di Riccardo Ridi
Direi che siamo tutti biblioteche, dentro.
(Doctor Sleep, 2019)
In nessuno degli strati della piramide DIKAS1 la veridicità delle corrispondenti informazioni è una caratteristica indispensabile. Al livello dei dati, addirittura, non ha senso chiedersi se essi siano veri o falsi, perché sono semplicemente articolazioni della realtà, che non è mai né vera né falsa, ma semplicemente esiste, a meno di non intendere un'eventuale 'falsa realtà' come sinonimo di 'apparenza'. Ma, anche quando ci domandiamo se stiamo sognando o se siamo preda di un'allucinazione, ciò che può eventualmente risultare vera o falsa è solo un'affermazione del tipo «ciò che sto vedendo è davvero reale» e non, di per sé, il contenuto dell'esperienza che stiamo vivendo, che in ogni caso si sta effettivamente verificando, con tutte le sue distinzioni e differenze interne (ossia con tutti i suoi dati). Analogamente, quando certi dati vengono impropriamente detti 'errati', 'falsi', 'falsificati', 'imprecisi', 'dubbi' o 'incompleti' (oppure 'corretti', 'veri', 'autentici', 'precisi', 'certi' o 'completi') ciò che, volendo essere precisi, andrebbe detto è piuttosto che tali caratteristiche vanno attribuite alle informazioni che su tali dati si basano o alle procedure impiegate per la raccolta dei dati stessi, perché è solo al livello di affermazioni (e, quindi, di informazioni) come «questo numero indica il valore di questa variabile in questo momento» o «questo colore indica che questo parametro è stato superato da questa macchina» oppure «questi dati vengono da questa fonte, che li ha ottenuti in questo modo» che verità, falsità, errori, imprecisioni ecc. possono manifestarsi, e non certo al livello di un semplice numero o colore, isolato e decontestualizzato, che da solo non afferma niente e quindi non informa su niente.
Informazioni, conoscenze, consapevolezze e autoconsapevolezze, appartenenti agli strati superiori della piramide DIKAS, possono invece essere completamente vere, completamente false, dotate di uno 'standard epistemico'2 intermedio fra tali due estremi oppure indecidibili3. La collocazione di ciascuna di esse – o di loro sottoinsiemi omogenei dotati di determinate caratteristiche – in una o l'altra di tali categorie (così come, eventualmente in una di quelle in cui è possibile articolare il concetto di falsità, come la misinformation costituita dalle informazioni involontariamente errate e la disinformation di quelle volontariamente menzognere)4 è un'attività che può risultare spesso complessa e soggetta ad accese discussioni, ma anche, ancora più spesso, estremamente utile dal punto di vista pratico o teoretico. Per gli scopi di questo articolo non è tuttavia necessario addentrarci su tale percorso, se non per segnalare che ci sono autori per i quali, invece, la veridicità è una caratteristica definitoria intrinseca di uno o più di tali concetti.
Ad esempio, per Fred Dretske, per Paul Grice e per Luciano Floridi la vera e propria informazione, dotata di significato e quindi qualificabile come 'informazione semantica' è sempre, per definizione, veridica5. In particolare, Floridi propone una definizione dell'informazione semantica come costituita da dati ben formati, dotati di significato e veridici alla cui luce qualsiasi informazione falsa non è autentica informazione semantica, ma pseudoinformazione6. Altri autori, come Jesse Dinneen e Christian Brauner e come Andrea Scarantino e Gualtiero Piccinini7, ritengono invece che l'informazione semantica prescinda dalla verità o falsità dei propri contenuti e che ciò la renda più adatta per essere utilizzata nell'ambito, da una parte, delle scienze dell'informazione e della biblioteconomia8 e, dall'altra, delle neuroscienze e dell'informatica9: tutte discipline nelle quali l'accezione prevalente del termine 'informazione' non prevede, appunto, la veridicità come caratteristica indispensabile. D'altronde lo stesso Floridi ammette che, poiché «le biblioteche sono piene di 'falsa conoscenza'»10 e «l'oggetto [della biblioteconomia] non è la conoscenza stessa ma le fonti informative che la rendono possibile, anche se solo indirettamente»11, i bibliotecari non si occupano né della conoscenza intesa in senso epistemologico né dell'informazione semantica (entrambe sempre veridiche per definizione) quanto, piuttosto, di quello stadio precedente dell'informazione che Floridi chiama «contenuto»12 o «contenuto semantico»13, corrispondente ai dati ben formati e significativi, ma non necessariamente veridici.
Il tradizionale concetto epistemologico di conoscenza a cui Floridi si riferisce parlando dei bibliotecari è quello, risalente a Platone, di «credenza vera e giustificata», ossia di un'informazione veridica esprimibile linguisticamente sotto forma di una proposizione di cui abbiamo certezza per motivi attendibili o comunque razionalmente giustificabili14. Tale concezione, sebbene messa in crisi nel 1963 da due controesempi di Edmund L. Gettier che hanno costretto il dibattito filosofico successivo a precisarla ulteriormente senza tuttavia metterne quasi mai in dubbio l'aspetto della veridicità15, resta tuttora centrale nell'epistemologia contemporanea, soprattutto se di impostazione analitica. Esistono però anche altre concezioni della conoscenza16, in alcune delle quali la veridicità non gioca alcun ruolo, come spesso capita in quelle sviluppate nell'ambito biblioteconomico.
Ad esempio per Michael Buckland, prima bibliotecario e poi docente universitario di biblioteconomia e scienze dell'informazione:
Si può essere tentati di distinguere fra la conoscenza e l'opinione. Si potrebbe dire, solitamente con tono sprezzante, che si conosce qualcosa e che se qualcuno non è d'accordo è solo una sua opinione. Ci sono pochi dubbi che le stesse procedure vengano generalmente impiegate sia per informare che per influenzare le opinioni. A meno che non veniamo obbligati a fare una distinzione, appare più saggio considerare la conoscenza e l'opinione come almeno sovrapponibili e i sistemi informativi come strumenti per gestirle entrambe. La distinzione fra conoscenza e opinione sembra difficile da sostenere e non appare fondamentale per i nostri scopi [come gestori di biblioteche e di altri sistemi informativi] dal momento che entrambe sono, fondamentalmente, questioni di credenza. Di conseguenza possiamo osservare l'uso dei servizi informativi da parte di ogni sorta di gruppi di persone con specifici interessi tanto per modificare le opinioni quanto per diffondere la conoscenza, con la sola differenza che ciò che alcuni di essi considerano conoscenza altri possono considerarla opinione. […]
È prudente ricordarsi che era solito considerare 'conosciuto' e 'vero' che il Sole e i pianeti ruotassero intorno alla Terra. Chiunque fosse stato in grado di leggere, o di farsi leggere, avrebbe potuto informarsi di ciò sui libri scientifici dell'epoca, che sono tuttora disponibili in alcune biblioteche di ricerca. Un semplice, piuttosto cinico, commento, potrebbe essere che l'informazione è vera se uno crede che sia tale17.
E per Jack Meadows, professore universitario prima di astronomia e successivamente nello stesso ambito disciplinare di Buckland:
L'informazione ci raggiunge in continuazione, ma dobbiamo assorbirla perché diventi conoscenza. Come abbiamo visto, quando le informazioni entrano nella memoria a lungo termine non vengono immagazzinate sotto forma di singoli frammenti. Piuttosto esse vengono collegate a una varietà di altre porzioni di informazione conservate nella memoria. È questo collegamento che produce la transizione dall'informazione alla conoscenza. L'informazione diventa conoscenza quando la integriamo nella preesistente struttura per la gestione delle informazioni che abbiamo nelle nostre menti. Una volta avvenuta l'integrazione, le informazioni possono essere recuperate, combinate con altre informazioni e applicate, come e quando il contesto pare appropriato. Tale definizione della conoscenza non avanza richieste riguardo alla natura della conoscenza stessa. Ad esempio, le informazioni possono essere sbagliate. Esse possono essere mal interpretate durante il processo di assorbimento. Possono venire incorporate in modo scorretto nella nostra struttura mentale o venire distorte nella memoria. In altre parole, la conoscenza può essere falsa, nel senso che può non concordare con altre informazioni che riguardano lo stesso argomento. […] Alla luce delle nuove informazioni possiamo decidere di rivedere la nostra conoscenza sulla questione. Parimenti, parti diverse della nostra conoscenza possono essere incompatibili fra loro18.
Ecco perché, in entrambe le parti di questo articolo, la veridicità non è mai richiesta né alle informazioni né alle conoscenze, sebbene entrambe possano, talvolta, risultare o essere considerate veridiche. Vale la pena di notare, inoltre, che solo liberando la conoscenza dall'esigenza della veridicità è possibile utilizzare la conoscenza stessa, come qui si è fatto, come 'ponte' fra informazioni e consapevolezze, entrambe suscettibili di falsità.
Fin qui (sia nella prima parte dell'articolo – pubblicata in AIB studi, 60 (2020), n. 2 – che in questa seconda parte) si è prevalentemente parlato dei 'contenuti informativi', che indubbiamente costituiscono il principale argomento della trattazione, ma è giunto il momento di aggiungere qualcosa anche sui 'contenitori' di informazioni, ossia sui documenti, approfittando anche per raccogliere e sistematizzare quanto già anticipato su tale tema. La concezione del documento che si presta maggiormente ad armonizzarsi con la piramide DIKAS è sicuramente quella 'relativistica'19, secondo la quale è tale qualsiasi oggetto fisico che venga ritenuto un recipiente di informazioni20, «anzi, in linea teorica ogni entità fisica, di qualunque forma e materiale, è un documento nella misura in cui vi siano registrate delle informazioni»21.
Dunque, poiché a ciascuno dei cinque livelli della piramide DIKAS corrisponde un determinato tipo, o stadio, di informazione, analogamente a ciascun livello corrisponderà una particolare forma di documento22. Al livello dei dati (informazioni potenziali) l'intero universo materiale è di fatto un unico documento o un incalcolabile insieme di documenti, perché non esiste angolo del cosmo – neppure lo spazio intergalattico attraversato dalla radiazione cosmica di fondo che ci fornisce informazioni sul Big bang23 – del tutto privo di differenze, distinzioni e mancanze di uniformità24. Al livello dell'informazione semantica invece l'intero universo e ciascuna sua parte potrebbero essere un documento, purché e nella misura in cui si trovassero coinvolti in un processo informativo che causasse qualche cambiamento in un qualsiasi sistema cognitivo, ossia purché e nella misura in cui i dati che contengono risultassero informativi «per qualcuno o per qualcosa»25, cosa non poi troppo difficile, con un po' d'immaginazione:
Non possiamo dire con certezza di niente che non possa essere un'informazione. […] Potremmo dire di un qualunque oggetto o documento che in una certa combinazione di circostanze, in una certa situazione, sarebbe informativo, sarebbe informazione […]. Ma, come abbiamo osservato sopra, in linea di principio potremmo dire ciò di qualsiasi oggetto o documento: bisogna solo essere abbastanza fantasiosi nell'immaginare la situazione in cui esso potrebbe risultare informativo26.
La differenza è sottile, ma significativa: ogni singolo oggetto o insieme di oggetti è composto, se osservato all'opportuno livello di dettaglio e di risoluzione, da discontinuità, configurazioni e 'differenze', e quindi da dati, che lo rendono oggettivamente un documento, se riteniamo che tutti i dati siano informazioni potenziali. Però non da tutte le informazioni potenziali scaturisce necessariamente un effettivo e reale processo informativo semantico, perché per il verificarsi di quest'ultimo è necessario anche un contesto adeguato (cfr. §4 nella prima parte dell'articolo). Ecco, allora, che gli stessi oggetti (cioè tutti) che sono oggettivamente documenti in quanto contenitori di dati, sono anche documenti in quanto contenitori di informazioni semantiche, ma solo potenzialmente o relativamente, ossia solo se, quando, finché e nella misura in cui entrano in relazione con qualcuno o qualcosa che riesce a interpretarne i dati come informazioni. Il libro in russo che sta sul mio scaffale è un documento sia oggettivamente, in quanto contiene dati, che in quanto contenitore di informazioni semantiche, ma da questo secondo punto di vista lo è solo relativamente a chi capisce il russo e, potenzialmente, anche rispetto a me, che il russo non lo so ma potrei impararlo. E lo stesso vale per un sasso rovesciato in mezzo a un viottolo, che è comunque un'oggettiva discontinuità (e quindi costituisce un dato), ma che solo in determinati contesti può diventare informativo.
Sia al livello dei dati che a quello delle informazioni semantiche i documenti possono essere visti anche come casi particolarmente semplici di sistemi informazionali, in base alla definizione di tale concetto proposta nel §4: «qualsiasi oggetto, struttura, organizzazione o organismo capace di gestire – anche solo a livello minimale, ad esempio limitandosi a contenerli – dati». Inversamente, i sistemi informazionali non possono invece essere sempre considerati come documenti, o insiemi di documenti, arricchiti dalla capacità di gestire i dati anche con modalità più sofisticate rispetto al loro mero immagazzinamento, perché esistono anche sistemi informazionali 'senza memoria', come ad esempio i 'canali' (come i cavi telefonici) attraverso cui i dati si limitano a transitare senza lasciare tracce stabili. Invece un sistema cognitivo può sempre venire considerato come un insieme di documenti arricchiti di ulteriori funzionalità, perché è stato definito come un sistema informazionale «sufficientemente complesso, [ossia] abbastanza dinamico e autonomo da essere in grado di ricevere, riconoscere, memorizzare, organizzare, contestualizzare, interpretare, trasformare, elaborare e trasmettere dati» (§4).
Quindi una parte dei sistemi informazionali e la totalità dei sistemi cognitivi conservano almeno una parte dei dati che trattano, i quali vengono archiviati, temporaneamente o stabilmente, all'interno di vari tipi di 'magazzini' (interni o esterni) che sono a tutti gli effetti documenti o raccolte di documenti, anche se, nel caso dei sistemi cognitivi biologici, non è ancora chiaro né come siano materialmente strutturati gli «engrammi»27 (o «neurogrammi»28, «mappe neuronali»29, «configurazioni neurali»30) in cui i cervelli devono per forza, in qualche modo, conservare conoscenze, né il modo in cui tali 'biblioteche cerebrali' vengono mantenute aggiornate31. Anche consapevolezze e autoconsapevolezze (i cui insiemi vengono rispettivamente chiamati 'coscienza' e 'autocoscienza'), non essendo altro che conoscenze dotate di peculiari caratteristiche, rispettivamente, di accessibilità e di quasi-autoreferenzialità (cfr. §7 nella prima parte dell'articolo) troverebbero, in questa ottica, la loro sede fisica in tali 'documenti cerebrali'.
Riassumendo: a livello di dati e di informazioni semantiche qualunque oggetto è o può essere considerato un documento; a livello di conoscenze sono documenti solo i contenitori di informazioni (dai file registrati nelle memorie dei computer agli engrammi cerebrali) a loro volta contenuti nei (o, tutt'al più, direttamente accessibili dai) sistemi cognitivi; a livello di consapevolezze e autoconsapevolezze, in attesa che si riesca (forse) a costruire qualche forma di 'coscienza artificiale', gli unici documenti a noi noti, sebbene per ora solo a livello di ipotesi razionale, sono gli engrammi. Fra tutte queste entità quelle che però siamo abituati a considerare e chiamare davvero 'documenti' nel linguaggio comune e nelle discipline diverse dalla filosofia dell'informazione sono soprattutto quelle appositamente create dagli umani (come i libri, i certificati, i quadri, i film, i siti web, ecc.) o, tutt'al più, generate dall'evoluzione naturale (come il DNA e le altre forme di memorie biologiche) proprio per conservare e trasmettere informazioni.
Le definizioni e le ipotesi presentate nelle due parti di questo articolo sono compatibili con differenti prospettive ontologiche e metafisiche sulla natura profonda della realtà, la cui scelta è lasciata ai giudizi razionali e agli orientamenti emotivi dei lettori. Mi limiterò quindi, in questo paragrafo, ad attirare la loro attenzione solo su alcune di tali prospettive, forse un po' meno note di quelle più canoniche.
Se chi ha letto la prima parte di questo articolo (pubblicata in AIB studi, 60 (2020), n. 2) ha trovato (nel §2) la definizione di 'realtà' numerata 2 più familiare o più convincente di quella numerata 3, allora probabilmente si tratta di un seguace, più o meno consapevole, della teoria metafisica denominata 'monismo neutrale'32, spesso erroneamente confusa, soprattutto dai suoi denigratori, con quella del 'panpsichismo'33. Il panpsichismo, infatti, è una dottrina soprattutto rinascimentale oggi ampiamente screditata anche perché incompatibile con la scienza moderna, secondo la quale in ogni entità fisica sono presenti forze vitali e psichiche irriducibili alla materia ma con essa misteriosamente interagenti. Il monismo neutrale (detto anche 'teoria del doppio aspetto'34) è invece una visione del mondo a cui, in forme e con denominazioni diverse, hanno aderito filosofi tuttora rispettati come Baruch Spinoza, Ernest Mach, William James e Bertrand Russell e che cerca di trovare una spiegazione alternativa rispetto all'impasse in cui versano altri tentativi di soluzione dell'enigma del rapporto fra la mente e il corpo umani. Infatti né il materialismo radicale rappresentato dall'eliminativismo35 (che nega l'esistenza stessa dei fenomeni mentali), né il materialismo riduzionista36 (poco convincente nel ricondurre i fenomeni mentali a sommatorie di microfenomeni fisici), né varie forme di idealismo37 (che negano la realtà della materia) risultano completamente soddisfacenti per chi non vuole rinunciare né ai risultati della scienza né all'evidenza di un soggetto conoscente che sfugge alle maglie della stessa scienza, che può studiare e spiegare solo fenomeni oggettivi. La 'terza via' fra materialismo e idealismo proposta dal monismo neutrale è quindi quella di ipotizzare una realtà ultima che non sia né fisica né psichica ma risulti invece costituita da «qualcosa di neutro [neutral stuff]» – come lo chiama Russell38 – rispetto al quale le entità fisiche e mentali sono 'manifestazioni parallele' sempre in accordo perché entrambe basate sulle stesse 'cose in sé', ma che non interagiscono mai fra loro, salvaguardando così sia le esigenze della scienza che quelle del naturalismo39.
Probabilmente però la maggioranza degli eventuali lettori giunti fin qui si è sentita maggiormente a proprio agio con la più tradizionale concezione 'dualista'40 della realtà (quella numerata 3), sostanzialmente riconducibile (almeno per quanto riguarda l'epoca moderna) a Cartesio, che propone anch'essa una terza via fra materialismo e idealismo, accettando l'esistenza di due sostanze ultime completamente diverse e indipendenti fra loro, la cui somma costituisce la realtà: la res cogitans (cioè il pensiero) e la res extensa (cioè la materia). Questo tipo di soluzione incontra però una notevole difficoltà nello spiegare come due sostanze così radicalmente differenti possano interagire fra loro, cosa che invece l'esperienza ci mostra ogni volta che decidiamo di muovere un dito o che il mondo esterno ci procura delle sensazioni41.
Il lettore 'dualista metafisico' a cui, da una parte, restassero dei dubbi su come pensiero e materia possano reciprocamente influenzarsi e, dall'altra, risultasse abbastanza convincente il resoconto qui tentato della serie di processi che, in modo continuo, graduale e del tutto naturalistico, conducono dai dati fisici fino alla coscienza psichica grazie all'intermediazione di quella strana entità bifronte chiamata 'informazione', potrebbe forse prendere in considerazione una recente forma di monismo neutrale a base informazionale42 proposta e difesa dal filosofo australiano David Chalmers43, secondo la quale «l'informazione (nel mondo reale) ha due aspetti, l'uno fisico, l'altro fenomenico»44, dove l'aggettivo 'fenomenico' si riferisce ai qualia, ossia a quegli aspetti più soggettivi dell'esperienza di cui si è già parlato nel §7 (nella prima parte dell'articolo).
Chalmers osserva che l'informazione […] ha una doppia natura: da un lato è fisicamente realizzata in qualche supporto, dall'altro può essere esperita per via di una fenomenologia specifica, così che ogni volta che abbiamo un'informazione realizzata fenomenicamente avremo una corrispondente informazione realizzata fisicamente […]. Così, ad ogni stato di coscienza corrisponde un preciso valore informazionale anche se non tutti gli stati informazionali sono necessariamente coscienti in senso pieno. Questo è in effetti un punto delicato: esso infatti apre teoricamente a una forma di panpsichismo, la tesi per cui tutto è cosciente. Chalmers non è tuttavia disturbato da questa conseguenza; tutto sta ad accettare l'idea che ci siano diversi gradi di coscienza, alcuni dei quali pressoché nulli45.
Ipotesi, quest'ultima della presenza di livelli infinitesimali di coscienza anche in strutture fisiche non biologiche, purché capaci di processare informazioni, che si ricorderà46 non disturbasse neppure Giulio Tononi, che non è un filosofo ma uno scienziato, allievo del premio Nobel per la fisiologia e la medicina Gerald Edelman e attualmente direttore dell'Institute for sleep and consciousness della University of Wisconsin-Madison, quindi ancor meno di Chalmers sospettabile di inseguire spiegazioni non naturalistiche incompatibili con la scienza contemporanea. Del resto, lo stesso Chalmers presenta la propria ipotesi come una forma di «dualismo naturalista»47 che si riferisce alle proprietà, anziché alle sostanze come quello cartesiano, e che rinvia a future ricerche scientifiche per rintracciare proprietà fenomeniche della materia che, pur essendo del tutto naturali, non sono immediatamente spiegabili, come è successo in passato, ad esempio, col magnetismo.
Chalmers, oltre tutto, si rifà esplicitamente48 a un altro scienziato che abbiamo già incontrato, il fisico John Wheeler, la cui ipotesi «it from bit»49 sulla natura informazionale della realtà ultima dell'universo potrebbe essere riformulata, alla luce dell'interpretazione che ne fornisce Chalmers, con lo slogan 'it and id from bit', dove 'bit' allude all'informazione, 'it' alla materia e 'id' è un'abbreviazione di idea e quindi allude alla coscienza.
Wheeler ha proposto di considerare l'informazione come fondamentale per la fisica dell'universo. Secondo questa dottrina della 'cifra binaria', le leggi della fisica possono essere inquadrate in termini di informazione postulando stati diversi che producono effetti diversi, senza però dire effettivamente che cosa siano quegli stati. Conta solo la loro posizione in uno spazio informazionale. Se è vero, allora l'informazione è il candidato naturale per giocare un ruolo anche nella teoria fondamentale della coscienza. Siamo condotti a una concezione del mondo in cui l'informazione è davvero fondamentale e in cui essa ha due aspetti essenziali, corrispondenti alle caratteristiche fisiche e fenomeniche del mondo50.
Una posizione assai simile è sostenuta anche da Floridi, che però critica51 l'originaria tesi di Wheeler e degli altri pensatori riconducibili all'etichetta della 'filosofia digitale' (nota anche come 'ontologia digitale' o 'metafisica digitale'52) perché a suo avviso essi punterebbero eccessivamente l'attenzione sulla natura digitale dell'informazione, che è solo una particolare modalità di rappresentazione – contrapposta a quella analogica – della realtà, nell'ambito di una dialettica esclusivamente epistemologica del tutto simile a quella che in passato metteva a confronto i fautori della natura intrinsecamente discreta oppure continua della realtà stessa. Floridi preferisce invece attribuire alla realtà più profonda, che non presenta necessariamente caratteristiche né materiali né mentali, una natura informazionale ancora più astratta rispetto a tale opposizione, perché viene intesa come strutturazione di dati, a loro volta definiti come discontinuità53.
Speculazioni come quelle di Wheeler, Chalmers e Floridi potrebbero far sorridere non solo l'ipotetico lettore dualista, ma anche quelli scettici e postmoderni che notassero come, in ogni epoca, ci sono metafisici che pretendono di cogliere l'essenza più profonda e nascosta della realtà paragonandola a un particolare aspetto (o due) dell'apparenza (l'acqua di Talete, l'aria di Anassimene, la res cogitans e la res extensa di Cartesio, la materia e il movimento di Hobbes, l'Io di Fichte, la volontà e la rappresentazione di Schopenhauer, il digitale di Wheeler, l'informazione di Chalmers e Floridi, ecc.) che, in quello specifico ambiente culturale o momento storico, gode di particolare fortuna, in una sorta di variante dell'osservazione di Senofane, che già due millenni e mezzo fa aveva notato che se i cavalli sapessero disegnare ritrarrebbero i propri dei in sembianze equine54. Tutti questi tipi di lettori dovrebbero però anche apprezzare il fatto che, volendo proprio azzardare qualche ipotesi sulla realtà intesa nel senso 1 (cfr. §2 nella prima parte dell'articolo), cioè come l'insieme degli inconoscibili noumeni che stanno al di là di ogni possibile esperienza (azzardo da cui non si può pretendere che un metafisico si astenga completamente), congetturare che essa presenterà pure, in qualche modo, delle discontinuità o delle differenze, è veramente il minimo che ci si possa aspettare e costituisce un'opzione di notevole sobrietà a cui vale la pena concedere almeno un minimo di credito e di attenzione.
Se invece chi legge preferisse da una parte rispettare rigorosamente il divieto kantiano di affermare alcunché sui noumeni, al di là della loro necessaria esistenza, e dall'altra fosse rimasto particolarmente convinto della natura informazionale della coscienza che emerge da queste pagine, allora potrebbe forse accettare il suggerimento di cominciare a riflettere sull'ipotesi, ancora tutta da sviluppare (e riassumibile con lo slogan 'it and bit/id from x'), di una 'cosa in sé' assolutamente misteriosa da cui scaturirebbero, in parallelo, da una parte ciò che, a seconda dei casi, chiamiamo materia o energia e dall'altra ciò che, in contesti diversi, consideriamo informazione o mente. In tale prospettiva la filosofia si limiterebbe a ipotizzare che la realtà più profonda dell'essere si palesi attraverso una particolare forma di dualismo che non contrappone entità radicalmente aliene fra loro (come la res cogitans e la res extensa) ma, più semplicemente, tutto ciò che esiste (it) e l'ordine in cui ciò stesso si presenta, ossia quelle sequenze di continuità e discontinuità con cui si è visto (cfr. §2) che possono essere identificati i dati (bit)55, in un reciproco rapporto che potrebbe essere paragonato a quello intercorrente fra la «materia» e la «forma» in Aristotele56 oppure fra quelli che potremmo chiamare il 'sostrato' e la 'struttura' della realtà, tentando così di conciliare monismo e dualismo. Alle varie scienze resterebbe poi il compito di analizzare più in dettaglio e con continui aggiornamenti come ciascuno di tali due aspetti della realtà si articoli in una serie di entità che non sempre sono intuitivamente riconducibili, da una parte, alla materia (come, ad esempio: l'energia, i campi, le stringhe, le onde, le forze, l'antimateria, ecc.57) e, dall'altra, all'informazione (come, per limitarci ad alcuni esempi trattati in questo articolo: la coscienza, l'autocoscienza e, più in generale, i fenomeni mentali, riassumibili nel loro complesso con l'etichetta id).
Fra l'altro entrambi questo approcci, che potremmo definire due diverse forme di 'monismo neutrale informazionale', semplificherebbero le questioni affrontate nel §3 (nella prima parte dell'articolo), perché ne depotenzierebbero ambedue i contrapposti poli dialettici, assegnando invece maggiore centralità ai processi (causali e informativi) descritti nel §4 (sempre nella prima parte), dove si è visto che l'informazione non è un vero e proprio strato della piramide DIKAS, ma il passaggio dallo strato dei dati (oggettivi) a quello della conoscenza (relativa), che include al suo interno la possibilità della coscienza (soggettiva). Ecco perché l'informazione può essere vista sia come oggettiva che come soggettiva, ma anche come qualcosa di stranamente sia oggettivo che soggettivo. Nel processo informazionale i dati possono essere considerati (da un punto di vista realista e neopositivista) come la causa della conoscenza, ma perché il corrispondente processo causale produca un effetto bisogna che il sistema cognitivo che essi vanno a modificare sia effettivamente 'modificabile', cioè che esso sappia riconoscere (in un qualsiasi evento o oggetto) delle mere discontinuità come potenziali informazioni. Quindi si potrebbe altrettanto plausibilmente dire (da un punto di vista costruttivista e postmoderno) che è il sistema cognitivo che trasforma i dati in informazioni, ossia in qualcosa che è in grado di assorbire, integrandoli fra le altre proprie conoscenze, e quindi che è la conoscenza (e non i dati) la vera causa dell'informazione. Ma in realtà, superando sia le dispute fra orientamenti filosofici che un'eccessiva contrapposizione fra oggettivo e soggettivo58, andrebbe più ragionevolmente detto che dati e conoscenza sono entrambi concause dell'informazione e che, in un certo senso, l'informazione non esiste, ma avviene, perché non è una sostanza ma un processo, come del resto lo sono anche la coscienza e la vita.
In base alle definizioni proposte nella prima parte dell'articolo (pubblicata in AIB studi, 60 (2020), n. 2) anche i termini 'informazione', 'conoscenza', 'consapevolezza' e 'autoconsapevolezza' andrebbero preferibilmente utilizzati al plurale, così come già accade usualmente per il termine 'dato'. Quando invece essi vengono impiegati nella forma singolare bisognerebbe sempre fare attenzione (sia quando si parla e si scrive che quando si ascolta e si legge) se ciò a cui ci si riferisce è una singola e specifica informazione, conoscenza, consapevolezza o autoconsapevolezza oppure se si intende il vocabolo come un nome collettivo che indica un comunque specifico insieme di tali entità, come ad esempio tutte le informazioni acquisite stamani da un particolare gruppo di studenti o tutte le conoscenze che erano possedute ieri dall'insieme degli esseri umani viventi oppure tutte le mie consapevolezze di domattina. Solo in casi molto particolari capiterà invece di utilizzare tali lemmi al singolare per indicare la totalità dei loro riferimenti concreti (ad esempio tutte le informazioni semantiche che sono state e che verranno mai prodotte nell'intero universo) o il loro concetto astratto (ad esempio l'idea 'platonica' di conoscenza). Molte delle ambiguità di cui vengono spesso accusati i concetti connessi all'informazione e alla conoscenza potrebbero essere già fugate da questi elementari accorgimenti di precisione terminologica, peraltro validi in linea generale.
Ulteriori ambiguità possono essere evitate, almeno esprimendosi in italiano, se ci si ricorda che in inglese (lingua che domina la letteratura accademica internazionale in tutte le principali discipline che si occupano dell'informazione) è impossibile, o comunque estremamente difficile, distinguere fra il significato singolare e plurale di termini non numerabili (uncountable) come information o dei quali è estremamente raro l'uso al singolare (come per datum) o al plurale (come per knowledges, awarenesses e self-awarenesses)59.
In particolare la parola 'informazione' andrebbe utilizzata soprattutto per indicare i singoli processi informativi che vedono come causa scatenante un determinato insieme di dati e come effetto una o più conoscenze incluse in uno specifico sistema cognitivo oppure, a posteriori60, anche quello stesso insieme di dati, ma solo dopo che esso ha dimostrato di non essere solo un gruppo di informazioni potenziali, ma di poter anche produrre reali informazioni semantiche. È tuttavia pressoché inevitabile che (poiché «trasformare i processi in cose è un mero artefatto del nostro bisogno di comunicare agli altri idee complicate, in modo rapido ed efficace»61) sia estremamente diffusa la tendenza a non applicare tale distinguo, e così «nell'uso popolare o non tecnico viene raramente applicata la distinzione fra dati e informazioni»62. Di conseguenza succede che si utilizzi sempre e comunque, con una sorta di riflesso condizionato, il termine data se associato a determinate altre parole (come, ad esempio, nelle espressioni: big data, linked data, open data, data entry, ecc.), come se le informazioni non potessero mai essere numerose, collegate, aperte, inserite, ecc. Ma capita anche, inversamente, che vengano denominati 'informazioni' insiemi di dati che non hanno ancora mostrato in alcun modo di risultare davvero informativi per qualcuno.
L'unica distinzione a cui, nel linguaggio comune, si fa una certa attenzione, è quella fra dati o informazioni più semplici o più 'prossimi alla fonte' (denominati semplicemente 'dati', magari con l'aggiunta dell'aggettivo 'grezzi') e dati o informazioni più complessi, articolati, contestualizzati e 'lavorati' (e quindi più 'distanti dalla fonte'), spesso chiamati 'dati aggregati', 'dati elaborati' o 'informazioni'. Però, poiché il processo di semiosi è tendenzialmente illimitato (cfr. §6 nella prima parte dell'articolo), tale distinzione è del tutto relativa, perché i dati abbastanza 'elaborati' da risultare tali rispetto a quelli 'grezzi' da cui provengono saranno comunque a loro volta sempre ancora troppo grezzi rispetto a eventuali elaborazioni successive.
Inoltre, sempre riguardo alla confusione fra informazioni e dati, c'è da considerare che quest'ultimo lemma, forse perché erroneamente percepito come più 'moderno', viene più spesso associato ai computer e a internet, per cui capita di incontrare qualche difficoltà nel far capire ai più giovani (inclusi gli studenti universitari) che non tutti i dati presenti, prodotti e utilizzati nel mondo sono digitali, mentre ciò viene accettato con un po' più di facilità parlando di informazioni, anche perché probabilmente tale vocabolo viene più facilmente riferito anche alla comunicazione orale.
«Così come c'è sovrapposizione, nell'uso comune, fra dati e informazioni, c'è sovrapposizione anche fra informazioni e conoscenza»63, dovuta anche al fatto che quest'ultimo termine è probabilmente ancora più ambiguo di quello 'informazione'. Rispetto alle principali accezioni del lemma 'conoscenza'64 è bene sottolineare che in entrambe le parti di questo articolo tale termine è stato prevalentemente utilizzato per riferirsi alle informazioni semantiche (né necessariamente veridiche, né necessariamente consce, né necessariamente possedute da organismi biologici) incluse in sistemi di gestione dell'informazione talmente complessi, autonomi e dinamici da meritarsi la denominazione, appunto, di 'sistemi cognitivi'. Le conoscenze di cui qui si parla non sono, quindi, né le 'credenze vere e giustificate'65 degli epistemologi né quell'insieme di informazioni selezionate, organizzate e ritenute in linea di massima veridiche66, dai confini e contenuti difficilmente identificabili con precisione, a cui spesso si assegna il nome collettivo di 'conoscenza' (dando per implicita la precisazione 'umana') e a cui abitualmente si aggiungono più o meno tacitamente anche le opere d'arte (in gran parte non 'veridiche' in senso tecnico) considerate di maggior qualità. Per ridurre tali ambiguità si potrebbe forse suggerire agli epistemologi di utilizzare, al posto di 'conoscenza', l'espressione 'credenza vera e giustificata' (o, meglio ancora, 'credenza ritenuta vera e sufficientemente giustificata'67) e a tutti di valutare se, ogni volta che si sta per dire o scrivere 'conoscenza umana', non sia più appropriato scegliere invece un'altra espressione, come ad esempio 'cultura umana'. Analogamente, la disciplina nota come knowledge organization sarebbe più correttamente definibile come 'organizzazione dell'informazione'68 perché, come si è visto, il lemma 'informazione' copre i concetti di dati, informazioni semantiche, conoscenze e consapevolezze, vale a dire della maggior parte delle entità di cui (oltre ai documenti che le contengono) tale disciplina si occupa.
Cosa si è qui inteso col termine 'documento' è già stato chiarito nel §9. Basterà quindi rinviare ad altre sedi per una panoramica sull'uso di tale vocabolo nell'ambito di discipline diverse dalle scienze dell'informazione (archivistica, storiografia, filosofia, diritto, informatica, ecc.)69 e per un contributo al recente dibattito sull'alternativa terminologica a 'documento' e a 'pubblicazione' rappresentata dal lemma 'risorsa' nell'ambito della teoria e della normativa catalografica70.
Per alcuni un libro o un articolo di giornale sono, di per sé, informazione. Per altri è il contenuto, e non la sua materializzazione fisica, che costituisce l'informazione. Per altri ancora l'informazione si realizza quando un lettore inserisce il contenuto nella propria struttura conoscitiva71.
L'obiettivo fondamentale delle due parti di questo articolo è cercare di mostrare che, a prescindere dagli equivoci e dalle ambiguità terminologiche analizzate nel precedente paragrafo, tutte e tre queste interpretazioni sono in fondo sensate, perché si basano su un sostrato semantico comune ai concetti di dato, di informazione e di conoscenza non solo restando nell'ambito delle scienze dell'informazione ma anche allargandosi a tutte quelle discipline (fisica, biologia, informatica, filosofia, semiologia, psicologia, ecc.) riguardo alle quali invece spesso ci si lamenta che utilizzerebbero tali termini con accezioni del tutto indipendenti ed eterogenee fra loro. Ciò tuttavia non significa né che qui si proponga una loro sostanziale sinonimia, né che si vogliano appiattire i differenti ruoli che i corrispondenti concetti rivestono nelle diverse discipline. La piramide DIKAS (data, information processes, knowledges, awarenesses, self-awarenesses), qui proposta avrebbe appunto l'ambizione di provare a inserire tali concetti in una struttura unitaria che tenga conto sia di ciò che li accomuna che di ciò che li differenzia.
Dati, informazioni, conoscenze (e consapevolezze e autoconsapevolezze, che sono particolari tipi di conoscenze) sono, in fin dei conti, la stessa cosa, cioè strutture di discontinuità e identità presenti nella realtà che, in determinati contesti, producono effetti di tipo semiotico che a loro volta possono essere concause di ulteriori effetti, in un processo di illimitata semiosi che si arresta, provvisoriamente, solo quando un determinato significato emerge all'interno di un sistema informazionale sufficientemente complesso come – ad esempio, ma non esclusivamente – un cervello umano. Lo si può dire di qualsiasi cosa? Si, perché, come nota Buckland, «bisogna solo essere abbastanza fantasiosi nell'immaginare la situazione in cui essa potrebbe risultare informativa»72. E ciò rende tale teoria vacua? No, perché esistono molte teorie ben più autorevoli di questa e addirittura intere discipline che «dicono 'tutto è X' non tanto per escludere che il mondo sia dotato anche di innumerevoli altre caratteristiche, quanto piuttosto per concentrare l'attenzione su una di esse, considerata importante da un determinato punto di vista o per un determinato scopo»73. Però forse la teoria potrebbe «peccare di univocità, riconducendo ogni genere di informazione a quella più semplice (ovvero alla mera esistenza di qualcosa che distingua un'entità fisica da un'altra, come ad esempio il colore che differenzia le biglie in un sacchetto), cadendo così in una forma di riduzionismo che non riesce a spiegare in modo convincente fenomeni informativi più sofisticati»74? Questo è effettivamente un rischio reale, che spero di aver sventato mostrando come nei dati, nelle informazioni semantiche, nelle conoscenze, nelle consapevolezze e nelle autoconsapevolezze siano riscontrabili anche alcune importanti caratteristiche che le differenziano, soprattutto dal punto di vista del contesto, cioè della rete che le collega ad altre discontinuità della realtà. Nelle due parti di questo articolo tali caratteristiche, sostanzialmente ipertestuali75, sono state analizzate soprattutto con gli strumenti delle scienze dell'informazione, della filosofia dell'informazione, della semiologia, dell'epistemologia e delle neuroscienze, ma sarebbe interessante ripercorrerle anche con l'ausilio della scienza delle reti76, come in una certa misura ha fatto Wolfgang Hofkirchner con la sua «teoria unificata dell'informazione»77.
Per quanto riguarda le specificità delle singole discipline va detto che, anche se qualsiasi fenomeno è sottoposto alla causalità (e quindi può essere visto come informazione) i fenomeni informativi che interessano la biblioteconomia e quelle scienze dell'informazione che sono collocabili fra le scienze sociali e umane78 (ma non la filosofia dell'informazione, che ha uno spettro metadisciplinare più ampio) sono quelli riconducibili a forme di causalità 'economica' o 'conveniente', nelle quali la funzione semiotica permette di risparmiare energia, limitandosi inoltre esclusivamente alla sfera socioculturale umana.
Figura 1 – La piramide DIKAS
(data, information processes, knowledges, awarenesses, self-awarenesses)
Lo schema grafico (già anticipato alla fine della prima parte di questo articolo, pubblicata in AIB studi, 60 (2020), n. 2) che sintetizza la piramide DIKAS (cfr. Figura 1) in modo più accurato rispetto alla versione approssimativa inserita all'inizio della stessa prima parte non corrisponde in realtà a una piramide, e neppure al classico triangolo isoscele che viene usualmente utilizzato per rappresentarla bidimensionalmente, ma a una serie di rettangoli e trapezi sovrapposti che possono forse ricordare, complessivamente, un flipper, un frullatore o un orologio. Ciò nonostante ho deciso di continuare a chiamarla 'piramide' per rimanere all'interno della tradizione degli schemi a cui comunque essa appartiene.
Il gradino più basso della piramide (D) corrisponde ai dati, cioè a quelle sequenze, strutture o configurazioni di identità e distinzioni (ossia di uniformità e di mancanze di uniformità) oggettivamente presenti nella realtà che costituiscono le informazioni 'potenziali' o 'sintattiche', ossia le «differenze» di Bateson, l'«informazione come cosa» di Buckland e l'informazione intesa nel senso «tecnico della teoria dell'informazione» di Searle e di Shannon. Tali alternanze di continuità e discontinuità sono ovunque nell'universo, comunque lo si voglia concepire, ma solo talvolta alcune di esse risultano coinvolte nei processi informativi che costituiscono il secondo gradino (I) della piramide. Ecco perché il gradino D è rappresentato da un trapezio e non da un rettangolo: per suggerire che gran parte dei dati rimangono per sempre tali, senza mai trasformarsi in vere e proprie informazioni, sebbene sia anche vero che gli stessi dati possono essere coinvolti in una pluralità di processi informativi diversi, e quindi sia in sostanza impossibile stimare se siano complessivamente più numerosi, nell'intero universo, i dati oppure le informazioni.
Il secondo gradino della piramide (I) corrisponde alle informazioni 'semantiche', ossia all'«informazione come processo» di Buckland, che «fa la differenza» (come dice Bateson), ossia che produce un cambiamento (vale a dire causa un effetto) più o meno stabile in un sistema informazionale talmente complesso, autonomo e dinamico da poter essere considerato un 'sistema cognitivo'. Tale gradino è suddiviso in due subgradini (I(1) e I(2), corrispondenti rispettivamente a quelle che potremmo considerare informazioni parzialmente o pienamente semantiche) perché tale processo, che coincide con quello della genesi del significato, si compone di due stadi: la contestualizzazione 'aperta', 'pubblica' o 'esterna' dei dati (operata dalla «semiosi illimitata» di Eco) e la loro interpretazione 'chiusa', 'privata' o 'interna' (effettuata dalla «semiosi pragmatica»). Anche questi due subgradini sono rappresentati come trapezi per suggerire che non sempre il processo di semantizzazione supera entrambi gli stadi e, in tal caso, i dati che raggiungono solo il primo stadio possono essere considerati informazioni solo nel senso «indipendente dall'osservatore» di Searle (tipico di un testo scritto correttamente, ma in una lingua ignota all'osservatore stesso) e non ancora informazioni pienamente significative «per qualcuno o per qualcosa» (come dice Hjørland) nel senso «relativo all'osservatore» di Searle. Le due frecce tracciate all'interno del gradino I stanno appunto a rappresentare l'una lo stadio della contestualizzazione, l'altra quello dell'interpretazione, e i loro versi sono opposti per suggerire che la contestualizzazione dei dati origina dalla rete degli altri dati a cui essi sono connessi, mentre il loro riconoscimento e la loro interpretazione originano dalle conoscenze del sistema cognitivo. Si potrebbe anche dire, più sinteticamente, che i fenomeni informativi consistono in processi causali di tipo sempre semiotico (nei quali l'effetto 'sta per' la causa o per una delle cause) e spesso 'economico' (nei quali l'effetto è maggiore di quello che sarebbe giustificato da una causazione esclusivamente fisica) che producono effetti in un sistema cognitivo. Le informazioni semantiche sono dunque, in senso proprio, i processi informativi che scaturiscono dai dati e producono effetti significativi nei sistemi cognitivi, ma si possono considerare tali, per estensione, anche i dati stessi da cui tali processi hanno origine.
Il terzo e ultimo vero e proprio gradino della piramide (K, che sta per knowledges) corrisponde all'«informazione come conoscenza» di Buckland, definibile anche come informazione 'interna' o 'pragmatica', non nel senso di 'pratica' ma in quanto risultato della «semiosi pragmatica» e perché frutto di una azione (πρᾶγμα) causale congiunta dei dati e del contesto del sistema cognitivo che essi vanno a modificare79. Questo gradino viene rappresentato da un rettangolo per suggerire che non corrisponde a un ulteriore 'restringimento' o 'elaborazione' rispetto all'informazione pienamente semantica che ha già raggiunto lo stadio dell'interpretazione, perché tale tipo di informazione coincide proprio con l'accoglimento dei dati già precedentemente contestualizzati da un codice naturale o culturale 'esterno' (nel primo stadio della semantizzazione) nell'ulteriore contesto 'interno' rappresentato dalle conoscenze contenute nel sistema cognitivo.
Fra le conoscenze che fanno parte di un determinato sistema cognitivo (che non deve necessariamente essere né biologico, né dotato di coscienza) può capitare – per circostanze che vanno al di là dei limiti di questo articolo, ma che in ambiente biologico sono chiaramente riconducibili all'evoluzione naturale80 – che alcune sviluppino, temporaneamente81, un elevatissimo livello di connettività con gran parte di tutte le altre conoscenze del sistema stesso, che si riflette in una loro elevatissima accessibilità da parte dell'intero sistema cognitivo82. Quando ciò avviene, ciascuna di tali conoscenze (che viene temporaneamente denominata 'consapevolezza') manifesta la peculiarissima caratteristica della soggettività e il loro insieme viene denominato 'coscienza'. La coscienza non viene rappresentata, nella piramide DIKAS, da uno specifico gradino, ma da un cerchio (A, per awarenesses) all'interno del gradino della conoscenza, perché le consapevolezze sono semplicemente un sottoinsieme di conoscenze temporaneamente dotate di maggiore connessione e accessibilità.
Allo stesso modo le autoconsapevolezze (il cui insieme viene denominato 'autocoscienza') sono rappresentate da un ulteriore cerchio (S, per self-awarenesses) all'interno di quello delle consapevolezze, perché consistono in un loro sottoinsieme dotato dell'ulteriore caratteristica della quasi-autoreferenzialità, consistente nell'avere come oggetto altre singole consapevolezze o loro insiemi o l'intera coscienza.
La piramide DIKAS è più facilmente comprensibile e leggibile procedendo dal basso verso l'alto (e, infatti, questo è l'ordine con cui l'ho qui presentata), tuttavia ciò non implica un corrispondente 'progresso' né qualitativo né etico (spesso invece presente nelle tradizionali piramidi DIKW83), perché non è affatto detto che la mia fuggevole autoconsapevolezza consistente nel tentativo di ricordarmi se ieri mattina mi sentivo più o meno assonnato rispetto a stamani abbia un qualsiasi tipo di 'valore' maggiore rispetto a un eventuale testo inedito di Socrate o di Buddha di cui venisse scoperta la traduzione in una lingua a noi attualmente ignota (informazioni solo parzialmente significative) o alle prove che potrebbero risolvere definitivamente i misteri delle stragi di Ustica o della stazione di Bologna (che forse giacciono chissà dove e in chissà quale forma, come meri dati) o alla password che consentisse a una persona sull'orlo della morte per inedia di accedere a un pasto (un'informazione estremamente significativa per l'affamato); e non è neppure impossibile che informazioni e conoscenze imprecise, confuse o addirittura decisamente false scaturiscano (a causa, ad esempio, di ragionamenti erronei) da dati raccolti in modo completo, accurato e affidabile. Il percorso dal basso verso l'alto consente anche di notare un graduale aumento della contestualizzazione e dell'integrazione dei dati, senza porre insormontabili barriere ontologiche né fra i sistemi fisici e gli organismi biologici né fra gli umani e gli altri animali, ottenendo il triplice risultato di una spiegazione dei fenomeni informativi e della coscienza integrate fra loro ed entrambe pienamente naturalizzate84. Anche a livello cronologico è ovvio che miriadi di dati sono esistiti ben prima che l'evoluzione naturale e l'ingegnosità umana abbiano prodotto sistemi cognitivi in grado di interpretarli, ma ciò non implica che tutti i processi informativi si svolgano sempre 'dal basso verso l'alto', perché (come suggeriscono le due frecce dello schema grafico) anche i sistemi cognitivi stessi sono attive concause di tali processi e perché i fenomeni informativi che si verificano all'interno di un sistema cognitivo non sempre si basano su dati sensoriali provenienti dall'esterno del sistema (come, ad esempio, nel caso delle deduzioni logiche).
La piramide DIKAS può quindi essere letta sia dal basso verso l'alto che dall'alto verso il basso, e in entrambi i casi essa tenta di fornire un piccolo contributo anche all'annoso problema filosofico (che si riverbera anche nelle scienze dell'informazione) del rapporto fra oggettivo e soggettivo, grazie al ruolo chiave assegnato a un concetto intrinsecamente bifronte – soprattutto se interpretato come processo e non come entità – come quello dell'informazione, che fa da intermediario fra l'oggettività dei dati e la soggettività della coscienza.
La centralità dell'informazione e la gradualità e onnipervasività dei fenomeni informativi sono cruciali anche per due diverse forme di 'monismo neutrale informazionale' (cfr. §10), entrambe non necessariamente legate all'accettazione della piramide DIKAS ma che potrebbero sia fornirle che ricavarne maggiore plausibilità. La prima forma (it and id from bit), dotata di numerosi e autorevoli sostenitori, prevede che mente e materia siano due manifestazioni parallele di una inaccessibile 'cosa in sé' di cui possiamo solo ipotizzare la natura informazionale, mentre la seconda forma (it and bit/id from x), molto meno esplorata, lascia completamente nel mistero tale 'cosa in sé' e individua le sue manifestazioni da una parte nella materia e nell'energia e, dall'altra, nell'informazione e nella mente. Entrambe tali forme di monismo metafisico permetterebbero, fra l'altro, di mantenere il naturalismo della piramide DIKAS senza schiacciarlo su una forma di riduzionismo radicamente materialista85, opzione peraltro comunque compatibile con la piramide stessa, così come quella rappresentata dall'emergentismo, che prevede una realtà articolata in livelli (ad esempio: fisico, biologico, mentale, socioculturale) di complessità crescente, ciascuno dei quali si basa su quello precedente ma non è interamente riducibile ad esso perché presenta anche caratteristiche autenticamente innovative86.
Può darsi che, alla fine della seconda e ultima parte di questo articolo, il concetto (o superconcetto) di 'informazione' non risulti ancora sufficientemente chiarificato e univoco per le scienze dell'informazione e per tutte le altre discipline che sono state menzionate, ma spero lo sia abbastanza almeno per la filosofia dell'informazione, anche se mi rendo perfettamente conto che le «teorie dell'informazione vengono frequentemente create e generalmente ignorate nel settore»87.