginale e considerata non rilevante, come pure quella dell'importanza di costituire équipes di bibliotecari miste da un punto vista sociologico. Tuttavia, nelle osservazioni che si sono potute realizzare nel corso di indagini in biblioteca, la relazione delle bibliotecarie donne con gli spazi, le collezioni e l'utenza presenta alcuni tratti specifici e ricorrenti che diventano più significativi se confrontati a situazioni o interazioni simili che vedono la partecipazione di bibliotecari uomini. Una di queste è la gestione delle trasgressioni in termini di comportamento da parte dell'utenza maschile giovane e adolescente. Come visto prima, in molti casi le bibliotecarie donne non danno prova di autorevolezza e legittimità sufficienti nei confronti di ragazzi adolescenti che giocano a spingere i limiti dell'ammissibile in tutte le istituzioni, compresa la biblioteca. Come nel caso della mediateca comunale del centro di Tolosa, le bibliotecarie donne preferiscono abbandonare il terreno dello scontro verbale a colleghi uomini, poi ad agenti di sicurezza, come se la loro parola non fosse abbastanza forte, ferma e sicura per tener capo alle richieste e reazioni dei giovani. Non solo tale reazione conferma la gerarchia professionale tra uomini e donne ma introduce intatta nell'universo della biblioteca la dominazione del corpo e della forza rispetto alle parole e all'intelligenza umana. Inoltre, il fatto stesso che un adulto si senta in posizione di debolezza rispetto a ragazzi e giovani proviene da una sensazione di paura diffusa verso certi ragazzi e giovani, come se l'alterità etnica e sociale fosse percepita come irriducibile da un punto di vista antropologico e bloccasse ogni forma d'interazione su un registro di parità umana e sociale e di competenza professionale. Delegare il compito di esprimere il dissenso o il divieto di un atto a un collega uomo, e poi a un agente di servizio, significa amputare volontariamente una parte delle proprie missioni e ammettere la propria incapacità di far fronte alle evoluzioni nell'eterogeneità dell'utenza moderna. Nella stessa ottica, lasciare che siano solo bibliotecarie donne ad allestire le zone per l'infanzia o quelle adibite alla consultazione giornali - e quindi alla problematica dell'utenza allofona - (che riguarda la problematica interculturale, secondo la divisione dei compiti nelle istituzioni) significa ammettere che nell'organizzazione di uno spazio e delle collezioni che lo compongono, le qualità del genere (femminile) prevalgono a discapito delle competenze professionali. Lasciare al singolo individuo la responsabilità di scegliere, organizzare, reagire, vietare, tollerare apre le porte alle interpretazioni e reazioni soggettive inevitabili, inconsapevoli e alimenta le propensioni 'naturali' cui siamo condizionati sin dalla nascita per educazione e socializzazione, trasmissione di valori e ideologia.
In un articolo pubblicato nel «Bulletin des bibliothécaires de France», diverse mediateche pubbliche si schierano, per esempio, in favore del prestito gratuito e illimitato di titoli e apportano testimonianze interessanti24 mentre altre denunciano il rischio di caos che ne potrebbe derivare. Oltre ai timori generati da ragioni tecniche (scaffali svaligiati, flussi incontenibili di utenti, bibliotecari trasformati in cassieri), la paura fondamentale è quella di vedere le collezioni di biblioteca e la biblioteca stessa trasformati in beni di consumo corrente. Implicitamente significherebbe rinunciare alle virtù educative intrinseche nello sforzo necessario per acculturarsi e le bibliotecarie sembrano particolarmente avverse a tale evoluzione, come se lo statuto della biblioteca e, per rimbalzo, il loro ruolo fosse minacciato e squalificato da tale evoluzione. Abbondare nel senso consumistico sarebbe per una parte notevole delle bibliotecarie perdere non solo il prestigio della biblioteca ma intaccare il nocciolo delle missioni culturali e sociali della lettura pubblica25. Le bibliotecarie si rivelano particolarmente preoccupate della qualità dei beni culturali proposti, più che dalla quantità, e manifestano più apertamente l'avversione a una conversione mediatica e consumistica delle biblioteche. Fortemente maggioritarie nella professione in Francia (84%) come altrove, le bibliotecarie incarnano con una naturalezza socialmente condivisa le qualità umane di assistenti materne e sociali e organizzano gli spazi come impegnate in una crociata educativa e morale. Nel mondo anglosassone, nord-americano e canadese, la problematica degli effetti di genere (gender26) e dell'impregnazione femminile delle biblioteche è da qualche anno un vero filo conduttore del lavoro collettivo e collaborativo tra bibliotecari impegnati in una stessa struttura.
Negli Stati Uniti e in Canada, la figura della bibliotecaria sembra talvolta meno materna e umana agli utenti che ne scorgono più facilmente la dimensione di controllo, pedagogia e critica morale. In Russia, a San Pietroburgo, una simile ipotesi è emersa dall'osservazione delle biblioteche comunali, con un accento più marcato sulla problematica della censura e autocensura in relazione a titoli, autori e questioni sociali come l'omosessualità, la droga e l'alcol, la prostituzione, il mercato nero, che non solo sono rarissimi nelle collezioni ma vengono collocati in luoghi poco accessibili (il magazzino, ovvero in alto o in basso negli scaffali) dalle bibliotecarie, vere imprenditrici morali delle giovani generazioni e garanti dell'interesse pubblico dei libri consultabili in biblioteca27. Il senso acuto di responsabilità professionale di cui darebbero prova le bibliotecarie sfocerebbe in una paradossale percezione di rigidità e severità che corrisponderebbe a una forma assillante di cure e attenzioni volte all'utente, soprattutto se in tenera età, con una preferenza per l'utenza di sesso femminile. La relazione tra professionisti e utenti è un fattore determinante nella segmentazione del pubblico e in particolare nella connotazione femminile della biblioteca e, più di recente, della lettura.
La messa in scena della lettura pubblica ha ereditato direttamente da questa lontana eppur radicata tradizione la concezione della lettura come sforzo e non come piacere, come processo di conoscenza introspettiva (in sé, dentro, all'interno, nel chiuso) e non come apertura al mondo. Sta di fatto che la tolleranza alle trasgressioni dei codici di lettura è più facile quando si tratta di bambini (gli spazi jeunesse - infanzia - delle mediateche possono essere agitati e rumorosi ma sono sempre allestiti da donne, come se l'infanzia fosse territorio esclusivamente femminile e materno), gruppi scolastici in visita (anche in questo caso, le guide sono sempre donne che sono riconosciute per le loro 'innate' capacità nelle relazioni sociali e pedagogiche, ma che in realtà nascondono il fatto che essere bibliotecario significa dar prova di pazienza per spiegare, orientare, indicare, mostrare, dare esempi, applicare e qualche volta anche leggere ad alta voce), mentre l'informatica e la direzione sembrano preposti ai rari bibliotecari sopravvissuti alla conversione femminile della lettura e biblioteca degli ultimi quarant'anni. Il problema è che in questa conversione esiste una dimensione nascosta, quella dell'associazione tra donne e mondo dell'infanzia, che condiziona in un certo modo la percezione spontanea della biblioteca come un mondo di donne, ordinato da donne e fatto per le donne (che siano studentesse che aiutano in gruppo ragazzi studenti28 o lasciate dai loro amici all'entrata della biblioteca o madri che accompagnano i figli nello spazio jeunesse o ancora madri che partecipano agli atelier coi bambini.
Questa percezione ha effetti disastrosi sull'utenza in generale che si restringe progressivamente con l'età degli utenti e con l'affermazione dei caratteri sessuali dei bambini, come se la lettura adulta dovesse essere solo seria e il corpo adulto autogovernato e sotto controllo permanente. Secondo un giovane di nostra conoscenza che preferisce rimanere sul piazzale davanti alla mediateca e aspettare le amiche fuori, in biblioteca non ci si può sentire liberi perché non si può fare mai e niente di ciò che si vuole (rispondere al telefono, bere un caffè, scambiare due parole): bisognerebbe prendere alla lettera e sul serio le parole di questo ragazzo che dice di non sentirsi in uno spazio pubblico. La relazione tra bibliotecari e utenti è un fattore determinante nella segmentazione del pubblico. I meccanismi che operano sono per la maggior parte invisibili e inconsapevoli e legati a un pregiudizio negativo verso gli individui e i gruppi sociali che non entrano in biblioteca con le precauzioni e la sacralità che i professionisti considerano necessarie alla lettura. È come se al di fuori di queste garanzie non ci fosse possibilità di leggere, in altro modo dal silenzio, la sedentarietà e la solitudine. Tali esigenze normative implicite ma potenti contribuiscono a dare un'immagine della biblioteca e delle bibliotecarie simile non più a un tempio, come una volta, ma una struttura attivamente impegnata a 'normalizzare' comportamenti e corpi in una sorta di impresa morale implacabile. Emerge tra lo slancio pedagogico-educativo e il desiderio di controllo per il bene dei lettori, soprattutto i bambini e giovani, una figura della bibliotecaria più vicina alla figura materna e di maestra che a quella di coach culturale e complice. Ma per i ragazzi adolescenti che devono riconoscersi negli attori con cui entrano in interazione e condividere interessi e media culturali, la transizione verso un mondo ostile al movimento è non solo difficile ma socialmente e simbolicamente 'costoso'. Per finire su una considerazione espressa da un adolescente spagnolo di dodici anni, recentemente arrivato in Francia e incontrato in una biblioteca di quartiere dove faceva i compiti: «Non si può venire in biblioteca tra amici perché non possiamo far niente di ciò che ci piace. Allora io vengo da solo, dopo la scuola con la scusa di recuperare perché sono straniero. Ma fra qualche mese questa scusa non varrà più e dovrò scegliere: la biblioteca o il gruppo29».
In altre biblioteche, esposte a trasgressioni e devianze gravi, le équipes di bibliotecari si preparano insieme ad affrontare questo tipo di situazioni attraverso l'elaborazione di un progetto comune di accoglienza di tutto il pubblico che implica la conoscenza dei vari profili sociologici (età, estrazione socio-culturale, percorsi biografici non lineari, migranti e minorenni migranti isolati, per esempio). Incominciare col conoscere il territorio su cui si lavora significa prima di tutto conoscere e interessarsi a chi sono gli abitanti, non solo da dove vengono ma come vivono30, in quanti sono (tipo di nucleo familiare), quanti figli e l'età rispettiva di ciascuno, chi va a scuola e chi lavora, quali sono gli ostacoli e le difficoltà che incontrano per integrarsi (documenti, interazioni con l'istituzione scolastica, ricerca di un impiego). Senza ambire a conoscere tutti, compresi quelli che non frequentano la biblioteca, il primo passo sul territorio di attività della biblioteca è la conoscenza capillare della demografia sociale attraverso dati di base del censimento per avere un'idea chiara del tasso di attività, di disoccupazione, di disoccupazione giovanile, di descolarizzazione dei bambini e ragazzi. Queste informazioni costituiscono la base di tutte le riflessioni e i progetti che possono scaturire da un lavoro d'équipe in cui e da cui ogni bibliotecario possa trarre ispirazione e risorse da integrare nelle competenze professionali e nelle qualità personali. Da solo, il bibliotecario fa ricorso alle risorse e ai limiti personali quando si trova in situazioni inedite o imprevedibili, in cui prova paura o si sente aggredito. Invece diventa necessario un lavoro di équipe unita e solidale in cui ognuno possa esprimere i propri timori senza giudizi o critiche, possa sperimentare idee e piste di riflessione e ascoltare e interagire coi colleghi per trovare soluzioni, regole e buone pratiche. Il tipo di interazioni che il professionista da solo è capace di stabilire con gli utenti si rivela nettamente più povero da un punto di vista culturale, creativo e simbolico del tipo di interazioni di un professionista spinto da una missione di integrazione di tutti gli utenti nello spazio della biblioteca: in alcuni arrondissements particolarmente difficili di Parigi, nella Biblioteca comunale di Saint Quentin en Yvelines e in altre ancora, l'obiettivo di accogliere gli abitanti accettandoli come sono (e non come dovrebbero essere per diventare utenti della biblioteca e ancor meno lettori) coi loro problemi e bisogni di aiuto sociale ha modificato radicalmente gli atteggiamenti dei singoli bibliotecari e ha permesso di alleggerire la parte soggettiva (effetti di genere, di classe, di diploma, di percorso personale) a favore della parte professionale e collettiva.
Muoversi, agitarsi, far uso del proprio corpo in biblioteca resta tabù ancora oggi, anche se esiste qualche esempio di tentativi avanguardistici di danza dei corpi (Biblioteca comunale di Lille), di trasporti amorosi (Rete di biblioteche di Brest), serate danzanti organizzate nei chioschi delle biblioteche (Valence, Lione, Grenoble, Saint Marcellin), corpi di spugna in posizioni sportive o dormienti o erotiche, appesi tra gli scaffali dei volumi per rompere il ritmo monotono della sedentarietà dei lettori eruditi. Ma per immaginare questi intrecci insoliti tra volumi e suoni, schermi e corpi, sedie e movimento, non ci vuole soltanto fantasia e creatività ma conoscenza effettiva di chi sono e che cosa piace agli abitanti, di diverse generazioni ed età, ceti e preferenze culturali. Bisogna insomma conoscere bene il territorio su cui ci si trova e non sperare che la biblioteca trasformi quest'ultimo, anche se a lungo termine la simbiosi potrebbe finire per avvenire. E per disporre di questi dati, c'è bisogno non solo della capacità tecnica di leggere e interpretare i dati statistici della sociodemografia, ma bisogna avere la curiosità e l'impegno per aver voglia di farlo: interessarsi agli abitanti di un territorio fa parte dell'impegno sociale del bibliotecario, non è un optional ma la base di ogni riflessione.
Nell'autunno 2013, un autobus sociale sostava settimanalmente sulla piazza dietro alla Mediateca di Tolosa, poi un raduno di giovani si è dato appuntamento sul piazzale davanti alla mediateca per festeggiare lo 'Zombie day'. Entrambe le iniziative sono rimaste esterne alla mediateca, nonostante la vicinanza geografica e la possibilità concreta di costruire intrecci e combinazioni possibili di interazione e partenariato per attirare giovani e meno giovani nella mediateca. Le strategie di captazione, ben note nel marketing, non dovrebbero essere assolutamente vietate nei servizi pubblici quando un'occasione si presenta. Di fatto, nel caso dell'autobus i bibliotecari erano preoccupati per l'affluenza più elevata del solito di senzatetto che in realtà non si sono riversati nella mediateca (tranne quelli che già la frequentavano e ne occupavano assiduamente i divani). Nel caso del raggruppamento giovanile dello 'Zombie day', i bibliotecari hanno temuto lo straripamento della folla dall'esterno verso l'interno della mediateca; hanno quindi chiuso provvisoriamente le porte ed evitato ogni contatto col caos.
Un aspetto resta da sottolineare a proposito della dissonanza tra biblioteche e cultura popolare, ossia l'antagonismo tra la preferenza dell'ambiente chiuso per le attività culturali e ambiente aperto, radicato nelle tradizioni rispettive dei gruppi sociali letterati e di quelli popolari, e costitutivo ormai dei rispettivi habitus di occupazione del tempo libero (hobbies, loisirs, attività ricreative, festive). Nelle foto qui sopra notiamo il netto contrasto tra l'edificio chiuso e sotto controllo della mediateca e la folla o i passanti fuori. I giovani, la cui maggioranza oggigiorno preferisce mimare i modi di vestire e di parlare di una certa classe popolare piuttosto che quelli dei gruppi letterati (insegnanti, impiegati pubblici, genitori), non si rassegnano facilmente a rinchiudersi in biblioteca per leggere. Tranne per preparare esami e concorsi, situazioni in cui il luogo riduce le volontà e disciplina i corpi ribelli, preferiscono rimanere in camera o addirittura studiare in soggiorno o in cucina con gli auricolari e il telefono a portata di mano. In altri paesi e città, alcune biblioteche si propongono di diventare attrattive per i giovani e, per farlo, si inventano tecniche per portare le collezioni fuori dall'edificio (promozione, comunicazione ma anche messe in scena e spostamenti, nonché prestiti di collezioni intere, opere musicali, d'arte, riviste sportive, tecnologiche, ecc.) come le opere dei musei che, per circolare, devono uscire e partire per andare lontano. Se la biblioteca, pur ribattezzata mediateca, intende mantenere l'ordine immutato dei libri e documenti, anche numerici, senza un confronto dialettico con gli usi sociali effettivi delle collezioni esistenti e le missioni pubbliche, civili e sociali che le vengono progressivamente attribuite, rischia di trovarsi in piena contraddizione interna: mentre, da una parte, le risorse e le missioni la invitano all'impegno sociale, dall'altra, i valori e le convinzioni professionali la trattengono su terre conosciute. Forse è in questo senso che Anna Galluzzi parla di 'corto-circuito': il rischio è reale quando si misura quanto le divergenze interne alla professione e le missioni contradditorie abbiano già intaccato la self-estime del corpo dei bibliotecari.
E se la biblioteca si sforzasse di essere il riflesso della società e del territorio circostante e non un'oasi protetta da figure tanto materne quanto esigenti? Nei Paesi Bassi e in alcuni quartieri di Berlino, qualche tentativo è stato lanciato con successo da una decina d'anni per un uso molteplice e adattativo delle biblioteche che sono luogo di lettura e informazione di giorno, e centri culturali di sera. Il successo è comprovato non solo dall'afflusso di abitanti che non avrebbero mai messo piede in una biblioteca ma dall'afflusso di giovani che, dopo aver usato il luogo come centro di attività culturali (esposizioni fotografiche, creazioni plastiche e musicali), lo riscoprono di giorno come biblioteca. È in parte anche il modello degli Idea stores messo in atto con successo in alcuni quartieri popolari di Londra e in due centri commerciali di città inglesi devastate dalla crisi post-industriale degli anni Settanta (Liverpool e Birmingham31). Un altro caso interessante è rappresentato dalla Biblioteca di Musocco (MI) che gli abitanti hanno voluto, ricavato e occupato al posto di un edificio scolastico abbandonato da anni: gli abitanti hanno direttamente contribuito alla ricostruzione e riconversione del luogo e assicurano permanenze e aperture su un'ampia fascia oraria in modo da permettere ai ragazzi di venire a studiare in gruppo, usare enciclopedie, dizionari e computer ed essere aiutati per i compiti. L'ultima pista che possiamo suggerire è quella che emerge dall'esempio anglosassone e nordamericano di équipes di bibliotecari, sessualmente, socialmente ed etnicamente miste, con rappresentanti di età e generazioni diverse. I bibliotecari del Québec assicurano che tali combinazioni, difficili da ottenere, offrono alla biblioteca una possibilità di intravedere nuovi orizzonti di impegno sociale, educativo e civile e soprattutto permettono ai cittadini di guardare con occhi nuovi alla biblioteca.
Ultima consultazione siti web: 18 settembre 2019.
[1] Si parla perfino di 'crisi' in riferimento a tali metamorfosi della lettura e dei lettori di libri Oltrealpe, come in un articolo ospitato da questa stessa rivista: Raphaëlle Bats, Biblioteche, crisi e partecipazione, «AIB studi», 55 (2015), n. 1, p. 59-70, https://aibstudi.aib.it/article/view/11003, DOI: 10.2426/aibstudi-1100.
[2] Secondo l'interrogazione formulata in un articolo pubblicato in questa stessa rivista da Anne-Marie Bertrand, Le biblioteche pubbliche in Francia oggi, «AIB studi», 53 (2013), n. 1, p. 109-116, https://aibstudi.aib.it/article/view/8877, DOI: 10.2426/aibstudi-8877.
[3] I livelli amministrativi pertinenti per le biblioteche in Francia sono il comune, il dipartimento e la regione. Le biblioteche situate nei borghi di meno di 10.000 abitanti sono gestite dal dipartimento; oltre queste dimensioni, sono le direzioni comunali a gestire le biblioteche, con una doppia tutela - comunale e regionale - per le biblioteche delle grandi città. I dati statistici estratti dalla sintesi annuale del Ministero sono calcolati su una base regionale. Negli ultimi dieci anni, le biblioteche intercomunali sono nate dall'associazione di diversi comuni e sono gestite a livello dipartimentale.
[4] Ministère de la culture et de la communication, Synthèse nationale des données d'activité 2015 des bibliothèques municipales, 2017, http://www.culture.gouv.fr/Thematiques/Livre-et-Lecture/Bibliotheques/Observatoire-de-la-lecture-publique/Syntheses-annuelles/Synthese-des-donnees-d-activite-des-bibliotheques-municipales-et-intercommunales/Bibliotheques-municipales-Donnees-d-activite-2015.
[5] Fonte: Synthèse nationale des données d'activité 2015 des bibliothèques municipales, 2017.
[6] Denis Merklen, Pourquoi brûle-t-on les bibliothèques?. Villeurbanne: Presses de l'Enssib, 2013, p. 9-11.
[7] Mariangela Roselli, La bibliothèque dans les quartiers populaires, «Mondes sociaux», 2016, http://sms.hypotheses.org/8718.
[8] Gerard Mauger, Les mondes des jeunes, «Sociétés contemporaines» (1995), n. 21, p. 5-14, https://www.persee.fr/doc/socco_1150-1944_1995_num_21_1_1415.
[9] Anne-Marie Bertrand, Bibliothécaires face au public. Paris: BPI, Centre Georges Pompidou, 1995.
[10] Pierre Bourdieu, La distinction: critique du jugement social. Paris: Minuit, 1979.
[11] L'inchiesta di tipo qualitativo si basa sull'immersione empirica, osservazioni e interviste approfondite presso un numero ridotto di interlocutori selezionati per il loro profilo sociologico (età, sesso, abitante di un quartiere) o per l'uso che fanno della biblioteca. Secondo questo procedimento, le osservazioni empiriche permettono di alimentare le ipotesi secondo una founded theory (teoria fondata) ed effettuare un'analisi grounded (radicata nel terreno) e danno luogo a scene etnografiche che, come una cinepresa, restituiscono i particolari rilevati dall'occhio dell'osservatore. Il metodo seguito è quello del tracking etnografico, procedimento che consiste nel rendersi anonimi.
[12] Anna Galluzzi, Il cortocircuito della biblioteca pubblica, «Bibliothecae.it», 8 (2019), n. 1, p. 183-212, https://bibliothecae.unibo.it/article/view/9501/9289, DOI: 10.6092/issn.2283-9364/9501.
[13] Si parla di 'intersezionalità' quando persone di ceto sociale diverso, età e generazione diverse, lingua e appartenenza etnica diverse riescono a trovare dei punti di incontro e interesse comuni e stabiliscono una relazione (verbale o fisica). Si tratta di un concetto proveniente dalla sociologia urbana che include i tentativi - utopistici fino a oggi in Francia - di quartieri residenziali socialmente ed etnicamente misti.
[14] Una parte del problema proviene dal cambiamento strutturale della composizione sociologica della professione nel dopoguerra che ha visto militanti di sinistra e umanisti impegnarsi per la periferia e le classi popolari cui spesso appartenevano. Diventati anziani e rari, questi sono stati sostituiti da una nuova generazione apolitica di bibliotecari professionisti specializzati che non appartengono alle classi popolari e non hanno nessuna voglia o curiosità di interessarsi alle forme contemporanee della cultura popolare.
[15] Mariangela Roselli, Cultures juvéniles et bibliothèques publiques: lier récréation et espace culturel, «Agora», 66 (2014), n. 1, p. 61-75, https://www.cairn.info/revue-agora-debats-jeunesses-2014-1-page-61.htm, DOI: 10.3917/agora.066.0061.
[16] Mariangela Roselli, Usagers et usages devant une offre de lecture publique libre: parcours d'acculturation et formes d'appropriation lettrées, «Sociétés contemporaines», 64 (2006), p. 135-151, http://www.cairn.info/revue-societes-contemporaines-2006-4-page-135.htm.
[17] Le FNAC (Fédérations nationales d'achats des cadres) in Francia rappresentano la prima catena di supermercati culturali situati già negli anni Settanta nei centri urbani e frequentatissimi soprattutto dai ragazzi e giovani. Nelle rappresentazioni della professione, l'impiegato non è nè libraio, nè bibliotecario ma semplice venditore e diversi bibliotecari tengono a distinguersi dalla FNAC e dai suoi venditori (visti in senso dispregiativo).
[18] Fonte: Diario etnografico originale dell'autrice.
[19] Enquête démographique sur les personnels des bibliothèques. Paris: Ministères de la culture, 2016, http://www2.culture.gouv.fr/culture/dll/enquete/demographie.pdf.
[20] Bernadette Seibel, Au nom du livre: analyse sociale d'une profession, les bibliothécaires. Paris: La documentation française, 1988.
[21] Dominique Arot, Les valeurs professionnelles du bibliothécaire, «Bulletin des bibliothèques de France», 45 (2000), n. 1, p. 33-41: p. 37-38, http://bbf.enssib.fr/consulter/bbf-2000-01-0033-001.
[22] Association des bibliotheìcaires franc¸ais. Groupe Ile-de-France; BibliotheÌque publique d'information; Centre national de la fonction publique territoriale, Bibliothécaires en Ile-de-France: autoportrait d'un groupe professionnel. Paris: ABF GIF, 1998; Severine Forlani, Femmes, pouvoir et bibliothèques: l'accès aux hautes fonctions dans les bibliothèques françaises [tesi di diploma], sous la direction d'Anne-Marie Bertrand. Villeurbanne: ENSSIB, 2009.
[23] Qun G. Jiao; Anthony J. Onwuegbuzie, Antecedents on library anxiety, «Library quarterly», 67 (1997), n. 4, p. 372-389.
[24] Alice Billard, Vers la bibliothèque ouverte, tolérante, conviviale, «Bulletin des bibliothèques de France», 58 (2013), n. 4, p. 23-27, http://bbf.enssib.fr/consulter/bbf-2013-04-0023-005.
[25] Anne-Marie Bertrand, La transmission de l'implicite ou comment la culture professionnelle vient aux bibliothécaires, «Bulletin des bibliothèques de France», 48 (2003), n. 1, p. 10-15, http://bbf.enssib.fr/consulter/bbf-2003-01-0010-002.
[26] Si parla di rapporti sociali di genere per denotare tutte le azioni e reazioni a catena indotte dal condizionamento per educazione, socializzazione e ripetizione di esperienze in tutti gli ambiti di attività (lavorativa, domestica e familiare) ai ruoli sociali di uomo e di donna, sulla base di una traslazione dal sesso biologico al genere sociale.
[27] Dmitri Kolesnikov, L'entreprise morale des bibliothécaires femmes : enquête sociologique dans les bibliothèques de Saint Petersbourg [tesi di laurea]. San Pietroburgo: Collège universitare de France à Saint Petersourg, 2019 (in corso di pubblicazione).
[28] A proposito dei ragazzi che rimangono fuori dalla biblioteca, si veda Mariangela Roselli, La bibliothèque, un monde de femmes: déterminations et conséquences sur la segmentation des publics jeunes dans les bibliothèques, «Réseaux», 29 (2011), n. 168-169, p.133-164, http://www.cairn.info/revue-reseaux-2011-4-page-133.htm. Sulla problematica delle barriere sociali rispetto alle proposte della biblioteca, si veda Mariangela Roselli, Les enquêtes ethnographiques en bibliothèque: analyser les relations pour comprendre les barrières à la lecture publique, «Nuovi annali della Scuola speciale per archivisti e bibliotecari», 32 (2018), p. 130-171.
[29] Mariangela Roselli, Fare etnografia in biblioteca: analizzare le relazioni per individuare i freni alla lettura. In corso di pubblicazione all'interno degli atti del Convegno What happened in the library? (Roma, Dipartimento di scienze documentarie linguistico-filologiche e geografiche, Università La Sapienza, 28 e 29 settembre 2018).
[30] La problematica dell'origine geografica si pone in situazione di immigrazione e integrazione, quindi sono questi due fenomeni che bisogna studiare e non la cartografia delle provenienze geografiche, anche se la lingua madre può costituire un modo per attirare in biblioteca nuovi utenti e lettori.
[31] Sharon Zukin, The cultures of cities. Cambridge, MA: Blackwell, 1995.