di Maurizio Vivarelli
Obiettivo di questo contributo è proporre alcune considerazioni sulla configurazione e sulle relazioni tra i campi disciplinari delle digital humanities (DH) e delle culture documentarie (bibliografia, biblioteconomia, documentazione, LIS - Library & information science). Un tema ampio ed articolato come questo può essere preso in esame a partire da molti punti di vista, che si cercherà di individuare discutendo fonti, stili interpretativi, retoriche e metodologie tra di loro sensibilmente divergenti. Per questo è necessario, in primo luogo, un atteggiamento interpretativo critico, consapevole dei contesti di produzione dei contenuti della fonte, in grado di individuarne le finalità implicite ed esplicite; è necessaria insomma una quota rilevante di ragionevole decostruzione, tanto più utile in due ambiti disciplinari dal profilo incerto, caratterizzati dal riferimento ad 'oggetti' polisemici e di grande complessità. Basti pensare, infatti, a quanti significati possano essere attribuiti a termini e concetti come 'libro', 'informazione', 'biblioteca', 'digitale', 'scienze umane', e così via. L'incertezza dei confini delle discipline è fortemente dipendente da una trama terminologica e semantica che non è semplice dipanare, e che in ogni caso in questa sede verrà lasciata, per così dire, sullo sfondo. Questo breve preambolo è molto importante, dal momento che la maggior parte della letteratura utilizzata nasce all'interno di pratiche disciplinari definite, e riflette esigenze ed istanze di natura spiccatamente intradisciplinare.
L'articolo è strutturato in cinque paragrafi. Nel primo viene discusso lo stato dell'arte del dibattito sul concetto di 'disciplina'; nel secondo, ciò cui si fa riferimento con l'espressione digital humanities; nel terzo, la stessa analisi viene applicata alle culture documentarie. Il quarto paragrafo si occupa dei confini e delle intersezioni, verificate o auspicate, tra DH e culture documentarie. Il quinto, infine, propone alcune considerazioni finali, sulle 'cose strane' che si verificano nei luoghi, linguistici e concettuali, cui le fonti discusse si correlano.
Il termine 'disciplina', sul piano etimologico, è collegato al latino discipŭlus. Ecco le due definizioni del Vocabolario Treccani:
disciplina s. f. [dal lat. disciplina, der. di discipŭlus «discepolo»]. – 1.a. letter. Educazione, ammaestramento, insegnamento [...] b. Materia d'insegnamento e di studio [...]. c. Per estens., d. sportiva [...] 2.a. Complesso di norme che regolano la convivenza dei componenti di una comunità, di un istituto e sim., imponendo l'ordine, l'obbedienza, ecc.; e l'osservanza stessa di queste norme [...] b. Complesso di norme emanate per regolare determinati rapporti giuridici o d'altra natura: [...] 3.a. Specie di flagello formato da un mazzo di funicelle intrecciate, usato per percuotersi le carni [...]. b. estens. Penitenza, castigo, o provvedimento punitivo [...].1
discépolo s. m. (f. -a) [dal lat. discipŭlus, voce di formazione non chiara, der. di discĕre «imparare»]. – 1.a. Chi riceve l'insegnamento di un maestro, soprattutto in quanto sia o si senta a lui legato da stretti legami spirituali e intellettuali [...]. b. Chi segue le dottrine o le opinioni di una persona [...] che egli considera e venera come maestro, e per estens. chi conforma la propria vita, i proprî principî e giudizî sull'esempio di un maestro [...]. 2.a.Discepoli del Signore, o di Cristo, i dodici apostoli, e in senso più ampio tutti coloro che lo seguivano nella sua predicazione2.
Il sostantivo 'disciplina' è utilizzato in contesti linguistici in cui è presente, secondo la voce dell'ISKO encyclopedia of knowledge organization, una «chain of authority»3; in questo senso le discipline, incluse quelle accademiche, sono un ammaestramento finalizzato all'acquisizione dei contenuti insegnati, per 'professare' nel mercato del lavoro e nella società le competenze ottenute. 'Disciplina' ha dunque due significati principali, riconducibili il primo all'addestramento ad obbedire a regole di comportamento, utilizzando se necessario strumenti di correzione; il secondo denota un ramo della conoscenza, con riferimento particolare all'organizzazione accademica dei campi di studio.
Le discipline si sono sviluppate nei diversi contesti storici, dall'Accademia di Aristotele fino ai settori scientifico-disciplinari delle odierne università4. Di volta in volta esse hanno assunto le caratteristiche delle arti liberali medievali (trivio e quadrivio) e quelle della prima età moderna, descritte da Peter Burke nella sua Storia sociale della conoscenza5, nel cui terzo capitolo (Le professioni della conoscenza) si discute il ruolo dei «principali scopritori, produttori e diffusori del sapere», mostrando la differenziazione dei professori universitari come gruppo sociale autonomo, entro la coeva clerisy, i cui membri si denominavano «uomini di sapere (docti, eruditi, savants, Geleherten)», o uomini di lettere («literati, hommes de lettres»)6. Alcuni di essi si radicarono nelle università, dove, come ha mostrato Pierre Bordieau, avveniva la trasmissione del «capitale culturale», finalizzata alla riproduzione dei contenuti e degli ambienti in tal modo costituiti7. In relazione al diffondersi della rivoluzione scientifica, si verificarono prima il metaforico dissodamento dei 'campi del sapere' da parte delle comunità di ricercatori, poi la loro perimetrazione ed ordinamento attraverso i diversi strumenti di classificazione, rappresentati da accademie, biblioteche, enciclopedie, ed infine l'istituzionalizzazione8. Il sapere ordinato acquisì in tal modo molteplici 'forme', fisiche e concettuali, utilizzate per 'informare' le persone e la società. Michel Foucault ha dedicato pagine fondamentali alla discussione 'archeologica' di questi concetti, in particolare con Sorvegliare e punire, descrivendo i contesti del termine 'disciplina', mostrandone gli effetti biopolitici sui corpi resi docili dai «mezzi del buon ammaestramento», e disciplinati «con metodi che permettono il controllo minuzioso delle operazioni del corpo, che assicurano l'assoggettamento costante delle sue forze»9. In tal modo, con l'ausilio di una panottica sorveglianza, e sviluppando sofisticate «arti della punizione», la disciplina esplicita il suo potere, correggendo tutti coloro che divergono dalle regole, ricompensando o punendo con il gioco degli avanzamenti e delle retrocessioni10.
L'identità delle discipline accademiche, secondo Armin Krishnan, può essere individuata in base a:
Un notevole rilievo va attribuito agli strumenti di comunicazione12, alla legittimazione ottenuta dai circuiti della ricerca scientifica13, all'atteggiamento degli ambienti professionali14; infine va riconosciuta l'importanza della narrazione della tradizione identitaria, e del valore attribuito ai cosiddetti «key events» (congressi, conferenze, progetti, pubblicazioni) nella costruzione dell'identità15. Questa storia è costantemente riscritta, in base al modificarsi dei paradigmi, caratterizzata da crisi e da periodi di «scienza normale», finemente indagati da Thomas Kuhn16. In seguito all'evolversi della ricerca scientifica ed agli atteggiamenti delle diverse comunità interpretative, i confini delle discipline mutano dal punto di vista epistemologico, metodologico, sociale, istituzionale, organizzativo, mentre i detentori del potere disciplinare continuano a coltivare la propria missione, che è quella di reclutare e formare nuovi discepoli. Sulla base di queste dinamiche le nuove discipline nascono, si stabilizzano, competono, si trasformano17, mantenendo tuttavia incerte e porose le delimitazioni dei confini cui si accennava, e frequentemente le logiche della ricerca avvertono l'esigenza di attraversarli, contravvenendo alle istruzioni della «polizia di frontiera» dispiegata a tutela del loro perimetro, come ha descritto in pagine molto note Aby Warburg18. Da ciò deriva l'emersione di campi nuovi ed ibridi, designati con i termini crossdisciplinarità, multidisciplinarità, interdisciplinarità, transdisciplinarità19.
Pur nella sommarietà di queste considerazioni, si intuisce quanto sia complicato riconoscere identità e differenze delle molte 'tribù disciplinari', che talvolta si accordano per la delimitazione di campi di studio più ristretti, coltivati anche in ambienti extra-istituzionali, che assumono la fisionomia di domini di conoscenza, di aree di ricerca, o di ancora meno ampi profili di specializzazione.
Interrogati il 1 settembre 2020, alle 17:35, gli algoritmi di Google rispondono in 0,38 secondi con circa 182 milioni di item alla query 'digital humanites'; moltissimi risultati, ma largamente inferiori ai quasi 3 miliardi ottenuti dalla ricerca con 'library and information science'. Questi i primi 5 risultati ottenuti variando l'area geografica delle impostazioni di ricerca (Figura 1):
Figura 1 – I primi 5 risultati ottenuti da una query in Google con l'espressione digital humanities
I risultati ottenuti con la black box degli algoritmi di Google danno conto della fluidità dei contenuti offerti agli utenti della rete, con la presenza costante nel ranking delle voci di Wikipedia, una parte delle quali è riportata di seguito:
L'informatica umanistica, o Digital Humanities o Humanities Computing, è un campo di studi che nasce dall'integrazione di procedure computazionali e sistemi multimediali nelle discipline umanistiche, relativamente in particolare alla rappresentazione dei dati, alla formalizzazione delle fasi di ricerca e alle tecniche di diffusione dei risultati. Il rapporto tra le due componenti si esprime non solo a livello applicativo, ovvero nell'impiego di strumenti informatici per rendere più veloci ed efficienti le ricerche delle discipline [sic] umanistiche, ma anche a livello metodologico, ovvero nell'integrazione di approcci al fine di generare nuovi paradigmi di elaborazione dei dati. I campi d'applicazione dell'informatica umanistica coinvolgono gli studi di linguistica, filologia, letteratura, storia, archeologia, storia delle arti figurative, musicologia, interazione uomo-macchina, biblioteconomia e il settore della didattica20.
Digital humanities (DH) is an area of scholarly activity at the intersection of computing or digital technologies and the disciplines of the humanities. It includes the systematic use of digital resources in the humanities, as well as the analysis of their application. DH can be defined as new ways of doing scholarship that involve collaborative, transdisciplinary, and computationally engaged research, teaching, and publishing. It brings digital tools and methods to the study of the humanities with the recognition that the printed word is no longer the main medium for knowledge production and distribution21.
Oltre alle moltissime definizioni distribuite nei siti web e nelle pubblicazioni, possono essere ricordati i contenuti programmatici di due 'manifesti'. Il primo, The Digital humanities manifesto 2.0, scritto collaborativamente da alcuni partecipanti al “Mellon Seminar” della UCLA del 2009 (Todd Presner, Jeffrey Schnapp, Peter Lunenfeld e Joanna Drucker), mette a fuoco, con atteggiamento militante, le caratteristiche delle DH del presente e del futuro:
The Digital Humanities seeks to play an inaugural role with respect to a world in which, no longer the sole producers, stewards, and disseminators of knowledge or culture, universities are called upon to shape natively digital models of scholarly discourse for the newly emergent public spheres of the present era (the www, the blogosphere, digital libraries, etc.), to model excellence and innovation in these domains, and to facilitate the formation of networks of knowledge production, exchange, and dissemination that are, at once, global and local22.
La risposta continentale è il Manifesto delle digital humanities prodotto in occasione del THATCamp svoltosi a Parigi nel 2010, pubblicato nel 2011 a cura di Marin Dacos e che, nella sua traduzione italiana, afferma che:
Una rappresentazione sintetica delle DH è offerta con l'infografica Quantifying digital humanities, realizzata dall'UCL Centre for Digital Humanities dell'Università di Londra, che rende disponibili una notevole quantità di informazioni: distribuzione globale dei centri di ricerca, delle pubblicazioni, degli accessi a risorse specialistiche, delle dimensioni delle risorse investite, dei livelli di partecipazioni a seminari e convegni24.
Cerchiamo ora di capire come il problema dell'identità del campo disciplinare sia affrontata nella letteratura scientifica, con un breve preambolo. Le fonti utilizzate consentono di acquisire elementi di consapevolezza su come viene interpretata la locuzione DH in un dato contesto, mentre di fatto, come già si è accennato, viene lasciato sullo sfondo il significato attribuito al sostantivo humanities ed all'aggettivo digital. Ciò verosimilmente dipende dalla monumentale complessità del 'campo' delle scienze dello spirito, nella terminologia di Wilhelm Dilthey, poi divenute scienze umane, o umanistiche, o humanities, definite queste ultime nella Encyclopaedia Britannica, come «those branches of knowledge that concern themselves with human beings and their culture or with analytic and critical methods of inquiry derived from an appreciation of human values and of the unique ability of the human spirit to express itself»25.
Le fonti, prevalentemente, si situano all'interno del dibattito, con le sue numerose varianti, secondo una prospettiva spiccatamente intradisciplinare. Entro questa traiettoria il 'digitale', e le attività computazionali nella loro dimensione più specifica, sono descritte come capacità di processare i dati, per finalità di natura strumentale. Credo invece (e discuterò alcuni di questi temi nella parte finale) che sia necessaria una prospettiva decisamente più ampia per comprendere il concetto essenziale di 'potere computazionale'. Mi sembra molto convincente la definizione che ne propone Massimo Durante, secondo una linea che richiama i modelli di analisi di Luciano Floridi:
Con potere computazionale intendiamo, più ampiamente, fare riferimento a un dato qualitativo, per cui l'esercizio di tale potere è suscettibile di modificare, progressivamente, il modo con cui interagiamo e diamo forma al nostro mondo. Ciò accade secondo una triplice direttiva, che caratterizza in profondità la nostra epoca e investe: 1) l'agire umano; 2) l'adattamento del mondo; 3) la rappresentazione della realtà26.
La sfera dell'agire è occupata sia da esseri umani che da agenti artificiali; la realtà quotidiana è profondamente modificata dagli effetti delle procedure computazionali, e ciò implica l'indispensabilità di adattare ad essa il mondo, dando origine un nuovo modello della realtà. Debbono dunque essere modificati i modelli umani (etici, giuridici, politici e sociali) con cui ci accostiamo alla realtà 'altra', prodotta dall'azione dei modelli computazionali.
La nostra analisi poggia su tre tipologie di fonti principali: 1) la struttura di opere di riferimento con caratteristiche sistematiche e manualistiche; 2) il dibattito scientifico sull'argomento; 3) i risultati della applicazione di tecniche di ricerca a base bibliometrica e citazionale.
Gli estensori collaborativi della voce Informatica umanistica di Wikipedia sostanzialmente considerano coincidenti i campi semantici di informatica umanistica, humanities computing e digital humanities, mentre la voce Informatica umanistica scritta da Giovanni Adamo e Tullio Gregory per l'Enciclopedia Treccani nel 2000 – e dunque prima che l'espressione DH iniziasse a diffondersi –, sostiene che essa:
si riferisce ai metodi e alle tecniche di applicazione dell'informatica nelle diverse discipline umanistiche, in considerazione di un retroterra culturale comune e di alcuni punti di contatto sostanziali, individuabili soprattutto nelle caratteristiche unitarie che presentano sia i dati che devono essere identificati e descritti per divenire oggetto di elaborazione automatica, sia i metodi di indagine e le conseguenti ipotesi di lavoro (modelli) che devono essere resi espliciti e formalizzabili27.
La definizione è aggiornata nel Lessico del XXI secolo in maniera non troppo dissimile da quella rilevata in Wikipedia. Quello dell'informatica umanistica è dunque un «Campo di ricerche interdisciplinari il cui oggetto è lo studio degli artefatti e dei processi culturali, tradizionale dominio delle scienze umane, nelle loro varie forme espressive (testi, immagini, suoni, video, ecc.), con metodologie, linguaggi e strumenti informatici. In ambito anglosassone, dove questo campo ha avuto la sua maggiore diffusione, è stato a lungo denominato humanities computing; negli ultimi anni tuttavia sembra prevalere l'espressione più ampia e generale di digital humanities»28. Humanities computing, infine, è l'espressione correntemente utilizzata per riferirsi alla fase fondativa della tradizione disciplinare, collegata agli studi di padre Roberto Busa dei primi anni Cinquanta del secolo scorso, sui quali si tornerà più avanti; per essa si rimanda al classico volume Humanities computing di Willard McCarthy, professore al King's College di Londra29.
Queste consistenti oscillazioni si riflettono nella struttura di alcune opere di riferimento. Per l'Italia prenderemo in esame Informatica per le scienze umanistiche di Teresa Numerico e Arturo Vespignani, Metodologie informatiche e disciplineumanistiche di Francesca Tomasi e L'umanista digitale di Teresa Numerico, Domenico Fiormonte e Francesca Tomasi, analizzandone comparativamente gli indici, con l'omissione di alcuni elementi di natura redazionale (Figura 2)30.
Informatica per le scienze umanistiche |
Metodologie informatiche e discipline umanistiche |
L'umanista digitale |
Introduzione Le origini multidisciplinari di informatica e informatica umanistica La didattica dell'informatica umanistica Il contenuto del libro |
Prefazione di Dino Buzzetti |
Introduzione |
[8 capitoli] Calcolatore: teoria e storia della macchina simulatrice Digitale e analogico La codifica digitale La macchina universale di Turing e la nascita dei computer La macchina di von Neumann: CPU, memoria, periferiche L'algebra booleana Hardware e software Il sistema operativo, l'interfaccia e il concetto di macchina virtuale I programmi applicativi Algoritmi e linguaggi di programmazione |
[9 capitoli] Introduzione - Informatica umanistica e humanities computer science Questioni di lessico e terminologia Obiettivi teorici e metodologici |
[4 capitoli]
Storia dell'interazione tra tecnologia e sapere umanistico Nascita del calcolatore: da Turing al PC Quello che il computer non può fare: dall'analogico al digitale Tecnologia amichevole e integrazione con la macchina: il sogno visionario di Bush Un matematico con un Ph.D. in filosofia: Norbert Wiener Etica, politica e informatica secondo Wiener Licklider e la simbiosi uomo-macchina Information processing e biblioteche Il progetto della rete intergalattica Il computer come strumento di comunicazione Nascita di Arpanet Il www: un sistema autore nel cuore d'Europa Il presente del web: web 2.0? Open data e open access: il web desiderabile nel futuro |
Internet, il world wide web e l'umanista: problemi, opportunità, rischi Un umanista in Internet: problemi aperti Quando, come e perché nasce Internet Comunicazione tra computer e persone Pubblicazione in rete, copyright e hacker Il web «Newsgroups», chat, comunità virtuali Rete centralizzata e distribuita: dal fenomeno Napster a Freenet Internet domani: il problema del «digital divide» |
Parte prima. L'informazione e l'informatica Formalizzazione ed elaborazione dell'informazione: la macchina e i suoi linguaggi Elementi di teoria dell'informazione Procedure di risoluzione di problemi: il concetto di algoritmo Linguaggi per algoritmi Elementi di un linguaggio di programmazione Principi di logica binaria Il calcolatore: dall'architettura logica alle componenti fisiche Dall'hardware al software |
Scrivere e produrre Scrittura, processi culturali, tecnologia Modi di produzione del testo digitale Rete e retorica Tempo della scrittura Spazi dell'usabilità Etnografie digitali Conclusioni-transizioni. L'edizione uomo |
Memorizzazione e ricerca nel mondo digitale Tecniche di memorizzazione e identità dell'uomo Digitalizzazione e invecchiamento Directory, motori di ricerca e accesso alla conoscenza in rete Google, visibilità e tipologia del web |
La rete e l'informazione multimediale Internet: rete di calcolatori e protocolli Il www: decentralizzazione e universalità L'architettura del www Il Web e la multimedialità Web e metadati: identificare le risorse elettroniche Interrogare il Web: motori di ricerca e directory Tipologie di siti Web. Alcuni modelli |
Rappresentare e conservare L'invecchiamento digitale Preservare tra tradizione e traduzione I linguaggi di marcatura I metadati e la descrizione del contenuto La rivoluzione degli archivi aperti Le biblioteche digitali Repository semantici e networking |
La base di dati e la sua struttura: uno strumento per l'umanista I modelli di database e la terminologia di base Esempi di classificazione documentaria La tecnologia della «relazione» e l'interpretazione storico-documentaria I tipi di dati e le chiavi Problemi e modelli di rappresentazione concettuale dei dati Osservazioni conclusive |
Sistemi informativi e basi di dati Le collezioni di dati: fasi di gestione Il concetto di database Sistema informativo e dbms Modello logico, schema e istanza del db Progettazione di un db Modello relazionale dei dati Interrogare la base di dati Basi di dati per l'umanista e linee di evoluzione La modellazione concettuale |
Cercare e organizzare Il paradosso della ricerca secondo Platone La topologia del web e la democrazia Il ruolo dei search engine nella ricerca di informazioni sul web Il funzionamento dei motori di ricerca Che cosa non va nei motori di ricerca? Strumenti di ricerca alternativi ai motori generalisti Il nuovo ruolo sociale dei motori di ricerca tra etica e politica |
La rappresentazione dell'informazione testuale e i linguaggi di codifica Le forme della rappresentazione digitale Il capostitipite dei linguaggi di codifica: Sgml I linguaggi di codifica sul web: HTML I limiti dell'HTML Le nuove frontiere: XML La Dtd per i testi umanistici: «Text Encoding Initiative» (TEI) La scelta del linguaggio di codifica per il web |
Parte seconda. La rappresentazione dell'informazione La testualità digitale: i linguaggi di markup Classificazione delle tipologie di markup Il markup: dal layout alla struttura Markup procedurale e markup dichiarativo Il markup come processo: riproduzione o interpretazione? Problemi teorici dei linguaggi di markup: la nozione di testo Le grammatiche standard per la rappresentazione dei dati umanistici |
Appendice: Il panorama internazionale delle “digital humanities” |
Biblioteche elettroniche e archivi digitali Il trattamento del materiale archivistico e librario Gli archivi: formazione, gestione e conservazione La descrizione archivistica Sistemi di descrizione e distribuzione delle risorse bibliotecarie Catalogazione delle risorse Internet e linguaggi di markup nel trattamento dei metadati Le biblioteche digitali |
Ipertesti e ipermedia: progettazione e sviluppo Per una definizione del concetto di ipertesto La nascita del concetto di ipertesto prima della sua realizzazione Progettare l'ipertesto: dalla mappa concettuale all'implementazioni [sic] Dall'ipertesto al sito Web: accessibilità e usabilità Gli ipertesti letterari Un caso esemplare: edizioni critiche ipertestuali |
Riferimenti bibliografici |
Scrivere per i nuovi media: dal testo cartaceo alla scrittura digitale Dall'oralità alla scrittura digitale: tecnologia e comunicazione scritta L'ipertesto tra teoria e pratica Lo spazio logico dell'ipertesto Lo spazio grafico-visivo dell'ipertesto Dall'ipertesto all'ipermedia: l'integrazione dei linguaggi comunicativi Tecniche di progettazione della scrittura ipermediale Scrivere in forma ipertestuale: regole suggerimenti |
Principi di digitalizzazione e gestione delle immagini Scansione e cattura delle immagini Il concetto di pixel: tipi di immagine e risoluzione Tecniche di scansione delle immagini I formati dei file: conservazione e distribuzione Il trattamento dell'immagine digitale: sistemi di digital image processing Alcune linee guida per i progetti di digitalizzazione di immagini Cattura delle immagini e riconoscimento ottico |
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La comunicazione multimediale: l'elaborazione audio-video tra tecnologia e applicazioni Trasmettere informazione multimediale: un'introduzione Le applicazioni della multimedialità La trasmissione dei segnali La rappresentazione dell'audio digitale La rappresentazione del video digitale Scenari di elaborazione digitale |
Parte terza. Il trattamento dell'informazione I sistemi di analisi del testo e la linguistica computazionale Forme di text retrieval Dal text retrieval alla text analysis Tipologie di ricerca sul testo e interrogazione significativa L'analisi dello stile |
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Conclusioni Le sfide della tecnologia per l'umanista Il ruolo degli umanisti nelle società fondate sulla tecnologia |
Semantic web: modelli, architettura e linguaggi Rappresentazione della conoscenza e interoperabilità I metadati del semantic web: dai vocabolari controllati all'ontologia Architettura e linguaggi del Semantic Web Una conclusione in forma di premessa |
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Un nuovo paradigma: la biblioteca digitale Il concetto di biblioteca digitale I servizi di una bd Requisiti funzionali di un sistema di bd Il problema dell'interoperabilità Biblioteche digitali: qualche esempio |
Figura 2 – Gli indici di tre opere di riferimento italiano per le DH
Lo stesso metodo viene applicato a due noti volumi (A companion to digital humanities e A new companion to digital humanities), pubblicati rispettivamente nel 2004 e nel 201531 (Figura 3).
A Companion to Digital Humanities |
A New Companion to Digital Humanities |
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Preface |
[37 capitoli] Art History Classics and the Computer: An End of the History Computing and the Historical Imagination Lexicography Linguistics Meets Exact Sciences Literary Studies Music Multimedia Performing Arts “Revolution? What Revolution?” Successes and Limits of Computing Technologies in Philosophy and Religion How the Computer Works Classification and its Structures Databases Marking Texts of Many Dimensions Text Encoding Electronic Texts: Audiences and Purposes Modeling: A Study in Words and Meanings Stylistic Analysis and Authorship Studies Preparation and Analysis of Linguistic Corpora Electronic Scholarly Editing Textual Analysis Thematic Research Collections Print Scholarship and Digital Resources Digital Media and the Analysis of Film Cognitive Stylistics and the Literary Imagination Multivariant Narratives Speculative Computing: Aesthetic Provocations in Humanities Computing Robotic Poetics Designing Sustainable Projects and Publications Conversion of Primary Sources Text Tools “So the Colors Cover the Wires”: Interface, Aesthetics, and Usability Intermediation and its Malcontents: Validating Professionalism in the Age of Raw Dissemination The Past, Present, and Future of Digital Libraries Preservation |
[5 sezioni; 37 capitoli] Part I Infrastructures Between Bits and Atoms: Physical Computing and Desktop Fabrication in the Humanities Embodiment, Entanglement, and Immersion in Digital Cultural Heritage The Internet of Things Part II Creation Becoming Interdisciplinary Exploratory Programming in Digital Humanities Pedagogy and Research Making Virtual Worlds Electronic Literature as Digital Humanities Social Scholarly Editing Digital Methods in the Humanities: Understanding and Describing their Use across the Disciplines Tailoring Access to Content Ancient Evenings: Retrocomputing in the Digital Humanities Part III Analysis Mapping the Geospatial Turn Music Information Retrieval Data Modeling Graphical Approaches to the Digital Humanities Zen and the Art of Linked Data: New Strategies for a Semantic Web of Humanist Knowledge Text Analysis and Visualization: Making Meaning Count Text Mining the Humanities Textual Scholarship and Text Encoding Digital Materiality Screwmeneutics and Hermenumericals: the Computationality of Hermeneutics When Texts of Study are Audio Files: Digital Tools for Sound Studies in Digital Humanities Marking Texts of Many Dimensions; Classification and its Structures Part IV Dissemination Interface as Mediating Actor for Collection Access, Text Analysis, and Experimentation Saving the Bits: Digital Humanities Forever? Crowdsourcing in the Digital Humanities Peer Review Hard Constraints: Designing Software in the Digital Humanities Part V Past, Present, Future of Digital Humanities Beyond the Digital Humanities Center: the Administrative Landscapes of the Digital Humanities Sorting Out the Digital Humanities Only Connect: The Globalization of the Digital Humanities Gendering Digital Literary History: What Counts for Digital Humanities The Promise of the Digital Humanities and the Contested Nature of Digital Scholarship Building Theories or Theories of Building? A Tension at the Heart of Digital Humanities Index |
Figura 3 – Gli indici dei 2 companions sulle DH
Le variazioni della struttura dei tre libri italiani risultano piuttosto evidenti. Il primo è più orientato verso la computer science, con una trattazione, all'inizio, delle «origini multidisciplinari di informatica e informatica umanistica», declinata su versanti informatici (calcolatori, internet e il web, memorizzazione, basi di dati) e informatico-umanistici (codifica testuale e scrittura), con aperture alle discipline documentarie (biblioteche e archivi digitali) e verso l'area dei media (comunicazione multimediale). Il secondo inizia discutendo le relazioni tra informatica umanistica e humanities computer science, mette al centro il concetto di informazione, sia nel senso di elaborazione automatica e digitalizzazione che in quello di rappresentazione e modellizzazione, per approdare al trattamento dei contenuti nel web semantico, concludendo con una apertura al «nuovo paradigma» della biblioteca digitale. Il terzo volume, il più recente, con la sua tematizzazione in quattro ampie sezioni, propone una prima parte di storia culturale e tecnologica del web e del digitale, sempre con riferimento specifico alla cultura umanistica, per passare poi alla produzione, rappresentazione e ricerca dei contenuti realizzati.
Anche le differenze tra i due companions sono marcate. Il primo volume mostra un radicamento esplicito nella configurazione delle discipline umanistiche (storia dell'arte, linguistica, teoria della letteratura - incluse le robotic poetics -, musica, arti performative), con un'accentuazione degli elementi visivi, cui è raccordata l'area della cultura storica (computing and the historical imagination). A questi campi si applicano i modelli, le tecniche e procedure di modellizzazione, rappresentazione e analisi, principalmente di entità testuali grafiche, aperte anche all'ambito dei media digitali e cinematografici. Il secondo opta invece per un raggruppamento delle sezioni in cinque macrotemi (Infrastructures; Creation; Analysis; Dissemination; Past, present, future of digital humanities), dichiarando l'adesione alla prospettiva 'estesa' delle DH, esplicitata nella caratterizzazione terminologica e stilistica delle infrastructures, individuate in ambienti eterogenei estesi anche all'internet delle cose. A questa pluralità di oggetti vengono orientati principi e metodi di analisi, con un forte rilievo dato alle problematiche epistemologiche («zen and the art of linked data», aspetti computazionali dell'ermeneutica). Tutto ciò approda alle applicazioni, in cui si intrecciano tradizioni, modelli e metodi assai distanti, dal text-mining ai sound studies, dalla marcatura dei testi al recupero dell'informazione musicale, secondo una prospettiva manifestamente 'globalizzata'. Il confronto tra le due pubblicazioni mostra dunque un'espressione editoriale della linea di discontinuità cui in precedenza si è fatto riferimento, e la più recente opta decisamente per la prospettiva 'estesa', confermata da un recente volume edito da Routledge32 e discussa anche in un recente contributo di Federico Meschini, in cui l'altro polo, rispetto all'ambito dei media studies, è denotato con l'espressione digital scholarship33.
Una linea ancor più orientata secondo le metafore partecipative del web sociale è fornita con Digital_humanities, curato da un gruppo di editor tra cui Johanna Drucker e Jeffrey Schnapp34. Il libro, scritto con una forte volontà collaborativa, è articolato in quattro sezioni (Humanities to digital humanities; Emerging methods and genres; The social life of the digital humanities; Provocations) e parte dalla convinzione, espressa nella prefazione, che:
Digital Humanities represents a major expansion of the purview of the humanities, precisely because it brings the values, representational and interpretive practices, meaning-making strategies, complexities, and ambiguities of being human into every realm of experience and knowledge of the world. It is a global, trans-historical, and transmedia approach to knowledge and meaning-making […]. It understands digital and physical making as inextricably and productively intertwined. This model is collaborative and committed to public knowledge. Crafted for a heterogeneous audience with crisscrossing and even contradictory interests and needs, it is meant as a porous multiple construct: a guidebook for the perplexed, a report on the state of the field, a vision statement regarding the future, an encouragement to engage, and a tool for critically positioning new forms of scholarship with respect to contemporary society35.
La varietà delle opinioni si accentua ancora andando maggiormente in profondità nell'analisi. Prima di iniziare questo esame è necessario acquisire una chiara consapevolezza delle sensibili differenze riscontrabili tra il profilo delle DH in ambito anglo-americano e la tradizione continentale, nella quale si colloca anche l'esperienza italiana; secondo Domenico Fiormonte «There has always been an attempt in Anglo-American DH/HC to maintain a methodological dominion (and dominance) in terms of applications, standards, and protocols», dipendente da stili cognitivi ed antropologici individuali e sociali; e in base a questa dominanza la tradizione italiana dell'informatica umanistica, che pure ha la sua specifica genealogia «practically does not exist»36.
Un ottimo strumento per proseguire questa linea di ricerca sul versante anglo-americano può essere individuato nel volume Debates in the digital humanities pubblicato nel 2012, in cui Matthew Gold, il curatore, spiega nella nota introduttiva che l'intenzione è quella di «assess the state of the field by articulating, shaping, and preserving some of the vigorous debates surrounding the rise of digital humanities»37.
Su alcuni degli interventi qui ripubblicati torneremo in seguito, ma prima è necessario dar conto almeno di una ipersemplificata periodizzazione del campo, riconducibile ai classici studi di padre Roberto Busa, che a partire dal 1949 applicò all'opera omnia di Tommaso d'Acquino (118 testi) gli strumenti di calcolo automatico resi disponibili da IBM, realizzando l'Index Thomisticus in 56 volumi, pubblicato tra 1974 e 198038. Un altro caposaldo di questa fase d'avvio è concordemente individuato nell'Almanacco letterario Bompiani del 1962 pubblicato, con grafica di Bruno Munari, con il titolo Le applicazioni dei calcolatori elettronici alle scienze morali e alla letteratura39. Le vicende degli anni successivi sono sinteticamente descritte da Maurizio Lana in un articolo pubblicato in questa stessa sede editoriale, che dà conto della genesi del Lessico intellettuale europeo (1970)40, e del ruolo di Antonio Zampolli, fondatore nel 1968 dell'Istituto di linguistica computazionale del CNR41. Ancora Lana rileva inoltre l'importanza, in questa sua ricostruzione, degli studi sulla Bibbia greca dei Settanta e del Thesaurus linguae grecae42. Su queste fondamenta poggia la genesi della cosiddetta 'scuola romana' di informatica umanistica, dagli anni Ottanta del secolo scorso, con Tito Orlandi, studioso di lingua e cultura copta, e successivamente con Giovanni Gigliozzi e Raul Mordenti, cui si deve la prima sistematica definizione del campo con il volume intitolato appunto Informatica umanistica, in cui vengono individuati nel concetto di 'formalizzazione', di 'modello' e nell'individuazione nella semiotica strumenti in grado di garantire «the computational representations of humanistic artifacts»43. Questa brevissima storia dell'informatica umanistica coincide in buona misura con l'ambito dell'humanities computing, poi divenuto parte della variante estesa delle DH44.
L'espressione digital humanities secondo Matthew Kirshenbaum trae origine da due fattori congiunti, nei primi anni del XXI secolo: la pubblicazione di A companion of digital humanities e la fondazione nel 2005 dell'associazione Alliance of Digital Humanities Organizations, in cui confluirono l'Association for Computing in the Humanities e l'Association for Literary and Linguistic Computing (la prima statunitense, la seconda europea)45.
La fase successiva di cui è necessario dar conto è quella dell''apertura' del campo delle DH, generalmente espressa con l'espressione big tent, usata soprattutto in ambito anglo-americano e canadese. Il termine, che già circolava dalla fine del primo decennio del secolo scorso, si stabilizzò in occasione del Convegno “Digital humanities 2011” realizzato presso la Stanford University46, che discusse il tema delle big tent digital humanities, rivolgendosi a «scholars in the digital arts and music […] spatial history […] public humanities»47. In base a questo orientamento, mantenendo l'attenzione su temi consolidati di text analysis, ci si apriva fortemente all'ambito dei media studies, riferiti, si scrive nella call for papers del convegno, a «digital arts, architecture, music, film, theatre, new media, and related areas», oltre che all'area latino-americana, secondo una prospettiva postcoloniale. Questa evoluzione è documentata nei volumi della serie Debates in the digital humanities, iniziati con la già richiamata edizione del 2012 e proseguiti dall'Università del Minnesota, a cura di Matthew K. Gold e Lauren F. Klein ed intrecciati con i temi dei successivi convegni annuali.
In questo contesto si situa, nel 2009, la fondazione di AIUCD, Associazione per l'informatica umanistica e la cultura digitale48, caratterizzata da un'appartenenza a base spiccatamente interdisciplinare, che già nella formulazione del nome manifesta la volontà di mantenersi nell'alveo della tradizione italiana (informatica umanistica) aperta ai campi plurali della cultura digitale, quelli cui si fa riferimento con l'espressione big tent. La call for papers del convegno 2021 dell'Associazione (DH per la società: e-guaglianza, partecipazione, diritti e valori nell'era digitale), aspira dunque a rappresentare un «momento di approfondimento e di riflessione sulle Digital Humanities (DH) come luogo privilegiato di incontro tra diversi bisogni della società contemporanea nella ricerca, nella politica, nell'economia e nel quotidiano, restituendo all'umanista il ruolo di interprete e traghettatore del cambiamento»49.
Infine, si segnala che l'organizzazione accademica italiana riferibile a questo settore fa riferimento a 6 corsi di laurea della classe LM-43 (Metodologie informatiche per le discipline umanistiche), attivi presso le università di Pisa, Venezia, Bologna, Venezia, Catania, Calabria. Il Laboratorio di cultura digitale dell'Università di Pisa individua, per difetto, 12 centri attivi nel settore50.
Lungo la traiettoria qui tracciata si è sviluppato un intenso dibattito, nazionale ed internazionale, per la valutazione del quale si rimanda in particolare, oltre ai contributi già discussi, a quelli di Willard McCarthy, Tito Orlandi, Melissa Terras, Edward Vanhoutte, Matthew G. Kirshenbaum, Richard Grusin, Patrick Svensson, Rafael C. Alvarado51, nei quali queste tensioni ed oscillazioni sono variamente interpretate.
Vorrei infine presentare gli esiti di alcuni tentativi di descrivere il campo delle DH attraverso studi a matrice bibliometrica e citazionale, che propongono mappe e grafi interessanti, per quanto decisamente parziali, inadeguati a rappresentare e descrivere fenomeni molto complessi come quelli qui presi in esame52. La grande eterogeneità dei dati, quasi sempre tra loro non confrontabili, si limita a consentire la realizzazione di alcune 'istantanee', in cui è resa visibile la forma di alcune delle relazioni esistenti tra le moltitudini dei frammenti analizzati. Questa parzialità è indipendente dalla robustezza dei metodi utilizzati, sia quelli a base bibliometrica sia quelli orientati ad individuare con specifici algoritmi le 'comunità' di dati tra loro relazionati53. Uno dei contributi più utili è quello di Salah, Scharnhorst e Wyatt, che produce alcuni grafi, di cui uno raffigura il campo delle DH interpretato come «virtual community», avvalendosi di dati provenienti da riviste di area LIS, cui sono poi aggiunti quelli originati da «computer&information science […]; education and various specific humanities areas (e.g., architecture, visual arts, literary history and archaeology)»; altre mappe sovrappongono alla prima quelle dei topic DH e dei dati che fanno riferimento a DH in quanto argomento; altre, infine, visualizzano le relazioni individuate su base geografica (Figura 4) ed istituzionale54.
Figura 4 – Mappa delle relazioni interne alle DH su base geografica: evidente la centralità dell'area anglo-americana e canadese
In questo contributo con l'espressione 'culture documentarie' si intendono campi disciplinari variamente denotati, a seconda delle aree geografiche e dei punti di vista adottati. Tuttavia, è evidente che la situazione si complica quando dall'analisi comparata dei lemmi passiamo ad osservazioni di natura interpretativa, che esplodono in un vortice babelico i problemi con cui ci confrontiamo. Alcuni anni fa Piero Innocenti aveva avviato una linea di ricerca relativa all'esperienza italiana, individuando:
un'arte-radice (la Bibliografia) e un'arte-applicazione (la Biblioteconomia), passando per la Documentazione, che è vista come espansione e perfezionamento dell'arte-radice; e posizionata collateralmente l'Archivistica, che sta in parallelo con la Biblioteconomia per la sottolineatura della sua caratteristica gestionale.55
Sul versante specifico della LIS può essere utile esaminare le opzioni registrate nelle voci enciclopediche, come quella compilata da Birger Hjørland per l'ISKO encyclopedia of knowledge organization56. Pur consapevoli delle evidenti divaricazioni, già segnalate per le DH, tra prospettive anglo-americane, continentali e nazionali, si è scelto di fare riferimento al campo della LIS, pur non considerandolo ovviamente coincidente con quello denotato dall'espressione 'culture documentarie'; questa scelta è stata pragmaticamente motivata dalla possibilità di disporre di fonti meno distanti tra di loro.
Nella prima parte di questa sezione del contributo viene discusso sommariamente il profilo della LIS, dando conto di alcuni tentativi di descriverne il perimetro e di gerarchizzare gli argomenti di interesse centrale57, con risultati né semplici né univocamente definiti. L'espressione library & information science ha iniziato ad essere utilizzata nella metà degli anni Sessanta del Novecento, nel cuore dei sommovimenti intuiti da Joseph L. Licklider e Ted Nelson, tra l'emersione degli ipertesti e la configurazione di Arpanet, ed esprime la volontà di elaborare le tensioni di mutamento che in quel periodo si avvertivano, modificando modelli, metodi e tecniche di produzione, organizzazione e comunicazione della conoscenza impressa e registrata in oggetti, aggiungendo alla parola-radice 'libro' l''informazione', elemento che connotava l'interpretazione tecno-sociale della nuova era.
Retrocedendo nella genetica storica della disciplina, l'analisi avrebbe potuto prendere in esame in modo dettagliato le trasformazioni collegate al mutare dei modelli e dei metodi secondo i criteri della information science di Eugene Garfield (1962) e Jason Farradane (1955), la social epistemology di Margaret Egan e Jesse H. Shera (1952), la documentazione di Paul Otlet (1934), la library science nell'elaborazione di Pierce Butler (1933) e di Shiyali Ramamrita Ranganathan (1931), la library economy di Melvil Dewey (1887), approdando infine alla Bibliothekwissenschaft di Martin Schrettinger (1808-1834). E, ancora all'indietro, avremmo potuto includere il campo della tradizione bibliografica, da Michael Denis con il pieno attestarsi della Bücherkunde (1777-1778), a Gabriel Naudé (1627) e Conrad Gesner (1545), fino a Johann Tritheim (1494)58. Fermiamoci qui, lasciando sullo sfondo la pur significativa tradizione protobibliografica, le elaborazioni umanistico-rinascimentali del 'canone' di Tommaso Parentucelli, fino ad intravedere, alle origini quasi mitiche di questa storia la figura remota di Callimaco e dei suoi celebri e frammentari Πίνακες59.
La prima attestazione dell'uso del termine composto 'library & information science' viene attribuita, nel 1964, all'ambiente della School of Library Science dell'Università di Pittsburg60; successivamente si sono andati differenziando gli elementi di partizione strutturale della disciplina, e di contestuale individuazione di contenuti peculiari. Secondo Birger Hjørland sono possibili una pluralità di approcci per raggiungere questi livelli di comprensione più analitica, tra cui:
1.1 To study LIS-textbooks.
In base alla prima di queste prospettive, un esame comparativo della struttura dei percorsi formativi in alcuni paesi europei ha portato all'individuazione di una serie di elementi centrali62, elencati in base alla frequenza d'uso, dalla quale risulta evidente la presenza pervasiva di questioni connesse direttamente all'uso di modelli e tecnologie digitali nella maggior parte delle aree tematiche (1-6, 8), e di un'implicita rilevanza indubbiamente rilevabile nei contenuti indicati nelle posizioni 7, 9, 10 (Figura 5):
Figura 5 – Percentuale di distribuzione degli insegnamenti nella formazione curriculare di area LIS63
Una mappatura analitica dell'articolazione degli argomenti di ricerca è fornita nella relazione IFLA International library and information science research: a comparison of national trends, curata da Maxine K. Rochester e Pertti Vakkari e pubblicata nel 200364, basata sull'analisi dei contenuti di pubblicazioni relative all'area scandinava, Cina, Australia, Spagna, Gran Bretagna e Turchia, nel periodo compreso tra 1965 e 199565. Lo schema di classificazione degli argomenti, elaborato da Järvelin e Vakkari nel 199366, è riportato qui di seguito, e conferma la diffusione pervasiva in area LIS di tecniche e tecnologie digitali (Figura 6):
Figura 6 – Analisi del contenuto dei percorsi formativi nel settore LIS67
Un aggiornamento al 2014 è proposto da un articolo di Figuerola, García Marco e Pinto del 2017, che studia la produzione scientifica indicizzata nel database LISA - Library and information science abstracts tra 1978 e 2014, per un totale di 92.705 documenti. Il metodo utilizzato è quello della latent dirichlet allocation (LDA), basato sull'analisi della frequenza d'uso delle parole per individuare la rilevanza dei temi e degli argomenti all'interno del corpus preso in esame68. La Figura 7 mostra i primi 10 termini in base alla frequenza per ognuna delle aree individuate; in grassetto la denominazione o di interi argomenti, o di termini più esplicitamente collegati al campo del digitale.
Figura 7 – Le 10 parole più significative dei settori LIS69
Per quanto riguarda l'Italia, un'interessante ricerca è stata condotta da Giovanni Solimine e Chiara Faggiolani e comunicata con un articolo pubblicato dalla rivista Ciencias de la documentación, che illustra l'evoluzione di alcuni elementi del lessico della biblioteconomia italiano prendendo in esame le mutazioni della frequenza d'uso delle parole (e dunque dei concetti) in due opere largamente diffuse nella comunità biblioteconomica nazionale: Biblioteconomia: principi e questioni e Biblioteche e biblioteconomia: principi e questioni, ambedue edite da Carocci (Figura 8) 70.
Figura 8 – Le 10 parole più frequenti dei due volumi; in grassetto le parole riferite più direttamente al campo del digitale71
La frequenza d'uso delle parole mostra alcune linee di tendenza, piuttosto espressive:
Altre considerazioni interessanti possono essere effettuate a partire dall'analisi di specificità, in base alla quale viene definita 'specifica' o caratteristica di un testo ogni parola o espressione sovra o sotto utilizzata rispetto ad una norma di riferimento, che ad esempio può essere costituita da un valore medio della parola, o dal valore assunto all'interno di un modello di riferimento. Le parole individuate, in ordine di frequenza decrescente, sono: web, reference, dato, digitale, ricerca, informazione, utente, collezione, libro, bibliotecario, catalogo, lettura.
Infine, un ulteriore 'colpo d'occhio' sul nostro argomento può essere rivolto grazie al grafo realizzato da Andrea Zanni utilizzando i dati digitali dei periodici del settore presenti nella piattaforma MLOL (Figura 9)72.
Figura 9 – Particolare, in scala di grigi e con adattamenti, del grafo realizzato da Andrea Zanni73
Non ci interessa qui fornire ulteriori elementi di dettaglio sul dibattito in corso, ed alla conseguente crescita o decrescita di interesse per i diversi argomenti, preso atto del trend sempre più spiccatamente rivolto alle culture digitali. Ciò che si intendeva mostrare era essenzialmente il profilo della LIS per come esso si autopresenta nelle fonti che, circolarmente, sono il risultato di studi, ricerche e pratiche professionali che a questo campo possono essere più o meno direttamente ricondotte. Ciò che è certo è che l'estensione della disciplina si è modificata, consolidando sé stessa attraverso le forme canoniche, rappresentate dalla configurazione delle sedi accademiche, dalle pubblicazioni periodiche e monografiche, dalle metodologie utilizzate nelle prassi di natura professionale. In questo modo si sono delineati profili tassonomici diversi degli argomenti ritenuti 'centrali' e di quelli percepiti come 'periferici', trattati secondo le modalità più diverse nei diversi percorsi argomentativi del circuito della ricerca e di quello delle attività professionali, secondo la nota polarità tra library science e librarianship. A fronte di questa varietà di punti di vista, si è anche andati in cerca, talvolta, di un fondamento ontologico ed epistemologico stabile delle basi concettuali del campo disciplinare, quanto mai difficile da cogliere in una fase di profonde trasformazioni documentarie e cognitive74.
Sulla base delle fonti che sono state utilizzate si può affermare che le relazioni tra area delle DH e culture documentarie sono decisamente problematiche, e non semplici da definire e descrivere. Valutare comparativamente due campi così fluidi, eterogenei e complessi non può che produrre, come esito, giudizi frammentari e parziali, inevitabili vista la pluralità dei punti di vista utilizzati, inclusi quelli riferiti alla provenienza geografica degli autori. In questo senso, ad esempio, uno studioso informato e attento come Lana afferma che gli umanisti digitali di solito non cercano l'aiuto delle biblioteche e lavorano per proprio conto, mentre Ying Zhang, Shu Liu ed Emilee Mathews sostengono che «Many DH projects and initiatives have embraced LIS professionals' involvement», almeno nelle aree prevalentemente nordamericane da loro esaminate, e per questo ravvisano addirittura le condizioni per delineare il profilo di una «DH librarianship»75.
La difficoltà nella comparazione dei dati, se desiderassimo andare oltre un approccio fondato su uno specifico e spesso personale atteggiamento interpretativo, dipende evidentemente da molti fattori, tra i quali possono essere ricordati la differente estensione temporale dei due campi disciplinari, rispetto ai quali la periodizzazione è tutt'altro che unanimemente condivisa; le differenti condizioni delle diverse aree geo-culturali; il profilo e la forza delle dinamiche accademiche, delle associazioni, delle reti di relazioni personali ed istituzionali. Questa oggettiva indeterminatezza non impedisce tuttavia che possano essere individuati argomenti e sottocampi tematici tra i quali si intravedono wittgensteiniane 'somiglianze di famiglia', che lasciano ipotizzare che proprio perché si lavora con gli stessi oggetti, e con approcci epistemologici e metodologici talvolta simili, si potrebbero rafforzare, pragmaticamente, i rapporti di collaborazione esistenti. Devo tuttavia ammettere che nelle ricerche effettuate non ho trovato tracce di analisi basate su dati in grado di dar conto della quantità, della qualità e del grado di inter o transdisciplinarità dei progetti realizzati. Per questi motivi le valutazioni delle relazioni tra DH e culture documentarie spesso si limitano, semplicemente, ad individuare ed auspicare possibili settori di intervento comune.
Consapevoli di questi limiti, verranno ora riepilogate le posizioni di alcuni degli autori intervenuti sul tema specifico delle connessioni tra i due campi disciplinari. In un post di qualche anno fa Showers individuava nella gestione dei dati, nella distribuzione 'embedded' delle competenze documentarie ovunque ce ne fosse bisogno, nella digitalizzazione e data curation, nella conservazione, discovery e disseminazione delle informazioni i punti di contatto più evidenti76; Robinson, Priego e Bawden partono anch'essi dalla presa d'atto che «much DH research takes place in, or in close collaboration with, libraries, archives, records centres, museums, and other collection institutions», e che ambedue condividono uno status accademico fragile («Both therefore still have a tension between their status as an academic discipline in their own right and as a support function for research in other disciplines»). DH e LIS sono accomunate dal condividere «a general focus of study and practice in recorded information and documents»; e, infine, esiste un notevole numero di argomenti di interesse congiunto: «searching and retrieval; digital libraries and archives; metadata and resource description; ontology, classification and taxonomy; publishing and dissemination; open access; linked data; collection management and curation; portals and repositories; bibliography; digitization; preservation; interactivity and user experience; interfaces and browsing; cultural heritage; information visualization; big data and data mining; and bibliometrics». Gli autori ritengono possibile integrare DH e LIS attraverso il concetto di «communication chain», posizionandole alle due estremità («most DH work will fall at the extremes of the chain, with creation and use of information and documents, while most LIS work will fall in the central components, with organization, retrieval and management»). Questo concetto unificante può in tal modo garantire «positive future for both disciplines»77. Chris Alen Sula, in un articolo tra i più incisivi, dopo aver messo in evidenza i livelli di sovrapposizione, afferma che «Given this significant overlap in interests, competencies, and institutional structures, we are left to wonder not whether but how libraries can join in the work of digital humanities». A partire da queste premesse viene elaborato un modello concettuale di integrazione, che richiama i punti di contatto di Showers richiamati in precedenza, che è caratterizzato da una «multiplicity of ways in which libraries and DH may support, engage, and create with one another», ed in cui si intrecciano contenuti di primo ordine (prodotti dagli umani) e contenuti di secondo ordine (prodotti dalle macchine)78. Tornando all'elaborazione del tema in area italiana, Marilena Daquino e Francesca Tomasi iniziano un loro articolo affermando, con grande ottimismo, che «Il rinnovato interesse verso le DH è sintomo di un'esigenza comune, potremmo dire di una domanda generalizzata, d'integrazione fra settori disciplinari eterogenei quale frontiera per l'innovazione e l'aumento dell'impatto della cultura nella società», nella prospettiva di una «necessaria ibridazione», entro la quale «i primi naturali interlocutori [per le DH] nello sviluppo di questa progettualità, per expertise ed affinità, provengono dal campo della library and information science (LIS)». Le competenze individuate sul versante documentario sono costituite in primo luogo da «Classificazione, gestione e disseminazione delle informazioni del proprio dominio»; secondo le autrici «per la LIS diviene allora strategico comprendere appieno il potenziale offerto dalle DH, utilizzando gli strumenti teorici e pratici che queste mettono a disposizione, e rimodulare così iterativamente la propria collocazione in un contesto allargato di discussione». Questa tesi, tuttavia, potrebbe essere rovesciata anche nel suo opposto, proponendo alle DH di comprendere approfonditamente il 'potenziale' offerto dalle culture documentarie. L'esito dell'integrazione è individuato nella centralità del «ruolo della knowledge organization e delle ontologie formali come strumento per la rappresentazione della conoscenza che avvicinano la funzione delle DH alla LIS e al contempo qualificano l'expertise delle DH nei processi di interpretazione del sapere umanistico ai fini del disvelamento di nuova conoscenza». In questo quadro ridisegnato, il valore aggiunto dell'informatica umanistica si esplica in un ragionamento ermeneutico e critico che conduce alla definizione di una metodologia che «non può non ibridarsi con un'attenzione alla fruizione finale dell'informazione e quindi alla sua accessibilità». L'alleanza DH-LIS può su dunque produrre benefici con l'incrocio tra 'lunga durata' della tradizione documentaria e attività computazionali governate dai membri delle comunità DH79. Al centro di questa prospettiva collaborativa si collocano le attività di rappresentazione e modellizzazione degli oggetti documentari: «lo studio del dominio di conoscenza di un oggetto da rappresentare in forma digitale è il prodromo di uno studio sulle metodologie stesse che operano in tale dominio, tale da esplicitarle, formalizzarle e condividerle con le altre comunità»80. Ciò dovrebbe condurre ad una significativa innovazione meta-interpretativa e meta-metodologica, destinata a produrre esiti positivi per la conoscenza degli oggetti del patrimonio culturale. Lana, infine, fa riferimento al concetto di biblioteca (o scriptorium) digitale come spazio di relazione e di collaborazione, alla gestione dei contenuti ed alle attività di ordinamento ed organizzazione della conoscenza che la tradizione bibliografica può offrire81.
Al di là dei motivi di interesse individuati nei contributi fin qui richiamati, non posso che rilevare, alla fine di questo percorso, una sorta di senso di sostanziale frustrazione rispetto alla domanda posta all'inizio. Produrre anche solo un decoroso stato dell'arte bibliografico sulle connessioni tra due comunità disciplinari dai profili così porosi e frastagliati risulta davvero molto complicato, al punto che può essere forse revocata in dubbio la stessa formulazione della domanda che ha guidato il percorso argomentativo fin qui tracciato. Sul versante delle culture documentarie, inoltre, va rilevata la sostanziale assenza di tutto l'insieme, articolato e variegato, delle biblioteche e della biblioteconomia pubblica. I punti di convergenza evidentemente orientati verso gli oggetti non riescono ad intrecciarsi con le linee di orientamento biblioteconomico e bibliotecario che con sempre maggiore convinzione cercano di ottenere un proprio diverso posizionamento nella società. Anche in questo caso, evidentemente, si utilizzano metodi e tecniche immersi nelle culture del digitale, e tuttavia la linea di demarcazione tra l'autointerpretazione delle DH secondo una prospettiva interna alla cultura accademica e la vocazione narrativa e partecipativa delle biblioteche pubbliche rende quasi nulle le relazioni individuabili82.
Il campo si allargherebbe ancora se, tornando alle tensioni partecipative di Digital_humanities valutassimo l'ipotesi di una convergenza volta a massimizzare l'insieme dei contenuti semioticamente 'testuali' che dalle interfacce delle biblioteche sono veicolati, come quando si afferma che: «Yet digital humanists can imagine means to model the complex conditions of interpretation so that we come to a fundamentally different idea or demonstration of the ways engagement with the cognitive processes of reading, viewing, and navigating make meaning»83.
Ancora, i livelli di integrazione potrebbero includere l'area dell'information literacy, e il suo difficilissimo compito di garantire l'accesso a contenuti informativi affidabili.
A fronte di questa complessità, ontologica ed epistemologica, che ha i suoi tempi di elaborazione e decantazione, sono dunque portato a ritenere che il rafforzamento dei livelli di integrazione tra DH e culture documentarie possa essere favorito, pragmaticamente, rafforzando l'abitudine a lavorare insieme, in prospettiva tendenzialmente transdisciplinare, anche sui temi emergenti come l'intelligenza artificiale, in modalità dialogica, collaborativa, aperta, assegnando un ruolo preminente all'agire progettuale e, contestualmente, lavorando per definire competenze fluide e trasversali nei giovani che in questo contesto saranno destinati ad operare. Questo è un altro aspetto valorizzato nel volume Digital_humanities, in particolare nel paragrafo The care and feeding of hedgefoxes (il termine con cui sono individuati gli studenti), che fa riferimento alla necessità di sintetizzare ed ibridare i modelli di organizzazione del sapere, secondo l'antica metafora delle forme di acquisizione della conoscenza simboleggiate dalla 'chiusura' del riccio (hedgehog) e dalla curiosità della volpe (fox), per creare profili cognitivi ed emotivi «capable of ranging wide, but also of going deep»84, ed in tal modo, auspicabilmente, migliorare i livelli di comprensione della complessità del reale, e del variare dei molteplici «rapporti di forza» che in esso agiscono, come in tutt'altro contesto, decisamente 'agro', ha scritto un bibliotecario atipico come Luciano Bianciardi85.
Proviamo ora a tirare le fila delle molte considerazioni che fino a questo punto sono state proposte, a partire dagli obiettivi dichiarati in apertura.
Le pubblicazioni prese in esame sono in primo luogo unificate da una sorta di crampo definitorio comune: moltissime, infatti, iniziano il proprio percorso argomentativo proponendo una auto-definizione, nel tentativo di assicurare un fondamento quanto più possibile solido, almeno sul piano linguistico, a ciò che successivamente viene discusso. Gli esempi, in questo senso, potrebbero moltiplicarsi in modo indefinito, ed in ambedue i campi86.
Come si è visto, è emersa una notevole varietà di denominazioni, espressione dei riflessi sul linguaggio dei diversi atteggiamenti etici, epistemologici, interpretativi e metodologici, dando origine ad un'autentica «babele terminologica» che - concordo in questo con Serrai - manifesta con evidenza il fatto che, almeno nell'ambito delle culture documentarie, «le riformulazioni degli antichi problemi non hanno generato i risultati sperati»87.
Nel campo delle DH, escludendo il problema delle traduzioni del termine nelle diverse lingue, si situano e competono le espressioni humanities computing, digital humanities e digital scholarship; l'informatica umanistica italiana, pur aperta alle culture digitali, sembra rivendicare l'appartenenza ad una tradizione fondata principalmente sui testi. Sull'altro versante, l'espressione 'culture documentarie' cumula al proprio interno sia il campo della LIS sia la tradizione italiana (e con altra terminologia continentale) della bibliografia, della documentazione e della biblioteconomia, nelle sue varie e molto sfaccettate articolazioni; ed anche in questo caso, e in questa sede, non è stata discussa nel dettaglio la pluralità delle storie generabili a partire dalle multiformi varianti terminologiche.
Preso atto di questa fitta serie di problemi, linguistici e semantici, cerchiamo di sintetizzare alcuni degli esiti, a partire da quelli che emergono dall'analisi della letteratura cui si è fatto riferimento, che a sua volta, reticolarmente, è espressione di quelle stesse marcature di differenza che sono oggetto dell'indagine; lo strumento, insomma, interagisce evidentemente con la natura dell'oggetto dello studio. Il punto di vista che ispira l'atteggiamento argomentativo e retorico dei singoli autori influenza decisamente, spesso sottotraccia, i risultati finali che vengono comunicati; ed è anche per questo motivo che molto spesso, alla fine, le aree di possibile integrazione tra due campi così frastagliati si limitano ad individuare territori visti, e forse desiderati, come metaforicamente ospitali e sicuri.
Su questi aspetti tornerò brevemente più avanti; qui vorrei invece proporre qualche considerazione su alcuni degli elementi che, fondativamente, rendono nebuloso ed incerto il quadro che stiamo cercando di delineare. Riepilogando alcune delle questioni fin qui discusse, abbiamo preso atto del fatto che la definizione del 'campo' di una disciplina è il risultato di dinamiche molto complesse, entro le quali concorrono fattori ontologici, epistemologici, storici, sociali, istituzionali, antropologici, che solo a valle si sedimentano, per periodi limitati, nelle attività teoriche e pratiche che provvedono a stabilizzare, nei periodi di «scienza normale» di Kuhn, il canone di riferimento di ognuno di questi campi. Per quanto riguarda i nostri due ambiti, lasciando sullo sfondo le linee di analisi 'archeologica' a matrice foucaltiana, rimangono da precisare le tensioni e le divergenze di cui abbiamo compreso le caratteristiche essenziali, e che proveremo ora a categorizzare in modalità ancora più generale.
In una prima linea, dunque, la sfera delle DH si situa entro il paradigma della ricerca accademica classica, diversa naturalmente a seconda delle diverse traiettorie disciplinari, con un radicamento originario, e secondo alcuni principale, nei territori della testualità; a ciò si fa riferimento, con le oscillazioni che abbiamo visto, sia con i termini più specifici humanities computing e informatica umanistica, sia con quello generalizzante di digital humanities nella sua accezione estesa. Lo stesso termine digital humanities viene proposto da alcuni (Schnapp e altri, in particolare) in una sua variante ancora più ampia, coincidente per molti aspetti con i cultural e media studies e dunque, 'grosso modo', con l'area italiana delle scienze della comunicazione. Sul lato delle culture documentarie, al primo di questi modelli possono essere fatti corrispondere metodi e tecniche applicati principalmente alla produzione e gestione delle biblioteche digitali. Ciò evidentemente seleziona un sotto-ambito limitato delle culture documentarie stesse, riferito a modelli e servizi tipicamente propri delle biblioteche accademiche e di ricerca, ed in grado minore di quelle storiche e di conservazione. Sulla base di questo 'taglio' rimangono del tutto esterni alle prospettive prefigurate i possibili sviluppi della biblioteconomia pubblica, soprattutto nei suoi recenti sviluppi partecipativi e comunicativi; ovvero una biblioteconomia che aspira a dar conto in modo equilibrato non solo degli oggetti di cui si occupa, ma anche, attraverso adeguate prospettive epistemologiche e metodologiche, di come l'uso di questi oggetti, e dei loro modelli di rappresentazione, concorra o meno a migliorare la qualità della vita delle persone.
Per questo motivo, rimanendo per ora entro i confini della letteratura esaminata, credo che sia indispensabile individuare come cornice di riferimento la prospettiva disciplinare, o meta-disciplinare, più ampia ed inclusiva, che sia pure in modo in buona misura solo ottativo ottiene tuttavia il risultato di garantire legittimità ad ogni tipo di possibile approccio. Non sarebbe la prima volta del resto che una comunità scientifica opta, coraggiosamente, per un orizzonte aperto e in buona misura indeterminato. Basti pensare in tal senso alle opzioni maturate nell'ambito della cultura storica con la 'rivoluzione' della Nouvelle histoire avviata nel 1929 con la rivista Annales, guidata da Marc Bloch e Lucien Febvre e poi allargata ad altri storici come Henri Pirenne, Marc Nora, Jacques Le Goff88.
Questa eteronomia dei punti di vista non credo che debba essere giudicata di per sé negativa, opponendo ad essa le tavole di leggi rigidamente disciplinate. Tenendo conto della complessità degli oggetti cui le discipline si applicano (scienze umane e humanities, culture digitali e documentarie), è del tutto prevedibile che esistano differenze di natura molteplice, ontologica, epistemologica, etica, metodologica, ed infine tecnologica ed applicativa. Si tratta solo dell'ulteriore manifestazione degli effetti dell'agire congiunto di moltissimi fattori di mutamento, contemporaneamente in atto, nei modelli di produzione, organizzazione e gestione della conoscenza, che nessuna disciplina può ragionevolmente ritenere di governare ed ordinare, evitando contestualmente il rischio che quest'affermazione venga intesa come una fideistica apologia del disordine89. Nei campi frammentari di queste pratiche disciplinari si individuano con tutta evidenza i segni della crisi paradigmatica in atto, che dobbiamo in primo luogo riconoscere. Se dunque «grande è la confusione sotto il cielo», si tratta ora di valutare, parafrasando ancora il Grande Timoniere, se la situazione possa per questo dirsi anche «eccellente».
Credo anzitutto che non sia opportuno, in questa fase così incerta, avventurarsi in predizioni troppo nette, dal momento che, parafrasando quanto Armando Petrucci ha avuto modo di affermare sulle discontinuità nella storia della lettura, dobbiamo confrontarci anche in questo caso con fenomeni estesi e complessi, destinati ad evolvere e consolidarsi negli anni a venire90. Si tratta insomma, per un verso, di abituarsi alle rapide trasformazioni che incessantemente si susseguono, e che tanti studi sociologici cercano di definire91, e forse accogliere l'invito di Alessandro Baricco di imparare a costruire un nuovo umanesimo digitale accettando la sfida di «entrare nel Game», in modo tale che anche con il nostro apporto sia possibile tracciare «la rotta che sarà del mondo intero»92. Questo sguardo aperto e inclusivo mi pare che costituisca una premessa indispensabile per ogni possibile ulteriore ragionamento, intra o transdisciplinare; è ciò di cui abbiamo bisogno, in primo luogo antropologicamente, per cogliere i tratti emergenti, fluidi e mutevoli, della realtà in cui siamo immersi, e che percepiamo sempre più frequentemente, in assenza di uno sguardo unificante, come scheggiata e desolantemente orizzontale93. Tornando a Baricco, a me sembra che anche The game possa essere utile per comprendere l'impatto della rivoluzione digitale sulle persone e sulla società, come scrive nella sua bella recensione Paola Castellucci quando sostiene che, a partire dalle competenze del lettore ideale del Novecento, è possibile un avvicinamento consapevole e critico alle moltissime 'storie' della rivoluzione digitale (incluse quelle di cui abbiamo discusso in questo contributo); e questo lettore, collocato ora nelle discontinuità profonde dell'Antropocene può essere attratto proprio dall'«assenza» e dall'indeterminatezza che si cela e nello stesso tempo si manifesta nelle tumultuanti trasformazioni in atto94.
Proprio all'interno del non-detto presente in ogni narrazione, destinato tuttavia ad esprimersi nel linguaggio, il lettore prototipico e ideale (cioè ognuno di noi) potrà valorizzare la propria abilità euristica, abituandosi ad accettare le sembianze di un uomo ormai cyborg «metà uomo, metà automa che dirige le sue azioni solo dopo aver ricevuto istruzioni da algoritmi che gli dicono dove andare a mangiare, quale hotel prenotare, e quali libri leggere»95. Sono molto d'accordo con Castellucci nel ritenermi parte di quei 'noi' che appartengono alla comunità «che si raduna, si ripara, si nutre, in biblioteca»; biblioteca che, in senso anzitutto simbolico, deve accettare la sfida di misurarsi con la mutazione digitale in atto, che acquista forma nella «grande digital library che è diventato il mondo»96.
Credo che il 'digitale' vada riconosciuto, oltreché nelle sue pur rilevanti caratteristiche radicate nei metodi delle discipline umanistico-accademiche, come un elemento essenziale nella nostra costruzione antropologica ed esistenziale della realtà e degli spazi, architettonici e semiotici, in cui si dispiegano le nostri molteplici «arti del fare»97. È in questo scenario che si è definita l'età dell'iperstoria, come ha scritto convincentemente Luciano Floridi, in cui, oggi, stiamo conoscendo la smisurata crescita dei dati e del potere computazionale delle macchine che quei dati nello stesso tempo producono, governano, relazionano. Lo spazio della realtà con cui ci confrontiamo, dentro e fuori le università, i centri di ricerca e le biblioteche, è costituito da una pervasiva ed ubiqua «infosfera», in cui il mondo analogico e quello digitale si mescolano e si confondono; ed è in questo problematico ecosistema che si delineano i profili delle nostre vite «onlife», distribuite in spazi ibridi sempre più sincronizzati, delocalizzati e correlati98. E, come già si è detto, è negli spazi in divenire dell'infosfera che stanno accadendo le profonde trasformazioni prodotte dal potere computazionale delle macchine, ed è qui che avviene la mescolanza, secondo modalità solo in piccola parte conosciute, tra «mondo digitale offline» e «mondo digitale online»99.
La rapidità e la complessità di queste trasformazioni, oltre che a miriadi di fake news ed ai molti 'sentieri interrotti' in area accademica, generano nella società e nelle persone disagio ed ansia; ed è per questo che il futuro ibrido nel quale siamo immersi produce l'impressione di «essere senza casa» e di «vivere in tempi strani». Queste due ultime citazioni sono tratte da un libro, decisamente extra-accademico, che mi fa piacere richiamare anche perché l'autore, Gianluca Didino, si è laureato con me a Torino, nell'ormai lontano 2012100. Si tratta di un'opera intelligente ed acuta, che nasce da un'autentica espressione di incredulità («tutto questo sta capitando davvero?», p. 9), ed in cui si intrecciano il ricordo dell'11 settembre ed i costi degli affitti a Londra (dove l'autore vive), serie tv come Lost, Twin peaks e Westworld e la «demondificazione» (Entweltlichung) descritta in Essere e tempo da Martin Heidegger, che altera profondamente il nostro essere-nel-mondo. La percezione soggettiva di questa realtà distopica viene letta con gli occhi di Mark Fisher, filosofo e docente al Department of Visual Cultures dell'Università di Londra, ma anche critico letterario e blogger con lo pseudonimo di 'k-punk', divulgatore tra le altre cose del concetto di «hauntology» sviluppato originariamente nel 1993 da Jacques Derrida in Spettri di Marx101. Da questo sguardo, molto obliquo, traggono origine il termine ed il concetto di weird, lo 'strano' con tutte le sue sfumature di significato (inquietante, misterioso, bizzarro…), utilizzato come lente per orientarsi nella nostra complicata ipermodernità, con la sua frenetica «accelerazione delle tendenze», come se «la spinta verso il futuro avesse ripreso la propria corsa a velocità raddoppiata»102. Da ciò deriva il bisogno di categorie per comprendere la stranezza che pervade il nostro orizzonte di vita; categorie anche «provvisorie ed esplorative», che ci aiutino a «dare un senso ai nostri tempi», che possano essere utilizzate anche per orientarsi nella mutazione digitale e nei processi di 'datificazione' in corso. Lisa Blackman, in maniera molto convincente, definisce appunto «haunted», cioè 'infestati', i dati, secondo una prospettiva che ha il grande pregio, a mio parere, di essere decisamente anti-riduzionistica ed anti-deterministica103. Questa precarietà cognitiva è appunto ciò che fa emergere la sensazione di «essere senza casa», «privi di un luogo sicuro in cui proteggersi dall'esterno»104, in un Antropocene «la cui complessità ha raggiunto livelli tali da essere, nella maggior parte dei casi, letteralmente incomprensibile»105. Mi ha fatto molto riflettere questo atteggiamento di un giovane che in queste problematiche tensioni è immerso, e mi è parso altrettanto utile, per comprendere l'oggi, degli idealtipi idealizzati (ed anche purtroppo depersonalizzati) dei sociologi, con le 'generazioni' X, Y, Z o qualunque sia la lettera designata ad individuarle; un atteggiamento che mette in luce la filigrana dei profili cognitivi ed emotivi (e delle zone di silenzio) di moltissimi altri giovani, inclusi gli studenti delle università, 'infestati' anch'essi dalla drammatica situazione, sanitaria ed esistenziale, dovuta alla diffusione pandemica del Covid-19.
Queste brevi considerazioni finali aspirano a mostrare la necessità di una prospettiva interpretativa ampia, articolata, panoramica e olistica per comprendere (oltre che descrivere) in senso 'umanistico' come la diffusione pervasiva del digitale stia trasformando profondamente la realtà. Questo sguardo metaforico può costituire la controparte, dialettica, critica e argomentativa, di approcci riduzionistici, deterministici, tecnocratici o talvolta autoreferenzialmente specialistici, che danno inevitabilmente conto solo della segmentazione isolata delle parti e non della rete di relazioni in cui le parti sono inestricabilmente inserite. In questo senso può essere utile tornare ad uno dei tesi fondativi della storia culturale del digitale, scritto da Ted Nelson nel 1965, in cui si affermava, lucidamente e visionariamente, l'esigenza di disporre di un 'ordine archiviale' («file structure») per il complesso, il mutevole, l'indeterminato («the complex, the changing, the indeterminate»)106. Sono convinto che solo attraverso una visione nello stesso tempo analitica e sintetica dei mutamenti in atto sia possibile comprendere in modo graduale e convincente sia l'infosfera sia le province di essa nelle quali si dispongono i confini delle parole e delle cose, articolati nei diversi 'discorsi' disciplinari, inclusi quelli delle DH e delle culture documentarie. Per questi motivi è necessario, e temo indispensabile, avvalersi congiuntamente dell'ampiezza fenomenologica transdisciplinare dei cultural e media studies, del rigore teoretico della filosofia per garantire l'individuazione di un fondamento ontologico, epistemologico e antropologico, e della consapevolezza storica della 'lunga durata' dei mutamenti in corso, che avrebbe anche il non lieve vantaggio di valorizzare l'apporto della parte concettualmente più rilevante della tradizione bibliografica, altrimenti rimossa da un piatto e sincronico 'presentismo' tecno-documentario107. Tra queste province, parte certamente periferica della rete planetaria, possiamo continuare a immaginare e pensare le biblioteche, le bibliotecarie ed i bibliotecari, le culture documentarie come luoghi linguistici, simbolici ed organizzativi orientati a produrre senso e significato, destinati alle persone che in essi si muovono, qualificandosi come piccole, fragili e tuttavia tenaci nuove Atlantidi della ipermodernità108. Far approdare questa speranza dai territori di Utopia ai «rapporti di forza» del mondo reale è dunque il compito non lieve che ci attende, per trasformare l'infosfera, nel suo 'strano' intreccio di naturale ed artificiale, in uno spazio comune da abitare.
Ultima consultazione siti web: 11 settembre 2020.