Un'identità plurale per la biblioteca pubblica

di Giovanni Di Domenico

Propongo qui qualche riflessione sollecitata dal dibattito sulla biblioteca pubblica che si è sviluppato sulle pagine di AIB studi negli ultimi due anni.
Avevo aperto io stesso la discussione con un articolo che provava a disegnare, sia pure solo come bozzetto, uno scenario contemporaneo per le biblioteche pubbliche, intese come luoghi con diverse finalità e potenzialità: in sintesi, luoghi del trasferimento sociale di capacità, della conoscenza condivisa, della produzione di intelligenza, delle opportunità, delle relazioni e del benessere1. La rivista ha poi ospitato altri interventi, che hanno notevolmente allargato e approfondito, in varie direzioni, il discorso. Contemporaneamente, sono state pubblicate un paio di veloci monografie che a questo stesso discorso2 sono palesemente attinenti3.

Identità: una parola-chiave (da maneggiare con cautela)

Prima di passare a un possibile commento a margine, mi permetto, però, di indugiare un attimo sulla parola-chiave "identità". Nel titolo di questo intervento. affermo/auspico un'identità 'plurale' per la biblioteca pubblica. Concepirla, ritengo sia una necessità dettata non soltanto dalle molteplici destinazioni dei servizi bibliotecari nel mondo contemporaneo4. È che alcuni termini diventano lemmi di più linguaggi disciplinari, e ciò può creare qualche slittamento interpretativo. Identità è una di queste parole; comunità è un'altra. Esse sono frequentemente usate in biblioteconomia per dire l'insieme degli elementi che caratterizzano una realtà bibliotecaria (parliamo, perciò, di identità istituzionale, sociale, culturale ecc. della biblioteca) dentro un determinato contesto, definito da legami umani, sociali, ambientali, professionali e così via. Identità e comunità sono però da tempo anche categorie sociologiche, e un sociologo fra i più influenti, come Zygmunt Bauman, richiamando peraltro Siegfried Kracauer, ci ha insegnato a maneggiare con cautela il nesso che le tiene insieme, spiegandoci che esistono due tipi di comunità: quelle, indissolubili, di vita e di destino, e quelle tenute insieme dalle idee e dai principii. Per Bauman, la questione dell'identità si pone solo a contatto con queste ultime: «È proprio perché ci sono così tante idee e principi attorno a cui crescono 'comunità di credenti', che si devono fare paragoni, fare scelte, farle ripetutamente, rivedere le scelte fatte in altre occasioni, cercare di conciliare esigenze contraddittorie e spesso incompatibili...»5. Ciò, per dire che le identità e le appartenenze non sono immutabili, non sono pietre dure, ma sono negoziabili, revocabili, determinate dalle opzioni che si compiono. Vale per gli individui e i gruppi sociali e vale, direi, anche per le organizzazioni. L'identità della biblioteca locale, al cospetto di una comunità che tende a frammentarsi e a rimodulare continuamente il proprio sistema di credenze, opinioni e indirizzi, non può che essere di volta in volta 'agita', permeata da queste forme e dalle risposte che la biblioteca medesima riesce ad attivare. Sarà un'identità provvisoria, negoziabile, modificabile. Sarà un'identità da progettare piuttosto che un'identità da ereditare. Sarà, dunque, un'identità plurale, frutto di tante relazioni in divenire non meno che di tratti storicamente acquisiti6. Del resto, come spiega sempre Bauman, sono proprio le identità rigide e chiuse quelle maggiormente esposte alla minaccia della crisi e dell'estinzione7.
Nel suo intervento, Sara Chiessi rileva opportunamente la crisi d'identità della biblioteca, riconducendola di fatto all'avvento delle tecnologie digitali e di rete e alla diffusione dei dispositivi mobili di accesso alle informazioni, fenomeni che hanno sottratto alle biblioteche una delle loro funzioni tradizionali, quella appunto informativa8. Troviamo qui un elemento identitario - su cui molto si è insistito nel passato trentennio e su cui molti ancora insistono - che nella complessità contemporanea, nella «danza delle relazioni» colta da Gregory Bateson e richiamata da Vivarelli9, tende a sfumare, a disconnettersi o a disallinearsi rispetto alla percezione sociale della biblioteca pubblica.

La biblioteca pubblica come laboratorio sociale

Una componente identitaria, nel senso della costruzione socialmente condivisa di identità della biblioteca pubblica, affiora oggi nel concetto e nella pratica della partecipazione di cittadini, gruppi sociali e associazioni alla progettazione di spazi e servizi e alla realizzazione di iniziative, attività ed eventi con le biblioteche e nelle biblioteche. Antonella Agnoli scopre nel protagonismo dei cittadini l'elemento che accomuna le esperienze bibliotecarie più avanzate in Europa e altrove: solo in virtù di percorsi partecipativi e di coinvolgimento decisionale - è la sua tesi - si può davvero consolidare il radicamento delle biblioteche pubbliche nelle comunità di appartenenza e caratterizzarle davvero come luoghi di socialità, uguaglianza, valorizzazione dei saperi diffusi, anche di quelli pratici e più legati alla quotidianità di vita delle persone10.
E di partecipazione e attivismo civico si occupa con profitto anche il citato libro di Maria Stella Rasetti, che tratta in modo particolare dell'esercizio di volontariato individuale e collettivo e del ruolo che svolgono o possono svolgere le associazioni del tipo "Amici della biblioteca".
Sulla potenziale evoluzione della biblioteca pubblica come laboratorio creativo e spazio del fare a disposizione della comunità e dei singoli cittadini si trovano interessanti accenni anche nel dibattito su AIB studi11. Dal canto suo, facendo il punto sull'attuale fisionomia sociale delle biblioteche pubbliche e mediateche francesi, Raphaëlle Bats ci offre una panoramica e una riflessione sui progetti partecipativi avviati negli ultimi anni, in cui l'aspetto laboratoriale e le esperienze di autogestione civica sono in primo piano. L'autrice si dice convinta che nella partecipazione vi sia una risposta progressiva, democratica, di cambiamento sociale, in qualche modo rivoluzionaria: la risposta migliore che le biblioteche pubbliche possono dare alle espressioni e alle devastazioni sociali, politiche ed economiche della crisi12. A margine, mi chiedo se una possibile estensione di queste pratiche partecipative e di makerspace bibliotecario non possa proficuamente incrociare la fenomenologia dei collaborative commons o comunque della produzione collaborativa, sociale e sostenibile di servizi basata sui beni comuni e sull'accesso libero alle risorse della rete, ciò di cui, con vari approcci, scrivono autori come Benkler, Bauwens, Rifkin e altri13. Potrebbe essere profittevole verificare se abbiamo riscontri al riguardo e se esistono le premesse culturali, di clima e operative, perché la biblioteca pubblica riesca persuasivamente a proporsi come uno degli spazi sociali e digitali nei quali generare idee ed esperienze originali di produzione e condivisione di beni e servizi utili per le comunità, per le città e per l'economia cosiddetta di prossimità. Waldemaro Morgese si augura, intanto, che le biblioteche possano «diventare incubatori di idee da sperimentare successivamente sul territorio: veri e propri spin-off su questioni di interesse per la vita (e il benessere) delle popolazioni, biblioteche che ben possono ausiliare lo start-up di prototipi di utilità sociale»14. È un obiettivo complesso, piuttosto ambizioso, ma che può contribuire anche a riposizionare le biblioteche pubbliche dentro la più ampia considerazione che da più parti sta acquisendo la cultura come motore di innovazione e crescita sociale ed economica da un lato e di inclusione sociale dall'altro. Sullo sfondo abbiamo, del resto, sia gli indirizzi strategici di Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e solidale15 sia, a noi più vicina, la Dichiarazione di Lione dell'agosto 201416, che non solo mette in risalto l'accesso all'informazione e alla conoscenza come pilastro di uno sviluppo durevole, ma sostiene la partecipazione delle comunità alla creazione qualitativa di informazioni e dati per un'allocazione più completa e trasparente delle risorse. Il documento riconosce a biblioteche, archivi e musei soprattutto una funzione di mediazione e garanzia nell'accesso al patrimonio informativo e culturale, ma non trascura le potenzialità che questi istituti esprimono verso la formazione all'uso consapevole delle risorse e verso la creazione di spazi di discussione e partecipazione delle persone alla vita sociale e ai processi decisionali afferenti alla sfera pubblica.

La biblioteca può senz'altro proporsi come un laboratorio aperto e può arricchire in questo modo la sua identità. Nel laboratorio/biblioteca possiamo assistere a più fasi di un unico ciclo partecipativo, che può includere, in toto o in parte, diversi processi:

Il laboratorio/biblioteca, peraltro, non può che vivere dentro il laboratorio/città e dentro le problematiche che lo riguardano. La qualità dei servizi e degli spazi pubblici, l'innovazione digitale, la sostenibilità ambientale e sociale sono al centro di molte ipotesi di riqualificazione urbana.
Ora, la capacità di attrazione, aggregativa e la valenza sociale e inclusiva degli spazi bibliotecari nelle aree urbane e metropolitane è stata messa spesso e giustamente in rilievo. Sarebbe importante, però, che le biblioteche riuscissero a proporsi più spesso come partner nei processi e nei progetti che si prefiggono di introdurre innovazione e conoscenza a vantaggio delle città e delle comunità locali. Sono convinto che esse possono concorrere, con le proprie specificità, alla creazione di network e ambienti digitali per la crescita intelligente dei contesti urbani e dei territori17.
L'argomento è però trattato criticamente nell'articolo di Giovanni Solimine, il quale si riferisce a quella che potremmo denominare la vulgata delle smart cities, di cui condanna gli innegabili eccessi ideologici e retorici: «[...] sembra velleitario - osserva - parlare di smart cities in assenza di un forte impegno sul terreno della information literacy e, più in generale, senza investimenti finalizzati a una riqualificazione della scuola e dell'università e alla creazione di un serio sistema di formazione per gli adulti, che in Italia non c'è mai stato»18. Non si può che concordare. Aggiungo che nel loro pur ridotto raggio d'azione, almeno le biblioteche dovrebbero tener conto del legame indissolubile che esiste tra alfabetizzazione informativa, apprendimento permanente e partecipazione dei cittadini a progetti e decisioni che toccano la loro vita e le loro pratiche sociali. L'alternativa è smarrire quella complessità di relazioni sulla quale richiama la nostra attenzione Maurizio Vivarelli19, relazioni che sono direttamente o indirettamente mediate da riferimenti a testi, a saperi, a culture, e che solo così sono costitutive di identità, di negoziazioni d'identità e di cambiamenti nelle identità.
Le biblioteche pubbliche, in alleanza con altri attori, possono svolgere una triplice funzione: contribuire alla crescita di competenze diffuse, reti di relazioni, comunità inclusive; proporre attività e servizi innovativi, orientati al bene comune e al miglioramento della qualità di vita dei cittadini; favorire l'integrazione di dati e risorse di cui necessita l'obiettivo delle città digitali.

Competenza informativa, apprendimento permanente e pensiero critico: le biblioteche pubbliche per la cittadinanza digitale

Nello scritto di Solimine, il discorso sulle biblioteche è parte di una riflessione sulle politiche educative, sull'istruzione e sulla formazione permanente per i giovani e per gli adulti nel nostro Paese, una riflessione poi più diffusamente trattata nel suo ultimo, bellissimo volume20.
A fronte di un'enorme quantità di contenuti prodotti e facilmente accessibili, Solimine insiste, a giusta ragione, sull'importanza delle competenze e capacità critiche di lettura non solo nelle attività di studio o professionali, ma nella vita quotidiana delle persone. La funzione formativa e i servizi per l'information literacy rappresentano la necessaria evoluzione di quella mediazione culturale e informativa attorno alla quale le biblioteche pubbliche hanno costruito nel tempo la loro identità sociale: «La biblioteca è un laboratorio nel quale si impara a imparare, si lavora a contatto con i documenti, ci si confronta sui contenuti, si possono condividere esperienze di apprendimento e di crescita individuale con altre persone, accomunate dagli stessi interessi»21. Parise è sulla stessa lunghezza d'onda: «Forse bisognerebbe finalmente riconoscere, al di là delle etichette e delle definizioni, che la biblioteca pubblica sta ritornando a essere alla luce del sole (ovvero senza doversene vergognare e senza doversi giustificare) ciò che in fondo è sempre stata: un ambiente di apprendimento le cui forme sono destinate a mutare, le cui dinamiche devono forse essere ripensate radicalmente, ma che rimane palestra di formazione e di aggiornamento, di potenziamento delle competenze individuali e sociali»22.
Penso che qui ci sia una strada ancora lunga da percorrere e che il cammino debba essere fatto insieme con le scuole, soprattutto con quelle che vogliono puntare a una didattica anch'essa di tipo laboratoriale, orientata al problem solving, sostenuta dalle tecnologie e dalle risorse digitali, dal loro uso consapevole. La cooperazione tra biblioteche pubbliche, biblioteche scolastiche e istituti scolastici potrebbe in questo campo generare risultati straordinari sotto il profilo della trasmissione/acquisizione delle competenze chiave per la società della conoscenza e per la cittadinanza digitale, in ultima analisi sotto il profilo della redistribuzione delle opportunità educative e sociali23. Competenza informativa e apprendimento permanente sono concetti diversi ma in relazione strettissima. Le competenze chiave per l'apprendimento permanente dei giovani e degli adulti, definite nella Raccomandazione europea del 2006 (comunicazione nella madrelingua; comunicazione in lingue straniere; competenza matematica e competenze scientifiche e tecnologiche di base; competenza digitale; imparare a imparare; competenze sociali e civiche; senso di iniziativa e di imprenditorialità; consapevolezza ed espressioni culturali)24, non credo possano tutte svilupparsi adeguatamente senza il contributo formativo e progettuale delle biblioteche di base.

Un terzo elemento da considerare, insieme con la competenza informativa e l'apprendimento permanente, è il «pensiero critico», vale a dire lo sviluppo della capacità intellettuale di valutare l'affidabilità delle fonti e delle informazioni; giudicare la validità e la qualità di testi e discorsi; liberarsi dei pregiudizi e degli stereotipi; argomentare correttamente25. L'esercizio di pensiero critico nelle relazioni umane, per esempio nella frequentazione e nell'uso dei social media, è una delle principali leve di partecipazione e crescita individuale e collettiva. Inutile scoprire qui le enormi potenzialità partecipative e democratiche delle reti. Il rovescio della medaglia sta nelle contraddizioni del Web, soprattutto sul suo versante "social", dove albergano sia forme e momenti di nuova intelligenza sociale sia relazioni qualitativamente "povere" e scambi comunicativi a basso contenuto di conoscenza ed empatia: c'è chi ha parlato del digitale come di un ecosistema (non un medium, come la tv o la stampa, ma un vero e proprio ecosistema), nel quale occorre, pazientemente, immettere elementi di qualità, di consapevolezza, pensiero complesso26, un compito arduo, che chiama in causa luoghi e istituti della cultura, della ricerca e della formazione: università, scuola, biblioteche. Lo scambio ininterrotto di flussi informativi di per sé non genera conoscenza, o genera conoscenze frammentarie, approssimative, piatte, talvolta fallaci27. Ha ragione Solimine: servono sistemi educativi che aiutino i giovani, i cittadini a frequentare la rete in modo più competente, più critico. Dovremmo tutti impegnarci per questo, biblioteche pubbliche comprese28.

L'esercizio del pensiero critico è peraltro componente irrinunciabile della cittadinanza digitale, soprattutto se accogliamo il suggerimento di Stefano Rodotà, per il quale «il diritto di accesso a Internet» va «inteso non solo come diritto a essere tecnicamente connessi alla rete, bensì come espressione di un diverso modo d'essere della persona nel mondo, dunque come effetto di una nuova distribuzione del potere sociale»29. Per Rodotà, la cittadinanza digitale non è altro rispetto all'idea contemporanea di cittadinanza, giacché essa integra dinamicamente il patrimonio di diritti su cui la cittadinanza stessa si fonda. E la cittadinanza è «precondizione della stessa democrazia»30. Di qui «il principio di neutralità della rete e la considerazione della conoscenza in rete come bene comune»31, che una responsabilità pubblica deve assolutamente garantire.
Cittadinanza e conoscenza come bene comune sono questioni che interpellano anche le biblioteche pubbliche, la loro identità e responsabilità. Se la conoscenza ha natura di bene comune immateriale e relazionale, compito della biblioteca è garantire da un lato l'accesso aperto e senza limiti alle risorse della conoscenza stessa e dall'altro la sua creazione e condivisione nei luoghi fisici e digitali di comunità. Per questa via, l'identità sociale della biblioteca può inglobare proficuamente la dimensione di questi nuovi diritti di cittadinanza.

Biblioteche e consenso

Recentemente, l'AIB ha pubblicato una raccolta degli scritti di Luigi Crocetti, fra i grandi bibliotecari della seconda metà del Novecento32. Uno di questi interventi, presentato al Congresso AIB del 1996 e uscito in prima edizione nel 1998, s'intitola I cittadini e le biblioteche33. Si tratta di un contributo di notevolissimo spessore, con una visione lungimirante delle biblioteche come luogo del raffronto tra documenti e informazioni, un raffronto guidato dal metodo: «Il metodo della biblioteca è il metodo del controllo e delle garanzie. Il metodo che sa di dover inquadrare ciascun documento nella sua cornice»34. Le biblioteche permettono di stabilire il valore delle informazioni e di contestualizzarle, perché operano all'interno di quegli «addensamenti storici» che sono le città. Per questa stessa ragione, hanno un'esigenza estrema di riconoscersi nel potere della collettività, di mobilitare i cittadini.
A distanza di quasi un ventennio, le dinamiche funzionali e sociali della biblioteca di Crocetti conservano tutto il loro fascino e il loro significato. In particolare, soprattutto al tempo della crisi e dei suoi effetti, rimane attuale quella strategia di mobilitazione civica così fermamente invocata e mai, in seguito, veramente perseguita. E dice bene Parise: «L'assenza di consenso da parte dei cittadini è certamente una variabile dipendente dell'utilità prodotta dalla biblioteca nei loro confronti: laddove essa è stata scarsa non è stato possibile creare un senso di appartenenza, di fidelizzazione, né consolidare nell'immaginario della comunità l'idea che la biblioteca - con il suo complesso di valori - rappresenti un elemento essenziale dell'identità collettiva»35.
Oggi, sebbene con i limiti e i vincoli che conosciamo, le biblioteche pubbliche possono impegnarsi in quelle che si definiscono «azioni resilienti», di risposta dal basso alla crisi, radicandosi meglio nei territori e nelle comunità di appartenenza, cedendo alle comunità stesse poteri di programmazione, decisione e iniziativa36, cercando con tenacia la collaborazione con altri soggetti, allargando il ventaglio delle relazioni di cittadinanza. So bene che non basta e che, come sottolinea Parise, «non può esistere un'agenda di settore senza il coinvolgimento dei vari livelli istituzionali che concorrono (o dovrebbero concorrere) a determinare le politiche bibliotecarie a livello nazionale e locale [...]»37, ma sono altrettanto certo che difficilmente assisteremo alla nascita o al rilancio di un'autentica politica d'indirizzo e di governo (nazionale o locale che sia) per le biblioteche pubbliche italiane se esse stesse non sapranno esprimere un loro peculiare, e in parte inedito, protagonismo sociale e su questo raccogliere maggiore visibilità, crearsi una migliore «reputazione»38, beneficiare di un più ampio consenso fra i cittadini.

Il welfare è morto. O forse no

Nel dibattito su AIB studi non sono mancati richiami al rapporto delle biblioteche pubbliche con il welfare39. Morgese è stato forse il più esplicito nel rivendicare alle biblioteche e agli «eco-bibliotecari», anche per l'avvenire, un preciso ruolo nelle politiche sociali del territorio40.
Le riserve maggiori sono arrivate, invece, da Sara Chiessi, secondo la quale, riferirsi al welfare, nel caso della biblioteca pubblica, può sì schiudere orizzonti interessanti, ma è in ultima istanza discutibile e controproducente. Perché discutibile£ Perché «il welfare non si fa dal basso, ma è composto di interventi statali di sostegno al lavoro, alla disoccupazione, agli anziani e ai deboli in generale. È fatto di un sistema sanitario nazionale [...] e di un sistema pensionistico equo e sostenibile»41, nulla di paragonabile alle piccole attività che si svolgono in biblioteca. Perché controproducente£ Perché il welfare è declinante, e allora non conviene cercare riparo sotto il suo tetto. Anzi, perdurando la stagione dei tagli, sarebbe preferibile che le biblioteche cercassero altrove il sostegno economico di cui necessitano.
La prima obiezione sembra dettata da un'interpretazione del welfare come puro sistema di protezione sociale, che è del tutto legittima. Esistono però altri approcci, legati a una diversa concezione della cittadinanza e più orientati a leggere nel welfare un insieme di diritti sociali "universali", fra i quali il diritto all'istruzione, pure menzionato dall'autrice in un altro punto del suo scritto42. Le politiche dell'educazione sono a tutti gli effetti politiche sociali, che si traducono appunto in servizi di cittadinanza. Allora, il problema sta forse nuovamente nel riconoscimento e nella valorizzazione del ruolo educativo e formativo delle biblioteche pubbliche. Come evidenzia spesso Giovanni Solimine, si tratta di una questione di rilevanza nazionale, a partire dalla mancanza, nel nostro Paese, di una politica per le biblioteche e di una rete infrastrutturale diffusa e solida dei servizi bibliotecari di base. E i dati Cepell, analizzati con acume da Anna Galluzzi, sono lì a confermarlo43.
Le politiche sociali su base territoriale definiscono, poi, un ambito locale - non più solo statale - del welfare, nel quale intervengono amministratori regionali e comunali con scelte di indirizzo e di governance chiamate a soddisfare i bisogni di una determinata collettività e la domanda di servizi che essa esprime. A tale livello si giocano almeno tre partite: il contrasto dei tagli lineari, il posizionamento delle reti bibliotecarie nelle gerarchie di priorità dei decisori e delle comunità locali44, le alleanze con altri istituti e attori sociali. Sono partite difficili, ma comunque aperte, e c'è da chiedersi quale potere di attrazione e di persuasione potrebbero conservare o acquisire le biblioteche nelle reti sociali, una volta allentato il loro legame con questi processi. Sono domande importanti, soprattutto se vogliamo affrontare il problema delle risorse scarse ampliando il raggio d'azione, progettazione e partnership delle biblioteche, coinvolgendo altri produttori di cultura, convogliando verso le attività delle biblioteche quote significative di quel capitale sociale e culturale diffuso nelle città di cui ha scritto Stefano Boeri45. Non a caso quest'ultimo si è affidato sagacemente alla nota immagine del capitale sociale/ponte di Putnam, anch'essa riferibile a un'idea aperta e ampia di identità46.
Aggiungo un'osservazione. La crisi del welfare (che è evidente, ma che ha una matrice politico-ideologica non meno che economica) non comporta il destino inevitabile della sua scomparsa, piuttosto quello del suo ripensamento e rilancio. Il Novecento è alle nostre spalle da un po', ma le questioni concernenti i diritti, la cittadinanza, la riduzione delle disuguaglianze, i meccanismi di redistribuzione della ricchezza ecc. sono tutte drammaticamente qui, sul tavolo. E non sono questioni estranee all'identità, alla missione e alla funzione delle biblioteche pubbliche in questi anni drammatici47.

Per una biblioteconomia sociale

Alcuni interventi nel dibattito promosso da AIB studi toccano anche temi rilevanti sotto l'aspetto teoretico e metodologico, fino a investire lo statuto disciplinare medesimo della biblioteconomia.
Nel citato Specie di spazi, Maurizio Vivarelli fa il punto sulle letture della biblioteca pubblica che la comunità scientifica e professionale italiana ha sin qui prodotto, a cominciare dalla fondamentale opera di Paolo Traniello su Biblioteche e società48. Vivarelli ci fornisce un excursus molto accurato, che si estende a voci di primo piano della biblioteconomia internazionale. Il suo parere è che esiste una forte disomogeneità di posizioni, alla quale fa da pendant una frattura fra queste culture disciplinari (fra i loro modelli normativi) e le pratiche professionali e soprattutto d'uso delle biblioteche. Di qui l'esigenza di un approccio interpretativo di tipo olistico, che sospenda husserlianamente il giudizio sui modelli, e riparta dal basso, dall'osservazione oggettiva dei fenomeni e dei nessi fra i fenomeni che si manifestano all'interno dello spazio fisico e concettuale della biblioteca.
È una prospettiva che trovo assai stimolante, per come riconfigura il profilo metodologico e d'impiego di criteri quantitativi e qualitativi d'indagine, prevedendo anche il ricorso a tecniche di observed evidence, poco frequentate dalle nostre parti. Ed è una ricerca che può fare luce su fattori relazionali e interpretativi, anche molto importanti, sfuggiti all'analisi biblioteconomica tradizionale.
Non credo, peraltro, che siano molto lontane, queste linee di ragionamento e di progetto, da quelle che hanno spinto alcuni (Faggiolani, Galluzzi, Solimine, me stesso) a "riscoprire" e riproporre un profilo sociale della biblioteconomia49, che viene da lontano, almeno dagli studi di Jesse Shera (senza dimenticare l'altrettanto remoto apporto sociologico di Peter Karstedt allo studio delle biblioteche).
Per AIB studi, sul tema si sono soffermati Morgese e Solimine50. Il primo, per tratteggiarne aspetti paradigmatici, aree di interesse, implicazioni professionali; il secondo, per riprenderne alcune premesse già individuate insieme a Chiara Faggiolani: per esempio, la sensibilità per gli aspetti relazionali di frequentazione e uso delle biblioteche; l'attenzione per il loro impatto sul benessere e sulla qualità di vita delle persone; la necessità di affiancare le metodologie qualitative a quelle quantitative nelle scelte e nei processi della valutazione e, ancora, il necessario adeguamento del bagaglio professionale del bibliotecario a queste sollecitazioni.
Il lavoro che stiamo facendo, sul piano sia dell'elaborazione sia delle verifiche sul campo, penso possa dare buoni frutti. Certo, per fissare su basi solide una nuova biblioteconomia sociale, occorrerà aggiornarne la mappa dei confini, degli oggetti e dei metodi disciplinari51; occorrerà inquadrarne al meglio le relazioni interdisciplinari (in particolare con le scienze sociali); occorrerà, soprattutto, disporre di una seria massa critica di riscontri contestualizzati circa l'impatto sociale delle biblioteche pubbliche. C'è tanto da fare, ma il percorso è tracciato.

Questo articolo nasce da una relazione presentata dall'autore al convegno "L'identità della biblioteca pubblica contemporanea", svoltosi a Torino il 12 dicembre 2014. Una versione in lingua inglese del testo sarà pubblicata nel volume che raccoglierà gli atti della giornata torinese.

NOTE

Ultima consultazione siti web: 27 aprile 2015.

[1] Vedi Giovanni Di Domenico, Conoscenza, cittadinanza e sviluppo: appunti sulla biblioteca pubblica come servizio sociale, «AIB studi», 53 (2013), n. 1, p. 13-25, DOI: 10.2426/aibstudi-8875.

[2] Vedi: Sara Chiessi, Il welfare è morto viva il welfare! Biblioteche pubbliche tra welfare e valore sociale, «AIB studi», 53 (2013), n. 3, p. 273-284, DOI: 10.2426/aibstudi-9146; Anna Galluzzi, E ora facciamo i conti con la realtà, «AIB studi», 53 (2013), n. 3, p. 285-296, DOI: 10.2426/aibstudi-9037; Waldemaro Morgese, Biblioteconomia sociale? Certo, per contribuire al nuovo welfare, «AIB studi», 53 (2013), n. 3, p. 297-305, DOI: 10.2426/aibstudi-9145; Giovanni Solimine, Nuovi appunti sulla interpretazione della biblioteca pubblica, «AIB studi», 53 (2013), n. 3, p. 261-271, DOI: 10.2426/aibstudi-9132; Maurizio Vivarelli, Specie di spazi: alcune riflessioni su osservazione e interpretazione della biblioteca pubblica contemporanea, «AIB studi», 54 (2014), n. 2-3, p. 181-199, DOI: 10.2426/aibstudi-10134; Raphaëlle Bats, Biblioteche, crisi e partecipazione, «AIB studi», 55 (2015), n. 1, p. 59-70, DOI: 10.2426/aibstudi-11003; Stefano Parise, Appunti per un'agenda delle biblioteche italiane, «AIB studi», 55 (2015), n. 2, p. 227-234. DOI: 10.2426/aibstudi-11171.

[3] Mi riferisco a: Antonella Agnoli, La biblioteca che vorrei: spazi, creatività, partecipazione. Milano: Bibliografica, 2014; Maria Stella Rasetti, La Biblioteca è anche tua!: volontariato culturale e cittadinanza attiva. Milano: Bibliografica, 2014.

[4] Sulla multipurpose library vedi Anna Galluzzi, Biblioteche per la città: nuove prospettive di un servizio pubblico. Roma: Carocci, 2009.

[5] Zygmunt Bauman, Intervista sull'identità, a cura di Benedetto Varchi. Roma-Bari: Laterza, 2003, p. 5-6.

[6] Sul rapporto tra relazione e identità vedi: Pierpaolo Donati, I beni relazionali: che cosa sono e quali effetti producono. Torino: Bollati Boringhieri, 2011; Simone D'Alessandro, L'identità della differenza: ri-pensare la "Relazione" nei sistemi sociali. Milano: Franco Angeli, 2014.

[7] Vedi Z. Bauman, Intervista sull'identità cit., p. 28.

[8] Vedi S. Chiessi, Il welfare è morto viva il welfare! cit., p. 276.

[9] Vedi M. Vivarelli, Specie di spazi cit., p. 196.

[10] Vedi A. Agnoli, La biblioteca che vorrei cit., passim.

[11] Vedi, in particolare: S. Chiessi, Il welfare è morto viva il welfare! cit.; W. Morgese, Biblioteconomia sociale? cit.; S. Parise, Appunti per un'agenda delle biblioteche italiane cit.

[12] Vedi R. Bats, Biblioteche, crisi e partecipazione cit.

[13] Vedi: Yochai Benkler, La ricchezza della rete: la produzione sociale trasforma il mercato e aumenta la libertà, introduzione di Franco Carlini. Milano: EGEA, 2007; Vasilis Kostakis; Michel Bauwens, Network society and future scenarios for a collaborative economy. Basingstoke; New York: Palgrave Macmillan, 2014; Jeremy Rifkin, La società a costo marginale zero: l'Internet delle cose, l'ascesa del commons collaborativo e l'eclissi del capitalismo. Milano: Mondadori, 2014.

[14] W. Morgese, Biblioteconomia sociale? cit., p. 302.

[15] Vedi all'indirizzo http://ec.europa.eu/europe2020/index_it.htm.

[16] The Lyon declaration on access to information and development. 2014, http://www.lyondeclaration.org/.

[17] Riassumo qui alcune considerazioni esposte nel mio La biblioteconomia in laboratorio. In 1. Seminario nazionale di biblioteconomia: didattica e ricerca nell'università italiana e confronti internazionali (Roma, 30-31 maggio 2013), a cura di Alberto Petrucciani, Giovanni Solimine, materiali e contributi a cura di Gianfranco Crupi. Milano: Ledizioni, 2013, p. 92.

[18] G. Solimine, Nuovi appunti sulla interpretazione della biblioteca pubblica cit., p. 268.

[19] Vedi M. Vivarelli, Specie di spazi cit, passim.

[20] Vedi Giovanni Solimine, Senza sapere: il costo dell'ignoranza in Italia. Roma-Bari: Laterza, 2014.

[21] G. Solimine, Nuovi appunti sulla interpretazione della biblioteca pubblica cit., p. 269.

[22] S. Parise, Appunti per un'agenda delle biblioteche italiane cit., p. 231.

[23] Sulle politiche pubbliche in materia di formazione e istruzione come fattore di opportunità vedi Thomas Piketty, Disuguaglianze, 2. ed. Milano: Università Bocconi, 2014, p. 102-111.

[24] Vedi all'indirizzo http://europa.eu/legislation_summaries/education_training_youth/lifelong_learning/c11090_it.htm.

[25] Vedi in particolare, nella folta letteratura sull'argomento, Robert H. Ennis, The nature of critical thinking: an outline of critical thinking dispositions and abilities, maggio 2011, http://faculty.education.illinois.edu/rhennis/documents/TheNatureofCriticalThinking_51711_000.pdf . Di grande interesse, anche se principalmente dedicata all'insegnamento della logica nelle scuole, è l'intervista di Armando Massarenti a Marta Nussbaum, pubblicata con il titolo Maestra del nostro tempo nel domenicale de «Il Sole 24 ore», 25 gennaio 2015, p. 25.

[26] Vedi Marino Sinibaldi, Un millimetro in là: intervista sulla cultura, a cura di Giorgio Zanchini. Roma-Bari: Laterza, 2014, in particolare p. 96.

[27] A titolo di esempio, si pensi all'inaudita fortuna del 'complottismo' nella rete e delle sue spesso fantasiose narrazioni.

[28] Recentemente, Lorenzo Baldacchini ha opposto con molta efficacia un'idea di biblioteca come luogo di emancipazione e consapevolezza alle visioni e alle pratiche più corrive, consolatorie e talvolta opportunistiche della biblioteca sociale: vedi il suo Siamo scimmie: possiamo leggere: riflessioni sul ruolo della biblioteca, «AIB studi», 55 (2015), n. 1, p. 7-14, in particolare p. 14, DOI: 10.2426/aibstudi-10965. Baldacchini respinge con forza ogni appiattimento 'assistenzialistico' del ruolo delle biblioteche, volto a surrogare le funzioni di altre tipologie di servizio.

[29] Stefano Rodotà, Il mondo nella rete: quali i diritti quali i vincoli. Roma-Bari: Laterza; Roma: la Repubblica, 2014, p. 13. Su questi valori tornano anche le Nuove tesi di Doc Searls e David Weinberger, uscite nel gennaio 2015, a sedici anni dal Cluetrain manifesto. Vedi all'indirizzo https://medium.com/@nuovetesi/nuove-tesi-4a1def360351.

[30] Ivi, p. 17.

[31] Ibidem.

[32] Luigi Crocetti, Le biblioteche di Luigi Crocetti: saggi, recensioni, paperoles (1963-2007), a cura di Laura Desideri, Alberto Petrucciani, presentazione di Stefano Parise. Roma: Associazione italiana biblioteche, 2014.

[33] Ivi, p. 73-79.

[34] Ivi, p. 76.

[35] S. Parise, Appunti per un'agenda delle biblioteche italiane cit., p. 229.

[36] Sull'approccio community-led alla programmazione e co-produzione dei servizi bibliotecari vedi l'ottimo John Pateman; Ken Williment, Developing community-led public libraries: evidence from the UK and Canada. Farnham (UK); Burlington (VT): Ashgate, 2013.

[37] S. Parise, Appunti per un'agenda delle biblioteche italiane cit., p. 227.

[38] Ivi, p. 229.

[39] Il tema è anche tra gli oggetti d'indagine di cui si è occupata Anna Galluzzi per il suo Libraries and public perception: a comparative analysis of the European press. Oxford: Chandos, 2014 (vedi, in particolare, p. 24-25 e p. 104-112). La definizione del welfare proposta nella monografia è condivisibile: «The welfare state is a socio-economic and political system based upon the principle of substantial equality and aimed at limiting social disparities. It is intended to provide services and vouch for those rights considered essential for an adequate standard of living, from healthcare to public education, from access to cultural resources to support for the unemployed [...] The aim of the welfare state is to safeguard personal freedom and self-determination, by relieving citizens from material dependence» (p. 107). L'autrice annovera sostanzialmente le biblioteche tra i beni di merito, che nei periodi di arretramento delle politiche sociali sono più di altri esposti a instabilità, crisi di consenso e di investimento politico.

[40] W. Morgese, Biblioteconomia sociale? cit., passim.

[41] S. Chiessi, Il welfare è morto viva il welfare! cit., p. 282-283.

[42] Vedi, per esempio, Chiara Saraceno, Il welfare. Bologna: il Mulino, 2013.

[43] Vedi A. Galluzzi, E ora facciamo i conti con la realtà cit.

[44] In E ora facciamo i conti con la realtà cit., p. 293-294, Anna Galluzzi scrive, in modo lucido quanto disincantato, di «circolo vizioso che prima fa apparire irrilevanti le biblioteche pubbliche agli occhi della politica, quindi determina la riduzione degli investimenti e delle politiche di sviluppo, infine porta le biblioteche (anche quelle più attive) verso la mera sopravvivenza, che a sua volta rende ancora più difficoltosa la loro possibilità di accreditarsi agli occhi dei cittadini».

[45] Vedi Stefano Boeri, La cultura è un capitale sociale da valorizzare, «L'Huffington Post», 7 ottobre 2014, http://www.huffingtonpost.it/stefano-boeri/cultura-capitale-sociale-valorizzare_b_5945160.html.

[46] Vedi Robert D. Putnam, Capitale sociale e individualismo: crisi e rinascita della cultura civica in America, edizione italiana a cura di Roberto Cartocci. Bologna: il Mulino, 2004, p. 20-21: «Tra tutte le dimensioni su cui variano le forme di capitale sociale, la più importante è forse la distinzione tra capitale sociale che apre (bridging) e capitale sociale che serra (bonding)[...] Il capitale sociale che serra assicura reciprocità specifica e mobilita la solidarietà [...] Al contrario, reti includenti risultano migliori per allacciarsi ai vantaggi esterni e per la diffusione delle informazioni [...] Oltre a ciò, il capitale sociale che apre può generare identità e reciprocità più ampie, mentre quello che serra porta a chiuderci in noi stessi».

[47] Non manca, questa consapevolezza, neppure negli Stati Uniti. Vedi Paul T. Jaeger [et al.], Public libraries, public policies, and political processes: serving and transforming communities in times of economic and political constraint. Lanham [etc.]: Rowman & Littlefield, 2014, p. 75: «In striking contrast to the narratives of neoliberal economics and neoconservative governance, public libraries are increasingly central to the lives of patrons without access to or the ability to use the Internet-enabled technologies necessary to participate in contemporary education, employment, and government».

[48] Vedi Paolo Traniello, Biblioteche e società. Bologna: il Mulino, 2005.

[49] Vedi: Giovanni Di Domenico, Biblioteche, utenti e non utenti: contenuti e gestione di un progetto valutativo, in L'impatto delle biblioteche pubbliche: obiettivi, modelli e risultati di un progetto valutativo, a cura di Giovanni Di Domenico. Roma: Associazione italiana biblioteche, 2012, p. 19-60; Chiara Faggiolani, La ricerca qualitativa per le biblioteche: verso la biblioteconomia sociale. Milano: Bibliografica, 2012; Chiara Faggiolani; Giovanni Solimine, Biblioteche moltiplicatrici di welfare, «Biblioteche oggi», 31 (2013), n. 3, p. 15-19.

[50] W. Morgese, Biblioteconomi sociale? cit.; G. Solimine, Nuovi appunti sulla interpretazione della biblioteca pubblica cit.

[51] Cfr., a tal proposito, il recente articolo di Chiara Faggiolani; Anna Galluzzi, L'identità percepita delle biblioteche: la biblioteconomia sociale e i suoi presupposti, «Bibliotime », 18 (2015), n. 1, http://www.aib.it/aib/sezioni/emr/bibtime/num-xviii-1/galluzzi.htm.